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mercoledì 30 giugno 2021

Limbo (2021)

Al momento in cui scrivo questo post il film più bello dell' Udine Far East Film Festival 2021 è per me Limbo, diretto dal regista Soi Cheang.


Trama: un giovane ed integerrimo poliziotto viene affiancato ad un veterano dai modi spicci per indagare su un serial killer che uccide e mutila le donne. Nel corso delle indagini, l'incontro con una giovane sbandata complicherà ancor più la situazione...


Limbo
era uno dei film che mi ero segnata per gli ultimi giorni ma un paio di segnalazioni da parte di amici online che se ne capiscono lo ha fatto schizzare in pole position, e a ragione. La pellicola di Soi Cheang, regista che ovviamente (data la mia Crassa ignoranza) non avevo mai sentito nominare prima, è un racconto di disperato orrore urbano, che entra sotto pelle facendo rabbrividire per il disgusto nonostante sia fotografato nel bianco e nero più nitido ed elegante che possiate immaginare. Prima di parlare della trama, devo sottolineare che quello che mi ha colpita maggiormente di Limbo è proprio il modo in cui, nonostante la raffinatezza formale, le sue immagini riescano a catapultare lo spettatore nei bassifondi di una Hong Kong lurida e puzzolente, dove strisciano letteralmente esseri umani che si fatica a definire tali e dove cataste di rifiuti formano da soli dei piccoli, labirintici agglomerati urbani, un insano universo a se stante; la cinepresa di Soi Cheang indugia su sacchetti della spazzatura, pozze di liquami misti ad acqua piovana e mani che rimestano nel sudiciume assortito al punto che sembra quasi di sentire la puzza di quei luoghi fetidi, quello stesso odore che si mescola al marciume di cadaveri lasciati impietosamente a mescolarsi coi rifiuti e che comincia a perseguitare il detective protagonista, attaccandosi via via anche al suo collega apparentemente integerrimo e senza macchia. Il Limbo del titolo diventa così quel sottilissimo velo di "normalità" che separa la società civile da un inferno neanche troppo nascosto, percepibile con la coda dell'occhio come qualcosa che è sempre lì, pronto ad incombere su di noi, ma è anche il limbo di sofferenza che ci impedisce di andare avanti, di vivere e di perdonare, riempendoci di pesi la cui unica funzione è quella di trascinare nel baratro noi e tutti quelli che hanno la sventura di avere a che fare coi nostri drammi.


Parallelamente alle indagini dei due poliziotti, infatti, c'è l'angosciante storia di vendetta e redenzione del detective Cham e della giovane Wong, sui cui dettagli sorvolerò perché il rischio spoiler è altissimo, che dà il via ad alcune delle scene di violenza e sopraffazione più terribili che abbia mai visto, nonché ad un paio di inseguimenti al cardiopalma, a piedi e in auto, che da soli varrebbero la visione del film e farebbero impallidire il 90% delle sequenze d'azione di pellicole ben più famose. Tutta questa adrenalina inchioda alla poltrona e tiene desta l'attenzione dello spettatore per tutte le quasi due ore di durata del film ma preparatevi perché Limbo non è una pellicola da guardare a cuor leggero; al di là dell'aspetto thriller e di un whodunnit che, certo, coinvolge e mette parecchia ansia, quello che rapisce è tutto l'intreccio di relazioni umane e di emozioni negative fortissime che strattonano i personaggi spingendoli a compiere anche azioni autolesionistiche, sporcandoli e immergendoli nel putridume al punto che al killer basta solo allungare le mani per poterli prendere e trascinare nel suo folle mondo. Come sa chi segue la mia pagina Facebook, Limbo non mi ha lasciata indenne. Razionalmente, l'ho trovato formalmente ineccepibile, bellissimo, zeppo di soluzioni visive molto interessanti (talvolta i personaggi risultano "doppi", come se le loro emozioni faticassero a venire contenute dal corpo degli attori, ma sono suggestive ed inquietanti anche le panoramiche dall'alto delle discariche, all'interno delle quali le persone si muovono come cavie in un labirinto), ma alcune scene sono davvero difficili da sopportare per il tasso di violenza fisica e psicologica e il pianto che mi sono fatta alla fine non era solo di commozione, ma di liberazione da tutto l'orrore passato sullo schermo. Tenetelo a mente quando lo recupererete, perché dovete assolutamente guardare Limbo, al momento già in un'ideale top 5 di fine anno.  

Soi Cheang è il regista della pellicola. Nato a Macao, ha diretto film come Dog Bite Dog, Accident e Motorway. Anche attore, produttore e sceneggiatore, ha 48 anni.


Mason Lee
, che interpreta Will Ren, è il figlio del regista Ang Lee ed era il fratello di Lauren in Una notte da leoni 2. ENJOY!

martedì 29 giugno 2021

Visioni dall'Udine Far East Film Festival 2021 (parte 1)

Finalmente il primo festival on line dell'anno è arrivato! L'Udine Far East Film Festival, che per primo l'anno scorso aveva tentato di superare il delirio da covid trasformandosi completamente in un evento via streaming, per la sua ventitreesima edizione ha assunto una forma ibrida, per la gioia di chi, come me, tra lavoro e scarsi mezzi di locomozione Udine non riuscirebbe a vederla nemmeno dipinta. Ecco la prima parte dei frutti del mio abbonamento Web Snake! ENJOY!


Suddenly in Dark Night
(Young Nam Ko, 1981)

Il mio viaggio nell'Est quest'anno è cominciato con un tuffo nella Corea del Sud degli anni '80, attratta dalla riedizione di quello che dovrebbe essere un classico dell'horror di quelle zone. La descrizione del FEFF prometteva "paura dall'inizio alla fine", in realtà Suddenly in Dark Night mette ansia solo nei 20 minuti finali, visivamente pazzeschi, frenetici e davvero paurosi; il resto del film è una versione sovrannaturale de La mia peggiore amica, dove una giovinetta viene assunta come governante da una famiglia benestante formata da marito entomologo, moglie casalinga e pargola che ai fini della trama conta quanto il due di coppe a briscola. Peculiarità della giovinetta è quella di essere figlia di una sciamana e conseguentemente "posseduta dallo spirito della NONNA del Dio del Mare", incarnato in una statuetta dall'aspetto minaccioso da cui la ragazza mai si separa, ma la sua caratteristica principale è quella di essere giovine e bella, cosa che scatena nella moglie dell'entomologo una gelosia che potrebbe essere legittima come no, fomentata da paranoia oppure dall'inequivocabilità delle azioni delittuose della ragazza e di quelle del marito brutto come il peccato ma infoiato a letto. Mettendo da parte le orride scene di amplessi tra belle donne e un uomo mostruoso, la regia di Young Nam Ko è apprezzabile sia per i colori vividi delle sequenze più allucinate che per i "filtri" piazzati sulla cinepresa, uno assimilabile a un fondo di bottiglia che distorce le immagini, l'altro, più classico, in guisa di caleidoscopio. Ciò detto, vista l'abbondanza di film del festival e dato il poco tempo in cui rimarranno disponibili on line, il mio consiglio è quello di evitare o, se avete un abbonamento "flat" come il mio, di guardarvi gli ultimi 20, deliranti minuti.  


Sugar Street Studio
 (Sunny Lau, 2021)

Commedia horror che getta un po' di luce sulla difficile realtà delle produzioni cinematografiche di Hong Kong, tra produttori cialtroni, superstar e mestieranti che cercano di farsi un nome. La trama ruota su quattro ragazzi costretti a lavorare praticamente gratis per trasformare un edificio realmente infestato in un'attrazione commerciale, così da procurarsi i soldi per realizzare un film proprio basato sul cosiddetto "studio di Sugar Street", e su ciò che si nasconde dietro la storia di un clown divenuto folle per essere stato rifiutato da un'attrice. Per essere una commedia, Sugar Street Studio non fa granché ridere, anche se alcuni personaggi sono esilaranti (in primis il produttore), inoltre l'opera è carente anche dal punto di vista dell'horror, ché i fantasmi non sono mai inquietanti, anche per colpa di un trucco molto teatrale e posticcio, esacerbato da effetti computerizzati abbastanza invasivi. Il film sul finale è riuscito comunque a commuovermi (!) e in generale regia e fotografia non sono male, così come gli attori; considerata la sua natura di opera prima non posso che essere indulgente anche se vale quanto detto per Suddenly in Dark Night relativamente all'abbondanza di film e al poco tempo da sfruttare al meglio. 


Office Royale
 (Kazuaki Seki, 2021)

Questo era uno di quegli eventi dalla durata limitata, a differenza della maggior parte dei film che rimangono online per tutta la durata del Festival. Esempio di quelle assurde commedie trash giapponesi totalmente sopra le righe, Office Royal racconta cosa succederebbe se il mondo delle office ladies giapponesi seguisse le regole di quelle truzzissime bande di teppisti da strada che spesso popolano i manga, con le coloratissime, sboccate e zarre impiegate che decidono il destino delle rispettive aziende attraverso zuffe senza esclusione di colpi. Dentro Office Royale c'è un po' di Aggretsuko, un po' di manga a tema teppaglia, un po' di shonen da combattimento con tanto di allenamenti per diventare sempre più forti e boss di fine livello, ci sono persino dei travestiti che farebbero l'invidia di Frank'n'Furter e una colonna sonora che più tabozza non si può, quindi aveva tutte le carte in regola per diventare lo (s)cult del festival. Ciò detto, nonostante abbia riso spesso e trovato alcune delle idee molto simpatiche, pensavo di divertirmi molto di più e onestamente ho patito la palese volontà di buttare tutto in caciara fin dalle prime sequenze. Evidentemente, One Cut of the Dead mi ha viziata. 



venerdì 25 giugno 2021

Spiral - L'eredità di Saw (2021)

Uno degli horror più attesi dell'anno era Spiral - L'eredità di Saw (Spiral: From the Book of Saw), diretto dal regista Darren Lynn Bousman.


Trama: un emulo dell'Enigmista comincia a fare fuori dei poliziotti corrotti e il Detective Banks è costretto ad indagare...


Prima di cominciare lasciatemi sfogare, come diceva Pappalardo. Ma cosa caspita avete pensato, o produttori di Spiral, quando avete acconsentito alla presenza di Chris Rock nel film? Cosa, nella "veneranda" carriera del nostro, vi ha portati a credere che sarebbe stato adatto all'interno di un thriller horror, soprattutto in un ruolo che comunque richiedeva una certa dose di drammaticità? E' vero, Spiral è, nella sua interezza, delicato come un pugno nei denti, quindi magari l'Actor's Studio era sprecato, però avere un protagonista in costante overacting, che invece di parlare urla e per mostrare ira funesta alternativamente socchiude gli occhi come Seppia il gatto di Boccadasse oppure ne strizza solo uno some Braccio di Ferro, mi ha messo un nervoso tale da pregare questo nuovo Jigsaw di farlo fuori al minuto due. Tanto è il fastidio provocato da Chris Rock che, ovviamente, ha inficiato l'intero giudizio sul film, l'ennesimo, innocuo sequel (stavolta travestito da spin-off) di una saga cominciata nel 2004 come, appunto, thriller horror e continuata nel tempo come torture porn quasi fine a se stesso, in un continuo gioco al rialzo per creare la trappola più sanguinosa ed inguardabile. Stavolta l'inizio prometteva anche bene, perché il nuovo serial killer comincia mosso dal desiderio di ripulire il commissariato dai poliziotti corrotti e l'idea di un Saw vs polizia poteva aprire a tutta una serie di scomode considerazioni legate all'attuale società americana e alle condizioni di un servizio pubblico colmo di marciume e contraddizioni, ma il tutto dura ovviamente un battito di ciglia e la trama a un certo punto vira su una banale storia di vendetta dove alla fin fine il killer perde qualsiasi diritto ad ottenere un minimo di simpatia da parte del pubblico (in generale. Io, onestamente, tifavo per chiunque avesse deciso di fare fuori il detective Banks. E comunque ormai è per me inutile guardare questi film, ho indovinato l'identità del nuovo Jigsaw dopo una quarantina di minuti, con sommo scorno del Bolluomo.).

Espressione intensissima

Per quanto riguarda la realizzazione, Darren Lynn Bousman è tornato e si vede. Il suo stile tarantolato (ma St. Agatha, l'ultimo suo film che ho visto, era così zarro?), fatto di flash di orrori dalla fotografia vividissima e momenti di velocissimo sclero, non è cambiato dai vecchi Saw e neppure il corollario di gore mortale e a tratti insostenibile che, di fatto, trasforma il film in una mostra di mostri dove l'aspetto thriller diventa quasi trascurabile. Invecchiando, probabilmente, il mio fastidio verso queste torture fini a loro stesse è aumentato e mi sono ritrovata spesso a mugugnare dei "mavaffanculo" o dei "e certo, mettici ancora qualcosa che già non fa abbastanza vomitare il panettone del 1985", mentre il Bolluomo andava direttamente a farsi un giro altrove, quindi o sono diventata moscia io oppure Spiral ha alzato un po' l'asticella del disgusto rispetto ai suoi predecessori (che, a onor del vero, non riguardo dal 2005) quindi potrebbe venire parecchio apprezzato da chi ama il genere. Io, onestamente, mi pongo esattamente nel mezzo e dichiaro questo Spiral senza infamia e senza lode. Non sono mai stata fan della saga, abbandonata al quarto film, quindi non ero particolarmente eccitata all'idea di uno spin-off, ma per quanto riguarda l'aspetto thriller mi sono abbastanza divertita e ho fatto "eew" e "bleah" quando dovevo, quindi anche sul lato disgustorama la pellicola non delude; d'altra parte, guardando all'operazione col cervello inserito e non blandito dalle costanti citazioni a Pulp Fiction, mi è parsa uno spreco di potenzialità con abbondanza di spunti interessanti gettati in caciara, affossata ulteriormente da un attore cane maledetto che non dovrebbe più avvicinarsi agli horror nemmeno per sbaglio, perché non tutti i comici di colore si chiamano Jordan Peele, per nostra sfortuna. 


Del regista Darren Lynn Bousman ho già parlato QUI. Chris Rock (Detective Zeke Banks), Max Minghella (Detective William Schenk) e Samuel L. Jackson (Marcus Banks) li trovate invece ai rispettivi link.

Spiral - L'eredità di Saw
è uno spin-off della saga cominciata con Saw - L'enigmista; se il genere vi piace recuperatelo e aggiungete Saw II - La soluzione dell'enigma, Saw III - L'enigma senza fine (che potete trovare gratis su RaiPlay assieme a Saw IV - Il gioco continua e Saw V - Non crederai ai tuoi occhi), Saw VI - Credi in lui, Saw 3D - Il capitolo finale Saw: Legacy (lo trovate su Prime Video). ENJOY!

 

martedì 22 giugno 2021

Luca (2021)

Intristita dalla scelta di destinarlo solo allo streaming, domenica ho comunque recuperato Luca, l'ultima fatica Pixar diretta e co-sceneggiata dal regista Enrico Casarosa.


Trama: Luca Paguro è un piccolo mostro marino che, dopo l'incontro con un suo simile, scopre di poter acquistare sembianze umane appena uscito dall'acqua. I due decidono di conquistare la libertà partendo con l'esplorazione della cittadina di Porto Rosso...


Sfortunato questo Luca, ultimo, poetico frutto della Pixar. Sfortunato perché, in quanto ambientato durante una mitica estate ligure, sarebbe stato perfetto per venire proiettato nelle arene all'aperto della nostra regione, invece la Disney ha deciso di non distribuirlo al cinema e di gettarlo nel calderone del suo servizio di streaming online, penalizzando non poco le belle immagini della pellicola. Da una parte, meglio così: guardare Luca doppiato è un delitto punibile con la pena di morte visto l'assoluto divertimento derivante dal mix di inglese, pesantissimo accento italiano e frasi interamente pronunciate nella nostra lingua che rende il cartone una festa non solo per gli occhi ma anche per le orecchie; a mio avviso, l'unica cosa intelligente da fare per evitare l'inevitabile piattume dell'adattamento nostrano sarebbe stato calcioruotare Orietta Berti, la Litizzetto e Fazio e affidare ogni locuzione italiana ai Pirati dei Caruggi (che hanno realizzato questo geniale trailer) così da creare un favoloso mix di italiano e dialetto genovese, ma purtroppo questo non è un mondo perfetto e non lo sarà mai. Frustrazioni linguistiche a parte, com'è questo Luca? Delizioso, non c'è altro modo per descriverlo. Fresco come una vacanza al mare negli anni '60 (fidatevi, la poesia nel frattempo si è persa o forse sono io che ormai detesto i turisti con tutta me stessa), filtrato dagli enormi occhioni di un mostriciattolo a cui il mare sta stretto, tutto in Luca profuma dell'innocenza dell'infanzia, della fantasia di chi ancora deve scoprire non solo il mondo ma anche ciò che si staglia appena fuori dall'uscio di casa, della malinconica consapevolezza che prima o poi l'estate/infanzia finirà per lasciare spazio all'autunno e alle scelte di vita, che implicano anche lasciarsi alle spalle amicizie ed affetti o mettere da parte alcuni sogni per inseguirne altri, senza mai dimenticare la spinta dei primi entusiasmi.


Alla faccia della Sirenetta, a Luca e Alberto basta uscire dall'acqua per ottenere sembianze umane, ma ciò non rende le cose più facili: i genitori di Luca minacciano di confinarlo nientemeno che negli abissi, a Porto Rosso è aperta la caccia ai mostri marini, in generale piccoli e grandi inconvenienti incombono su due caratteri molto diversi, due amici (Luca, più piccolino ed innocente, Alberto, di qualche anno più grande e più smaliziato) che anelano alla libertà che solo la mitica Vespa può offrire. Si unisce alla coppia una ragazzina, Giulia, vacanziera genovese che risulta strana agli occhi dei ragazzini del posto, outsider nonostante la sua natura di essere umano perché presa di mira dal bulletto del paese. Giulia e Alberto diventano così i due poli necessari allo sviluppo della personalità di Luca, perché l'energia e il coraggio "rozzi" del secondo vengono in qualche modo "incanalati" dalla vivacità intelligente della prima, in un continuo scambio reciproco di esperienze, divertimento e anche litigi che farà crescere tutti e tre, non solo Luca. A fare da sfondo a questa rocambolesca amicizia e alla fuga di Luca dal fondo del mar c'è la bellissima Porto Rosso, un compendio di tutta la bellezza che potete trovare nelle Cinque Terre nonché luogo che tira fuori il meglio dell'arte dei disegnatori della Pixar, tra colori vivaci e scorci talmente realistici che parrebbe davvero di essere in Liguria, nonché tutta una serie di elementi iconografici per chiunque sia capitato in Italia almeno una volta. Si potrebbe discutere sull'abbondanza di stereotipi presenti in Luca, ma poiché Casarosa è italianissimo e il film è filtrato dai suoi ricordi di vacanze infantili la cosa è anche normale e d'altronde io d'estate mi ammazzo di pesto e gelato, un po' come fanno i protagonisti del film, e posseggo persino una Vespa quindi non sono la persona adatta per un pippone antinazionalista; inoltre ho apprezzato molto anche la colonna sonora con successi anni '60 o canzoni un po' più recenti ma debitrici di un certo stile pop (come Il gatto e la volpe di Bennato, calzantissima), nonché le mille citazioni di Mastroianni, Fellini e persino I soliti ignoti, quindi direi che con me Luca ha fatto proprio centro anche se continuo a preferirgli Pierluca, ça va sans dire


Di Jacob Tremblay (voce originale di Luca Paguro), Maya Rudolph (Daniela Paguro), Peter Sohn (Ciccio) e  Sacha Baron Cohen (zio Ugo) ho parlato ai rispettivi link.

Enrico Casarosa è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio dopo il corto La luna (inoltre doppia il giocatore di carte e il pescatore furioso). Nato a Genova, anche animatore, ha 51 anni.


Jack Dylan Grazer
è la voce originale di Alberto Scorfano. Americano, lo ricordo per essere stato l'Eddie Kaspbrak di It e It - Capitolo 2, inoltre ha partecipato ad altri film come Tales of Halloween, Beautiful Boy e Shazam!. Ha 18 anni e un film in uscita.


Marina Massironi
è la voce originale della Signora Marsigliese. Nata a Legnano, storica "spalla" di Aldo, Giovanni e Giacomo, la ricordo per film come Tre uomini e una gamba, Così è la vita, Tutti gli uomini del deficiente e Chiedimi se sono felice. Ha 58 anni.


Non vi venga in mente di saltare i titoli di coda. Non tanto per la scena post credit quanto per i deliziosi disegni che raccontano, in parte, il destino dei personaggi dopo la fine del film. ENJOY!


venerdì 18 giugno 2021

The Conjuring - Per ordine del diavolo (2021)

Un horror visto al cinema, finalmente. Mi commuovo. Anche per questo sarò indulgente nel parlare di The Conjuring - Per ordine del diavolo (The Conjuring - The Devil Made Me Do It) del regista Michael Chaves.



Trama: Anni '80. Dopo avere assistito all'esorcismo del piccolo David Glatzel, i coniugi Warren vengono coinvolti in un caso di omicidio indotto da una possessione...


Mi perdonerete se non sono riuscita a riguardare i primi due capitoli della saga e se, di conseguenza, il post sarà abbastanza lacunoso per quanto riguarda i confronti tra film, ma ovviamente il tempo è quel che è e ancor grazie che sia riuscita ad andare a vedere al cinema Per ordine del diavolo. L'ultima avventura dei coniugi Warren cinematografici mi è piaciuta abbastanza, per inciso, forse perché finalmente sono tornata a vedere un horror su schermo gigante, in una sala buia e con un audio degno di questo nome, tutte cose che hanno contribuito, assieme al tema "possessioni", ad accrescere la tensione provata guardando il film, che stavolta non è più legato all'ambito "case stregate" ma si rifà ad un altro episodio di cronaca dell'occulto, ovvero la storia vera di Arne Johnson. Costui, nel 1981, ha realmente ucciso il suo padrone di casa ubriaco, su questo non ci piove, ma il suo caso ha suscitato scalpore perché Johnson è stato il primo uomo, in America, ad aver tentato come attenuante quella della possessione demoniaca; presente all'esorcismo del piccolo David Glatzel (durante il quale c'erano anche i Warren veri), pare che Johnson sia stato posseduto dallo stesso demone che infestava il bambino e che sia stata proprio l'entità a cambiarlo e spingerlo ad uccidere. Ovviamente il giudice non ha accettato l'attenuante e Johnson è stato condannato, ciò non toglie che questo è sicuramente un precedente interessante e perfetto da portare su schermo come thriller sovrannaturale, imperniato sulle indagini di due Warren più investigatori del solito e su una battaglia contro un villain misterioso, legato al culto satanico già visto in Annabelle ed ispirato all'isteria satanista esplosa negli States durante gli anni '80.


The Conjuring - Per ordine del diavolo
tocca dunque parecchi stili di racconto; comincia con un deflagrante esorcismo dove i riferimenti al film di Friedkin si sprecano e dove il piccolo Julian Hilliard si riconferma uno dei piccoli attori più bravi del momento, smorza un po' l'horror trasformandosi in thriller sovrannaturale (dove non mancano, tuttavia, zampate inquietantissime) e si concede persino un po' di court drama, ché lo scopo dei Warren è quello di evitare la pena di morte al povero Arne Johnson, per poi tornare a sfoggiare atmosfere quasi gotiche sul finale. Il risultato è sicuramente inferiore ai primi due The Conjuring, perché manca la mano originale di Wan e si vede, ma Michael Chaves si è fatto le ossa e, se non altro, non ci troviamo davanti a un pasticcio noioso come La Llorona (rivedrei giusto un po' il casting e il ruolo dei preti, più che inutili). C'è da dire che, a differenza che negli spin-off del Conjuringverse, i film "principali" sono graziati dalla presenza di Patrick Wilson e Vera Farmiga, che tornano ad abbracciare i ruoli di Ed e Lorraine Warren con classe e partecipazione, tanto che, alla fine, allo spettatore importa più dell'affiatatissima coppia di coniugi (con tutti i loro ricordi, i loro piccoli cenni d'affetto, cravatte e gonne coordinate, gli sguardi complici) che delle famiglie o dei singoli che richiedono il loro intervento. Nell'attesa di poter, un giorno, affrontare una bella maratona Conjuring, dichiaro promosso il terzo capitolo e spero sia solo il primo di una lunga serie di film da poter tornare a vedere al buio di una sala cinematografica.


Del regista Michael Chaves ho già parlato QUI. Patrick Wilson (Ed Warren), Vera Farmiga (Lorraine Warren) e Julian Hilliard (David Glatzel) li trovate invece ai rispettivi link. 


Ad interpretare l'ex prete Kastner c'è l'attore australiano John Noble, indimenticato Denethor della saga Il signore degli anelli. Il film segue direttamente le vicende di L'evocazione - The Conjuring e The Conjuring - Il caso Enfield ma se volete una visione d'insieme del cosiddetto Conjuringverse vi conviene recuperare anche Annabelle, Annabelle 2: Creation, Annabelle 3, The Nun - La vocazione del male e La Llorona - Le lacrime del male, mentre se il caso di Arne Johnson vi interessa potete recuperare The Demon Murder Case, che parla dello stesso argomento. ENJOY!

mercoledì 16 giugno 2021

Caveat (2020)

Shudder ha cominciato la sua Summer of Chills e il mio scopo (ma già sapete che non riuscirò, vero?) sarebbe quello di tenervi aggiornati in tempo reale sui film programmati per l'occasione dal servizio streaming più meraviglioso di sempre. Cominciamo con Caveat, diretto e sceneggiato dal regista Damian Mc Carthy.


Trama: un uomo con seri problemi di memoria viene mandato a tenere compagnia per qualche tempo alla giovane Olga, ragazza affetta problemi psichici e rimasta orfana di entrambi i genitori, dentro una casa che nasconde inquietanti misteri...


La Summer of Chills è iniziata col botto, almeno per me (ma anche per Lucia, alla quale l'horror in questione è piaciuto assai). Caveat è uno dei pochi film recenti ad avermi costretta a guardare gli ultimi venti minuti con le mani davanti agli occhi e la tachicardia a mille, senza l'ausilio dei colpi sonori tipici dello jump scare d'accatto, e ciò che precede quelle inquietanti sequenze sul pre-finale non è fatto per rilassare lo spettatore, affatto. O meglio, qualcuno probabilmente potrebbe anche addormentarsi guardando Caveat, lo riconosco, visto che il ritmo della pellicola è molto lento, fatto di silenzi prolungati e immagini spesso statiche di persone che attendono, chissà cosa, nel buio, ma con me una simile struttura ha l'effetto di un continuo pizzicare di nervi che mi tiene sul chi va là, in terrorizzata attesa. Di più, la trama e lo svolgimento di Caveat non sono neppure perfettamente razionali o sensate; non lo sono dal momento in cui il protagonista accetta, per soldi o per pietà nei confronti di una ragazzina che neppure conosce, di farsi assicurare ad una catena arrugginita dal bieco zio di lei e passare un imprecisato numero di giorni in una casa abbandonata al centro di un'isola disabitata, senza riscaldamento, cibo o altro (la casa dove vive Olga sembra una di quelle catapecchie cadenti ma ancora zeppe, chissà perché, di oggetti, di cui i boschi del Savonese pullulano), col solo scopo di farle compagnia dopo che il padre è morto e la madre è scomparsa. Il protagonista parrebbe conoscere lo zio di Olga ma non ne ha memoria e lo spettatore, per lungo tempo, non ha modo di capire perché il rapporto tra i due somiglia a quello tra servo e padrone, in aperto contrasto con una foto che vede entrambi sorridenti e vicini. Parte dei misteri vengono dipanati nel corso di Caveat ma il regista lo fa in modo talmente ambiguo che non è saggio mettere la mano sul fuoco riguardo alla veridicità di quanto mostrato, anche perché tutti i "narratori" presenti in Caveat sono assolutamente inattendibili e d'altronde la locuzione latina del titolo è già di per sé un monito, non solo per i personaggi.


A complicare le cose, tra l'altro, ci si mette l'elemento sovrannaturale che, anche lì, potrebbe esistere oppure no. Di sicuro il leprotto tamburino che campeggia sul poster del film mette paura già solo a guardarlo, con quegli occhioni scazzati che sembrano odiare l'universo intero e che sono anche troppo vividi, ma ogni tanto il giocattolo si mette a battere le bacchette sul tamburo, e allora sono dolori veri. Fratel coniglietto viene tuttavia eclissato da quel qualcosa che potrebbe o meno nascondersi in cantina e che, a prescindere, annienta lo spettatore con quel paio di sequenze finali interamente giocate sul silenzio e il senso di claustrofobia, sulla solidità del buio e la falsa sicurezza di una luce che, a onor del vero, non manca mai ai protagonisti, ingannevole e infida come tutto ciò che ai loro occhi potrebbe tradursi in salvezza o libertà e che invece li precipita ancor più nell'abisso. La sensazione di pericolo costante è acuita ulteriormente dall'utilizzo di una fotografia cupa, poco illuminata, che rende ancor più fatiscente la "location" in cui sono costretti i due protagonisti e, se vogliamo, surreali i pochi flash ambientati altrove, che a tratti risultano come una visione irraggiungibile. Il binomio Irlanda e horror vince ancora dunque, e ovviamente Shutter se lo è accaparrato in un attimo. Ricordatevi di Caveat e tenetelo d'occhio nella speranza esca presto anche qui.  

Damian Mc Carthy è il regista e sceneggiatore della pellicola. Irlandese, è al suo primo lungometraggio. 




martedì 15 giugno 2021

Saw - L'enigmista (2004)

Domani uscirà Spiral - L'eredità di Saw; per l'occasione avevo deciso di riguardare tutti i film della saga ma ovviamente non ho avuto minimamente tempo e il mio recupero è cominciato e finito con Saw - L'enigmista (Saw), diretto e co-sceneggiato nel 2004 dal regista James Wan.


Trama: due uomini si risvegliano in una stanza vuota e squallida, legati per un piede ad una catena e separati da un cadavere. I due dovranno capire come sono arrivati lì e soprattutto come liberarsi rimanendo vivi...


Il primo Saw non lo avevo visto al cinema. Avevo noleggiato la videocassetta e lo avevo guardato probabilmente l'anno dopo l'uscita, terminando la visione con la tachicardia a mille e la mascella lasciata sul pavimento per lo shock da twist finale. Se pensate che gli altri li ho guardati al cinema, arrivando direi fino al terzo o forse quarto prima di mollare la presa, e che di loro non ricordo un singolo fotogramma che sia uno, potete già cominciare ad intuire quanto la qualità della saga sia andata calando praticamente dopo pochissimo, distaccandosi dal meccanismo ad orologeria di Saw (in effetti più thriller che horror) per adagiarsi nei più remunerativi terreni del torture porn quasi fine a se stesso. Attenzione, non è che non si vedano gente che muore male o situazioni estreme nel film di Wan, ma più o meno rimaniamo nel territorio del Se7en di Fincher, dove il disgusto per alcune sequenze pesantissime trova il giusto posto all'interno di un gioco, letteralmente, che ci interessa capire e seguire e che ci lascia basiti più per la sua spietata e tortuosa ineluttabilità che per la sua violenza. Chi ha rapito il Dr. Gordon e Adam e perché proprio loro due? Cosa lega la loro vicenda alla morte di molte altre persone per mano del cosiddetto "enigmista", serial killer che punisce chi decide di sprecare la propria vita concedendo una folle redenzione attraverso ordalie inenarrabili? Le risposte non arriveranno lineari, ed è questo uno degli aspetti interessanti di Saw, bensì attraverso flashback che spezzano la narrazione e spesso mirano a confondere lo spettatore, che solo sul finale avrà il quadro completo e perfettamente funzionante di tutti i fili lasciati in sospeso dagli sceneggiatori Wan e Whannell.


Nel caso non abbiate mai guardato Saw - L'enigmista sarà meglio che mi fermi qui con le "rivelazioni" e che passi a parlare un po' di regia e montaggio, di tutti quei flash scioccanti e quelle sequenze velocissime e quasi "da videoclip" che poi sarebbero diventati la cifra stilistica dei film seguenti. In questo caso, molte delle scelte di messa in scena sono legate a limiti di budget e metraggio da raggiungere (per esempio, i  video in bianco e nero che si vedono di tanto in tanto) ma ciò non toglie che il contrasto tra il bianco abbacinante e sporco delle quattro mura in cui sono costretti i protagonisti e quei flash di ipercinetica violenza, alternati ad una realtà cupa e pericolosissima anche nei momenti che dovrebbero essere "normali" mettono ansia oggi come allora, anche in assenza del terribile e ormai iconico pupazzo dalla voce profonda che invita a "fare un gioco". Quanto agli attori, considerato che ho visto Saw nel 2004 e che Benjamin Linus compariva solo a partire dalla terza stagione di Lost, potete immaginare quanto sia rimasta piacevolmente sorpresa di vedere l'attore Michael Emerson (assieme ad un altro habitué di Lost, Ken Leung) che, come al solito, dà il meglio di sé nei panni di personaggi dalla morale ambigua, un po' come all'epoca ero rimasta di sale nel vedere l'adoratoWestley/Robin Hood Cary Elwes non solo invecchiato e liftato ma anche impegnato in un ruolo che più drammatico non si può, ruolo per inciso che, assieme a quello di Whannell, non risente affatto del passare del tempo. La visione di Saw è stata dunque un bel tuffo nei ricordi passati e un'esperienza divertente nonostante conoscessi ormai tutti gli snodi della trama, a dimostrazione di come un film, se fatto bene, non necessita di twist inaspettati per intrattenere. Riguardatelo, se potete!


Del regista e co-sceneggiatore James Wan ho già parlato QUI. Leigh Whannell (co-sceneggiatore del film, interpreta Adam Faulkner-Stanheight), Cary Elwes (Dr. Lawrence Gordon), Danny Glover (Detective David Tapp), Makenzie Vega (Diana Gordon) e Tobin Bell (Jigsaw) li trovate ai rispettivi link.

Ken Leung interpreta il Detective Steven Sing. Americano, lo ricordo per film come Rush Hour - Due mine vaganti, A.I. Intelligenza artificiale, Vanilla Sky, Red Dragon, X-Men: Conflitto finaleStar Wars: Il risveglio della forza e serie quali I Soprano e Lost. Ha 51 anni e due film in uscita tra cui Old. 


Michael Emerson
interpreta Zep Hindle. Altra adorabile conoscenza di Lost, lo ricordo per serie quali X-Files, Senza traccia, Person of Interest e Il nome della rosa. Ha 67 anni. 


Shawnee Smith
interpreta Amanda. Americana, la ricordo per film come Il fluido che uccide, Armageddon - Giudizio finale, Saw II - La soluzione dell'enigma, Saw III - L'enigma senza fine, The Grudge 3, Saw VI e serie quali La signora in giallo, L'ombra dello scorpione, X-Files e Stephen King's Shining; come doppiatrice ha lavorato in Kim Possible. Anche produttrice, ha 52 anni e un film in uscita. 


Saw - L'enigmista
ha generato una delle saghe horror più longeve di sempre, che comprende i film Saw II - La soluzione dell'enigma, Saw III - L'enigma senza fine, Saw IV, Saw V - Non crederai ai tuoi occhi, Saw VI (tutti disponibili su Prime Video; Saw III, IV, V si trovano anche gratis su RaiPlay), Saw 3D - Il capitolo finale e Saw: Legacy ai quali si aggiungerà a brevissimo lo spin-off Spiral - L'eredità di Saw, che dovrebbe uscire il 16 giugno in Italia. Ovvio che se avete voglia di imbarcarvi nell'impresa di recuperare tutto, siete i benvenuti! ENJOY!

domenica 13 giugno 2021

Critters Attack - Il ritorno degli extraroditori (2019)

Qualche sera fa lo passavano in TV, quindi ho scientemente deciso di guardare Critters Attack - Il ritorno degli extraroditori (Critters Attack), film TV diretto nel 2019 dal regista Bobby Miller.


Trama: in una cittadina di provincia atterrano i critter e, come sempre succede, portano morte e distruzione...


Disclaimer: persino Mirco, che ADORA i film aventi per protagonista qualsiasi tipo di bestia, s'è rotto le palle e verso la metà ha deciso di fare altro, lasciandomi solitaria vittima di quel desiderio di completezza che mi impone di arrivare alla fine di qualunque pellicola. E arrivare alla fine di questa è stato difficile, eh. Aggiungo che la botta finale me l'ha data leggere nei titoli di coda il nome di Scott Lobdell come unico sceneggiatore. Scott. Lobdell. L'uomo che negli anni '90 ha raccolto lo scettro di Chris Claremont realizzando alcuni dei più begli archi narrativi di Uncanny X-Men e che, assieme a Chris Bachalo, aveva dato vita a Generation X, l'uomo che, come sceneggiatore, ha contribuito all'esilarante Auguri per la tua morte, è riuscito a mettere la firma su questa roba imbarazzante persino per un film di serie Z? Mi direte, vista la nomea di uomo di merda che si è costruito nel corso degli anni (ma cos'è, soffre della stessa malattia di Joss Whedon? Predica benissimo e razzola male?) magari Critters Attack è frutto di bisogni alimentari, ma anche così mettere assieme i quattro ragazzetti più mosci del creato, lo zio sceriffo più inutile mai esistito e un critter buono che, non si sa per quale assurdo motivo, decide di mettere di fatto fine alla propria specie sterminando tutti i maschi, rei di voler distruggere il pianeta Terra, va oltre la mia idea di lavoro fatto solo per staccare un assegno. Per carità, il primo Critters non era un capolavoro ma almeno era divertente, qui invece ci sono giusto un paio di siparietti che dovrebbero essere umoristici ma risultano tristi, posticci e ridicoli (salvo solo la gag del jock belloccio travolto dalla palla di critter) e per far andare avanti la trama vengono compiute anche troppe scelte stupide, la peggiore delle quali è "cercare di convincere la gente che gli alieni esistono, senza mostrare loro l'alieno che ti camalli sulle spalle dentro lo zaino".


L'unica cosa positiva di Critters Attack, tolta la sempre piacevole Dee Wallace, qui ahimé sfruttata troppo poco, è l'artigianalità delle bestiole titolari. Sarà perché il budget non lo permetteva (anche se io voglio sperare che sia proprio perché Bobby Miller, dopo The Cleanse, ha capito che non c'è niente di meglio dei pupazzi) ma Crittes Attack è quasi totalmente privo di CGI e i critter qui sono delle palle di pelo vere, animatronics o peluchotti, chiamateli come volete, dotati della solita, mordace e sanguinosa simpatia che li contraddistingue da anni. A mio avviso deliziosa la versione femminile delle bestiacce, un incrocio abbastanza spudorato tra la dolcezza di Gizmo e i colori di Ciuffo Bianco, tanto bellina che, nei panni della ragazzina protagonista, avrei fatto carte false per portarmela a casa e conservarla come il più prezioso dei tesori. Anche perché, se esiste una divinità del Cinema, gli attori protagonisti non dovranno mai più recitare in alcuna produzione, salvo forse il remake USA de Gli occhi del cuore, quindi tenersi un memento per il futuro potrebbe essere una cosa carina. Ho già detto "lasciate perdere se non siete proprio amanti della saga all'ultimo stadio"? 


Del regista Bobby Miller ho già parlato QUI mentre Dee Wallace, che interpreta Dee, la trovate QUA.


Critters Attack
è ovviamente l'ennesimo sequel di una saga nata nel 1986, composta da Critters, Critters 2, Critters 3, Critters 4 e da una webserie di 8 episodi intitolata Critters: A New Binge. Se vi piace il genere, ora sapete cosa recuperare. ENJOY!


venerdì 11 giugno 2021

Army of the Dead (2021)

Pensavate che mi fossi dimenticata di Army of the Dead, diretto, co-sceneggiato, fotografato, prodotto e quant'altro dal regista Zack Snyder, nevvero? E invece...


Trama: un gruppo di ex soldati (con l'aggiunta di altri elementi assortiti) viene assunto da un magnate giapponese per recuperare gli incassi di un casinò di Las Vegas, diventata nel frattempo terra di nessuno infestata da zombie. Per poter entrare a Las Vegas, il capo del gruppo contatta la figlia che non vedeva da anni e lì cominciano i guai...


Ammettiamo la scomoda verità. Army of the Dead era un film che aspettavo, perché la combine zombie, horror, Snyder e abbonamento Netflix già pagato mi sconfinferava parecchio. Poi hanno cominciato ad arrivare le prime recensioni disastrose e perculanti, alle quali si è aggiunta la consapevolezza di un minutaggio per me elefantiaco, vista l'atavica mancanza di tempo (ho visto il film in due giorni), e ho pensato che forse sarebbe stato meglio evitare e dedicarsi a film migliori; il problema è che poi è sopraggiunta Silvia con l'immagine di Bautista che piange al ralenti, probabilmente la cosa più esilarante vista nel corso dell'anno (ma doveva ancora arrivare la morte di un personaggio in Crudelia...), e ho dovuto soccombere al desiderio di testimoniare a mia volta una simile chicca trash. Ho fatto bene, ovviamente: al momento della stesura del post è il 4 giugno, all'orizzonte non c'è alcun nuovo Sharknado, è estate e nulla potrà mai soddisfare la mia sete di zamarrate trash come questo Army of the Dead, nulla. Snyder, seppur involontariamente, ha piazzato l'asticella del ridicolo troppo in alto e quest'anno credo che neppure la Asylum potrà competere con quest'adorabile accozzaglia di roba alternativamente sbagliata e facilona, costruita interamente attorno a buchi di trama e momenti WTF, "inspessita" (e non nel senso buono) da "lacrime strappastorie" durante le quali Bautista cerca di riconquistare la figlia scema come un tacco elencandole tutti i peggiori junk food che gli piacerebbe preparare una volta recuperati i soldi per aprirsi un ristorante tutto suo. Voi ora penserete che io sia arrabbiata con Snyder per le quasi tre ore perse ma vi sbagliate: ho passato infatti tre ore a ridere col Bolluomo, e mi rendo conto che questa non fosse sicuramente l'intenzione del regista ma come posso non sbellicarmi davanti alla ex suora Encarnacíon che dal nulla, a un certo punto, si profonde in un siparietto rosa e smielatissimo con un Bautista clueless come non mai? 


Ma mettiamo un attimo da parte i personaggi sbagliati oppure semplicemente abbozzati e messi lì per far numero con una targhetta sul petto simile a quella che portava Oz nella puntata di Halloween di Buffy (abbiamo "la messicana", "la gnocca bionda", "la lesbica", "il traditore", "la gnocca mora", "lo youtuber", "il nerd", "Bautista", "figlia", "lo gnocco di colore" e se pensate che siano più tratteggiati di così vi sbagliate di grosso), e parliamo di 'sti zombie, santo cielo. Io non ho mai visto Z Nation, mi si dice che sia un capolavoro e che la maggior parte delle idee particolari del film vengano da lì, ma nella mia bieca ignoranza posso dire di aver apprezzato giusto gli zombie organizzati in due ceppi differenti, gli Alfa più intelligenti e quelli che a un bel momento si ibernano di notte, e basta. Il resto è da facepalm oppure buttato alle ortiche. Del primo insieme fanno parte la regina zombie e il suo momento di tenerezza con lo zombie boss ma anche l'orribile tigre zombie posticcia che a un certo punto con una zampata fa volare una delle sue vittime contro una colonna NONOSTANTE detta vittima non sia stata minimamente sfiorata dalla zampa (sì la CGI del film fa schifo quanto la scelta di sfocare lo sfocabile, soprattutto il faccione di Bautista), del secondo gruppo fanno invece parte gli zombie robot che si intravvedono di tanto in tanto grazie ai loro occhi blu come Paul Newman e gli zombie secchi che aspettano la pioggia per rianimarsi (perché diamine non piove mai, allora? Ma su, che spreco. E 'sti robot perché? Chi li ha costruiti?). Certo, parlando di cose buttate alle ortiche e buchi di sceneggiatura il personaggio di Ella Purnell diventa il deus ex machina di ogni cazzata e vi sfido ad arrivare a fine film senza volere almeno un finale alternativo in cui Kate diventi la protagonista di un Hostel con zombie, ma non starei tanto a parlare di finali, sequel e simili quando il film si conclude con un "cliffhanger" scemo che ignora in toto le regole base della radioattività (e non solo quelle, vabbé). E quindi? E quindi aspettiamo, per l'appunto, che Snyder si impelaghi in uno zombieverse che probabilmente i fan stanno già chiedendo a gran voce, così anche io avrò il mio bel filmetto trash annuale estivo. Non tratterrò il fiato nell'attesa, ci mancherebbe, al limite aspetterò al varco il momento glorioso in cui Bautista realizzerà il suo desiderio di interpretare Hemingway.


Del regista e co-sceneggiatore Zack Snyder ho già parlato QUI. Dave Bautista (Scott Ward), Ella Purnell (Kate Ward), Hiroyuki Sanada (Bly Tanaka) e Garret Dillahunt (Martin) li trovate invece ai rispettivi link.

Omari Hardwick interpreta Vanderohe. Americano, ha partecipato a film come Kick-Ass, A-Team, La fratellanza e a serie quali CSI: Miami. Anche produttore e sceneggiatore, ha 47 anni e un film in uscita. 


Ana de la Reguera
interpreta Maria Cruz. Messicana, ha partecipato a film come Nacho Libre, Cowboys & Aliens, Oscure presenze e a serie quali Dal tramonto all'alba - La serie, Twin Peaks - Il ritorno; come doppiatrice ha lavorato ne Il libro della vita. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 44 anni e due film in uscita, tra cui La notte del giudizio per sempre


Theo Rossi, che interpreta il "simpaticissimo" agente Burt Cummings, era altrettanto "simpatico" nei panni dello Shades di Luke Cage. Se Army of the Dead vi fosse piaciuto recuperate l'altro film di zombi targato Snyder, ovvero L'alba dei morti viventi (lo trovate sempre su Netflix). ENJOY! 

martedì 8 giugno 2021

The Stylist (2020)

Piano piano, si recuperano gli horror persi nel periodo Oscar. Oggi tocca a The Stylist, scritto e sceneggiato dalla regista Jill Gevargizian nel 2020, nonché consigliato da Lucia de Ilgiornodeglizombi!


Trama: Claire fa la parrucchiera e l'ossessione per le vite di alcune sue clienti la porta a discendere negli abissi folli dell'omicidio...


Dopo 125 anni di Cinema è un po' difficile trovare storie che non siano già state raccontate, infatti ultimamente mi ritrovo a fare un po' più caso al "come" si racconta, piuttosto che a "cosa". The Stylist, per esempio, è un horror indipendente che si appoggia su topoi tipici del genere, come l'ossessione che sfocia in impulso omicida, eppure il modo che ha Jill Gevargizian di mettere in scena la discesa all'inferno di Claire denota una sensibilità e un gusto raffinato che meritano di essere apprezzati. Innanzitutto, è interessante come la protagonista di The Stylist sia un guscio vuoto di cui non sappiamo praticamente nulla, interamente definita da un lavoro che lei utilizza come veicolo per "riempirsi" di qualcosa, che sia una personalità interessante, delle amicizie, un lavoro, l'amore; Claire vive sola con un cagnolino, le sue giornate scorrono identiche le une alle altre, persino i suoi abiti (per quanto io li abbia trovati stilosissimi) hanno più o meno tutti lo stesso colore, l'ocra della luce delle candele che illuminano fiocamente la cantina dove Claire nasconde il suo orribile segreto. Quando Olivia, cliente abituale, chiede a Claire di farle da acconciatrice per il matrimonio, in qualche modo quest'ultima si convince di poter superare la sua situazione di psicosi e tenta di cominciare un difficilissimo percorso per diventare amica della donna, trovando tuttavia paletti ad ogni passo, perché Claire è "strana" in un modo che comunque le persone percepiscono come poco sano o addirittura pericoloso, e viene sistematicamente respinta, benché in modo cortese, un po' come faremmo noi con chiunque si sia convinto di essere diventato una specie di nostro parente dopo solo due incontri.  


Il rapporto tra Claire e Olivia è il fulcro di un film dove lo squallore della condizione di Claire viene ancor più inasprito da una messa in scena elegantissima e ricercata, fatta di un uso ragionato di colori, luci ed ombre, il tutto accompagnato da una colonna sonora azzeccatissima. La Gervagizian non rifugge da sequenze che rivoltano lo stomaco e prevedono abbondanti secchiate di sangue, ma le più sconvolgenti, anzi, la più sconvolgente, nonostante a un certo punto l'aspettassi, è la sequenza conclusiva in cui tutto l'universo allucinato della mente di Claire si riversa nella realtà travolgendo non solo i testimoni orripilati, ma la stessa protagonista, probabilmente ripiombata in uno stato di consapevolezza triste e scioccante al tempo stesso. In questo, Najarra Townsend è un'interprete favolosa; la sua bellezza particolare fiorisce solo quando Claire si appropria delle personalità delle sue vittime, per il resto l'attrice si annulla completamente in un personaggio scomodo, che tiene gli altri personaggi e il pubblico distanti, disgustati da un mix di pietà e orrore per questa ragazza che suona un po' come una distorsione all'interno di un mondo "perfetto" o comunque regolato. Menzione d'onore anche per Brea Grant, che ormai sto trovando in ogni horror che guardo, capace di formare con la Townsend una coppia esplosiva. Insomma, non titubate e cercate The Stylist, perché merita davvero! 


Di Brea Grant, che interpreta Olivia, ho già parlato QUI.

Jill Gevargizian è la regista e sceneggiatrice della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americana, anche produttrice e attrice, ha 37 anni.


Najarra Townsend
interpreta Claire. Americana, ha partecipato a film come Contracted - Fase I, Contracted: Phase II e a serie quali Cold Case, CSI: NY, 90210 e Criminal Minds. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 32 anni e due film in uscita.