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lunedì 31 gennaio 2022

Il Bollodromo #88: Lupin III - Parte 6 - Episodio 16

Era troppo bello per poter continuare. Dopo l'episodio meraviglioso della settimana scorsa, la sesta serie di Lupin ci ha regalato l'ennesimo filler ciofeca, サムライ・コレクション - Samurai Korekushon (Samurai Collection), dal quale si è dissociato persino Jigen! ENJOY!


Sarò brevissima, ché c'è davvero poco da dire. Per poter ottenere le grazie di Fujiko, Lupin le promette di rubare gli orridi abiti di una discepola di Karl Lagerfeld, la wannabe Crudelia De Mon Gabby. Quest'ultima, mentre cercava ispirazione nell'Artico, si è imbattuta negli allenamenti di Goemon, salvandolo da morte certa (causata da annegamento con assideramento) e il samurai, per ringraziarla, ha accettato di farle da "muso" e da modello assieme ad altri due scappati di casa. La povera Gabby, neanche a dirlo, è una giovane promessa della moda tormentata dal successo, e non sa più quale strada tentare per trarre soddisfazione dal suo lavoro; da par suo, nonostante le iniziali difficoltà, Goemon scopre nelle notti passate ad allenarsi per sfilare in passerella un insospettabile boost per la sua preparazione da samurai.


Il risultato di tante castronerie è una sfilata in mezzo a dei ruderi, dove Gabby tira fuori capi trendy ma fondamentalmente orrendi, che a nessuno li rivendi (cit.), dove Lupin si infiltra per cercare di rubare la "preziosa" collezione. La presenza di Lupin in guisa di cammello e altri ameni travestimenti scatena l'ira di Goemon e la gioia di Gabby, deliziata dalla strana piega presa dalla sua ultima sfilata, soprattutto quando il ladro gentiluomo cerca di rubare l'intera collezione per mezzo di un drone, cosa che porta la giovane stilista ad incitare Goemon, convincendolo a fare tutto a pezzi. Dopo che tutto quell'orrore è stato ridotto (giustamente) in coriandoli, Lupin fugge con le pive nel sacco cercando di non farsi acchiappare da Zenigata, Fujiko se ne va con la sua "mercanzia" ancora tutta intatta, e Gabby, accomiatatasi da Goemon, rimane a pianificare la sua prossima collezione, ispirata dalla veemenza e dallo spirito indomito del samurai.


L'unico pregio di Samurai Collection è la sua breve durata, in quanto è davvero uno dei filler più stupidi mai creati per questa serie. Sebbene Goemon sia sempre valido, come elemento comico, soprattutto quando la sua natura tradizionalista ed ingenua viene messa di fronte alle stramberie moderne, stavolta la trama causa tristezza più che divertimento ed è palese anche la volontà dei realizzatori di risparmiare tempo creando diverse sequenze di "allenamento" in passerella in cui Goemon compie sempre gli stessi movimenti. Una gag tirata per le lunghe che dice davvero poco, così come è assai tirata per i capelli la "lezione" finale che il samurai impartisce a Gabby, ovvero quella di di andare comunque avanti fino in fondo, no matter what. Che poi non si capisca quale sia il problema di Gabby (mancanza di ispirazione? aspettative troppo alte da parte del pubblico? aver trasformato l'"arte" in commercializzazione? Boh) conta poco, l'episodio avrebbe fatto pena lo stesso. Ribadisco, Jigen non si vede nemmeno in un fotogramma, chiedetevi il perché. Alla prossima settimana!


venerdì 28 gennaio 2022

The King's Man - Le origini (2021)

E' stato un miracolo che lo tenessero tre settimane al multisala, quindi ho dovuto onorarlo battendo la sfiga e correndo a vedere The King's Man - Le origini (The King's Man) diretto e co-sceneggiato nel 2021 dal regista Matthew Vaughn.


Trama: alla vigilia della prima guerra mondiale, un'organizzazione segreta trama per seminare il caos e sta al pacifista Duca di Oxford, assieme a un pugno di fedeli alleati, evitare che la situazione precipiti ancora di più...


The King's Man
era uno dei film che attendevo con più ansia, perché ADORO la zamarrissima saga creata dal regista Matthew Vaughn partendo da un fumetto di Mark Millar che nemmeno ho mai letto (e, onestamente, non ci tengo a farlo). Kingsman - Secret Service era un action sboccato e pieno di momenti WTF ma anche genuinamente esaltanti e, nonostante Il cerchio d'oro fosse decisamente inferiore, ho voluto molto bene anche a quello; davanti a un trailer che mi metteva davanti un Rasputin folle fino al midollo e brutto come il peccato non ho avuto altra scelta che mettermi in paziente attesa anche del prequel, sebbene non ci fossero né Colin Firth Taron Egerton, e per quanto mi riguarda sono stata ripagata, perché con tutti i suoi difetti The King's Man si è rivelato divertente, caciarone ed esaltante quanto i suoi predecessori. L'idea, come immaginate, è quella di rivelare come sono nati i Kingsman partendo dai pochi indizi disseminati nel corso dei primi due film, e in questo caso i realizzatori hanno optato per un esempio di "fantastoria" che mescola eventi realmente accaduti (l'omicidio del duca Ferdinando, lo scoppio della prima guerra mondiale, il messaggio inviato al Messico dalla Germania) e personaggi realmente esistiti ad elementi di pura finzione destinati ad influenzarli. Fin dall'inizio, il Duca di Oxford interpretato da un magnetico Ralph Fiennes si propone come uomo d'altri tempi, elegante e onorevole, che sceglie di utilizzare una ricchezza nata col sangue e la sofferenza di altri per aiutare i più sfortunati, a mo' di compensazione; ad affiancarlo e "contrastarne" il pacifismo c'è il figlio, ancora giovane e quindi impossibilitato a capire cosa significhi immolarsi per la patria ed entrare in guerra, vittima di una concezione di "disonore" e "codardia" inculcata da chi ovviamente ha bisogno che la gente combatta per una causa. Oltre a fare da sfondo a una storia più grande e complessa, lo scontro generazionale tra i due diventa il cuore della futura fondazione dei Kingsman, cristallizzandosi in un momento decisamente inaspettato in cui, come sempre, Matthew Vaughn ribalta tutte le regole del genere lasciando lo spettatore con un palmo di naso dopo una sequenza così eroica e piena di "sentimento" da fare invidia a Spielberg. Ma non spoileriamo.


L'idea che offre The King's Man è quella di un'opera ad ampio respiro; si vede che Vaughn aveva voglia di sbragare, sia a livello di location che di sequenze eleganti, e anche i folli combattimenti dal montaggio serrato che hanno fatto la fortuna dei due film precedenti qui vengono centellinati, in favore di atmosfere più da film di avventura, à la Indiana Jones quasi, o à la James Bond ma senza gadget né inseguimenti in auto. Onestamente, questo cambio di rotta non mi è dispiaciuto, così come la maggiore "serietà" offerta dalla presenza di Ralph Fiennes a discapito di un protagonista più giovane e scavezzacollo, ma per gli amanti del "vecchio" Kingsman e dei suoi personaggi sopra le righe c'è la creatura migliore del film. No, non intendo Rasputin, ché altrimenti Mirco non mi rivolgerebbe più la parola, ma il capronetto protagonista della scena più apprezzata dal Bolluomo. POI c'è Rhys Ifans col suo Rasputin, che purtroppo mangia la scena a tutti, buoni o cattivi che siano, e sì che come cast The King's Man è messo più che benissimo. Ifans danza, gigioneggia, seduce, combatte come un derviscio e disgusta in una sequenza che è già il mio scult del 2022 e di cui vorrei assolutamente vedere il backstage per capire come diamine hanno fatto Fiennes ed Ifans a rimanere seri anche solo per un istante. Purtroppo, a rimetterci davanti a tanta meravigliosa esagerazione sono personaggi dalle altissime potenzialità ma un po' sciapi come la Polly di Gemma Arterton e il Shola di Djimon Hounsou (il figlio di Orlando Oxford, ahilui, è davvero privo di ogni speranza di essere interessante, invece), quanto a Daniel Bruhl ormai si è cucito addosso il personaggio di Barone Zemo e devo dire che gli calza benissimo, anche se vorrei tornare a vederlo in altri ruoli visto che è sempre stato un ottimo attore. Quindi, per concludere, come potete immaginare, aspetto con ansia il terzo capitolo cronologico della saga, che dovrebbe cominciare le riprese quest'anno, perché a mio avviso l'universo di Kingsman ha ancora molto da offrire!


Del regista e co-sceneggiatore Matthew Vaughn ho già parlato QUI. Ralph Fiennes (Orlando Oxford), Djimon Hounsou (Shola), Matthew Goode (Morton), Charles Dance (Kitchener), Gemma Arterton (Polly), Rhys Ifans (Grigori Rasputin), Daniel Brühl (Erik Jan Hanussen), Tom Hollander (Re Giorgio / Kaiser Guglielmo/ Zar Nicola), Aaron Taylor-Johnson (Archie Reid) e Stanley Tucci (Ambasciatore americano) li trovate invece ai rispettivi link.


Essendo un prequel, The King's Man - Le origini si può vedere anche da solo, ma perché perdervi i divertentissimi Kingsman: Secret Service e Kingsman: Il cerchio d'oro? ENJOY!

martedì 25 gennaio 2022

La casa in fondo al lago (2021)

Dalle mie parti si erano guardati bene dal farlo uscire ma fortunatamente lo streaming legale viene in soccorso di chi abita in postacci brutti e finalmente sono riuscita a guardare anche io La casa in fondo al lago (The Deep House) diretto e sceneggiato dai registi Alexandre Bustillo e Julien Maury.


Trama: una coppia di fidanzati appassionati di case abbandonate si reca in Francia per andare a esplorare una casa in fondo a un lago, ancora intatta. All'interno, però, non troveranno quello che si aspettano...


La sfigaccia nera di non aver potuto godere di un grande schermo per La casa in fondo al lago non la sto nemmeno a descrivere, so solo che ho percepito distintamente il PECCATO come nemmeno Mariottide, perché la cosa più bella e originale del film di Bustillo e Maury sono le impeccabili, angoscianti riprese subacquee. Ma partiamo dall'inizio, prima di cominciare a bestemmiare forte contro la distribuzione maledetta. La casa in fondo al lago è il "tipico" horror a base di case infestate e poveri cristi che si mettono in testa di esplorarle pensando siano solo abbandonate ed innocue (ne conosco uno così. Lo saluto, nel caso legga il post: Ciao, Ale!), nella fattispecie abbiamo quel gran pezzo di figliuolo di Jagger Jr. nei panni di un wannabe youtuber che venderebbe la mamma per i like e una gran pezza di biondona franzosa che se ne starebbe tranquilla in vacanza, per una volta, ché il fidanzato con sta smania delle visualizzazioni ha anche un po' rotto le balle. Comunque, i due vengono "omaggiati" da un franzoso locale di una visita in un punto assai isolato di un lago artificiale, là dove, lontano da turisti e chiasso, c'è la possibilità di visitare una casa abbandonata perfettamente intonsa nonostante sia sott'acqua da una trentina d'anni. I due non se lo fanno ripetere due volte e, armati di indispensabile drone, pratiche gopro e fondamentali bombole, si immergono consapevoli di avere solo un'ora di tempo prima di finire l'ossigeno ma, tanto, cosa potrà mai succedere in quella casa?? (Di tutto. Ossignore, di tutto.)


Come vedete, la trama di La casa in fondo al lago è molto semplice, quasi banale, nulla che non si sia già stravisto in altri film. La bellezza, come ho scritto più su, e se di bellezza si può parlare quando ogni dieci minuti si ricorre al telecomando per interrompere un attimo la visione, così da non sputare i polmoni avvizziti dall'ansia, è che l'ambientazione non lascia scampo. Non che si possa sopravvivere quando la casa è in mezzo al bosco, alla steppa o persino in un condominio giapponese/spagnolo, ma in questo caso all'ansia da claustrofobia data dalla minacciosa combine "casa maledetta + infauste presenze" si aggiunge anche l'orrore della progressiva perdita di ossigeno, come se non bastasse già il fatto di non vedere una mazza, tra il buio del fondale, l'acqua torbida, il drone che all'improvviso smette di fare luce e tanti altri "simpatici" imprevisti che non vi spoilero. Il tutto, tra l'altro, ripreso davvero sott'acqua all'interno di un set costruito alla bisogna, con attori e stuntman in immersione, cosa che rende il tutto molto più realistico e "pressante" per chi, come me, pur essendo nata in Liguria ama rimanere all'asciutto e teme il mare come la più infingarda delle Divinità, figuriamoci poi il lago, dove, da sempre, ho schifo ad immergermi a causa dei suoi fondali putridi e leppeghini, che possono nascondere chissà cosa. Ecco, il "chissà cosa" vi ha trovati e, se deciderete di dare una chance al gagliardo La casa in fondo al lago, avrete anche l'occasione di guardarlo negli occhi e piangere pregandolo di risparmiarvi!


Dei registi e sceneggiatori Alexandre Bustillo e Julien Maury ho già parlato ai rispettivi link. 

James Jagger, che interpreta Ben, è figlio di Mick Jagger. ENJOY!

lunedì 24 gennaio 2022

Il Bollodromo #87: Lupin III - Parte 6 - Episodio 15

Buon lunedì a tutti! Al quindicesimo episodio, la sesta serie dedicata a Lupin azzecca finalmente la puntata più bella tra quelle "moderne" e riesce per la prima volta dopo decenni a non sbagliare una storia Jigencentrica. Pront*, fan del pistolero, a piangere davanti a 祝福の鐘に響けよ、銃声 - Shukufuku no kane ni hibike yo, jūsei (Sparo, risuona tra le campane a nozze)?


La mirabilia si apre con un malinconico flashback in cui Jigen, all'interno di una stanza, si tormenta davanti a un foglio vuoto, una penna e un mughetto, prima di uscire sotto la pioggia battente senza aver scritto nemmeno un rigo (e sì che sa scrivere - cit., ma la capiranno solo i nati negli anni '50 - ). Nel presente, la pioggia non smette di cadere e mentre Jigen la rimira alla finestra, Lupin dapprima lo percula, dopodiché gli propone di rubare La lacrima di Marseille, uno zaffiro delle dimensioni di un uovo che rappresenta il dono di nozze di un giovane nobile alla sua futura sposa. Alla vista della foto di costei, a Jigen piglia un colpo, poiché la destinataria del foglio vuoto altri non era che lei, Mylene, una dottoressina che anni prima aveva salvato il pistolero da morte certa e poi, giustamente, avendolo reputato un gran figo, se lo era pure limonato sul letto di malattia (chiamamela scema. Diciamo che se avesse trovato Ceccherini in un lago di sangue se ne sarebbe battuta le balle, invece questa dopo dieci minuti era a già a stringere mani, tocchignare, fare occhioni languidi, complimentarsi per lo sguardo gentile, insomma, una sciacquetta). Memore dell'ennesima, passata fuga precipitosa dinnanzi a un possibile aMMore, Jigen chiede a Lupin di aspettare un attimo a derubare la futura sposa, anche perché nel frattempo quest'ultima è entrata nel mirino di Jackal, un malvivente che rapisce le persone chiedendo il riscatto e poi, una volta ottenuto, le uccide. 


Così, occhio spento e viso di cemento, a Jigen tocca seguire di nascosto Mylene e persino a sussarsi i preparativi e le feste per il matrimonio, almeno finché non riesce a scoprire il covo di Jackal e a fare fuori tutti i membri della banda in un profluvio di headshot e sangue. Jackal però sopravvive alla mattanza e riesce a fuggire giurando vendetta, quindi il povero Jigen è costretto anche ad intrufolarsi al matrimonio. Siccome gli mancava, poverello, solo di infilarsi una scopa nel c**o e ramazzare la stanza, il pistolero diventa anche il confidente del futuro sposo, il quale sarà pure bellino e abbiente ma è un mollo da primato, indeciso se sposare o meno Mylene perché non ha mai lavorato un giorno in vita sua mentre lei ha dovuto lottare tutta la vita per affermarsi. Jigen è un signore e si inghiotte il "vaffammale" che aveva lì sulla punta della lingua, e gli dà un consiglio alla Yoda, evitando così lo sfascio di un matrimonio che nasce già sotto un'ottima stella (sarcasm mode: ON); dopodiché, mentre tutti sono distratti dai fuochi d'artificio, riesce anche ad ammazzare Jackal, nel frattempo travestitosi da prete, senza che nessuno se ne accorga, voltando infine le spalle all'ammasso di gentaglia dabbene che meritava giusto di finire in una puntata de Il castello delle cerimonie


Ma mica è finita qui!! Proprio perché il matrimonio è nato sotto i migliori auspici, si scopre che è stata la stessa Mylene a mettere su internet la foto della Lacrima di Marseille, così da invogliare Lupin a rubarla e coinvolgere Jigen, il quale non è proprio un maestro del pedinamento, visto che è stato sgamato dalla ex con l'ausilio di uno specchietto. Quando Lupin le domanda se ha fatto tutto ciò poiché ancora innamorata di Jigen, Mylene gli rifila un pippone a base di mughetti e felicità, al che tocca al ladro gentiluomo ricordarsi di essere tale e inghiottirsi il "vaffammale!" che io invece non mi sono premurata di reprimere, prima di intascarsi la Lacrima di Marseille come pagamento per aver funto da Alberto Castagna della situazione. Poco dopo, dopo poco, arriva Jigen e Lupin decide, molto cavallerescamente, di dare a lui la Lacrima di Marseille ma il pistolero, come una Eva Kant interpretata da Miriam Leone qualsiasi, la getta a mare, prendendosi tutti gli improperi (mossi da ovvia invidia) che Lupin non aveva potuto riversare su Mylene e chiudendo la puntata con un sorriso illegale e una dichiarazione "Io non ho bisogno di lacrime".


Avrete notato il tono giocoso del post, un bieco modo per dissimulare i 20 minuti di batticuore fangirlisco che mi hanno accompagnata per tutta la visione, ma se volete possiamo prendere la cosa più sul serio. Sparo, risuona tra le campane a nozze è un episodio coi fiocchi, scritto da qualcuno che, evidentemente, ha "vissuto" il personaggio di Jigen e lo ha capito fino in fondo, nutrendosi dei migliori episodi a tema e introducendo una fanciulla giusto un po' più fortunata (alla fine sopravvive. Non da tutte, come sapete) e sgamata delle altre ex fiamme del pistolero per raccontare una malinconica storia di amore e rimpianto. Vero è che Jigen è stato da decenni vittima di un adattamento spesso caprino, ma da nessuna parte è scritto che odi le donne (Fujiko non conta) né che sia gayo, anzi, il buon Daisuke è sempre stato vittima, spesso con dolore, del fascino femminile, e tutte le volte che le storie non sono finite male per colpa del tradimento di eleganti femme fatale o di una morte improvvisa, è sempre stato lui ad allontanarsi, appunto per evitare che la sua sconsiderata vita da criminale potesse danneggiare la donna amata. Sparo, risuona tra le campane a nozze è la summa della concezione di vita di questo personaggio che, in un altro universo, sarebbe stato il perfetto membro di un ideale Ka-Tet, dotato di saldi principi e di una profondità d'animo non comune, ma anche capace di uccidere senza pietà chi non è degno nemmeno di baciargli le scarpe col suo adorato "compagno" di una vita, la pistola. E poi, beh, cosa vogliamo dire a un episodio che si concentra su una caratteristica di Jigen spesso tenuta nascosta dal fido cappello, lo sguardo profondo e gentile? "Portatemi un ventaglio!", come disse Maria Antonietta alla vista di Fersen. Al prossimo episodio, dove Goemon diventerà... modello? ENJOY!



venerdì 21 gennaio 2022

The House (2022)

Siccome ne avevo letto benissimo prima ancora che uscisse su Netflix, non ho perso nemmeno un minuto quando ho saputo che era finalmente stato messo in catalogo The House, antologia in stop motion diretta dai registi Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr e Paloma Baeza.


Il film raccoglie tre mediometraggi aventi per protagonista una casa nel corso di varie epoche. Il primo segmento, And heard within, a lie is spun, è ambientato in un'Inghilterra di fine ottocento e racconta com'è nata la casa del titolo e come una famiglia di nobili decaduti ha finito per andarci ad abitare. La prima cosa che salta all'occhio dell'episodio, diretto da Emma de Swaef e Marc James Roels, è il modo in cui tutti i personaggi, ma anche gli oggetti di uso comune come coltelli, penne, persino il fuoco, sono stati realizzati con lana cardata (i personaggi risultano pelosini) o con altri tipi di stoffe intessute in modo da conferire comunque una solidità agli oggetti; esteticamente, dei tre episodi è quello più interessante ed originale dal punto di vista della realizzazione e la scelta di utilizzare determinati materiali ha senso, visto che il fulcro della trama di And heard within, a lie is spun (ma in generale dell'intero The House) è l'incapacità dei personaggi di staccarsi dal desiderio di ricchezze materiali a discapito degli affetti, con risultati che scoprirete guardando l'episodio. E se pensate che dei pupazzetti di lana cardata non possano mettere un'ansia fotonica, non avete ancora avuto modo di venire fissati da quegli occhietti a capocchia di spillo che si ritrovano, né di sperimentare la labirintica sensazione di claustrofobia scaturita da una casa in grado di cambiare planimetria nel corso di una notte. Preparatevi anche a farvi spezzare il cuore, ché le piccole protagoniste sono deliziose, e non meritano nemmeno la metà di quello che capita loro. 


Dopo lo spezzettamento del muscolo cardiaco, giunge il momento di frantumarsi lo stomaco e vomitare persino il panettone del 1998. Then lost is truth that can't be won è l'angoscia kafkiana fatta orrore puro, tanto che preferirei riguardare in loop The Human Centipede piuttosto che dovere posare di nuovo gli occhi sul lavoro di Niki Lindroth von Bahr, che pure è un signor lavoro. In questo caso, il protagonista è un ratto antropomorfo che vive dentro la casa titolare ai giorni nostri. Anche qui, il protagonista è completamente ossessionato dalla casa; non tanto dalle ricchezze che contiene (ormai sparite), quanto dal trasformare la stessa casa in una fonte di ricchezza per poter abbandonare i creditori che rischiano di spolparlo vivo. Costretto a fronteggiare da solo la ristrutturazione, i mille problemi della gestione della casa, un'invasione di insetti e un'inaugurazione già nata sotto una pessima stella, il ratto si ritrova all'interno di un incubo fatto di stress e sopraffazione quando due strani, terrificanti acquirenti decidono di installarsi nell'edificio dietro la promessa di acquistarlo. Anche in questo caso, la morale dell'episodio è chiara, poiché il ratto (descritto come il tipico self made man dipendente da tecnologia, internet e telefonate-fiume) ha sacrificato ogni aspetto della sua vita per un'ossessione che lo ha reso solo e completamente distaccato dalla realtà, tanto da diventare terreno fertile di una follia insidiosa, tragicomica quasi (il balletto delle blatte, per quanto faccia schifo, è ipnotico), che lascia lo spettatore preda di un'angoscia indescrivibile. Complimenti a chi ha realizzato il character design dei personaggi e ad autori che, probabilmente, si sono ammazzati non solo di Kafka, ma hanno mandato a memoria le puntate più disturbanti di Leone il cane fifone. Guardatelo e fatemi sapere se siete sopravvissuti. 


Si torna a respirare, sempre con parsimonia, durante l'ultimo episodio ambientato in un futuro dove l'acqua ha ormai inghiottito il pianeta, Listen again and seek the sun. Messi da parte topi e blatte, stavolta la protagonista è la gattina Rosa, il cui sogno sarebbe ristrutturare la casa ormai cadente, minacciata dalle acque e trasformata in un complesso di piccoli appartamenti dove abitano solo due persone che non le pagano l'affitto. Se l'atmosfera dei primi due episodi era angosciante e non lasciava spazio a un vago sorriso nemmeno per sbaglio, il segmento di Paloma Baeza, pur chiudendosi su un finale incerto, per quanto poetico, offre un'afflato di speranza alla protagonista, dandole i mezzi (per quanto strani) di voltare le spalle alla sua ossessione per la casa e aprire il cuore agli affetti. La stessa Rosa, così come i suoi inquilini, sono vivaci e propositivi, a differenza dei personaggi degli altri episodi, e in generale le luci e i colori degli sfondi e dei vari ambienti sono più tenui e colorati, tanto che persino l'acqua che dovrebbe essere minacciosa risulta quasi placida, malinconica. Dopo tanta angoscia e depressione, un episodio così ci voleva proprio, per chiudere in bellezza.


Tirando le somme, posso dire senza timore che The House è veramente un gioiellino. Certo, sono di parte perché ho sempre adorato la stop-motion, una tecnica affascinante e anche follemente perfezionista, visto il modo in cui ogni personaggio, ogni fotogramma, ogni dettaglio devono essere realizzati e posizionati con cura certosina, ma anche la stessa trama è qualcosa di particolare all'interno dell'animazione mainstream solitamente proposta da Netflix. Uniti, i tre episodi formano un'unica storia avente per antagonista una casa che farebbe invidia a Shirley Jackson e a King, oltre che a Kafka, una "bugia" in grado di promettere mari e monti che, invece, porta solo alla rovina e alla disperazione con la sua voce di sirena ingannevole. I protagonisti del primo episodio sono i primi ad ascoltarne la voce e a rimanerne in pare soggiogati, il ratto del secondo non ha neppure modo di difendersi visto che probabilmente è già perso in partenza, mentre Rosa riesce ad aprire il cuore a un'altra voce, che la porta a cercare una nuova fonte di luce, una nuova speranza. La speranza è che la casa venga finalmente inghiottita dalle acque per poi sparire, dopo aver mietuto troppe vittime, ma il risultato sarebbe quello di non avere più altre storie spaventevoli e angoscianti come quelle di The House, una potenziale serie che penso avrebbe ancora parecchio da dire. Non perdetelo assolutamente!


Di Matthew Goode (Raymond), Helena Bonham Carter (Jen), Mia Goth (Mabel) e Miranda Richardson (Zia Clarice) ho già parlato ai rispettivi link. 

Emma De Swaef e Marc James Roels sono i registi del primo episodio. Lei è belga e ha 37 anni, lui sudafricano e ne ha 44; assieme hanno diretto corti pluripremiati come Ce magnifique gâteau! e Oh Willy...


Niki Lindroth von Bahr
è la regista del secondo episodio. Svedese, ha diretto corti animati come Tord and Tord, Bath House e The Burden. Anche sceneggiatrice, produttrice e doppiatrice, ha 37 anni.


Paloma Baeza
è la regista del terzo episodio. Inglese, ha diretto il corto Poles Apart. Anche attrice e sceneggiatrice, ha 47 anni. 


Claudie Blakley
è la doppiatrice originale di Penelope. Inglese, la ricordo per film come Gosford Park, Severance - Tagli al personale e Il ragazzo che diventerà re. Ha 49 anni. 


Se The House vi fosse piaciuto potreste recuperare Coraline e la porta magica. ENJOY!


 






mercoledì 19 gennaio 2022

Scream (2022)

Dribblando coviddi, problemi di salute, sale chiuse e sfiga a palate, lunedì, come per miracolo, sono riuscita a vedere Scream, diretto dai registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. NIENTE SPOILER, tranquilli. E, se volete un punto di vista migliore e meglio articolato, sempre spoiler free, non perdetevi il post di Lucia, ovviamente. 


Trama: passato un decennio dagli ultimi omicidi, un nuovo Ghostface torna a seminare il terrore per le strade di Woodsboro, coinvolgendo facce vecchie e nuove...


Innanzitutto permettetemi di descrivervi la gioia di tornare a vedere uno Scream al cinema dopo 22 anni. Non è la stessa cosa vedere Ghostface all'opera nella solitudine del divano casalingo, perché da quel lontano, caldissimo pomeriggio settembrino del '97, l'unico modo a mio avviso perfetto di fruire dei vari Scream è in sala, sentendosi piccoli piccoli davanti all'orrore della maschera più famosa del nuovo millennio, oppure in casa ma con tanti amici/conoscenti, possibilmente ignari di cosa stanno per vedere (sì, non dimenticherò mai la serata passata in Danimarca con le danesi inconsapevoli che letteralmente saltavano giù dalla poltrona ad ogni colpo di scena). E non è un caso se ho aperto lo scrigno dei ricordi legati a una serie di film per i quali non smetterò mai di ringraziare Craven, perché il fulcro della nuova pellicola diretta dai due ex Radio Silence, ben più complessa di quanto appaia e perfettamente inserita all'interno di quel discorso metacinematografico che perdura da anni, è proprio il legame tra lo spettatore e il suo modo di vivere e percepire ciò che, in maniera distorta e troppo spesso insana, si trasforma in nella cristallizzazione di un ricordo granitico e personale, di non condivisibile se non con altri che hanno la stessa, limitata visione. Se non avete mai sentito parlare di "infanzie stuprate" probabilmente avete vissuto su Marte negli ultimi decenni oppure, fortunatamente per voi, non fate parte del branco di babbuini urlanti che, ogni volta che qualcuno prova a prendere un film/cartone animato/opera del passato e cambiarlo un minimo, riaggiornandolo magari al gusto attuale, urla al vilipendio e all'orrore, alla morte di tutto ciò che c'è di puro e sacro, nemmeno se l'opera in questione l'avessero realizzata loro, e che personalmente ritengo una delle cose peggiori vomitate da quella cloaca che è il web; è evidente, invece, che i Radio Silence, Williamson e soci hanno ben presente il fenomeno e non si limitano a criticarlo o dileggiarlo come merita (i dialoghi, ironici, pungenti e "nerd" sono ben chiari in tal senso) ma offrono allo spettatore una chiave di lettura per superarlo in modo sano, sicuramente malinconico e straziante come tutti i distacchi dal passato, ma comunque positivo. 


Ed è così che il nuovo Scream diventa un esaltante, sanguinoso ponte di passaggio tra il (nemmeno troppo, ammettiamolo) glorioso passato della saga, fermata dall'arrivo di quell'horror più adulto e cerebrale nominato anch'esso all'interno del film (e sì, tesoro, anche io preferisco The Babadook, non me ne voglia Craven), e un futuro ancora tutto da scrivere, distaccandosi magari anche per stile, colonna sonora e topoi dall'opera seminale del buon vecchio Wes, al quale non possiamo far altro che dire grazie in eterno. E' un ponte di passaggio intelligente e arguto, come ho scritto sopra, che gioca con le certezze dello spettatore, con la mentalità non solo dei fan ma anche e soprattutto dei detrattori che guarderanno il film solo per fargli le pulci, e che non si limita ad omaggiare intere, storiche sequenze abbracciandole o ribaltandole, ma si prende tutto il tempo di tratteggiare dei nuovi personaggi ai quali viene affidato più tempo in scena rispetto ai quattro titolari superstiti, elevandoli dal rango di monodimensionali vittime sacrificali a persone delle quali ci importa, al punto che vorremmo saperne di più (per esempio: ok il padre, ma chi è la madre?), interpretate da attori bravi ed espressivi. Ahiloro, questi personaggi si trovano di fronte il Ghostface più sanguinoso di sempre, altro segno di come sono cambiati i tempi, con spettatori più esigenti che vogliono vedere le coltellate e sentirle, tra fiumi di sangue finto e violenze assortite, anche se stavolta l'ansia, almeno per me, è derivata non tanto dal capire dove si sarebbe nascosto il killer, ma dalla minaccia costante ai tre amatissimi personaggi che ci accompagnano dal 1997. In tal senso, sono anche io un po' un bonobo urlante: Sidney, Gale, soprattutto Linus, li considero amici da anni, e sarei tanto contenta di vederli sempre giovani e belli, con Gale e Linus innamorati e felici, tutti pronti a regalarci ancora anni e anni di storie. Trovarmeli davanti invecchiati, con alle spalle decenni di vicende reali e fittizie, più o meno felici, è stato un colpo al cuore e allo stesso tempo un bello scrollone ai miei desideri di ragazzina fangirl, che deve imparare a lasciare andare con grazia e confidare nel nuovo, dopo avere ovviamente consumato fazzoletti a son di piangere. Se il nuovo sarà ai livelli di questo Scream posso stare tranquilla!


Dei registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett ho già parlato QUI. Neve Campbell (Sidney Prescott), Courteney Cox (Gale Weathers-Riley), David Arquette (Linus/Dwight Riley), Marley Shelton (Sceriffo Judy Hicks), Dylan Minnette (Wes Hicks), Jack Quaid (Richie Kirsch), Kyle Gallner (Vince Schneider) e Heather Matarazzo (Martha Meeks) li trovate invece ai rispettivi link.

Jenna Ortega interpreta Tara Carpenter. Americana, ha partecipato a film come Iron Man 3, La babysitter - Killer Queen e serie quali CSI: NY. Ha 20 anni e due film in uscita, Studio 666 e soprattutto X, inoltre interpreterà Mercoledì Addams nell'imminente serie Wednesday


Niente spoiler nemmeno qui, tranquilli. Consiglio solo, ovviamente, di recuperare la prima trilogia e Scream 4. ENJOY!

martedì 18 gennaio 2022

Being the Ricardos (2021)

Comincia la stagione dei recuperi pre-Oscar e post Golden Globes, sempre fonte di dolori e gioie. Per primo è toccato a Being the Ricardos, diretto e sceneggiato nel 2021 da Aaron Sorkin e disponibile su Amazon Prime Video.


Trama: l'attrice Lucille Ball viene accusata di essere comunista proprio quando il marito, Desi Arnaz, viene pizzicato dai tabloid in compagnia di altre donne. Tutto questo mette a repentaglio l'esistenza della sit-com da loro interpretata, I Love Lucy...


I Love Lucy
, da noi conosciuta come Lucy ed io, è una delle sit-com americane più amate in patria, ma ovviamente io non ne ho mai guardato nemmeno una puntata e la conosco vagamente grazie ad altre opere come I Simpson o Will & Grace. Nonostante questo, ho deciso comunque di guardare Being the Ricardos, un po' per il Globe assegnato a Nicole Kidman (sul quale tornerò) e un po' perché mi piacciono i biopic sui vecchi show della TV USA, come per esempio Un amico straordinario, basato su Mister Roger's Neighborhood, altra trasmissione a me sconosciuta. In questo senso, ho trovato Being the Ricardos molto gradevole, perché Sorkin, pur rendendo i problemi politici e familiari di Lucille e Desi il fulcro della vicenda, riesce ad unirli inestricabilmente alla realizzazione di I Love Lucy, consentendo allo spettatore di dare uno sguardo dietro le quinte, cogliere alcuni dei meccanismi che influenzavano la televisione dell'epoca, "annusare" delle dinamiche relazionali non proprio positive tra attori, sceneggiatori, registi, produttori e finanziatori di ogni genere e persino di avere dei flash relativi al processo creativo di una perfezionista come la Ball. Anzi, considerato che Sorkin riesce a condensare in una settimana problemi e vicende che, nella realtà, sono durati mesi se non addirittura anni, e ad aggiungere anche degli agevoli recap del rapporto tra Desi e Lucille e della loro carriera comune, bisogna dire che Being the Ricardos mette anche troppa carne al fuoco e a volte lascia a bocca asciutta, con la voglia di approfondire questioni magari appena accennate e poi lasciate cadere (personalmente ho trovato molto interessante anche la crisi di Vivian Vance e il rapporto di "cordiale" odio tra lei e il suo marito nella finzione, Frawley, altro bell'elemento da sbarco, ma vengono entrambi usati come meri accessori alla vicenda principale), con l'aggravante di prediligere le vicende inventate alla bisogna (la telefonata di Hoover) a quelle reali.


Forse anche grazie a queste "licenze poetiche", l'autore riesce facilmente nell'intento di fare affezionare a Lucille e Desi e di offrire un ritratto quanto più possibile interessante di due personaggi non comuni, entrambi dotati di carisma da vendere e di un carattere complicato, che certamente hanno rivoluzionato la televisione dell'epoca lasciando un'eredità ai posteri non indifferente. Ci riesce grazie alla sceneggiatura, che brilla nei battibecchi tra personaggi, soprattutto quando in scena c'è Lucille (mentre la regia è purtroppo un po' anonima nonostante gli intelligenti inserti che mescolano le ricostruzioni in bianco e nero degli episodi di I Love Lucy alle riflessioni dell'attrice protagonista), e ci riesce grazie alla bravura degli attori, sui quali forse è il caso di spendere due righe in più, visto il Globe vinto. Non conoscendo il personaggio di Lucille Ball, non saprei dire se la Kidman sia riuscita a catturarne l'essenza; posso solo dire che, a livello di gestualità e voce, mi è piaciuta parecchio, purtroppo però non riesco più a ritrovare nell'attrice la bellezza di un tempo e ogni volta mi dà una sgradevole sensazione di "finto", di espressività cancellata dalla pialla di un chirurgo folle che l'ha resa una bambola di porcellana, sensazione peggiorata, in questo caso, dal trucco pesante usato per farla assomigliare a Lucille. La sua interpretazione non mi ha lasciata dunque molto convinta, nonostante eclissi quella del pur bravo Javier Bardem, e c'è da dire che quando compare J.K.Simmons anche la Kidman viene messa in ombra da un attore che dà sempre il meglio di sé nei ruoli di stronzo con un pezzetto di cuore, quindi, se posso permettermi, il Globe mi è parso assai sprecato. Quanto a Being the Ricardos, è il "tipico" film da vedere in periodo da Oscar: gradevole per il tempo della visione, interessante nella misura in cui fa venire voglia di documentarsi di più sugli argomenti che tratta, dimenticabile già dopo un paio di giorni. Avanti il prossimo!


Del regista e sceneggiatore Aaron Sorkin ho già parlato QUI. Nicole Kidman (Lucille Ball), Javier Bardem (Desi Arnaz), J.K. Simmons (William Frawley), Tony Hale (Jess Oppenheimer), Alia Shawkat (Madelyn Pugh), Clark Gregg (Howard Wenke) e Ronny Cox (Bob Carroll anziano) i trovate invece ai rispettivi link. 

Nina Arianda interpreta Vivian Vance. Americana, ha partecipato a film come Midnight in Paris, Florence, Stanlio & Ollio, Richard Jewell e a serie quali 30 Rock e Hannibal. Ha 38 anni e un film in uscita. 


Per qualche tempo si è pensato che Cate Blanchett avrebbe interpretato Lucille Ball ma alla fine il ruolo è andato a Nicole Kidman, mentre online molte persone si sono schierate a favore di Debra Messing, la Grace di Will & Grace, che in una puntata della serie aveva omaggiato la sit com I Love Lucy; la puntata in questione è We Love Lucy, il sedicesimo episodio dell'undicesima stagione, quindi se siete curiosi potete sempre guardarlo! ENJOY!

lunedì 17 gennaio 2022

Il Bollodromo #86: Lupin III - Parte 6 - Episodio 14

Siccome è molto difficile guardare gli episodi di sabato e anche scrivere post la domenica, l'appuntamento con i "recap" di Lupin III - Parte 6 è abbastanza ballerino e me ne scuso con quelle 30/40 persone che passano di qui per sbaglio a leggerli. Ma bando alle ciance e parliamo di 蜃気楼の女たち - Shinkirō no onna-tachi (Le donne del miraggio). ENJOY! 


La fioraia Mathia è ricoverata in ospedale e Lupin si rivela a lei per quel che è, non come l'amorevole vecchietto che andava a comprarle i fiori. Il fatto che Mathia non mostri particolare ansia o sorpresa e il fatto che nel covo delle ladre dai capelli rossi ci sia un vaso di fiori in un punto quantomeno insolito dovrebbe fare sorgere qualche sospetto, ma magari sbaglio, sono io ad essere una brutta persona malfidente. Ciò detto, la banda è ovviamente in fibrillazione per la mole di rivelazioni della settimana scorsa e Jigen (che ha affibbiato il ruolo di cuoco a Goemon senza troppe remore, approfittando del fatto che il samurai è scarso a poker) vorrebbe sapere chi sia la madre di Lupin ma, colpo non troppo di scena, la Tomoe dell'episodio precedente non è la vera genitrice del ladro, bensì una sorta di tata/governante/insegnante che lo ha introdotto all'arte del furto e lo ha protetto nel corso di un'infanzia non migliore di quella passata da un qualsiasi Cavaliere dello Zodiaco. Lui comunque la chiama mamma ed è assai perplesso perché l'ha vista morire dopo aver rubato fior di gioielli al nonno, come mostrato nella puntata numero 13. Ciò detto, l'azione incalza e non si può restare ancorati ai ricordi, anche perché c'è sempre appesa la spada di Damocle della rossa Mercedes e della sua banda denominata Elvira, che sono pronte a fare un colpo in Messico.


In Messico, la Elvira si scopre essere non già un'attrice popputa e nemmeno una banda di cloni, come pensavo, bensì un gruppo di violenti debosciati travestiti da Mercedes (!) che mettono a ferro e fuoco una città con mezzi militari per rapinare una banca, con sommo scorno di Zenigata e soci che si ritrovano nel bel mezzo di una guerriglia urbana. Ben più raffinato, Jigen spara un solo colpo e piazza un segnalatore su uno dei mezzi della Elvira, il che consente all'intera banda di scoprire il rifugio di Mercedes e soci e di mettere così alle strette la vanesia ladra, costretta così non solo a restituire a Lupin il tesoro rubato, ma anche ad ammettere che Tomoe è viva. Lupin non uccide Mercedes solo perché "sa valutare un tesoro quando ce l'ha davanti. E le donne sono i tesori più preziosi del mondo", al che la rossa, poverella, quasi quasi spererebbe che Lupin voglia farsela ma niente, ciccia, il ladro stavolta preferisce farla arrestare da Zenigata. Recuperato il tesoro e messa a posto Mercedes, resta solo una domanda, anzi due: dov'è finita Tomoe? Che vuole da Lupin ancora? Ma soprattutto: chi cucinerà la prossima volta?


Al secondo episodio, il nuovo story arc della serie si conferma molto più interessante del primo. I rapporti tra i personaggi principali vengono approfonditi attraverso gag e scambi molto carini e divertenti, l'idea di fare luce sull'infanzia di Lupin è avvincente e, soprattutto, vengono riproposte finalmente le dinamiche che hanno reso le serie storiche un cult assoluto, ovvero le interazioni tra le varie abilità di una banda di ladri finalmente tornati a rubare, complottare e mettere alle strette gli avversari. L'invincibilità di Lupin non sarebbe tale senza la saggezza e la pistola di Jigen, la spada di Goemon e le mille risorse di Fujiko, purtroppo gli sceneggiatori tendono spesso a sottovalutare l'interazione tra le parti, preferendo concentrarsi su personaggi secondari di cui frega poco, riducendo i comprimari a mere comparse sullo sfondo, mentre Le donne del miraggio rimette tutto nella giusta prospettiva. Speriamo duri e speriamo, soprattutto, che l'episodio della settimana prossima sia un trionfo di Jigenitudine, anche se mi dispiace sempre vedere quanto il pistolero sia sfortunato in tema di donne e quanto queste ultime, almeno nell'universo creato da Monkey Punch, non capiscano una mazza di uomini! Alla settimana prossima!


venerdì 14 gennaio 2022

Scream 4 (2011)

Siccome ieri è uscito Scream 5 (con un po' di fortuna dovrei andarlo a vedere lunedì!), dopo la bellezza di 11 anni ho deciso di recuperare Scream 4, diretto nel 2011 dal regista Wes Craven, così da completare, finalmente, la quadrilogia.


Trama: quando Sidney Prescott torna a Woodsboro per presentare il suo libro, un nuovo Ghostface comincia ad uccidere gli abitanti della cittadina...


Nell'aprile del 2011 scrivevo questo: "Speravo di poter andare a vedere Scream 4 durante la prima settimana di uscita, ma siccome dalle mie parti hanno preferito sacrificarlo per fare spazio a quella vacca di Bélen e al suo ridicolo film, ho dovuto sopperire con Limitless". Ecco quindi spiegato il motivo per cui non avevo guardato Scream 4 al cinema, ma ciò non spiega perché non lo abbia recuperato per 11 anni; ho un vago ricordo di avere cominciato a guardarlo su qualche sito tipo Megavideo (che nostalgia!) decenni fa ma di avere poi desistito, probabilmente a causa della scarsa qualità della copia, e boh, probabilmente sarà finito nel dimenticatoio, complice anche la mia scarsa opinione su Scream 3 (sto riguardando anche la trilogia originale, nel frattempo, ma se Scream l'avrò visto almeno una ventina di volte nel corso degli anni, i capitoli successivi si saranno fermati a un paio di visioni) ma ora che, dopo altri 10 anni, è uscito il quinto episodio della saga, non potevo esimermi. Ed è stato un bel recupero, contrariamente alle aspettative. Tornare a Woodsboro, nonostante sia una delle cittadine fittizie più pericolose d'America, è un po' come tornare a casa e ritrovare dei vecchi amici. Anche Sidney, per l'appunto, torna a casa, e il suo percorso di "recupero" da tutti gli orrori della giovinezza si è concretizzato in un libro di autoaffermazione, che lei pensa possa portare speranza e coraggio a tutti quelli che si trovano in situazioni simili alle sue; purtroppo, se Sidney tenta di rifarsi una vita tenendo i piedi piantati in terra e guardando alla realtà, nell'oscurità si nasconde chi continua a preferire la finzione e l'orrore, chi vede ciò che lo circonda attraverso il pericoloso filtro di "trame" e "regia" e, nell'epoca di Facebook e Youtube, è consapevole di poter sfruttare la spettacolarizzazione della morte per poter assurgere a fama imperitura. Scream 4 fa molta leva su sulla leggenda venutasi a creare (già nel secondo film, in effetti) attorno ai veri omicidi di Woodsboro e gioca con lo spettatore sul cortocircuito di vedere personaggi che guardano una serie di film tratti dagli eventi "reali" descritti all'interno di altri film, tra rimandi alla trilogia di Scream, ai fittizi Stab e ad altri mille horror moderni usciti nel frattempo. 


E' un film, inoltre, che mette sullo stesso piano i fan della prima trilogia e il trio di sopravvissuti, ovvero Sidney, Gale e Linus, e lo fa sottolineando in maniera anche spietata il tempo passato, non solo in senso anagrafico ma anche a livello di generi horror, di tecnologie, di "stile". Personalmente, mi sono sentita vecchissima guardando Scream 4 (nel mio caso la sensazione si è acuita perché le nuove starlette utilizzate per il passaggio generazionale hanno a loro volta ormai fatto il loro tempo, come Hayden Panettiere, oppure sono diventate nuove icone dell'horror, come Emma Roberts, che qui sembra davvero un bambina) e anche i tre protagonisti "anziani" mi sono parsi spersi, condannati a rincorrere un killer senza davvero capirlo e spesso a fare da spettatori impotenti, perché nel frattempo le regole sono cambiate e se è vero che "la prima regola del remake è che non si cambia l'originale", è anche vero che "l'inaspettato è il nuovo cliché" ed è difficile per chi è rimasto ancorato al tipo di horror à la Randy trovare motivi, schemi e regole all'interno di una realtà nuova e ciò vale non solo per il Cinema ma anche per la società. Anche per questo, Scream 4 è un film che andrebbe rivisto più volte per poterne cogliere al meglio tutte le sfumature, i piccoli indizi, l'ironia dei depistaggi, persino le sbavature e le speranze riposte all'interno di una sceneggiatura rimaneggiata e destinata a non avere un seguito a causa del flop al botteghino del film e, soprattutto, della morte di Wes Craven, che qui regala ai suoi fan un'ultima, sanguinosissima pellicola, con un cuore amaro e malinconico perfettamente percepibile al di là dell'ironia dei dialoghi, parecchie spanne sopra il deludente (almeno per me) Scream 3. Certo, a me si spezza il cuore non solo all'idea che Craven non abbia più firmato alcuna regia, ma anche a vedere messe su schermo (anche in maniera spietata, diciamolo) tutte le crepe del matrimonio tra la Cox e Arquette, separatisi alla fine delle riprese, e ammetto che l'idea di rivedere entrambi in Scream 5, a rischio di perdere o Gale o, soprattutto, il mio adorato Linus, mi uccide. Spero di non dover mettermi a piangere in sala, ché già in casa, guardando Scream 4, avevo le lacrime agli occhi! 


Del regista Wes Craven ho già parlato QUI. Lucy Hale (Sherrie), Anna Paquin (Rachel), Kristen Bell (Chloe), Britt Robertson (Marnie Cooper), Neve Campbell (Sidney Prescott), Alison Brie (Rebecca Walters), David Arquette (Dewey/Linus Riley), Courteney Cox (Gale Weathers-Riley), Emma Roberts (Jill Roberts), Marley Shelton (Vicesceriffo Judy Hicks), Rory Culkin (Charlie Walker), Anthony Anderson (Agente Perkins) e Adam Brody (Agente Hoss) li trovate invece ai rispettivi link.

Hayden Panettiere interpreta Kirby Reed. Americana, famosa all'epoca per il ruolo di Claire Bennet nella serie Heroes, la ricordo per altre serie quali ... E vissero infelici per sempre, Ally McBeal e Malcom; come doppiatrice ha lavorato in A Bug's Life - Megaminimondo, Robot Chicken e American Dad!. Anche produttrice, ha 33 anni.   


Scream 4
avrebbe dovuto essere seguito da un quinto film, dove si sarebbe scoperto che Kirby è sopravvissuta, ma la morte di Wes Craven e il reboot in forma di serie TV hanno cancellato ogni progetto. Nell'attesa di vedere Scream 5, ovviamente, recuperate i primi tre film e magari anche la serie prodotta da MTV, che non era affatto male. ENJOY!

mercoledì 12 gennaio 2022

West Side Story (2021)

La settimana scorsa sono andata a vedere West Side Story, diretto dal regista Steven Spielberg nel 2021 e tratto dal musical omonimo di Arthur Laurents, Stephen Sondheim e Leonard Bernstein.


Trama: nella New York degli anni '50, gli americani Jets e i portoricani Sharks si contendono il West Side di Manhattan tra scontri e lotte all'ultimo sangue. Nel mezzo delle contese, Tony, ex membro dei Jets, e la portoricana Maria si incontrano e si innamorano...


Cominciamo con la solita confessione di ignoranza? Sì, dai!! Ero talmente tanto carente sull'argomento West Side Story (musical e film del '61) che quando l'amico Toto mi ha detto come andava a finire, davanti alla mia faccia scandalizzata ha ribattuto "Eh beh, è tratto da Romeo e Giulietta, cosa credevi?". Al diavolo, sarei stata una delle tre persone al mondo a stupirmi davanti al finale, invece non mi sono goduta nemmeno la stoccata tristemente ironica della canzone I Feel Pretty, quindi cacca sull'amico Toto. Ma mettiamo da parte le recriminazioni e arriviamo al succo del discorso: com'è guardare per la prima volta un musical del '57 riproposto ex novo nell'anno del Signore 2022? Eh beh, mentirei se non dicessi che è un'esperienza straniante e che non andrebbe fatta sotto il peso del cinismo di 40 anni di vita, perché il rischio è quello di fissare Maria e Tony (soprattutto quando Maria accusa il fratello di essere un pazzo già pronto a darla in sposa quando lei vorrebbe vivere libera e dopo un secondo celebra uno pseudo-matrimonio con Tony) con l'aria costernata di chi non apprezza le storie d'aMMore nate così, su due piedi, e subito virate verso un tragico desiderio di eternità. Diciamo pure, senza timore di offendere nessuno, che dopo 5 minuti avevo già un'enorme, insana voglia di prendere a ceffoni forti sia Tony che Maria, lui che prima mi canta Something's Coming, aspirando a chissà quale futuro di liberazione dalla terribile realtà del West Side e poi cade ai piedi della prima mocciosa portoricana che incontra, e lei che proprio ciao, nescia come Giulietta, appunto. Fortunatamente, West Side Story ha soprattutto il "contorno" dei disperati che vivono all'interno di un quartiere in degrado, pronto a cacciarli fuori a pedate in nome di un progresso e di una ricchezza di cui loro non potranno mai godere, segnati dalla naturale diffidenza di chi è americano da generazioni e guarda dall'alto al basso non solo i portoricani Sharks, odiati in quanto provenienti da un Paese diverso, ma anche la seconda generazione di immigrati incarnata dai Jets, bianchi come il latte ma comunque disprezzati, poveri, incapaci di pensare a una vita che non sia fatta di espedienti e violenza.


Solo la tragedia può attendere i disgraziati incapaci di andare oltre il ruolo che la società ha imposto loro, che siano ottimisti e speranzosi come la bella Anita, che guarda all'America come una terra di libertà e possibilità ma nonostante tutto non riesce a superare la sua diffidenza verso i bianchi, o che siano negativi e fatalisti come Riff e Bernardo, per i quali l'unico modo di contare qualcosa è mantenere viva la tradizione delle bande di strada e alimentare la violenza. Per contro, l'anziana Valentina, Portoricana sposata ad un commerciante bianco, si è integrata alla perfezione, prendendo magari la strada più difficile (la stessa che aspetterebbe Tony e Maria) ma trovando comunque il suo posto nel mondo e la felicità, e il suo tentativo di salvare anche Tony e tenerlo lontano dalla via dei Jets dopo che il ragazzo ha già scontato la sua pena in carcere è ammirevole e tocca il cuore molto più delle sdolcinate promesse d'amore, così come annienta la sua reazione davanti alla scena più terribile del film, quella del tentato stupro di Anita, che onestamente mi ha rivoltato lo stomaco. Nonostante un canovaccio un po' stantio sono dunque tante le stelle che brillano all'interno del West Side Story di Spielberg, anche a livello di trama o interpretazione della stessa. Soprattutto, il film è una gioia per gli occhi e per le orecchie e non dite "ovvio, è un musical" perché Les Misérables, solo per fare un esempio recente, per quanto mi fosse piaciuto tantissimo era purtroppo abbastanza statico a livello di regia, mentre la cinepresa di Spielberg non sta ferma un secondo.


Il primo scontro tra Jets e Shark è frenetico, al cardiopalma, le riprese dei vari quartieri perfettamente ricostruiti sono pezzi di maestria, quanto ai numeri musicali sono uno più bello dell'altro e se il mio cuore è volato verso l'allegra, coloratissima America, pezzo che ovviamente già conoscevo, sono rimasta incantata dal montaggio serratissimo e ritmato di Gee, Officer Krupke e anche dalle varie danze eseguite durante il ballo comune. Ho anche, nonostante tutto, speso fior di lacrime sul finale, ché ci vorrebbe davvero un cuore di pietra per non sciogliersi davanti a Maria e alla ripresa della canzone Tonight, soprattutto dopo tutti i momenti di terribile concitazione accorsi prima. Da profana, ho apprezzato la performance di ogni singolo ballerino, da quelli in primo piano a quelli nelle retrovie, e ovviamente il lavoro dei costumisti, che hanno ben differenziato Jets e Shark utilizzando colori freddi o neutri per i primi e caldi, squillanti, per i secondi, e per quanto riguarda gli attori ho preferito forse i personaggi secondari ai già citati Tony e Maria. Non è che Ansel Elgort non mi abbia affascinata con quella grazia e leggerezza già scorta in Baby Driver, o che Rachel Zegler non mi abbia incantata con la sua splendida voce, ma Ariana DeBose nei panni di Anita ha un'energia e un carisma tali da eclissare tutti quelli che la circondano, sia nel ballo che nella recitazione, e lo stesso vale per il Bernardo di David Alvarez, anche se forse lui a tratti l'ho trovato un po' troppo legato a uno stereotipo, a un cliché. Onestamente, non so dire se West Side Story possa piacere ai fan duri e puri; parlando solo per me, mi è piaciuto con riserva, nel senso che speravo di emozionarmi molto di più, invece mi sono ritrovata parecchie volte nell'impossibilità di empatizzare con i due protagonisti, ma nulla da dire su tutto ciò che riguarda il comparto tecnico, musicale e coreografico, il film in questo caso vale sicuramente una visione!


Del regista Steven Spielberg ho già parlato QUI. Ansel Elgort (Tony) e Corey Stoll (Luogotenente Schrank) li trovate invece ai rispettivi link.

Rita Moreno interpreta Valentina. Portoricana, ha partecipato al West Side Story originale nei panni di Anita, vincendo un Oscar come migliore attrice non protagonista, inoltre ha lavorato in film come Cantando sotto la pioggia, Il re ed io, Conoscenza carnale e serie quali Love Boat, I Robinson, Miami Vice, La tata e Grey's Anatomy; come doppiatrice ha partecipato alle serie Raw Toonage, Bonkers, Capitan Planet e Che fine ha fatto Carmen Sandiego?. Anche produttrice, ha 71 anni e un film in uscita. 


Se West Side Story vi fosse piaciuto, recuperate la versione di Jerome Robbins e Robert Wise, cosa che spero di riuscire a fare anche io in tempi brevi. ENJOY!