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venerdì 28 aprile 2023
La casa - Il risveglio del male (2023)
mercoledì 26 aprile 2023
L'esorcista del papa (2023)
venerdì 21 aprile 2023
Air - La storia del grande salto (2023)
Stavo quasi per perderlo, poi le recensioni entusiaste mi hanno convinta ad andare a vedere Air - La storia del grande salto (Air), diretto dal regista Ben Affleck.
Trama: Sonny Vaccaro, consulente della divisione basket di una Nike in crisi, cerca di assicurarsi Michael Jordan come volto per promuovere una nuova linea di scarpe...
Il motivo per cui stavo quasi per snobbare Air risiede nel mio atavico disinteresse verso ogni cosa che sia anche solo lontanamente legata allo sport; in particolare, di basket so solo che, da ragazzina, mi piacevano i cappellini della NBA per i colori sgargianti delle squadre e che Michael Jordan ha partecipato a Space Jam, quindi il mio terrore era quello di non capire una mazza del film e di farmi due palle cubiche. Poi hanno cominciato ad arrivare le prime recensioni positive e la quasi unanime consacrazione di Air a film da recuperare assolutamente, quindi, contando anche che al Bolluomo il basket piace, ho colto la palla al balzo per passare la domenica sera in sala. Finita la visione, sono stata molto contenta di guardare Air. Il film, co-sceneggiato dallo stesso Ben Affleck e da Matt Damon, nonostante i due non siano citati come sceneggiatori nei credits, è il classico "drama" USA in cui il destino di un'azienda e di tutti quelli che ci lavorano è affidato al carisma di una sola persona, che si fa carico di un compito apparentemente impossibile da portare a termine mentre chi lo circonda, alternativamente, lo aiuta o gli mette i bastoni tra le ruote. Nel caso in questione, Air racconta la storia "vera" di Sonny Vaccaro, il quale, per evitare il tracollo di una Nike che negli anni '80 rischiava il fallimento, ha puntato tutto su un promettente giocatore di basket di nome Michael Jordan, già all'epoca conteso da Adidas e Converse ma non ancora diventato la stella di fama mondiale che conoscono persino le capre come me. Detto questo, Air non deve però venire considerato una celebrazione di Vaccaro, della Nike o di Jordan (il quale non viene quasi mai inquadrato, se non di spalle, o mostrato in poche immagini d'archivio; al limite, la celebrazione viene riservata a Deloris Jordan, dipinta come donna di raro acume ed intelligenza, oltre ad avere fiuto per gli affari), quanto piuttosto la fotografia di un sogno americano appoggiato sulle fragilissime spalle di scommesse più o meno rischiose, dove contano sì il carisma e la capacità di capire come sta girando il vento, ma soprattutto contano le botte di culo, e se non arrivano la conseguenza è la distruzione di vite e famiglie, sacrificate al dio denaro e al capitalismo, o ai capricci di un ragazzino che vuole una Mercedes rossa, se per questo.
Lapalissiano, in tal senso, è il bellissimo, commovente monologo pronunciato da Matt Damon per convincere Jordan a dare una chance alla Nike, interamente imperniato sul coraggio necessario a compiere il "grande salto" del titolo italiano, sulla forza indispensabile per sopportare i dolori che, inevitabilmente, verranno con le gioie, perché il rischio è quello che abbiano un peso identico se non addirittura maggiore; e altrettanto bella, a mio avviso, è l'inquadratura che, all'improvviso, si apre a mostrare per intero l'open space di cui gli uffici di Sonny e Rob Strasser sono solo una piccola parte, quella parte su cui, fino a quel momento, si sono inevitabilmente concentrate le attenzioni dello spettatore, dimentico (come del resto Sonny) della presenza di altre persone destinate a venire pesantemente influenzate dall'esito della scommessa di Vaccaro, collateral damages i cui nomi non verranno ricordati come quello di Jordan, certo, ma che sono stati comunque indispensabili per consacrarlo alla gloria imperitura. Questi, a mio avviso, sono i picchi più alti di un film ben scritto, ben diretto da un Ben Affleck sempre più sicuro dietro la macchina da presa (e più valido come regista che come attore, ma questa ormai sembra quasi una banalità da scrivere) e arricchito dal cast delle grandi occasioni. Senza nulla togliere a Matt Damon, assai bravo a reggere il film come protagonista, i miei preferiti sono Viola Davis, che spicca nei panni di una Deloris Jordan intensa ed elegante, Jason Bateman, il quale si conferma uno degli attori più versatili della sua generazione, e Chris Messina, volgarissima ed esagitata fonte delle poche ma sentite risate che mi sono fatta guardando Air. Personalmente, non lo considero il film dell'anno, ma è comunque una pellicola bella ed interessante, che merita di essere vista. Non perdetelo!
Del regista Ben Affleck, che interpreta anche Phil Knight, ho già parlato QUI. Matt Damon (Sonny Vaccaro), Jason Bateman (Rob Strasser), Chris Messina (David Falk), Viola Davis (Deloris Jordan), Chris Tucker (Howard White) e Marlon Wayans (George Raveling) li trovate invece ai rispettivi link.
Nel cast ciccia fuori un altro degli Skarsgård, Gustaf, che nel film interpreta Horst Dassler. Julius Tennon, che interpreta il padre di Jordan, è il marito di Viola Davis anche nella realtà. Se Air vi fosse piaciuto recuperate La grande scommessa. ENJOY!
mercoledì 19 aprile 2023
Project Wolf Hunting (2022)
martedì 18 aprile 2023
I tre moschettieri - D'Artagnan (2023)
Ormai ho quasi 42 anni, sono una vecchia signora sensibile al fascino maschile, come potevo non correre a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan (Les trois mousquetaires: D'Artagnan), diretto dal regista Martin Bourboulon?
Trama: in una Francia dilaniata dai conflitti religiosi, il giovane guascone D'Artagnan si reca a Parigi per entrare nel corpo dei Moschettieri e, dopo aver fatto amicizia con Athos, Porthos e Aramis, rimane coinvolto negli intrighi di Milady e Richelieu ai danni della Regina...
Penso di averlo già scritto altrove ma ADORO I tre moschettieri in ogni sua forma, forse a causa di un distorto amore verso i feuilettons francesi inculcatomi da Ryoko Ikeda e dal suo meraviglioso Versailles no bara. Qualsiasi versione della storia scritta da Alexandre Dumas è per me come un tonificante sorso di acqua fresca, che si tratti della pagliacciata all star targata Disney, dell'anime che guardavamo da bambini, della tamarrata realizzata da Anderson, della Maschera di Ferro di DiCapriana memoria (insomma, pick your poison), e la guarderò sempre con un'indulgenza e una gioia bambinesca che non riserverei a nessun'altra opera. Ammetto, però, di essere partita prevenuta con il film di Bourboulon, nonostante un trailer che mi schiaffava lì Cassel nei panni di un invecchiato (bene) e affascinante Athos, e di essermi recata al cinema pronta a venire colpita in fronte da una sòla, salvo poi ricredermi durante la visione: I tre moschettieri - D'Artagnan è veramente un bel film, se piace il genere, ovviamente. Rispetto ai suoi predecessori, I tre moschettieri è maggiormente contestualizzato a livello storico e fa dello scontro tra cattolici e protestanti che funestava la Francia verso la metà del secolo XVII uno degli elementi principali della trama, punto di partenza di buona parte degli intrighi che vedono coinvolti, loro malgrado, i tre moschettieri e D'Artagnan. La sceneggiatura mantiene inalterate le personalità dei protagonisti principali (e conferisce ad Aramis un interessantissimo gusto per l'iconoclastia!) e gli episodi più conosciuti dell'opera letteraria, come il triplo duello e il recupero della collana data in pegno a Buckingham, ma aggiunge anche un paio di eventi inventati di sana pianta che collegano Athos ai protestanti e trasformano parte del film in un "giallo" anche abbastanza sanguinoso e macabro; Rochefort quasi scompare e, mentre Richelieu rimane un po' sullo sfondo come eminenza grigia poco utilizzata, il Re Luigi XIII acquista maggiore personalità, cosa che lo eleva dal rango di semplice cartonato in guisa di sovrano annoiato, pur confermandosi sostanzialmente inetto, vittima dei raggiri di Richelieu e delle corna impostegli dalla Regina.
Il cast, secondo me, è azzeccatissimo ed affiatato. Tolto che I tre moschettieri è un film che bisognerebbe andare a vedere in gruppi di donne nonostante la presenza della divina Eva Green, perché c'è un parterre di figonzi che raramente si riscontra nei film d'oltralpe (Cassel, va bene, ma D'Artagnan non fa per nulla schifo e non parliamo poi di Aramis, Buckingham e persino Porthos, che in questa versione apprezza molto il cibo e le donne, come da copione, ma non disdegna neppure i bei fanciulli, attenzione!), ogni singolo attore mi è sembrato molto in parte e convinto del proprio ruolo, perfettamente in equilibrio, come del resto l'intera pellicola, tra momenti di serietà e altri di lieve o macabra ironia. La regia di Martin Bourboulon fa il suo senza particolari guizzi e le scene di azione e combattimento risultano fluide e chiare anche grazie al montaggio, mentre svettano invece il comparto costumi e scenografie; la divisa dei moschettieri è un giusto mix di elementi tradizionali e particolari più "selvaggi", che sottolineano la natura scapestrata e borderline dell'intero corpo, in contrasto con i soldati di Richelieu, ma gli abiti che vengono mostrati durante la festa al palazzo di Buckingham sono una gioia per gli occhi e quelli indossati da Eva Green li vorrei nel mio armadio, senza se e senza ma. L'unica nota veramente negativa de I tre moschettieri, oltre al fatto che dovrò aspettare fino a dicembre per vedere il seguito, I tre moschettieri - Milady, è l'orribile fotografia, scurissima nelle scene notturne, al punto che risulta difficile vedere qualcosa, e nebbiosa, quasi sfocata, nelle scene diurne. Purtroppo, il direttore della fotografia Nicolas Bolduc figura come coinvolto anche nel prossimo film, ma pazienza, non è un difetto così grande da inficiare l'intera operazione. Se non riuscite ad andare a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan al cinema, quindi, non disperate perché avete tutto il tempo di recuperarlo prima che arrivi dicembre ma fatelo, datemi retta, non ve ne pentirete!
Di Vincent Cassel (Athos), Eva Green (Milady), Louis Garrel (Luigi XIII) e Vicky Krieps (Anna d'Austria) ho già parlato ai rispettivi link.
Martin Bourboulon è il regista della pellicola. Francese, ha diretto film come O mamma o papà ed Eiffel. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni e un film in uscita, I tre moschettieri - Milady.
L'amatissimo Oliver Jackson-Cohen era stato scelto per interpretare Buckingham ma ha dovuto rinunciare per impegni pregressi. Il padre del regista era uno dei produttori del film Eloise, la figlia di d'Artagnan, e una visita al set di un Martin Bourboulon quattordicenne è stato uno dei motivi che lo ha spinto ha realizzare questo film. Nell'attesa che esca I tre moschettieri - Milady, se I tre moschettieri - D'Artagnan vi fosse piaciuto recuperate I duellanti (a noleggio su Prime Video), I tre moschettieri di Stephen Herek (su Disney +), La maschera di ferro e I tre moschettieri di Paul W. S. Anderson (gratis su Rai Play). ENJOY!
venerdì 14 aprile 2023
Living with Chucky (2022)
mercoledì 12 aprile 2023
Nati con la camicia (1983)
Siccome un po' di tempo fa mi è capitato di vedere in TV Porgi l'altra guancia, mi sono resa conto che non guardavo seriamente un film con Bud Spencer e Terence Hill dal almeno 20 anni e, dato che era disponibile su Netflix, ho deciso di riguardare Nati con la camicia, diretto da E.B. Clucher nel 1983.
Trama: un'ex galeotto e un ventriloquo vengono scambiati per due super spie e ingaggiati dalla CIA per sconfiggere un criminale che vorrebbe distruggere il mondo...
A 42 anni suonati, posso dire che i film di Bud Spencer e Terence Hill sono l'unica certezza che ho, granitica ed immutabile. Non importa se sono passati decenni da quando, bambina, mi sbellicavo dalle risate in braccio a mio padre guardandoli, mi fanno sempre lo stesso effetto e sono una piccola scintilla di gioia in grado di ravvivare anche le giornate più buie. Nati con la camicia, di cui pure ricordavo poche sequenze e battute rispetto agli altri film del duo, non fa eccezione. La trama si sviluppa dal più classico e "budspencereterencehilliano" dei pretesti, ovvero quando due scappati di casa (Bud ex galeotto appena uscito di prigione e Terence vagabondo ventriloquo) vengono scambiati prima per dei ladri ricercati da tempo e poi, proprio per scappare da queste accuse infamanti, vengono presi per due infallibili super spie e trascinati di peso nelle trame della CIA, costretti a smascherare e sconfiggere un supervillain dal sapore Bondiano. E Bondiana è, per l'appunto, tutta la struttura parodica che regge il film. Una volta accettato di fare buon viso a cattivo gioco per amore di un milione di dollari, Bud e Terence vengono dotati di tutta una serie di accessori di lusso indispensabili per il mondo delle spie, di una macchina talmente accessoriata (nonché tamarrissima) da fare invidia all'Ispettore Gadget, e costretti ad affrontare vari scagnozzi dall'aspetto e dall'accento esotici, oltre a ritrovarsi bloccati in ambienti fantascientifici che, a un certo punto, fanno virare il film verso la direzione del nonsense più totale. Non che questo sia un difetto, beninteso. Anzi, Nati con la camicia sembra proprio voler puntare all'esagerazione crescente, quasi a voler sottolineare come la vita dei due poveri buzzurri Doug e Rosco, fatta di espedienti e scazzottate, sia normalissima e spartana in confronto al mondo "altro" delle superspie Steinberg e Mason (che, per inciso, non vengono mai mostrati); nonostante ciò, questo mondo bizzarro e "superiore" viene spesso messo in ridicolo dal semplice buonsenso dei nostri, ai quali bastano un po' di astuzia e faccia tosta per smascherare la cortina di fumo che cela funzionari pasticcioni (la gag del "Potreste non scriverlo nel rapporto?" è esilarante) e cattivoni da operetta, costretti a soccombere davanti al cervello e, soprattutto, ai pugni dei due agenti per caso.
A proposito di pugni, sapete benissimo che io ADORO le scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill, è una passione che ho fin da piccola e che già all'epoca mi portava a non aspettare altro che quelle. Quindi è con un po' di delusione che mi tocca sottolineare come Nati con la camicia non sia particolarmente zeppo di pestaggi, anzi, passa anche troppo tempo tra una scazzottata e l'altra. Certo, il film in questione conta una delle scene più iconiche tra quelle aventi Bud Spencer come protagonista, ovvero quella in cui con un "guarda là" e un perfetto gesto dell'ombrello fa fesso il quartetto di "cinesi" mandati ad ucciderlo, ma giustamente Clucher aveva probabilmente per le mani il budget delle grandi occasioni e ha preferito puntare su inseguimenti in auto, lussuosi hotel, panoramiche di Miami e grandi navi da crociera, oltre a un paio di terrificanti capi d'abbigliamento da far indossare ai due protagonisti. A proposito di abbigliamento, il film è del1983 e un paio di cose a cui, ovviamente, non avevo fatto caso da bambina mi hanno letteralmente agghiacciata. Bud Spencer per metà film porta un berretto in testa con su scritto "Kiss me, I'm black" (tradotto in uno dei dialoghi come "Baciatemi, sono ne*ro") e l'intera sequenza in cui, con l'ausilio di un filtro d'amore, l'integerrima segretaria del capo della CIA viene ridotta a una cutrettola sognante dopo essere stata presa in giro dagli uomini in quanto "quella non sa nemmeno cos'è il sesso", vista al giorno d'oggi raggiunge livelli di cringe altissimo. Per fortuna, l'enorme simpatia di Bud e Terence e la loro enorme alchimia compensano ampiamente, e lo stesso vale per la gradevolissima colonna sonora di Franco Micalizzi, che acquista punti in più in quanto autore anche della sigla di Lupin III cantata da Castellina Pasi. Vedete quanto è piccolo il mondo delle cose belle bellissime e quanto fa bene, ogni tanto, ricordarci della loro esistenza?
Di Bud Spencer, che interpreta Doug O'Riordan/Mason, ho già parlato QUI mentre David Huddleston, che interpreta Tigre, lo trovate QUA.
E.B. Clucher (vero nome Enzo Barboni) è il regista della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come Lo chiamavano Trinità..., Continuavano a chiamarlo Trinità, Anche gli angeli mangiano fagioli, I due superpiedi quasi piatti, Non c'è due senza quattro e Renegade, un osso troppo duro. Anche direttore della fotografia e sceneggiatore, è morto all'età di 79 anni.
Se Nati con la camicia vi fosse piaciuto, avete da sbizzarrirvi con la filmografia di Bud Spencer e Terence Hill, ovviamente! ENJOY!
martedì 11 aprile 2023
Huesera (2022)
Mi ha fatta un po' penare per quanto riguarda la reperibilità ma mi ci sono incaponita perché volevo vederlo da mesi e, finalmente, sono riuscita a guardare Huesera, diretto e co-sceneggiato nel 2022 dalla regista Michelle Garza Cervera.
Trama: Valeria e il marito Raúl stanno cercando di avere un figlio e, quando Vero rimane incinta, sono entrambi al settimo cielo, almeno finché la ragazza comincia a venire perseguitata da una strana entità.
A leggere la trama di Huesera verrebbe da pensare al tipico horror a base di donne incinte e demoni pronti a possedere loro o il figlio che portano in grembo ma posso già assicurarvi, senza alcun ausilio di spoiler, che il film diretto e co-sceneggiato da Michelle Garza Cervera è molto più complesso ed interessante di così. Huesera sfrutta l'elemento horror per raccontare una condizione di disagio comune e, ahimé, reiterata dalla società "moderna", che è propria di chi è nato donna, ovvero quella terribile, insistente pressione sociale che ci vorrebbe tutte accasate e figliate in un lasso di tempo che copra, preferibilmente, dai 25 ai 30 anni, ché dopo si è già vecchie. Valeria è sposata con Raul e i due, a coronamento di una vita familiare perfetta, stanno cercando di avere un figlio (il primo amplesso mostrato tra i due è di rara tristezza, ed è un necessario metro di giudizio, oltre che una chiave di interpretazione fondamentale, per tutto ciò che verrà dopo); quando Valeria rimane incinta, la ragazza sembrerebbe al culmine della felicità, non fosse per delle terribili visioni legate a "qualcosa" che comincia a perseguitarla e privarla della tranquillità, una creatura fatta di ossa scrocchianti e in grado di piegarsi ad angoli impossibili, che nessun altro, a parte lei, è in grado di vedere o percepire. La cosa interessante di Huesera è vedere come al progressivo disagio mentale di Valeria si accompagni il "naturale" disagio fisico di chi subisce i cambiamenti indotti dalla gravidanza, qualcosa che trasforma completamente una donna e che non necessariamente chiunque vive come una gioia, anzi; l'altra cosa interessante è vedere come la metaforica diga mentale eretta da Valeria per conformarsi alla società e ai desideri di una famiglia già privata del primogenito maschio (e che, probabilmente, da lei si è sempre aspettata ben poco, come si evince dai dialoghi al vetriolo che si scambiano i personaggi), ceda a poco a poco per rivelare una persona completamente diversa dalla protagonista introdotta dalle prime sequenze, un nucleo di caos ed indipendenza costretto all'interno di limiti imposti o indotti, che preme, letteralmente, per tornare a reclamare il posto che gli è stato sottratto.
Sia dietro la macchina da presa che alla sceneggiatura, Michelle Garza Cervera imprime alla pellicola una forte personalità "nazionale" che allontana Huesera dai modelli dell'horror americano pur appropriandosi di alcuni elementi formali tipici del genere. Il folklore del Messico, la commistione totale di elementi cattolici e riti pagani, si fa sentire fin dalle prime sequenze, per poi deflagrare nel cupo, affascinante rito con cui Valeria cerca di liberarsi di ciò che la perseguita, un insieme di scene terrificanti e interessanti in egual misura, dove si erge a protagonista non solo un mondo "altro", ma anche un gruppo sociale fatto di persone considerate diverse e in qualche modo "mancanti", eppure necessarie in virtù della loro empatia ed apertura mentale, indispensabili per capire e contrastare ciò che chi è normale fatica a vedere. L'orrore, a tal proposito, in Huesera non viene mai dissimulato, al contrario, la Cervera confeziona scene abbastanza raccapriccianti e momenti in cui l'inquietudine la fa da padrone. Nonostante questo, ciò che mi ha colpita maggiormente guardando il film non è tanto l'orrore "fantastico", quando piuttosto quello verosimile, dipinto negli occhi di una ragazza che si vede ridurre a mera incubatrice inaffidabile, a madre depersonalizzata prima ancora di mettere al mondo un figlio, circondata da persone (l'amorevole maritino in primis, ma anche la suocera, la sorella pronta a difendere quei due figli mostruosi che si ritrova e persino la mamma di Valeria) preoccupate non tanto per la sua salute, quanto che il deterioramento di quest'ultima causi danno al bambino. Non dovrebbero servire horror come questi per aprire un po' gli occhi, ma magari guardatelo comunque che male non fa, e ricordatevi che le mamme, anche quelle che lo sono da poco, sono sempre esseri umani senzienti ed indipendenti, ai quali fa piacere sentirsi sinceramente chiedere "come stai?", non "come state?", come se non potessero scindersi dal figlio neonato.
Michelle Garza Cervera è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Messicana, ha partecipato all'antologia México Bárbaro II. Anche produttrice, ha 36 anni.