Visualizzazione post con etichetta louis garrel. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta louis garrel. Mostra tutti i post

mercoledì 21 febbraio 2024

I tre moschettieri - Milady (2023)

Una pausa dalla Road to the Oscars ci vuole e un film come I tre moschettieri - Milady (Les Trois Mousquetaires: Milady), diretto nel 2023 dal regista Martin Bourboulon, è l'ideale!


Trama: dopo l'agguato subito davanti a casa, D'Artagnan si mette alla ricerca di Constance, in mano a rapitori sconosciuti. L'incontro con una rediviva Milady e l'esacerbarsi delle tensioni tra cattolici e protestanti complicano ancora di più le cose, per tutti i Moschettieri...


L'anno scorso ero rimasta con un palmo di naso davanti alla conclusione de I tre moschettieri - D'Artagnan, disperata all'idea di dover aspettare mesi per poter vedere la fine della saga. Quest'anno sono rimasta ancora più di tolla, perché (confermando la natura "maledetta" del popolo francese in generale) non solo I tre moschettieri - Milady ha un finale apertissimo, ma non c'è nessuna notizia di un terzo capitolo, anzi, pare che i realizzatori vogliano dedicarsi a riadattare Il conte di Montecristo. Ciò mi fa abbastanza girare le scatole, perché, se D'Artagnan era stata una bella sorpresa, con tutti gli ovvi limiti del caso, Milady sa molto di lavoro frettoloso, realizzato per dare un minimo di chiusa a una saga pur lasciando tantissimi spunti in sospeso e, soprattutto, con poca attenzione alla psicologia dei personaggi. In particolare, la Milady del titolo viene gestita in maniera pessima, a parer mio. Intrigante spia con un debole per il guascone D'Artagnan nelle prime sequenze del film, elegantissima amica-nemica dal fascino pericoloso, col proseguire della storia la donna assume sfumature sempre più cupe, legate principalmente al triste passato condiviso con Athos (non spiegato proprio benissimo né nel primo film né in questo, tanto che a un certo punto non si capisce più bene perché Milady detesti il moschettiere visto che lui pare devastato dal dolore e dall'aMMore, salvo poi dimenticarsene nell'ultimo atto); verso il finale, la sceneggiatura parrebbe tratteggiarla come un'antieroina femminista, in giusta lotta contro un mondo di uomini che l'hanno privata della libertà e della dignità senza mai neppure provare a capirla, ma il grado di menefreghismo col quale affronta l'unico, vero colpo di scena del film sconfessa interamente quest'interpretazione, relegandola al ruolo di pazza furiosa il cui unico scopo è vedere morto D'Artagnan. Va bene tutto, ma la pagina di Wikipedia dedicata al personaggio letterario è più comprensibile e meno superficiale, giuro. L'altra mossa poco accorta, per non dire cretina, è stata introdurre il personaggio del moschettiere di colore, Hannibal, in guisa di potentissimo deus ex machina con la personalità di un Gary Stu qualsiasi, solo perché su di lui verrà basata, a quanto pare, un'intera serie. Forse, solo forse, era meglio dare più spazio a Porthos e Aramis o a Richelieu visto che i primi due vengono usati come comic relief e il secondo, pur avendo più screentime rispetto al capitolo precedente, continua ad avere il carisma di un tizio lasciato a frollare su una croce e dimenticato lì (altro momento abbastanza cringe del film. Vedere per credere)?


Se non altro, e per fortuna, i moschettieri mantengono inalterate le personalità del primo film e sono sempre un bel vedere, soprattutto Athos ed Aramis, cosa che riconferma la natura prettamente "per pubblico femminile" di un film dove i begli attori si sprecano, senza nulla togliere ad una Eva Green talmente sensuale e strizzata all'interno di bustini pornografici che la mia eterosessualità ha rischiato di vacillare più volte (peccato per le parrucchette inguardabili e quei travestimenti imbarazzanti. No.). Però, signori miei, saremo anche donne ma ESIGIAMO scontri all'arma bianca fatti come si deve, per la miseria! Bourboulon, invece, stavolta ha deciso di realizzare in fretta e furia anche quelli, forse perché i due film sono stati girati uno dopo l'altro e il regista era stanco, tanto che durante i duelli e le battaglie non si capisce una mazza; la macchina da presa sembra sempre un po' in ritardo rispetto ai movimenti degli attori, incapace di seguirli, e il montaggio aiuta ben poco. Un po' meglio le riprese in campo lungo, con un paio di paesaggi ed ambienti mozzafiato, peccato per la fotografia di Nicolas Bolduc, brutta, fosca e grigiastra come quella del film precedente. Se dovessero girare un terzo capitolo spero vivamente che costui non sia della partita, perché a un certo punto mi bruciavano gli occhi. E nonostante quello che ho scritto, incrocio le dita perché un terzo capitolo ci sia (ovviamente con lo stesso cast altrimenti viene meno l'interesse principale, ehm, ehm...) e affinché una pausa sia ciò che serve a sceneggiatori e realizzatori per aggiustare un po' il tiro ed essere meno frettolosi a livello di sceneggiatura. La saga ha parecchie potenzialità, basterebbe avere la capacità di sfruttarle al meglio! 


Del regista Martin Bourboulon ho già parlato QUIFrançois Civil (D'Artagnan), Vincent Cassel (Athos), Eva Green (Milady), Louis Garrel (Luigi XIII) e Vicky Krieps (Anna d'Austria) li trovate invece ai rispettivi link.


Ralph Amoussou,
che interpreta Hannibal, aveva partecipato alla serie Marianne e al nostrano Diaz mentre Camille Rutherford, ovvero Mathilde, è la studentessa che intervista la protagonista in Anatomia di una caduta. Se I tre moschettieri - Milady vi fosse piaciuto recuperate il precedente I tre moschettieri - D'Artagnan e aggiungete I duellanti, I tre moschettieri di Stephen HerekLa maschera di ferro I tre moschettieri di Paul W. S. Anderson. ENJOY!

martedì 18 aprile 2023

I tre moschettieri - D'Artagnan (2023)

Ormai ho quasi 42 anni, sono una vecchia signora sensibile al fascino maschile, come potevo non correre a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan (Les trois mousquetaires: D'Artagnan), diretto dal regista Martin Bourboulon?


Trama: in una Francia dilaniata dai conflitti religiosi, il giovane guascone D'Artagnan si reca a Parigi per entrare nel corpo dei Moschettieri e, dopo aver fatto amicizia con Athos, Porthos e Aramis, rimane coinvolto negli intrighi di Milady e Richelieu ai danni della Regina...


Penso di averlo già scritto altrove ma ADORO I tre moschettieri in ogni sua forma, forse a causa di un distorto amore verso i feuilettons francesi inculcatomi da Ryoko Ikeda e dal suo meraviglioso Versailles no bara. Qualsiasi versione della storia scritta da Alexandre Dumas è per me come un tonificante sorso di acqua fresca, che si tratti della pagliacciata all star targata Disney, dell'anime che guardavamo da bambini, della tamarrata realizzata da Anderson, della Maschera di Ferro di DiCapriana memoria (insomma, pick your poison), e la guarderò sempre con un'indulgenza e una gioia bambinesca che non riserverei a nessun'altra opera. Ammetto, però, di essere partita prevenuta con il film di Bourboulon, nonostante un trailer che mi schiaffava lì Cassel nei panni di un invecchiato (bene) e affascinante Athos, e di essermi recata al cinema pronta a venire colpita in fronte da una sòla, salvo poi ricredermi durante la visione: I tre moschettieri - D'Artagnan è veramente un bel film, se piace il genere, ovviamente. Rispetto ai suoi predecessori, I tre moschettieri è maggiormente contestualizzato a livello storico e fa dello scontro tra cattolici e protestanti che funestava la Francia verso la metà del secolo XVII uno degli elementi principali della trama, punto di partenza di buona parte degli intrighi che vedono coinvolti, loro malgrado, i tre moschettieri e D'Artagnan. La sceneggiatura mantiene inalterate le personalità dei protagonisti principali (e conferisce ad Aramis un interessantissimo gusto per l'iconoclastia!) e gli episodi più conosciuti dell'opera letteraria, come il triplo duello e il recupero della collana data in pegno a Buckingham, ma aggiunge anche un paio di eventi inventati di sana pianta che collegano Athos ai protestanti e trasformano parte del film in un "giallo" anche abbastanza sanguinoso e macabro; Rochefort quasi scompare e, mentre Richelieu rimane un po' sullo sfondo come eminenza grigia poco utilizzata, il Re Luigi XIII acquista maggiore personalità, cosa che lo eleva dal rango di semplice cartonato in guisa di sovrano annoiato, pur confermandosi sostanzialmente inetto, vittima dei raggiri di Richelieu e delle corna impostegli dalla Regina.     


Il cast, secondo me, è azzeccatissimo ed affiatato. Tolto che I tre moschettieri è un film che bisognerebbe andare a vedere in gruppi di donne nonostante la presenza della divina Eva Green, perché c'è un parterre di figonzi che raramente si riscontra nei film d'oltralpe (Cassel, va bene, ma D'Artagnan non fa per nulla schifo e non parliamo poi di Aramis, Buckingham e persino Porthos, che in questa versione apprezza molto il cibo e le donne, come da copione, ma non disdegna neppure i bei fanciulli, attenzione!), ogni singolo attore mi è sembrato molto in parte e convinto del proprio ruolo, perfettamente in equilibrio, come del resto l'intera pellicola, tra momenti di serietà e altri di lieve o macabra ironia. La regia di Martin Bourboulon fa il suo senza particolari guizzi e le scene di azione e combattimento risultano fluide e chiare anche grazie al montaggio, mentre svettano invece il comparto costumi e scenografie; la divisa dei moschettieri è un giusto mix di elementi tradizionali e particolari più "selvaggi", che sottolineano la natura scapestrata e borderline dell'intero corpo, in contrasto con i soldati di Richelieu, ma gli abiti che vengono mostrati durante la festa al palazzo di Buckingham sono una gioia per gli occhi e quelli indossati da Eva Green li vorrei nel mio armadio, senza se e senza ma. L'unica nota veramente negativa de I tre moschettieri, oltre al fatto che dovrò aspettare fino a dicembre per vedere il seguito, I tre moschettieri - Milady, è l'orribile fotografia, scurissima nelle scene notturne, al punto che risulta difficile vedere qualcosa, e nebbiosa, quasi sfocata, nelle scene diurne. Purtroppo, il direttore della fotografia Nicolas Bolduc figura come coinvolto anche nel prossimo film, ma pazienza, non è un difetto così grande da inficiare l'intera operazione. Se non riuscite ad andare a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan al cinema, quindi, non disperate perché avete tutto il tempo di recuperarlo prima che arrivi dicembre ma fatelo, datemi retta, non ve ne pentirete!


Di Vincent Cassel (Athos), Eva Green (Milady), Louis Garrel (Luigi XIII) e Vicky Krieps (Anna d'Austria) ho già parlato ai rispettivi link.

Martin Bourboulon è il regista della pellicola. Francese, ha diretto film come O mamma o papà ed Eiffel. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni e un film in uscita, I tre moschettieri - Milady.


François Civil
interpreta D'Artagnan. Francese, ha partecipato a film come Frank e Necropolis - La città dei morti. Ha 33 anni e tre film in uscita tra cui, ovviamente, I tre moschettieri - Milady.


L'amatissimo Oliver Jackson-Cohen era stato scelto per interpretare Buckingham ma ha dovuto rinunciare per impegni pregressi. Il padre del regista era uno dei produttori del film Eloise, la figlia di d'Artagnan, e una visita al set di un Martin Bourboulon quattordicenne è stato uno dei motivi che lo ha spinto ha realizzare questo film. Nell'attesa che esca I tre moschettieri - Milady, se I tre moschettieri - D'Artagnan vi fosse piaciuto recuperate I duellanti (a noleggio su Prime Video), I tre moschettieri di Stephen Herek (su Disney +), La maschera di ferro I tre moschettieri di Paul W. S. Anderson (gratis su Rai Play). ENJOY!


venerdì 17 gennaio 2020

Piccole donne (2019)

Potevo perdermi un adattamento degli adorati romanzi di Louisa May Alcott? Assolutamente no! Così, martedì sono andata a vedere Piccole Donne (Little Women), diretto e sceneggiato dalla regista Greta Gerwig e candidato a sei premi Oscar: Miglior Film, Miglior Attrice Protagonista (Saoirse Ronan), Miglior Attrice Non Protagonista (Florence Pugh), Miglior Sceneggiatura Non Originale, Migliori Costumi e Miglior Colonna Sonora.


Trama: Jo March, lontana dalla famiglia e impegnata a farsi una carriera come scrittrice, ricorda i momenti salienti della sua adolescenza con le sorelle Meg, Beth e Amy e con l'amico Laurie.


Perdonatemi se comincio con una citazione vile: "Una per tutte, tutte per una, vieni anche tu e saremo una in più". L'una in più è l'adorabile Greta Gerwig, pronta ad aggiungere alle mille incarnazioni delle Piccole donne della Alcott la sua visione particolare e moderna, capace di spiccare tra le altre senza snaturare la natura di un'opera amatissima e conosciuta in tutto il mondo. Piccole donne non così piccine, le sue, dotate di una forza d'animo incredibile e della capacità di inseguire i loro sogni all'interno di una società in cui, tra guerre, povertà e maschilismo imperante, è anche troppo facile perderli o convincersi della loro ininfluenza. Sogni, peraltro, che non potrebbero essere più diversi tra loro e che, in buona parte, sono lontani dall'idea romantica che ci si aspetterebbe da una storia ambientata nella metà dell'ottocento, declamati a gran voce nel corso di alcuni dialoghi che contribuiscono a mostrare le eroine della Alcott sotto una nuova luce che potrebbe tranquillamente riassumersi con "money makes the world go round". E così Jo diventa moderna imprenditrice di se stessa, ironica proprietaria di personaggi da piegare consapevolmente alle regole dell'entertainment in un prefinale talmente witty e cinematograficamente teatrale che l'Academy dovrebbe vergognarsi per non aver candidato la Gerwig nella rosa di registi; Amy, la sciocca, frivola Amy, qui diventa l'ultimo baluardo contro la potenziale indigenza della famiglia, riuscendo a conciliare con inaspettato acume amore, sì, ma anche interesse, mettendo da parte i suoi infantili sogni di gloria con una lucidità invidiabile (e che rimarca, tristemente, la condizione della donna a quei tempi); Meg, pur comprendendo le regole del gioco, sceglie di ignorarle per amore, rinunciando a tutto ciò che, nel corso del film, le è stato agitato sotto il naso, divertimenti ed agiatezze in primis; Beth, la piccola, fragile Beth, immola se stessa per amor della famiglia e del prossimo, rimanendo cristallizzata in un eterno ricordo di innocente perfezione che funge da parametro morale per il resto delle sorelle e da costante fonte di ispirazione. Attorno a questi quattro personaggi indimenticabili, una ridda di comprimari altrettanto interessanti, ognuno caratterizzato alla perfezione anche solo grazie a piccoli gesti rivelatori (ciao Marmee, sì, sto parlando di te) e ognuno aspetto di un diverso frammento di realtà sociale con il quale le piccole donne dovranno necessariamente confrontarsi per crescere e maturare, tra piccoli, fondamentali successi e grandi sconfitte.


Greta Gerwig si approccia ai romanzi della Alcott cominciando in medias res, quando Jo è a New York e la famiglia si è già dispersa per il mondo e ricostruisce, a poco a poco, l'unità di un idillio familiare interamente (o quasi) femminile attraverso fondamentali memorie in cui sono gioia ed unità, a prescindere dalle circostanze, a farla da padrone; lo si capisce anche solo dalla fotografia, vivida e colorata, in contrasto con un presente fatto di toni neutri o cupi, soprattutto quando la salute di Beth comincia a scivolare via dalle dita di Jo e tutto sembra farsi incolore (e quanto è bella quell'inquadratura al mare, con la sabbia che viene portata via dalla marea che Jo cerca disperatamente di fermare?), tutto tranne le immagini girate dalla Gerwig, rese ancora più belle da un montaggio intelligente. Quanto al casting, abbiamo scelte di prim'ordine. Tra le personalissime note negative segnerei giusto Emma Watson, dal visetto troppo giovane per il ruolo di moglie e madre, è lì per lì avrei storto il naso anche davanti a Chalamet ma, riflettendoci, l'attore è perfetto per incarnare il ruolo di un Laurie particolarmente debosciato, decadente ed immaturo, tanto adorabile nel suo essere "Teddy" quanto da prendere a schiaffi per mille altre cose. Tutto il mio amore, ovviamente, va a Saoirse Ronan e Florence Pugh (ma c'è da voler bene anche a Laura Dern, alla giovane Eliza Scanlen e sì, anche a Meryl Streep). La Ronan sembra nata per interpretare Jo e il suo viso così particolare e senza età è perfetto sia per dipingere la Josephine ragazza che quella adulta, inoltre il carisma dell'attrice di origini irlandesi è talmente forte da renderla una protagonista naturale; Florence Pugh, dal canto suo, è una Amy particolare, in grado di conciliare sia l'immaturità della ragazzina che vorrebbe il nasino a punta sia la saggezza di una donna più cresciuta, che nelle altre versioni però perdeva tutto il suo fascino per diventare una figuretta incolore (si veda il film del 1994), cosa che qui per fortuna non accade. Sospendo al momento il toto-Oscar. Mi mancano ancora troppe performance femminili e tra quelle che ho visto c'è una bella competizione, per il resto ogni premio sarebbe un po' un affronto e un "premio di consolazione" a fronte della mancata nomination come regista della Gerwig, quindi spero almeno nei costumi, davvero fantasiosi e belli. Detto questo, chissenefrega dell'Academy e correte a vedere Piccole donne!


Della regista e co-sceneggiatrice Greta Gerwig ho già parlato QUI. Saoirse Ronan (Joe March), Emma Watson (Meg March), Florence Pugh (Amy March), Laura Dern (Marmee March), Timothée Chalamet (Theodore "Laurie" Laurence), Tracy Letts (Mr. Dashwood), Bob Odenkirk (Papà March), Louis Garrel (Friedrich Bhaer), Chris Cooper (Mr. Laurence) e Meryl Streep (Zia March) li trovate invece ai rispettivi link.


Emma Watson ha "ereditato" il ruolo di Meg da Emma Stone, impegnata nelle riprese de La favorita. Del film esistono, come ho scritto nel post, mille versioni: quelle che ricordo con piacere sono Piccole donne del 1994, quello del 1949 e la miniserie della BBC andata in onda nel 2017. Recuperatele tutte e... ENJOY!

martedì 10 dicembre 2019

L'ufficiale e la spia (2019)

Abbiamo sfidato il multisala per tre settimane e abbiamo vinto: L'ufficiale e la spia (J'accuse), diretto e co-sceneggiato da Roman Polanski, è durato fino a domenica e siamo riusciti ad andarlo a vedere col Bolluomo.


Trama: il Colonello Picquart, una volta messo a capo dei servizi segreti francesi, si ritrova tra le mani le prove dell'innocenza di Alfred Dreyfus, soldato condannato per alto tradimento.


Considerato il titolo internazionale dell'ultimo film di Polanski, stavolta non sono stati solo i malvagi titolisti italiani a prendere sottogamba lo spettatore, preferendo il didascalico L'ufficiale e la spia, giusto per dare un piglio più "moderno" alla storia, al J'accuse coniato dallo scrittore Emile Zola, entrato a far parte comunque del linguaggio comune e citato all'interno della pellicola. Non stiamo a spaccare il capello; in effetti, all'interno del film si sottolinea spesso il legame "a distanza" tra l'Ufficiale, ovvero il Colonnello Picquart, antisemita ma dotato di una profonda coscienza, e la presunta spia, ovvero Alfred Dreyfus, soldato di origini ebraiche accusato di aver venduto delle informazioni all'esercito tedesco e condannato ai lavori forzati sull'Isola del Diavolo. I due si parlano direttamente solo un paio di volte ma le loro vicende si intrecciano e influenzano le reciproche esistenze, oltre alla società francese della Terza Repubblica, tra crescenti sentimenti antisemiti e la nascita dell'impegno intellettuale moderno, quello in grado di influenzare l'opinione pubblica e portare le masse ignoranti a pensare (o a rimanere ancora più ignorante). A tal proposito, mi rifiuto di mettere bocca sull'affaire Polanski. Se il regista ha deciso di girare il film eleggendo Dreyfus a suo innocente alter ego sono affari suoi e mi ritengo una spettatrice abbastanza intelligente da essermi goduta L'ufficiale e la spia come un'ottima riproposizione storica di una vicenda tristemente attuale, vergognosamente intrisa non solo di razzismo ma anche di incompetenza, menefreghismo e desiderio di parare il culo a chi lo tiene al caldo nei piani alti, trincerandosi dietro la scusa di voler "salvaguardare il nome della Repubblica e della Francia" senza ammettere di aver sbagliato, rovinando non solo la vita a un uomo innocente ma anche facendo prosperare i reali colpevoli.


E' una vicenda conosciuta e che avrebbe potuto, con un altro piglio, risultare pedante o noiosa mentre Polanski decide di giocare la carta della spy story, tra complotti e attentati, e dei legal drama che vanno tanto per la maggiore oggi, riuscendo a spettacolarizzare gli svariati processi di cui si compone il film grazie a un mix vincente di dialoghi e attori bravissimi. Tutto è filtrato attraverso l'occhio di un perfetto Jean Dujardin, che interpreta il Colonnello Picquart, ufficiale dell'esercito per il quale la condanna di Dreyfus è come "aver purgato un organismo da un male terribile"; uomo nel pieno della sua carriera, nonostante l'antisemitismo e l'odio palese per Dreyfus, Picquart non si sottrae al suo senso del dovere e della morale nemmeno quando salvare Dreyfus significherebbe non solo venire degradato ed imprigionato, ma persino rischiare di essere messo a tacere in modi peggiori, mettendo in pericolo la propria vita e quella di amici, amanti e conoscenti. Il senso di angoscia che si respira dalla scoperta di documenti compromettenti è palese, par quasi che Picquart abbia tutti gli occhi addosso, sia quando effettivamente viene spiato dai suoi attuali o ex colleghi, sia quando il Colonnello è solo nel suo appartamento o nel suo studio. Assai forte è anche il senso di frustrazione che si prova guardando L'ufficiale e la spia, perché se è vero che la storia di Dreyfus è risaputa, pare comunque di essere stati inghiottiti da un incubo kafkiano, all'interno del quale la verità viene bloccata e negata tante di quelle volte da rasentare il surreale. Accanto a una storia interessante già di per sé, raccontata in modo moderno e spigliato, c'è ovviamente la messa in scena raffinata di Polanski, che non indulge nel sovraccarico visivo tipico dei film in costume ma preferisce concentrarsi sui protagonisti, sui loro sguardi e gesti, lasciando che la cinepresa indugi su piccoli dettagli fondamentali per capirne la psicologia e le motivazioni. Che siate o meno appassionati di questo genere di pellicole, che amiate oppure odiate l'"uomo" Polanski, è innegabile che L'ufficiale e la spia sia un film molto bello e lo consiglio a tutti.


Del regista e co-sceneggiatore Roman Polanski, che compare tra il pubblico del concerto, ho già parlato QUI. Jean Dujardin (Colonnello Jacques Picquart), Emmanuelle Seigner (Pauline Monnier), Mathieu Almaric (Bertillon) e Vincent Perez (Leblois) li trovate invece ai rispettivi link.

Louis Garrel interpreta Alfred Dreyfus. Francese, ha partecipato a film come The Dreamers - I sognatori, Van Gogh - Alla soglia dell'eternità e l'imminente Piccole donne. Anche regista e sceneggiatore, ha 36 anni e tre film in uscita.


Nei panni di Philippe Monnier compare l'attore e produttore Luca Barbareschi. Se vi fosse piaciuto L'ufficiale e le spia e vi interessasse il tema, recuperate L'affare Dreyfus. ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...