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venerdì 7 aprile 2023

John Wick 4 (2023)

Ammetto che ci avevo quasi rinunciato, tra impegni e malanni, ma domenica siamo riusciti finalmente ad andare al cinema a vedere John Wick 4 (John Wick: Chapter 4), diretto dal regista Chad Stahelski.


Trama: dopo essere quasi morto nel film precedente, John Wick riprende il suo sanguinoso cammino pr liberarsi dal giogo della Gran Tavola e stavolta il suo principale avversario è il Marchese Vincent de Gramont.


E' finita. Forse. Dico forse perché in una scena post-credit che non vi spoilero stiamo già guardando al MCU del Continental e della Gran Tavola, di cui in effetti ci manca di vedere i pilastri fondamentali, ma dopo 9 anni possiamo dire che è finita la saga che ha sdoganato il cinema "di menare" (TM) al pubblico bue, quello che del cinema in questione non conosce nemmeno le basi e che magari, chessò, è riuscito ad incuriosirsi dopo tutto questo tempo. E' finita, e quella di John Wick è una fine a cui non potrò MAI voler male, nonostante tutti i difetti che mi hanno spinta a ridere come una pazza in sala, perché ci sono anche tanti pregi e momenti epici. Di trama ormai non si può più parlare da un paio di episodi, ci mancherebbe. Ogni film di John Wick, salvo forse il primo, è una serie di scuse e deviazioni per far sì che Keanu Reeves, per arrivare dal punto A al punto B, ci metta più o meno tre ore e, nel frattempo, si profonda in coreografie malmenanti sempre più lunghe e complesse (ma non per questo varie. Ci arrivo) e, ovviamente, John Wick 4 non fa eccezione, cosa che porta il nostro eroe a viaggiare dal Marocco ad Osaka, da New York a Berlino e, per il gran finale, a raggiungere una Parigi da cartolina. Ciò che in primis salva il franchise dalla noia perpetua è, come sempre, il bellissimo, interessante world building che lo accompagna, fatto di alberghi misteriosi, concierge efficacissimi (ciao Lance, mi mancherai tanto) e terribili Gran Tavole che giocano con la vita altrui millantando regole perse nell'alba dei tempi e perfino codificate in latino, con tutto il codazzo di personaggi e assassini sui generis che si portano appresso. La seconda cosa sono le infinite sequenze di combattimento, ogni volta più assurde ed esilaranti, che dopo tutti questi anni ancora regalano delle gioie, non tanto quando c'è di mezzo Keanu Reeves (mai stato particolarmente atletico, poverello, ma ci mette l'impegno instancabile di chi ha le giunture sempre un po' rigide e deve compensare con l'entusiasmo) ma quando arriva gente tipo Donnie Yen e Scott Adkins, il primo sempre una gazzella elegantissima e il secondo, pur costretto nel ruolo di Ciccio Bastardo, sempre capace di tirare calci come se non portasse una fat suit addosso.


Le infinite sequenze di cui sopra, signori miei, le avrei onestamente scorciate un po', perché risentono dello stesso difetto del film precedente, ovvero quello di mostrare Reeves rotolare per dieci minuti attorno all'attaccante per poi freddarlo con un headshot, ma quest'anno ci sono anche picchi di sfacciataggine notevole, forieri dell'ilarità isterica di cui parlavo sopra. Per esempio, John Wick 4 introduce "ottimi" abiti in kevlar coi quali basta coprirsi il viso col bavero per sopravvivere anche alle piogge di proiettili peggiori, o ancor più ottimi fucili d'assalto che non si limitano a colpire l'avversario, ma lo incendiano proprio, facendolo quasi esplodere; è stato poi introdotto un concetto di universo espanso secondo il quale John Wick discende direttamente dal clan MacLeod, o non si spiega perché lui riesca a sopravvivere a incidenti stradali reiterati e continue cadute da palazzi di 10 piani, mentre gli sventurati che condividono il suo stesso destino devono arrendersi alla morte impietosa dopo appena un singolo incidente/caduta. Ciò detto, John Wick 4 tocca picchi di commozione plurimi, soprattutto nelle scene ambientate a Parigi, con la rotonda degli Champs Elysées trasformata nel set di Carmageddon e la scalinata che porta al Sacro Cuore trasfigurata in una sorta di tormento di Sisifo, il tutto creato per omaggiare I guerrieri della notte grazie alla sensualissima (e bastardissima) DJ pronta a vendere agli assassini della Ville Lumière il povero Jonathan. Non dimentichiamo, infine, le guest star che come sempre pullulano. Al di là di Donnie Yen e Scott Adkins, per me i top del cast, Bill Skarsgård fa sempre la sua porca figura (e credo che il doppiaggio italiano ci abbia messo una bella pezza, almeno stavolta), di Clancy Brown non parliamo nemmeno, ché la grandezza è troppa, Hiroyuki Sanada è sempre elegante e bellissimo, Marko Zaror un'eccellente ingresso forse poco sfruttato e Ian McShane è perfetto oggi come 9 anni fa. Dite quello che volete, a me John Wick mancherà veramente tantissimo ma, come ho già detto, l'intenzione di tenere la saga in vita c'è (il primo spin-off cinematografico è previsto già per l'anno prossimo!), perché si potrebbero raccontare ancora mille storie su questo universo, stando però bene attenti a giocarsi al meglio la carta del picchiare/uccidere/headshottare bene, cosa che, purtroppo, una serie TV non potrebbe mai fare, ma chi sono io per porre dei limiti alla tamarreide e alla fantasia? Attendo speranzosa!


Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUIKeanu Reeves (John Wick), Laurence Fishburne (Bowery King), Lance Reddick (Charon), Clancy Brown (Harbinger), Ian McShane (Winston), Bill Skarsgård (Marchese), Donnie Yen (Caine), Hiroyuki Sanada (Shimazu) e Scott Adkins (Killa) li trovate invece ai rispettivi link.


Lance Reddick, Keanu Reeves, Ian McShane e persino Anjelica Huston dovrebbero comparire in Ballerina, il primo spin-off della saga, programmato per l'anno prossimo e avente Ana De Armas come protagonista. Nell'attesa, ovviamente, recuperate i primi tre film della saga e aggiungete Atomica Bionda, Bullet Train e I guerrieri della notte. ENJOY!




domenica 17 maggio 2020

Ip Man 4 (2019)

Ormai dovreste sapere che il Bolluomo è appassionato di Wing Chun, quindi puntuale come una tassa è arrivata la visione di Ip Man 4, diretto nel 2019 dal regista Wilson Yip.


Trama: malato di cancro e con un figlio scapestrato, Ip Man vola a Los Angeles per cercare di iscrivere il ragazzo a una prestigiosa scuola ma si ritroverà preso in mezzo nella guerra tra abitanti di Chinatown e Marines.


Di sicuro non sono la persona adatta per parlare con cognizione di causa di una saga come quella di Ip Man. Penso infatti di aver guardato solo il primo film, di cui ho anche parlato sul blog, di aver dormito per buona parte del secondo e di essermi risvegliata al terzo solo quando è comparso Tyson. Da quello che ho capito sono versioni molto romanzate della vita del leggendario shifu Ip Man, atte sempre e comunque a magnificare la bontà del popolo cinese e a conferire a costui un'aura semidivina, enfatizzata dall'eleganza dignitosissima di un Donnie Yen che in questo personaggio ha palesemente creduto tantissimo. In questo caso l'accuratezza storica è stata proprio gettata alle ortiche visto che Ip Man in America non ci è mai andato, tanto meno ad incontrare Bruce Lee che, sì, è stato suo allievo ma per poco tempo, e la trama è un mero pretesto per conferire a una vicenda ambientata negli anni '60 un'aura infinitamente anni '80, dove i personaggi sono talmente tagliati con l'accetta che non ci si può credere e c'è un gigantesco divario tra cinesi (tutti buoni, al netto dei loro difetti, al massimo giusto un po' strafottenti - alcuni - da pensare di poter criticare Ip Man) e americani (tutti, indistintamente, merde razziste, a partire dalla ragazzina wasp inviperita per aver visto una cinese soffiarle il posto di cheerleader fino ad arrivare al capomarine stronzo il quale, oltre ad essere un maledetto americano razzista, proclama persino la superiorità del karate giapponese sul kung fu cinese. Doppiamente schifoso!). In mezzo a questa faida si inserisce il dramma umano di Ip Man, costretto ad elemosinare raccomandazioni per un figlio che lo odia e a destreggiarsi tra gente che lo disprezza, i connazionali perché lo collegano al "venduto" Bruce Lee e gli americani perché è un maledetto muso giallo potenzialmente immigrato illegale.


Inutile dire che una profana come me un film simile lo guarda giusto per godersi le coreografie di Yuen Woo-Ping, ovviamente dopo aver preso a calci la propria sospensione d'incredulità e le leggi della fisica tutta. Particolarmente apprezzati, in questo quarto capitolo, lo scontro "da seduti" a un tavolo rotante cinese che (come buona parte del mobilio) fa una bruttissima fine, la sboroneria di un simil-Zangief che si scontra con un tamarrissimo Bruce Lee che compare giusto il tempo di fargli il mazzo, la sciura cinese contro un altro zamarro occidentale in kimono e, ovviamente, ogni momento "di menare" in cui compare Scott Adkins, impressionante nella sua fisicità violenta quando si avventa contro fragili cinesi (i quali, a onor del vero, lo riducono talvolta a più miti consigli). In particolare, il personaggio di Adkins è così sfacciatamente stronzo che al confronto il sergente maggiore Hartman, peraltro omaggiato all'interno del film, era un pezzetto di pane. Soprattutto, grazie a Kubrick, non menava come un fabbro ferraio mentre invece Adkins gode proprio nel mostrare che il suo karate è molto più forte rispetto al kung fu cinese. Gli appassionati mi vogliano perdonare un post così leggero e goliardico; si consolino pensando che, sul finale, una lacrimuccia di commozione è scesa persino a me, nonostante tutto.


Del regista Wilson Yip ho già parlato QUI. Donnie Yen (Ip Man) e Scott Adkins (Barton Geddes) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film è il capitolo finale della serie Ip Man, che comprende tre film riuniti in un flashback finale. Vi consiglio ovviamente di vederli tutti, se vi piace il genere. ENJOY!

martedì 3 gennaio 2017

Rogue One (2016)

Arrivo ultima credo in tutto l'universo a parlare di Rogue One (Rogue One: A Star Wars Story), diretto nel 2016 dal regista Gareth Edwards, quindi segue breve post con qualche spoiler insignificante, tanto l'avete già visto tutti! Ah, e ovviamente buon anno!!!


Trama: la giovane Jyn Erso si ritrova suo malgrado coinvolta nei piani della Resistenza, proprio mentre l'Impero sta per scatenare la sua devastante arma finale.


Come ben sapete non sono una fan all'ultimo stadio di Guerre Stellari, guardo i film, mi piacciono, li archivio e stop. E' anche per questo che non mi sono fiondata subito a vedere Rogue One, spin-off della saga principale, ripromettendomi tuttavia di andare appena possibile dopo fior di pareri positivi emessi dalle persone delle quali mi fido maggiormente, cinematograficamente e soprattutto StarWarsianamente parlando. Oddio, all'inizio del film ammetto che avrei voluto morire: mille nomi, mille personaggi, mille riferimenti alla saga principale, mille domande del povero Bolluomo che ho dovuto zittire fino alla fine del primo tempo pena l'uccisione da parte dei nerd presenti nella sala ancora gremita. Eppure, tolto quest'inizio un po' didascalico, la trama ha cominciato presto a far presa su di me. Rogue One non racconta di gente che deve imparare ad usare la Forza, pienamente o quasi consapevole della posta in gioco e perfettamente addentro alle dinamiche della guerra stellare in atto tra un Impero che ha già giocato la sua carta più infame e tra i ribelli che hanno già ritrovato i loro salvatori, bensì di persone disperate che ancora non sanno bene come agire eppure lo fanno, gettandosi a capofitto in un'impresa impossibile la cui importanza è a dir poco fondamentale. Jyn Erso e i suoi compagni sono "sporchi e cattivi", più che altro sono dei reietti che non vengono presi in considerazione neppure dai "buoni", ancora impegnati a palleggiarsi soluzioni diplomatiche che non contemplino l'aperta opposizione all'Impero: vuoi per retaggio filiale, vuoi per un ottimistico e dileggiato attaccamento alla religione, vuoi per un'infanzia distrutta dalla guerra, attorno a Jyn si riunisce una banda di desperados che saranno anche tratteggiati con l'accetta, lei per prima, eppure emozionano quanto gli eroi che siamo arrivati a conoscere ed amare, tanto che l'inaspettato e bellissimo finale mi ha lasciata devastata e in lacrime (chiedete al Bolluomo che non sapeva più come consolarmi). Non mancano ovviamente i contentini per i fan, che possono o meno far discutere (Peter Cushing? Seriously? Lì per lì mi batteva il cuore, ok, ma dopo qualche secondo ha cominciato a sembrarmi il GGG, non scherzo) e che tuttavia emozionano, soprattutto alla luce dei recenti lutti che hanno colpito il mondo del Cinema in generale e di Guerre Stellari in particolare, inseriti alla perfezione in un contesto gradevolmente cupo e cattivo, con poco spazio per l'ironia, dosata in bocconcini assolutamente accettabili.


Lungi da me stare a scrivere pipponi sulla validità degli effetti speciali utilizzati e sulla grandiosità delle battaglie tra astronavi, sulla bellezza dei paesaggi presenti su pianeti sempre diversi (stavolta c'è persino il pianeta "tropicale", anche se il mio preferito rimane quello con la gigantesca statua in pietra distrutta), c'è gente dotata di conoscenza e passione che ne ha scritto molto meglio di quanto potrei mai fare io; ad oggi, posso dire che almeno un paio di sequenze mi rimarranno impresse nella mente e sono tutte legate alla devastazione portata dalla Morte Nera, soprattutto in quel finale che mi ha tanto ricordato These Final Hours e che, combinato alla bella e rispettosa colonna sonora di Michael Giacchino, è riuscito a spezzarmi il cuore più di quanto credessi possibile. Passando invece a cose più a portata di mano della sottoscritta, spenderò giusto due parole sugli attori. Felicity Jones, con quel musetto carino e l'espressione scazzatella mi è piaciuta parecchio ed è sicuramente più adatta a stare in mezzo ai ribelli che ad accompagnare il bolso Tom Hanks per le strade di Firenze e le calli veneziane, il resto del cast, se posso permettermi, è però speso sprecato. Donnie Yen è l'idolo indiscusso e su questo non si discute, ogni sua apparizione vedeva me e soprattutto il Bolluomo sperticarci in applausi, il suo è il tipico personaggio capace di essere cool ed ironico senza risultare fastidioso, tuttavia gli altri comprimari non sono altrettanto all'altezza: Diego Luna è moscerello e poco incisivo (o forse sono io che ancora piango Han Solo...), Forest Withaker da denuncia (ma chi mi conosce sa che, in generale, come attore lo sopporto poco), il povero Mads Mikkelsen ormai spreca il suo innegabile carisma in film commerciali per la durata di pochissimi minuti e persino il cattivo interpretato da Ben Mendelsohn non mi è sembrato granché espressivo ed è riuscito a farsi eclissare da un grandissimo ricreato al computer e dalla ben più iconica figura di Darth Vader, che compare ancor meno di Mikkelsen ma perlomeno spacca culi a destra e manca. A proposito di Vader: che è successo al suo costumino? Solo a me è parso diverso? Altra domandina: ma è solo l'Impero ad essere rimasto confinato negli anni '80? Le divise imperiali urlano BigJimme! ad ogni fotogramma e cozzano in maniera incredibile con lo stile dei ribelli, aggiornato al gusto recente e, aggiungo, facilmente cosplayabile anche da chi è impedito come me. La galassia sarà anche sempre lontana lontana ma evidentemente i fashion blogger sono arrivati persino lì! Tolte queste imbarazzanti considerazioni personali Rogue One mi è comunque piaciuto molto e lo consiglio anche a chi non è appassionato all'ultimo stadio della saga stellare.


Di Felicity Jones (Jyn Erso), Diego Luna (Cassian Andor), Alan Tudyk (voce originale di K-2SO), Donnie Yen (Chirrut Imwe), Ben Mendelsohn (Orson Krennic), Forest Whitaker (Saw Gerrera) e Mads Mikkelsen (Galen Erso) ho parlato ai rispettivi link.

Gareth Edwards è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Monsters e Godzilla. Anche tecnico degli effetti speciali, sceneggiatore, animatore, attore e produttore, ha 42 anni.


Riz Ahmed interpreta Bodhi Rook. Inglese, ha partecipato a film come Il fondamentalista riluttante, Nightcrawler - Lo sciacallo e serie quali Dead Set e The OA. Anche sceneggiatore e regista, ha 35 anni.


Per ricreare il personaggio del Governatore Tarkin il volto di Peter Cushing è stato sovrapposto digitalmente a quello dell'attore Guy Henry e allo stesso modo la Leia sul finale è stata realizzata sovrapponendo le fattezze di una giovane Carrie Fisher a quelle dell'attrice Ingvild Deila; nel cast compare inoltre anche quel gran figo di Ben Daniels di The Exorcist, nei panni del Generale Merrick. A Rogue One sono stati inoltre aggiunti digitalmente spezzoni mai usati di Guerre Stellari e Il ritorno dello Jedi, principalmente incentrati sui piloti che attaccano lo scudo spaziale poco prima del finale. SPOILER se non avete visto il film: la prima bozza di sceneggiatura di Rogue One prevedeva che i personaggi sopravvivessero tutti ma Gareth Edwards ha chiesto espressamente a Kathleen Kennedy e ai vertici della Disney il permesso di farli morire da eroi. Una volta ottenuto (a sorpresa!) il permesso, è stata scartata tuttavia l'idea di farli uccidere da Darth Vader, un'immagine ritenuta troppo cupa. Detto questo, se Rogue One vi fosse piaciuto recuperate tutti i film legati alla saga di Guerre Stellari, tenendo conto che, cronologicamente, gli eventi della pellicola si collocano 18 anni dopo Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith e poco prima dello storico Guerre Stellari. ENJOY! 




domenica 16 ottobre 2016

Hero (2002)

Siccome abbiamo scoperto che al Bolluomo piace il genere, qualche sera fa ho riguardato a distanza di 14 anni lo splendido Hero (Yīngxióng), diretto e co-sceneggiato nel 2002 dal regista Zhang Yimou.


Trama: per essere ammesso al cospetto del re di Qin, il guerriero Senza nome depone ai suoi piedi le spade dei tre più temibili guerrieri dei regni, caduti sotto la sua lama. I racconti che Senza nome offre al suo sovrano, tuttavia, nascondono dei segreti...



Come già avevo avuto modo di scrivere nel post dedicato a La tigre e il dragone, dopo il film di Ang Lee il mondo era caduto vittima della febbre da Wuxia e persino il buon Quentin Tarantino non ne era uscito indenne, tanto che era stato tra i promotori della distribuzione USA di Hero, arrivato nelle sale americane ed italiane con due anni di ritardo rispetto all'uscita in patria. Come si suol dire, meglio tardi che mai! Sarebbe stato un peccato, infatti, privarsi della bellezza di Hero il quale, pur non essendo "misticheggiante" e profondo come La tigre e il dragone, si basa su un fatto storico realmente avvenuto che prelude alla nascita della Cina come la conosciamo, con qualche ovvia libertà presa dagli sceneggiatori. La pellicola di Zhang Yimou, talvolta considerata come il "Rashomon cinese", racconta l'impresa del guerriero Senza nome, deciso ad uccidere il re di Qin, reo di avere massacrato gli abitanti del suo villaggio natale a causa delle sue mire espansioniste. Per raggiungere il suo obiettivo, Senza nome deve arrivare a dieci passi da un re che non lascia avvicinare nessuno oltre i cento e l'unico modo per conquistare la fiducia del sovrano è portare al suo cospetto le spade dei tre guerrieri che già avevano attentato alla sua vita, ovvero Cielo, Neve che vola e Spada spezzata. Nel corso dell'incontro col re, Senza nome racconta al sovrano il modo in cui ha sconfitto questi tre abili assassini e qui risiede la particolarità della pellicola, oltre che il facile richiamo a Rashomon: il protagonista narra infatti tre storie, simili per quel che riguarda l'aspetto più superficiale degli eventi ma profondamente diverse per ciò che concerne le motivazioni dei coinvolti, la loro indole e il risultato finale delle loro azioni. Da un racconto diviso nettamente in bianco e nero, buoni e cattivi, si arriva mano a mano a ricostruire una vicenda assai complessa, dove i bisogni e le emozioni del singolo cozzano contro il cosiddetto "bene più grande", riassunto nella dicitura "sotto lo stesso cielo", all'interno della quale i personaggi sono costretti ad affrontare enormi dolori e sacrifici per non rendere vana la morte di centinaia di innocenti. Se all'inizio siamo naturalmente portati a parteggiare per Senza nome e la sua missione, verso la fine arriviamo ad essere assaliti da dubbi e sentimenti contrastanti, schiacciati dalla consapevolezza che la Storia viene fatta sì da grandi eventi ma anche e soprattutto dalle decisioni di uomini imperfetti, ai quali il tempo potrebbe dare ragione come no.


La durezza di una guerra fatta di sangue e sudore si trasforma, grazie alle mani del regista, nella nobile e poetica leggenda della nascita di un Paese, accompagnata da eleganti balletti a fil di spada. Le leggiadre coreografie tipiche del wuxia si fondono in Hero con il perfezionismo quasi soverchiante di un regista come Zhang Yimou, per il quale colori, tessuti e natura diventano indispensabili mezzi di comunicazione e comprensione. La seconda e più evidente particolarità di Hero è infatti il modo in cui vengono rese visivamente le tre versioni della storia raccontata da Senza nome (alla quale si accompagnano i flashback, virati in verde, e il flusso temporale presente, l'unico senza caratteristiche particolari). La prima storia, caratterizzata da passioni violente, inganni e tradimenti, ha il colore caldo del rosso e si ricorda in particolare per la splendida sequenza di combattimento tra Neve che vola e Luna, ambientata in un bosco zeppo di foglie arancioni che seguono i movimenti delle due donne vorticando attorno a corpi, capelli e spade; la seconda, ricostruita dal re, è virata nelle tinte dell'azzurro e spicca per la bellezza del duello tra Senza nome e Spada spezzata, due spiriti senza peso che volteggiano su un lago talmente bello da non sembrare neppure reale (e infatti Yimou permetteva di girare al massimo un'ora al giorno, poiché pretendeva che l'acqua fosse perfettamente immobile); la terza ha come colore predominante il bianco, simbolo di purezza e verità ma anche di morte, preambolo di un finale tragico per il quale ho versato ben più di una lacrima. I colori vengono innanzitutto riproposti negli abiti dei personaggi protagonisti delle singole sequenze, uno più bello ed elegante dell'altro, negli arredi che compongono la scenografia (geniali le barriere che delimitano la sala in cui si incontrano i protagonisti, che diventano azzurre o neutre a seconda della versione narrata ma il premio va sicuramente ai drappi verdi che decorano il combattimento tra Spada spezzata e il re, con le pieghe che si muovono al vento in base ai movimenti dei duellanti) e persino nella fotografia che "ridipinge" i vari paesaggi, facendo di Hero un emozionante quadro in movimento che andrebbe guardato almeno una volta nella vita.


Di Jet Li (Senza nome), Zhang Ziyi (Luna) e Donnie Yen (Cielo) ho già parlato ai rispettivi link.


Zhang Yimou è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Cinese, ha diretto film come Lanterne rosse e La foresta dei pugnali volanti. Anche attore e produttore, ha 65 anni e un film in uscita.


Tony Chiu Wai Leung interpreta Spada spezzata. Cinese, ha partecipato a film come Bullet in the Head, Happy Together, In the Mood for Love, 2046 e The Grandmaster. Ha 54 anni e due film in uscita.


Maggie Cheung interpreta Neve che vola. Nata ad Hong Kong, ha partecipato a film come In the Mood for Love e  2046. Ha 52 anni.


Il ruolo del re era stato offerto a Jackie Chan, che ha rifiutato. Detto questo, se Hero vi fosse piaciuto recuperate La tigre e il dragone, La foresta dei pugnali volanti e Rashomon. ENJOY!

mercoledì 28 ottobre 2015

Ip Man (2008)

Inaspettatamente, ma vi spiegherò nel post il perché, qualche giorno fa mi sono ritrovata a guardare Ip Man (Yip Man), diretto nel 2008 dal regista Wilson Yip e basato sulla vita di Yip Man, maestro cinese di arti marziali che ha contribuito a diffondere nel mondo l'arte del Wing Chun.


Trama: il film racconta parte della vita del maestro di Wing Chun Yip Man, soprattutto durante gli anni della seconda guerra sino-giapponese. 



Il mio ragazzo si è dato al Wing Chun, ebbene sì. Pur avendo praticato karate nell'adolescenza e non disdegnando affatto le pellicole dedicate alle arti marziali, ammetto che io fino al mese scorso neppure avevo idea dell'esistenza di tale pratica. Ma il Bolluomo è un ragazzo preciso che ama documentarsi, quindi non si limita al mero esercizio fisico: legge libri a tema, acquista poster, guarda video su internet e, soprattuttamente, scova film. Ergo, la settimana scorsa mi sono ritrovata a guardare Ip Man, storia molto molto romanzata di parte della vita di Yip Man, colui che ha fatto conoscere al mondo (soprattutto a "tale" Bruce Lee) la disciplina del Wing Chun e di cui, così mi è parso capire, ogni dojo (o presunto tale) che si rispetti ha una foto appesa alle pareti. Da par mio, non sapendo nulla sull'argomento, devo dire di essermi trovata davanti ad un film assai piacevole, capace di mescolare momenti divertenti, altri dolorosamente drammatici e, ovviamente, le eleganti coreografie di lotta tipiche dei film di Hong Kong (coreografate dal divino Sammo Hung: che, t'oo ricordi??); purtroppo, devo anche dire che la mia ignoranza è rimasta tale perché Ip Man non consente allo spettatore neofita di comprendere la filosofia che sta alla base del Wing Chun (nel film viene detto ad un certo punto che è stato creato da una donna e per questo viene preso in giro da uno dei "cattivi") né come mai Yip Man abbia scelto tra tutte proprio quest'arte marziale. Il film comincia infatti in medias res e mostra un Yip Man già uomo maturo, sposato, ricchissimo e rispettato maestro nella prefettura di Foshan, riluttante sia ad aiutare fisicamente l'amico Chow nella fabbrica di cotone sia a fondare una scuola tutta sua. Da un lato possiamo vedere l'incredibile rispetto che gli viene tributato da quasi tutti gli abitanti della prefettura ma dall'altro la pellicola testimonia anche la convinzione di alcune persone, sua moglie e suo fratello in primis, che questi maestri non fossero altro che dei fannulloni sempre impegnati a combattere tra loro (un po' come Goku e soci, insomma), completamente distaccati dalla realtà che li circondava. Una realtà che, da metà film in poi, giunge tuttavia brutale a stroncare la vita quasi ascetica del saggio Yip Man in forma di invasori giapponesi, capaci di mutare la pellicola da divertente e garbata commedia a dramma a tinte forti in grado di gettare nuova luce sul protagonista.


Con l'arrivo dei giapponesi (dipinti, diciamolo, come dei mostri privi di onore o umanità, alla faccia dell'imparzialità storica!!) Yip Man è costretto a fronteggiare i drammi storici della Cina e problemi come la schiavitù, la perdita dell'identità nazionale, la brutalità del nemico e la povertà. I maestri di arti marziali vengono privati di dignità e prestigio e le loro abilità vengono messe al servizio dello squallido divertimento dei soldati nipponici, che fanno loro combattere degli incontri scorretti sfruttando la fame e la disperazione. Proprio durante uno di questi incontri Yip Man si spoglia dell'aria serafica mantenuta fino a quel momento e diventa una macchina per uccidere per amore dei suoi cari e dell'intera nazione, diventando così un eroe al quale tutti i cinesi vessati guardano, sicuramente ancora oggi, con ammirazione; il film lascia intendere che proprio questa esperienza ha portato Yip Man, rifugiatosi nel frattempo a Hong Kong, a creare una scuola dove insegnare il Wing Chun senza isolarsi da un mondo che, evidentemente, aveva bisogno di lui. Questo, ovviamente, è ciò che ho potuto capire dall'alto della mia ignoranza o, meglio, è quello che mi hanno voluto fare capire gli sceneggiatori. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, Ip Man si conferma un valido prodotto in grado di conciliare l'aspetto biografico con l'intrattenimento. I combattimenti tra Donnie Yen e gli altri attori sono coreografati benissimo, con poche concessioni ai ralenti o alle esagerazioni tipiche del Wuxia e cambiano atmosfera passando dalle divertenti e coreografiche scaramucce dell'inizio per arrivare alla ferocia sanguinaria delle battaglie contro i soldati giapponesi, esaltanti e liberatorie nella loro determinatezza e disperazione. Donnie Yen nei panni di Yip Man mi è piaciuto molto (non posso dire sia perfetto perché, appunto, non conosco il reale Yip Man), così come tutti gli altri attori coinvolti ma io e il Bolluomo abbiamo particolarmente apprezzato la silenziosa Lynn Hung, impegnata a lanciare sguardi di fuoco nei panni della moglie del protagonista, costretta a vivere con un marito totalmente preso dal Wing Chun e financo a vedersi sfasciare i soprammobili di casa da ogni burino desideroso di sconfiggere il consorte. E con questo, sperando vivamente di non fare la fine di Cheung Win-Sing, moglie di Yip Man, vi invito ad addentrarvi nel misterioso mondo del Wing Chun, se non altro per godervi un film assolutamente piacevole.

Wilson Yip (vero nome Yip Wai-shun) è il regista della pellicola. Nato a Hong Kong, ha diretto film come Kill Zone, Ip Man 2 e il remake di A Chinese Ghost Story. Anche attore, sceneggiatore e produttore, ha 52 anni e un film in uscita, Ip Man 3.


Donnie Yen (vero nome Zhen Zidan) interpreta Yip Man. Cinese, ha partecipato a film come Highlander: Scontro finale, Blade II, Hero e Ip Man 2. Anche stuntman, regista, sceneggiatore, produttore e compositore, ha 52 anni e sette film in uscita, tra cui Ip Man 3 e Chrouching Tiger, Hidden Dragon: The Green Legend.


Il film avrebbe dovuto intitolarsi Grandmaster Ip Man, tuttavia nello stesso momento Wong Kar-Wai stava producendo quello che sarebbe diventato The Grandmaster, la sua biografia su Yip Man uscita poi nel 2013, quindi si è deciso di cambiare il titolo. Per questo, se Ip Man vi fosse piaciuto, oltre a consigliarvi il recupero di Ip Man 2 e, quando uscirà, di Ip Man 3, vi direi di aggiungere alla lista The Grandmaster e anche Ip Man: The Final Fight, sorta di prequel/fotocopia degli Ip Man "ufficiali" ma, si dice dalle parti de I 400 calci, parecchio camurrioso. ENJOY!

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