venerdì 28 aprile 2023

La casa - Il risveglio del male (2023)

Era uno degli horror che aspettavo di più quest'anno e, finalmente, lunedì sono andata a vedere La casa - Il risveglio del male (Evil Dead Rise), diretto e sceneggiato dal regista Lee Cronin.


Trama: venutasi a trovare in una situazione complicata, Beth si riunisce alla sorella Ellie dopo anni di lontananza, proprio nel momento in cui l'edificio dove abita quest'ultima con la famiglia viene attaccato da un'entità demoniaca...


Cosa posso dire che altri appassionati di horror migliori di me non abbiano già detto di questo film, che è stato tutto ciò che mi sarei aspettata da un Evil Dead e anche di più? Intanto, era parecchio che non solo non mi divertivo così al cinema, in una sala affollata ma su cui è calato il più religioso dei silenzi, ma soprattutto che non mi spaventavo al punto da riservare una telefonata di mezzanotte a un "felicissimo" Bolluomo già sprofondato nel regno di Morfeo, giusto per non farmi la strada da sola, col timore che un deadite spuntasse a mangiarsi il mio cuore pavido. La casa - Il risveglio del male è una corsa sulle montagne russe fatta di terrore e sangue, e gioca fin dalle prime sequenze coi nervi di chi il franchise lo conosce bene. Il preludio alla trama principale del film è un omaggio sentitissimo ai primi due film di Raimi, con quell'orologio a pendolo che si muove in maniera impercettibilmente innaturale e la soggettiva di quello che da ragazzina (La casa 2 è stato il primo film che ho affittato con la tessera del videonoleggio e facevo le medie) avevo battezzato "il demone della motosega" a catapultarci in pochissimi secondi in un universo fatto di persone possedute in maniera schifosa, inelegante e gratuita, vittime di un caos che non fa sconti a nessuno. Pochi, sanguinosi minuti dopo e si entra nel vivo della storia. Facciamo la conoscenza di Beth, tecnica del suono perennemente in giro per il mondo, e di sua sorella Ellie, tatuatrice con tre figli giovanissimi, sulla cui testa pendono sia lo sfratto da un edificio condannato alla distruzione imminente, sia la separazione da un uomo che se n'è sbattuto della famiglia. Due donne per molti versi simili, eppure così diverse per scelte di vita che non c'è da stupirsi se il legame tra loro si è logorato nel corso degli anni; Cronin si impegna a dipingere un ritratto vivido di entrambe, a rendercele simpatiche con tutti i loro pregi e difetti, a farci affezionare persino ai tre pargoli di Ellie, il tutto per farci ancora più male quando, inevitabilmente, il demone verrà risvegliato e comincerà la mattanza indiscriminata.


Detta mattanza, della durata di poco più di un'ora e mezza, rispetta non solo la durata media perfetta per un horror, ma anche lo spirito dell'opera raimiana. La casa è sempre stato un franchise che giocava sporco. Amanti venivano costretti a trucidarsi a vicenda, figli si ritrovavano a decapitare i genitori dopo essere stati quasi uccisi da questi ultimi, il tutto tra un ricatto morale e una presa in giro di demoni che a definirli bastardi si fa loro un complimento. In questo, il reboot di Cronin non fa eccezione, anzi, gioca semmai al rialzo, perché la parte portante della trama coinvolge il nucleo familiare di Beth ed Ellie, con danni collaterali di cui ci importa poco; un singolo appartamento che per qualche minuto è stato rappresentato come un porto sicuro, per quanto precario, di solido amore, diventa nel giro di pochissimo un girone infernale dove ogni sentimento positivo viene stravolto nel suo esatto contrario e ogni colpo inferto ai protagonisti ci tocca direttamente al cuore. Un'altra caratteristica de La casa, però, è quella di essere, fin dagli anni '80, un franchise divertente e, nonostante le mille cose orribili che accadono nel corso della trama, ci si ritrova a sorridere o, alternativamente, a urlare di gioioso schifo, anche in La casa - Il risveglio del male. I deadites sono sempre stati degli umoristi poco raffinati, pronti a rigirare dita nelle piaghe in senso metaforico e non, e la violenza mostrata è conseguentemente di grana grossissima; tra bagni di sangue, mutilazioni fisiche da brividi e make-up particolarmente disgustosi, a Cronin non serve il jump scare a tutti i costi per mettere ansia, bastano un paio di inquadrature ad effetto di corpi anatomicamente scorretti (persino quando sono nascosti), la stimolazione della fantasia dello spettatore costretto ad immaginare ciò che accade dietro lo spioncino nel corridoio più raccapricciante del globo, e l'ottima gestione, tra inquadrature e luci, di un luogo claustrofobico come un appartamento e, per estensione, un palazzo in abbandono.


Buona parte del terrore generato da La casa - Il risveglio del male è da ricercarsi, comunque, nella splendida interpretazione di Alyssa Sutherland, che spicca nonostante anche il resto del cast sia molto buono. Siccome non bazzico le serie TV, come già sapete, non avevo mai visto prima quest'attrice, ma direi che anche senza make-up il suo viso spigoloso e la sua bocca larga e sottile mi rimarranno impressi a lungo, nell'attesa di gustarmi anche la sua interpretazione in lingua originale come conclusione di un recupero generale della saga. Quest'ultimo si rende abbastanza necessario, a ben vedere. E' vero che ricordo molto bene gli originali di Raimi, ma il remake di Alvarez, per esempio, ormai è quasi scomparso dalla mia memoria, e mi piacerebbe capire perché non lo avessi apprezzato granché e quali differenze di stile ci siano con il film di Cronin, criticato da più di un appassionato in quanto "pastiche" di citazioni più o meno smaccate. Per quanto mi riguarda, con una base come questa, di solido e rispettoso divertimento, ben vengano gli omaggi ai capisaldi del genere, perché fanno anch'essi parte del gioco. Vado al cinema anche per stare con amici e, nonostante adori La casa per motivi squisitamente personali di nostalgia canaglia, il "ma non ti ricorda..?" è qualcosa che adoro, anche perché poi, una volta usciti dalla sala, ci si possono raccontare tutti i vecchi film da cui Cronin ha tratto ispirazione e, con un po' di fortuna, se ne scoprono degli altri. Tra bodas de sangre, cabins dalla forma evocativa, démoni nostrani e ascensori trasformati in piscine bordeaux ce n'è davvero per tutti i gusti, non solo per chi si è studiato a memoria le opere di Raimi e si è visto schiaffare Henrietta persino sui cartoni della pizza (belin, chissà che buona. Forse è meglio averla fatta cadere per terra!), quindi il mio consiglio è di andare al cinema con animo leggero e senza velleità da criticoni a tutti i costi, magari potreste anche uscire dalla sala felici, per una volta, di avere visto un bel film! 


Del regista e sceneggiatore Lee Cronin ho già parlato QUI


La voce di Bruce Campbell si sente, nella versione originale del film, nel primo disco riprodotto da Danny. Neanche a dirlo, se La casa - Il risveglio del male vi fosse piaciuto, recuperate La casa, La casa 2, L'armata delle Tenebre, La casa di Alvarez e la serie Ash vs Evil Dead. ENJOY!


mercoledì 26 aprile 2023

L'esorcista del papa (2023)

E' sempre meraviglioso andare al cinema con le aspettative sotto i piedi. E' il modo migliore di godersi film come L'esorcista del papa (The Pope's Exorcist), diretto dal regista Julius Avery.


Trama: l'esorcista Gabriele Amorth viene inviato dal Papa in persona presso una famiglia che ha da poco ereditato un'abbazia in Spagna e il cui figlio minore è stato posseduto da un potente demone...


Io volo, gente. Un "horror" divertente come questo, soprattutto perché non vuole (forse) essere divertente ma parte invece da presupposti serissimi e, almeno per me, potenzialmente terrificanti, non lo vedevo da parecchio. Mettete da parte quasi tutto quello che sapete su Padre Amorth, figura realmente esistita davanti alla quale, ad ogni apparizione televisiva, mi trovo costretta a scegliere tra cambiare canale e non dormire la notte (infatti di lui non so praticamente nulla), ed accogliete con gioia la versione ammeregana, che lo dipinge come un compagnone dannatamente bravo a fare il suo lavoro, un crogiolo di battute e tic esilaranti che prende ordini nientemeno che da un Papa col volto di Franco Nero. Questo Gabriele Amorth è il migliore esorcista ever, non ha paura di sporcarsi le mani, è dotato di talmente tanti oggetti magici che al confronto Sailor Moon è una pivella e, in più, ha il carisma di Russell Crowe, quindi cos'altro vogliamo dalla vita? Forse la sua stessa Lambretta miracolosa, che ha il dono di trasportarlo da Roma alla Spagna senza perdere un colpo, o forse la nonchalance con cui si sciaguatta le ascelle con l'acqua santa dopo il lungo viaggio? O forse una sceneggiatura meno banale, che tanto a un certo punto scompare, concentrati come sono gli spettatori su Gabriele detto Gaby. Prendete, infatti, tutti i film a tema "esorcismi" girati a partire dal capolavoro di Friedkin in poi e, più o meno, dovreste riuscire a prevedere ogni twist, situazione particolare o mattana del demone senza neppure spaventarvi, anche perché L'esorcista del diavolo è stranamente privo di jump scare e procede dritto come un treno verso l'ambizioso obiettivo che tutti speriamo venga realizzato: la nascita di un ACU, un Amorth Cinematic Universe che sdogani gli Avengers del Vaticano e duri la bellezza di 199 sequel, uno più corposo e lungo dell'altro e con uno scontro finale che veda Gabry sfidare Lucifero in persona, magari in space. D'altronde, abbiamo già il vescovo Nick Fury e un Papa che fa un po' Charles Xavier, ci sono la base segreta e un sacco di potenziali preti e suore in grado di assurgere al ruolo di comprimari, anzi, datemi un crossover con Gli occhi del diavolo e sarò felicissima!


Mentre sogno in grande, intanto, mi auguro che un eventuale casting per questa futura meraviglia non si privi di Russell Crowe per quanto, mi duole ammetterlo, già solo la sua presenza metta a rischio il franchise, visto quanta sfiga porta st'uomo agli universi cinematografici. Il buon Russell, che somiglia sempre più a Bud Spencer (e un crossover con Don Matteo e Terence Hill? Dai, dai, dai!!), ci crede tantissimo a questo ruolo e gigioneggia come non mai, non sottraendosi al ridicolo e riuscendo, chissà come, a non renderlo tale nemmeno quando il livello di WTF raggiunge quello di "Madonna dell'Incoronéta with surprise"; Crowe fa sparire con un solo sguardo, e al limite un cucù, tutto il resto del cast, e l'unico momento in cui il suo carisma vacilla è quello in cui entra chi ne trasuda a carrettate dal 1962, un uomo che a 82 anni è figo come quando ne aveva 20, ovvero Franco "Vai in Ispagna" Nero. Gli altri, chi più chi meno, fanno il loro lavoro, così come il regista, che pur non raggiungendo i livelli di Overlord è riuscito almeno a farsi perdonare Samaritan e, probabilmente, ad imparare la lezione di non sovraccaricare il film di CGI pessima. Purtroppo, qualcosa ancora rimane, e il finale somiglia tanto ad un videogioco privo di fascino e tanto caciarone, ma ho visto decisamente di peggio nel corso degli anni, quindi non mi va di fare troppo le pulci a L'esorcista del papa. Ovvio, lungi da me dirvi che abbiamo l'horror migliore dell'anno o anche solo un horror, ché qui siamo più dalle parti del film fantastico con demoni annessi e se non siete più che bendisposti ad accettare del trash più o meno involontario rischiate di odiarlo tantissimo (ah, mi tocca anche avvertire le persone particolarmente sensibili alla violenza sugli animali, ci sono un paio di scene bruttine), ma io mi ci sono molto divertita e posso dirmi pienamente soddisfatta. Più Padre Amorth per tutti quindi, almeno quello finto, e preghiamo il signuruzzu perché arrivi presto un L'esorcista del papa 2, con Pilou Asbæk nei panni di un demone e old man Stallone in quelli del mentore di Amorth!  


Del regista Julius Avery ho già parlato QUI. Russell Crowe (Gabriele Amorth) e Franco Nero (il Papa) li trovate invece ai rispettivi link.

Daniel Zovatto interpreta Padre Esquibel. Costaricano, ha partecipato a film come It Follows, Man in the Dark, Lady Bird e a serie quali Agents of S.H.I.E.L.D., Fear the Walking Dead e Dal tramonto all'alba - La serie. Ha 32 anni e un film in uscita. 


Alex Essoe interpreta Julia. Nata in Arabia Saudita, la ricordo per film come Starry Eyes, Tales of Halloween, Doctor Sleep; inoltre, ha partecipato a serie quali The Haunting of Bly Manor, Midnight Mass e The Midnight Club. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 31 anni e un film in uscita. 


Se L'esorcista del Papa vi fosse piaciuto, avete solo l'imbarazzo della scelta e potete recuperare L'esorcista (a noleggio su Prime Video), la saga di The Conjuring (tutti e tre su Netflix, i primi due anche su Prime)Il rito (a noleggio su Prime), Liberaci dal male (su Netflix) e The Vatican Tapes (gratis su Rakuten TV o Pluto). ENJOY! 


venerdì 21 aprile 2023

Air - La storia del grande salto (2023)

Stavo quasi per perderlo, poi le recensioni entusiaste mi hanno convinta ad andare a vedere Air - La storia del grande salto (Air), diretto dal regista Ben Affleck.


Trama: Sonny Vaccaro, consulente della divisione basket di una Nike in crisi, cerca di assicurarsi Michael Jordan come volto per promuovere una nuova linea di scarpe...


Il motivo per cui stavo quasi per snobbare Air risiede nel mio atavico disinteresse verso ogni cosa che sia anche solo lontanamente legata allo sport; in particolare, di basket so solo che, da ragazzina, mi piacevano i cappellini della NBA per i colori sgargianti delle squadre e che Michael Jordan ha partecipato a Space Jam, quindi il mio terrore era quello di non capire una mazza del film e di farmi due palle cubiche. Poi hanno cominciato ad arrivare le prime recensioni positive e la quasi unanime consacrazione di Air a film da recuperare assolutamente, quindi, contando anche che al Bolluomo il basket piace, ho colto la palla al balzo per passare la domenica sera in sala. Finita la visione, sono stata molto contenta di guardare Air. Il film, co-sceneggiato dallo stesso Ben Affleck e da Matt Damon, nonostante i due non siano citati come sceneggiatori nei credits, è il classico "drama" USA in cui il destino di un'azienda e di tutti quelli che ci lavorano è affidato al carisma di una sola persona, che si fa carico di un compito apparentemente impossibile da portare a termine mentre chi lo circonda, alternativamente, lo aiuta o gli mette i bastoni tra le ruote. Nel caso in questione, Air racconta la storia "vera" di Sonny Vaccaro, il quale, per evitare il tracollo di una Nike che negli anni '80 rischiava il fallimento, ha puntato tutto su un promettente giocatore di basket di nome Michael Jordan, già all'epoca conteso da Adidas e Converse ma non ancora diventato la stella di fama mondiale che conoscono persino le capre come me. Detto questo, Air non deve però venire considerato una celebrazione di Vaccaro, della Nike o di Jordan (il quale non viene quasi mai inquadrato, se non di spalle, o mostrato in poche immagini d'archivio; al limite, la celebrazione viene riservata a Deloris Jordan, dipinta come donna di raro acume ed intelligenza, oltre ad avere fiuto per gli affari), quanto piuttosto la fotografia di un sogno americano appoggiato sulle fragilissime spalle di scommesse più o meno rischiose, dove contano sì il carisma e la capacità di capire come sta girando il vento, ma soprattutto contano le botte di culo, e se non arrivano la conseguenza è la distruzione di vite e famiglie, sacrificate al dio denaro e al capitalismo, o ai capricci di un ragazzino che vuole una Mercedes rossa, se per questo. 


Lapalissiano, in tal senso, è il bellissimo, commovente monologo pronunciato da Matt Damon per convincere Jordan a dare una chance alla Nike, interamente imperniato sul coraggio necessario a compiere il "grande salto" del titolo italiano, sulla forza indispensabile per sopportare i dolori che, inevitabilmente, verranno con le gioie, perché il rischio è quello che abbiano un peso identico se non addirittura maggiore; e altrettanto bella, a mio avviso, è l'inquadratura che, all'improvviso, si apre a mostrare per intero l'open space di cui gli uffici di Sonny e Rob Strasser sono solo una piccola parte, quella parte su cui, fino a quel momento, si sono inevitabilmente concentrate le attenzioni dello spettatore, dimentico (come del resto Sonny) della presenza di altre persone destinate a venire pesantemente influenzate dall'esito della scommessa di Vaccaro, collateral damages i cui nomi non verranno ricordati come quello di Jordan, certo, ma che sono stati comunque indispensabili per consacrarlo alla gloria imperitura. Questi, a mio avviso, sono i picchi più alti di un film ben scritto, ben diretto da un Ben Affleck sempre più sicuro dietro la macchina da presa (e più valido come regista che come attore, ma questa ormai sembra quasi una banalità da scrivere) e arricchito dal cast delle grandi occasioni. Senza nulla togliere a Matt Damon, assai bravo a reggere il film come protagonista, i miei preferiti sono Viola Davis, che spicca nei panni di una Deloris Jordan intensa ed elegante, Jason Bateman, il quale si conferma uno degli attori più versatili della sua generazione, e Chris Messina, volgarissima ed esagitata fonte delle poche ma sentite risate che mi sono fatta guardando Air. Personalmente, non lo considero il film dell'anno, ma è comunque una pellicola bella ed interessante, che merita di essere vista. Non perdetelo!


Del regista Ben Affleck, che interpreta anche Phil Knight, ho già parlato QUI. Matt Damon (Sonny Vaccaro), Jason Bateman (Rob Strasser), Chris Messina (David Falk), Viola Davis (Deloris Jordan), Chris Tucker (Howard White) e Marlon Wayans (George Raveling) li trovate invece ai rispettivi link. 


Nel cast ciccia fuori un altro degli Skarsgård, Gustaf, che nel film interpreta Horst Dassler. Julius Tennon, che interpreta il padre di Jordan, è il marito di Viola Davis anche nella realtà. Se Air vi fosse piaciuto recuperate La grande scommessa. ENJOY!

mercoledì 19 aprile 2023

Project Wolf Hunting (2022)

Dopo la forsennata corsa all'Oscar e a fronte di un periodo di nuovo non allegrissimo, avevo proprio bisogno di staccare il cervello e, in soccorso, è arrivato Project Wolf Hunting (Neukdaesanyang), diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Hong-seon Kim.


Trama: all'interno di una nave che sta trasportando dei pericolosi criminali coreani dalle Filippine al loro paese d'origine succede un pandemonio quando i prigionieri si liberano... e scoprono di non essere soli!


Project Wolf Hunting è la mattanza giusta al momento giusto, un film che comincia come l'adorato, adorabile Con Air e poi prende la china dell'horror splatter che non guarda in faccia a nessuno e lo stesso riesce a non far venire voglia allo spettatore di sciacquarsi il cervello. Sicuramente, il motivo è da ricercarsi nel fatto che Project Wolf Hunting non si prende mai troppo sul serio a livello di "pesantezza" della trama (niente perversioni, ricerca del disgusto depravato a tutti i costi, momenti di deprimente schifo gratuito ai danni di categorie "deboli" come animali, bambini o donne, e se questo vi ricorda qualcosa, avete detto voi The Sadness, mica io) ma fila come un treno mettendo in scena una violenza talmente sistematica e grottesca che il cervello commuta automaticamente in modalità "tecnica", arrivando a chiedersi in quanti modi creativi e divertenti si possa spillare sangue da un corpo umano (spoiler: parecchi!). Questo anche grazie a una sceneggiatura che, sì, mette tantissima - letteralmente - carne al fuoco ma, salvo per un paio di personaggi chiave, non va tanto per il sottile quando è il momento di tratteggiare psicologie, e scodella giusto una varietà di "tipi" criminali o di poliziotti tranquillamente sacrificabili, salvo per un paio di elementi un po' più definiti (ma ugualmente passabili di venire eliminati dall'equazione, attenzione). Per dirla alla Salvini, non sono razzista ma 'sti coreani sono tutti uguali e, soprattutto per quanto riguarda i poliziotti, anche difficili da distinguere l'uno dall'altro. A parte le facezie, sto allungando la broda perché non mi va di fare troppi spoiler su una trama che introduce qui e là un paio di twist interessanti facendo prendere alla storia tutt'altra direzione, al punto che probabilmente l'idea è quella di continuare con un Project Wolf Hunting 2, e che rende il film un simpaticissimo mostro di Frankenstein action con pezzi di fantascienza, horror, polizi(ott)esco e persino una puntina di noir.


La messa in scena, nonostante le più di due ore di durata di film, risulta talmente dinamica da riuscire a non portare alla saturazione lo spettatore, il che è quasi miracoloso, se si pensa che Project Wolf Hunting è ambientato in un'unica location salvo per un paio di flashback. Questi ultimi, in realtà, sono forse il punto debole dell'intera operazione, perché a volte spezzano il ritmo del racconto rallentandolo, ma è davvero un dettaglio davanti a tanta devozione splatter. Il sangue, in Project Wolf Hunting, scorre letteralmente a fiumi, un profluvio di liquido rosso scuro che esce a fiotti dalle ferite più improbabili, non solo attraverso fendenti menati con armi improprie o colpi che fanno letteralmente esplodere il petto o la testa della vittima, ma anche attraverso fastidiosissime lame che penetrano lentamente corpi che paiono fatti di burro, tanto sono vulnerabili. Anche gli attori sono tutti molto bravi e, sicuramente, hanno avuto modo di divertirsi: punti di forza dell'intera operazione sono il volgarissimo e zamarro Seo In-Guk (che nasce come K-pop star, incredibile!), il violento sbirro interpretato da Park Ho-San, e, ovviamente, il mostruoso Gwi-hwa Choi, già star di vari altri horror coreani, mentre per le quote rosa si fanno ricordare la caparbia Jung So-Min Jang Young-Nam, che ho confuso con l'attrice che interpreta la pazza in Squid Game mentre invece è una persona completamente diversa, nonché una comica molto quotata in patria. Che dire, nell'attesa che esca Project Wolf Hunting 2, di cui però non si parla ancora su siti internet scritti in una lingua a me comprensibile, recuperare Project Wolf Hunting non è affatto una cattiva idea. Vi divertirete parecchio, promesso!

Hong-seon Kim è il regista e sceneggiatore della pellicola. Sudcoreano, ha diretto film come Metamorphosis. Ha 48 anni. 


Gwi-hwa Choi interpreta Alpha. Sudcoreano, ha partecipato a film come Goksung - La presenza del diavolo, Train to Busan, Il prigioniero coreano e A Taxi Driver. Ha 45 anni. 


Se Project Wolf Hunting vi fosse piaciuto potreste recuperare la saga di REC: i primi due e il quarto li trovate su Prime compresi con l'abbonamento, il terzo dovete noleggiarlo ma lo trovate sempre su Prime. ENJOY!



martedì 18 aprile 2023

I tre moschettieri - D'Artagnan (2023)

Ormai ho quasi 42 anni, sono una vecchia signora sensibile al fascino maschile, come potevo non correre a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan (Les trois mousquetaires: D'Artagnan), diretto dal regista Martin Bourboulon?


Trama: in una Francia dilaniata dai conflitti religiosi, il giovane guascone D'Artagnan si reca a Parigi per entrare nel corpo dei Moschettieri e, dopo aver fatto amicizia con Athos, Porthos e Aramis, rimane coinvolto negli intrighi di Milady e Richelieu ai danni della Regina...


Penso di averlo già scritto altrove ma ADORO I tre moschettieri in ogni sua forma, forse a causa di un distorto amore verso i feuilettons francesi inculcatomi da Ryoko Ikeda e dal suo meraviglioso Versailles no bara. Qualsiasi versione della storia scritta da Alexandre Dumas è per me come un tonificante sorso di acqua fresca, che si tratti della pagliacciata all star targata Disney, dell'anime che guardavamo da bambini, della tamarrata realizzata da Anderson, della Maschera di Ferro di DiCapriana memoria (insomma, pick your poison), e la guarderò sempre con un'indulgenza e una gioia bambinesca che non riserverei a nessun'altra opera. Ammetto, però, di essere partita prevenuta con il film di Bourboulon, nonostante un trailer che mi schiaffava lì Cassel nei panni di un invecchiato (bene) e affascinante Athos, e di essermi recata al cinema pronta a venire colpita in fronte da una sòla, salvo poi ricredermi durante la visione: I tre moschettieri - D'Artagnan è veramente un bel film, se piace il genere, ovviamente. Rispetto ai suoi predecessori, I tre moschettieri è maggiormente contestualizzato a livello storico e fa dello scontro tra cattolici e protestanti che funestava la Francia verso la metà del secolo XVII uno degli elementi principali della trama, punto di partenza di buona parte degli intrighi che vedono coinvolti, loro malgrado, i tre moschettieri e D'Artagnan. La sceneggiatura mantiene inalterate le personalità dei protagonisti principali (e conferisce ad Aramis un interessantissimo gusto per l'iconoclastia!) e gli episodi più conosciuti dell'opera letteraria, come il triplo duello e il recupero della collana data in pegno a Buckingham, ma aggiunge anche un paio di eventi inventati di sana pianta che collegano Athos ai protestanti e trasformano parte del film in un "giallo" anche abbastanza sanguinoso e macabro; Rochefort quasi scompare e, mentre Richelieu rimane un po' sullo sfondo come eminenza grigia poco utilizzata, il Re Luigi XIII acquista maggiore personalità, cosa che lo eleva dal rango di semplice cartonato in guisa di sovrano annoiato, pur confermandosi sostanzialmente inetto, vittima dei raggiri di Richelieu e delle corna impostegli dalla Regina.     


Il cast, secondo me, è azzeccatissimo ed affiatato. Tolto che I tre moschettieri è un film che bisognerebbe andare a vedere in gruppi di donne nonostante la presenza della divina Eva Green, perché c'è un parterre di figonzi che raramente si riscontra nei film d'oltralpe (Cassel, va bene, ma D'Artagnan non fa per nulla schifo e non parliamo poi di Aramis, Buckingham e persino Porthos, che in questa versione apprezza molto il cibo e le donne, come da copione, ma non disdegna neppure i bei fanciulli, attenzione!), ogni singolo attore mi è sembrato molto in parte e convinto del proprio ruolo, perfettamente in equilibrio, come del resto l'intera pellicola, tra momenti di serietà e altri di lieve o macabra ironia. La regia di Martin Bourboulon fa il suo senza particolari guizzi e le scene di azione e combattimento risultano fluide e chiare anche grazie al montaggio, mentre svettano invece il comparto costumi e scenografie; la divisa dei moschettieri è un giusto mix di elementi tradizionali e particolari più "selvaggi", che sottolineano la natura scapestrata e borderline dell'intero corpo, in contrasto con i soldati di Richelieu, ma gli abiti che vengono mostrati durante la festa al palazzo di Buckingham sono una gioia per gli occhi e quelli indossati da Eva Green li vorrei nel mio armadio, senza se e senza ma. L'unica nota veramente negativa de I tre moschettieri, oltre al fatto che dovrò aspettare fino a dicembre per vedere il seguito, I tre moschettieri - Milady, è l'orribile fotografia, scurissima nelle scene notturne, al punto che risulta difficile vedere qualcosa, e nebbiosa, quasi sfocata, nelle scene diurne. Purtroppo, il direttore della fotografia Nicolas Bolduc figura come coinvolto anche nel prossimo film, ma pazienza, non è un difetto così grande da inficiare l'intera operazione. Se non riuscite ad andare a vedere I tre moschettieri - D'Artagnan al cinema, quindi, non disperate perché avete tutto il tempo di recuperarlo prima che arrivi dicembre ma fatelo, datemi retta, non ve ne pentirete!


Di Vincent Cassel (Athos), Eva Green (Milady), Louis Garrel (Luigi XIII) e Vicky Krieps (Anna d'Austria) ho già parlato ai rispettivi link.

Martin Bourboulon è il regista della pellicola. Francese, ha diretto film come O mamma o papà ed Eiffel. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni e un film in uscita, I tre moschettieri - Milady.


François Civil
interpreta D'Artagnan. Francese, ha partecipato a film come Frank e Necropolis - La città dei morti. Ha 33 anni e tre film in uscita tra cui, ovviamente, I tre moschettieri - Milady.


L'amatissimo Oliver Jackson-Cohen era stato scelto per interpretare Buckingham ma ha dovuto rinunciare per impegni pregressi. Il padre del regista era uno dei produttori del film Eloise, la figlia di d'Artagnan, e una visita al set di un Martin Bourboulon quattordicenne è stato uno dei motivi che lo ha spinto ha realizzare questo film. Nell'attesa che esca I tre moschettieri - Milady, se I tre moschettieri - D'Artagnan vi fosse piaciuto recuperate I duellanti (a noleggio su Prime Video), I tre moschettieri di Stephen Herek (su Disney +), La maschera di ferro I tre moschettieri di Paul W. S. Anderson (gratis su Rai Play). ENJOY!


venerdì 14 aprile 2023

Living with Chucky (2022)

E' da quando mi è capitata sotto gli occhi l'adorabile locandina che bramavo di vedere Living With Chucky, diretto e sceneggiato nel 2022 dalla regista Kyra Elise Gardner e finalmente, qualche giorno fa, è uscito su Shudder!


Come sapete, non guardo molti documentari, è un genere che mi appassionerebbe anche, ma che richiede tempo che non ho. Eppure, quando ho letto la trama di Living with Chucky, mi ha incuriosita il fatto che si parlasse delle famiglie di chi è cresciuto con la saga fin da bambino, perché lì per lì pensavo si parlasse di traumi infantili. In realtà, Living with Chucky è la disamina di una caratteristica decisamente inusuale per una saga horror (e mi correggeranno i veri appassionati del genere, in caso sbagliassi), ovvero quella di vantare la presenza ormai trentennale di un terzetto di persone che sono riuscite a detenere un controllo pressoché totale dell'opera e a far sì che essa si delineasse all'interno di un percorso assolutamente coerente, pur tra alti e bassi. A partire dal primo La bambola assassina, i vari film della saga dedicata a Chucky sono stati gestiti e seguiti passo per passo da Don Mancini (sceneggiatore di ogni pellicola della saga e regista di ogni lungometraggio a partire da Il figlio di Chucky), dal produttore David Kirschener e, ovviamente, dalla voce storica di Chucky, Brad Dourif; ad essi si è aggiunto, nel 2004, il tecnico degli effetti speciali Tony Gardner che, come si può evincere dal cognome, è il padre della regista Kyra Elise, la quale è letteralmente cresciuta sui set della saga e ha deciso di espandere il suo primo corto The Dollhouse, girato quando era ancora una studentessa di cinema, trasformandolo in un lungometraggio. La prima parte del documentario, che tratta ogni singolo film della saga parlandone attraverso interviste e stralci di backstage, serve allo spettatore per capire l'enorme fortuna avuta da Mancini nel trovare un produttore illuminato come Kirschener, che non solo gli ha dato fiducia fin dalla prima sceneggiatura, ma gli ha concesso di portare avanti un discorso personalissimo e ben poco convenzionale su Chucky e il suo universo, a prescindere dal successo sempre più in calo di una saga che ha avuto una rinascita clamorosa soltanto negli ultimi anni, dopo essere stata declassata a cretinata comica per ragazzini. Il punto di vista sentimentale ed entusiasta delle quattro figure chiave della saga riverbera nelle interviste di chi, o prima o dopo, ha fatto parte della realizzazione della serie (Jennifer Tilly, Alex Vincent, Fiona Dourif e Christine Elise, ovviamente, ma anche John Waters e Billy Boyd), mentre la parte più "razionale" del documentario è affidata a produttori ed esperti del settore, che analizzano il fenomeno Chucky anche dal punto di vista del successo commerciale, del fandom e dell'eredità lasciata al genere.


La seconda parte di Living with Chucky, invece, è concentrata sulla natura "familiare" dell'opera e su cosa significhi passare buona parte della propria esistenza assieme a persone con le quali non si hanno legami di sangue, spesso vivendo più con loro che con figli, mariti e mogli. Ovviamente, qui il punto di vista principale è quello di Kyra Elise, come si evince dalla particolare attenzione posta sul lavoro del tecnico degli effetti speciali e delle squadre di marionettisti che si avvicendano per dare vita a Chucky (attraverso un lavoro così complesso che ci sarebbe da vergognarsi a definire anche il "peggior" film della saga una cretinata). Quello della regista è, inevitabilmente, un punto di vista commovente, che non manca di confronti emozionanti, soprattutto quelli tra lei e il padre o fra i due Dourif, ma non è mai patetico, ingenuo o facilone, anzi; la difficoltà di conciliare le esigenze familiari "vere" con quelle della famiglia temporanea che si viene a creare durante la realizzazione di un film (per non parlare, come in questo caso, di una serie di pellicole) non viene sottovalutata né demonizzata, bensì trattata come qualsiasi lavoro lungo e difficile, che pretende forza d'animo e pazienza sia da chi lo esegue sia da coloro ai quali viene richiesto di stare accanto al "dipendente", con tutto quello che ne consegue in termini di gioie (tante) e dolori (purtroppo, tanti anche quelli). A tal proposito, sono preziose anche le testimonianze di professionisti quali Lin Shaye, Marlon Wayans Dan Povenmire (il co-creatore di Phineas e Ferb) i quali, pur non avendo mai avuto a che fare con l'universo di Chucky, sono stati comunque "inghiottiti" dal processo creativo di saghe infinite che portano a creare nuovi legami a rischio di sacrificare quelli esistenti, con l'aggravante di rischiare di ritrovarsi nuovamente da soli (quel "finito di girare poi non ci si vede più per anni" detto da Fiona Dourif è deprimente, e la tristezza un po' traspare dalle parole e dai volti di Alex Vincent e Christine Elise, nonostante la gioia di essere tornati in famiglia dopo decenni). Il documentario, purtroppo, non copre l'esperienza vissuta da Mancini, Kirschener e Gardner sul set della serie Chucky, con le nuove piccole aggiunte alla "Chucky Family", ma risulta uno strumento interessantissimo per capire l'importanza di un paio di dinamiche e temi ricorrenti nella serie, oltre che a far venire voglia di recuperare ogni film della saga, quindi consiglio la visione di Living with Chucky a tutti gli appassionati di cinema, non solo ai fan del bambolotto omicida più simpatico del globo. Per quanto mi riguarda, il mio sogno è di avere un giorno un capo come Don Mancini o come David Kirschner, ma so che non si avvererà mai, ahimé.



Kyra Elise Gardner è la regista e sceneggiatrice della pellicola. Americana, è al suo primo lungometraggio e lavora anche come produttrice e attrice. 


Assieme alle persone citate nel post, tra le varie testimonianze raccolte dalla regista ci sono anche quelle di Christine Elise (che ha interpretato Andy ne La bambola assassina 2, Il culto di Chucky e nelle due stagioni di Chucky) e Adam Hurtig (poliziotto in La maledizione di Chucky e paziente del manicomio ne Il culto di Chucky). Ovviamente, se Living with Chucky vi ha incuriosito e non conoscete l'argomento trattato recuperate La bambola assassina, La bambola assassina 2, La bambola assassina 3, La sposa di Chucky (li trovate tutti su Prime Video ma solo l'ultimo è compreso nell'abbonamento), Il figlio di Chucky (gratis su Infinity), La maledizione di Chucky (su Prime Video ma a pagamento), Il culto di Chucky (gratis su Infinity) e le due stagioni della serie Chucky (la prima stagione è disponibile abbonandosi a Infinity). ENJOY!




mercoledì 12 aprile 2023

Nati con la camicia (1983)

Siccome un po' di tempo fa mi è capitato di vedere in TV Porgi l'altra guancia, mi sono resa conto che non guardavo seriamente un film con Bud Spencer e Terence Hill dal almeno 20 anni e, dato che era disponibile su Netflix, ho deciso di riguardare Nati con la camicia, diretto da E.B. Clucher nel 1983.


Trama: un'ex galeotto e un ventriloquo vengono scambiati per due super spie e ingaggiati dalla CIA per sconfiggere un criminale che vorrebbe distruggere il mondo...


A 42 anni suonati, posso dire che i film di Bud Spencer e Terence Hill sono l'unica certezza che ho, granitica ed immutabile. Non importa se sono passati decenni da quando, bambina, mi sbellicavo dalle risate in braccio a mio padre guardandoli, mi fanno sempre lo stesso effetto e sono una piccola scintilla di gioia in grado di ravvivare anche le giornate più buie. Nati con la camicia, di cui pure ricordavo poche sequenze e battute rispetto agli altri film del duo, non fa eccezione. La trama si sviluppa dal più classico e "budspencereterencehilliano" dei pretesti, ovvero quando due scappati di casa (Bud ex galeotto appena uscito di prigione e Terence vagabondo ventriloquo) vengono scambiati prima per dei ladri ricercati da tempo e poi, proprio per scappare da queste accuse infamanti, vengono presi per due infallibili super spie e trascinati di peso nelle trame della CIA, costretti a smascherare e sconfiggere un supervillain dal sapore Bondiano. E Bondiana è, per l'appunto, tutta la struttura parodica che regge il film. Una volta accettato di fare buon viso a cattivo gioco per amore di un milione di dollari, Bud e Terence vengono dotati di tutta una serie di accessori di lusso indispensabili per il mondo delle spie, di una macchina talmente accessoriata (nonché tamarrissima) da fare invidia all'Ispettore Gadget, e costretti ad affrontare vari scagnozzi dall'aspetto e dall'accento esotici, oltre a ritrovarsi bloccati in ambienti fantascientifici che, a un certo punto, fanno virare il film verso la direzione del nonsense più totale. Non che questo sia un difetto, beninteso. Anzi, Nati con la camicia sembra proprio voler puntare all'esagerazione crescente, quasi a voler sottolineare come la vita dei due poveri buzzurri Doug e Rosco, fatta di espedienti e scazzottate, sia normalissima e spartana in confronto al mondo "altro" delle superspie Steinberg e Mason (che, per inciso, non vengono mai mostrati); nonostante ciò, questo mondo bizzarro e "superiore" viene spesso messo in ridicolo dal semplice buonsenso dei nostri, ai quali bastano un po' di astuzia e faccia tosta per smascherare la cortina di fumo che cela funzionari pasticcioni (la gag del "Potreste non scriverlo nel rapporto?" è esilarante) e cattivoni da operetta, costretti a soccombere davanti al cervello e, soprattutto, ai pugni dei due agenti per caso.


A proposito di pugni, sapete benissimo che io ADORO le scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill, è una passione che ho fin da piccola e che già all'epoca mi portava a non aspettare altro che quelle. Quindi è con un po' di delusione che mi tocca sottolineare come Nati con la camicia non sia particolarmente zeppo di pestaggi, anzi, passa anche troppo tempo tra una scazzottata e l'altra. Certo, il film in questione conta una delle scene più iconiche tra quelle aventi Bud Spencer come protagonista, ovvero quella in cui con un "guarda là" e un perfetto gesto dell'ombrello fa fesso il quartetto di "cinesi" mandati ad ucciderlo, ma giustamente Clucher aveva probabilmente per le mani il budget delle grandi occasioni e ha preferito puntare su inseguimenti in auto, lussuosi hotel, panoramiche di Miami e grandi navi da crociera, oltre a un paio di terrificanti capi d'abbigliamento da far indossare ai due protagonisti. A proposito di abbigliamento, il film è del1983 e un paio di cose a cui, ovviamente, non avevo fatto caso da bambina mi hanno letteralmente agghiacciata. Bud Spencer per metà film porta un berretto in testa con su scritto "Kiss me, I'm black" (tradotto in uno dei dialoghi come "Baciatemi, sono ne*ro") e l'intera sequenza in cui, con l'ausilio di un filtro d'amore, l'integerrima segretaria del capo della CIA viene ridotta a una cutrettola sognante dopo essere stata presa in giro dagli uomini in quanto "quella non sa nemmeno cos'è il sesso", vista al giorno d'oggi raggiunge livelli di cringe altissimo. Per fortuna, l'enorme simpatia di Bud e Terence e la loro enorme alchimia compensano ampiamente, e lo stesso vale per la gradevolissima colonna sonora di Franco Micalizzi, che acquista punti in più in quanto autore anche della sigla di Lupin III cantata da Castellina Pasi. Vedete quanto è piccolo il mondo delle cose belle bellissime e quanto fa bene, ogni tanto, ricordarci della loro esistenza?


Di Bud Spencer, che interpreta Doug O'Riordan/Mason, ho già parlato QUI mentre David Huddleston, che interpreta Tigre, lo trovate QUA.

E.B. Clucher (vero nome Enzo Barboni) è il regista della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come Lo chiamavano Trinità..., Continuavano a chiamarlo Trinità, Anche gli angeli mangiano fagioli, I due superpiedi quasi piatti, Non c'è due senza quattro e Renegade, un osso troppo duro. Anche direttore della fotografia e sceneggiatore, è morto all'età di 79 anni.


Terence Hill
(vero nome Mario Girotti) interpreta Rosco Frazer / Steinberg. Nato a Venezia, lo ricordo per film come Il gattopardo, Dio perdona, io no!, I quattro dell'Ave Maria, Lo chiamavano Trinità..., Continuavano a chiamarlo Trinità, ... Più forte ragazzi!, ... Altrimenti ci arrabbiamo!, Porgi l'altra guancia, I due superpiedi quasi piatti, Pari e dispari, Io sto con gli ippopotami, Poliziotto superpiù, Chi trova un amico trova un tesoro, Don Camillo, Non c'è due senza quattro, Miami Supercops, Renegade, un osso troppo duro, Lucky Luke e Botte di Natale, inoltre ha partecipato a serie quali Lucky Luke, Un passo dal cielo e Don Matteo. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 84 anni. 


Se Nati con la camicia vi fosse piaciuto, avete da sbizzarrirvi con la filmografia di Bud Spencer e Terence Hill, ovviamente! ENJOY!

martedì 11 aprile 2023

Huesera (2022)

Mi ha fatta un po' penare per quanto riguarda la reperibilità ma mi ci sono incaponita perché volevo vederlo da mesi e, finalmente, sono riuscita a guardare Huesera, diretto e co-sceneggiato nel 2022 dalla regista Michelle Garza Cervera.


Trama: Valeria e il marito Raúl stanno cercando di avere un figlio e, quando Vero rimane incinta, sono entrambi al settimo cielo, almeno finché la ragazza comincia a venire perseguitata da una strana entità.


A leggere la trama di Huesera verrebbe da pensare al tipico horror a base di donne incinte e demoni pronti a possedere loro o il figlio che portano in grembo ma posso già assicurarvi, senza alcun ausilio di spoiler, che il film diretto e co-sceneggiato da Michelle Garza Cervera è molto più complesso ed interessante di così. Huesera sfrutta l'elemento horror per raccontare una condizione di disagio comune e, ahimé, reiterata dalla società "moderna", che è propria di chi è nato donna, ovvero quella terribile, insistente pressione sociale che ci vorrebbe tutte accasate e figliate in un lasso di tempo che copra, preferibilmente, dai 25 ai 30 anni, ché dopo si è già vecchie. Valeria è sposata con Raul e i due, a coronamento di una vita familiare perfetta, stanno cercando di avere un figlio (il primo amplesso mostrato tra i due è di rara tristezza, ed è un necessario metro di giudizio, oltre che una chiave di interpretazione fondamentale, per tutto ciò che verrà dopo); quando Valeria rimane incinta, la ragazza sembrerebbe al culmine della felicità, non fosse per delle terribili visioni legate a "qualcosa" che comincia a perseguitarla e privarla della tranquillità, una creatura fatta di ossa scrocchianti e in grado di piegarsi ad angoli impossibili, che nessun altro, a parte lei, è in grado di vedere o percepire. La cosa interessante di Huesera è vedere come al progressivo disagio mentale di Valeria si accompagni il "naturale" disagio fisico di chi subisce i cambiamenti indotti dalla gravidanza, qualcosa che trasforma completamente una donna e che non necessariamente chiunque vive come una gioia, anzi; l'altra cosa interessante è vedere come la metaforica diga mentale eretta da Valeria per conformarsi alla società e ai desideri di una famiglia già privata del primogenito maschio (e che, probabilmente, da lei si è sempre aspettata ben poco, come si evince dai dialoghi al vetriolo che si scambiano i personaggi), ceda a poco a poco per rivelare una persona completamente diversa dalla protagonista introdotta dalle prime sequenze, un nucleo di caos ed indipendenza costretto all'interno di limiti imposti o indotti, che preme, letteralmente, per tornare a reclamare il posto che gli è stato sottratto.


Sia dietro la macchina da presa che alla sceneggiatura, Michelle Garza Cervera imprime alla pellicola una forte personalità "nazionale" che allontana Huesera dai modelli dell'horror americano pur appropriandosi di alcuni elementi formali tipici del genere. Il folklore del Messico, la commistione totale di elementi cattolici e riti pagani, si fa sentire fin dalle prime sequenze, per poi deflagrare nel cupo, affascinante rito con cui Valeria cerca di liberarsi di ciò che la perseguita, un insieme di scene terrificanti e interessanti in egual misura, dove si erge a protagonista non solo un mondo "altro", ma anche un gruppo sociale fatto di persone considerate diverse e in qualche modo "mancanti", eppure necessarie in virtù della loro empatia ed apertura mentale, indispensabili per capire e contrastare ciò che chi è normale fatica a vedere. L'orrore, a tal proposito, in Huesera non viene mai dissimulato, al contrario, la Cervera confeziona scene abbastanza raccapriccianti e momenti in cui l'inquietudine la fa da padrone. Nonostante questo, ciò che mi ha colpita maggiormente guardando il film non è tanto l'orrore "fantastico", quando piuttosto quello verosimile, dipinto negli occhi di una ragazza che si vede ridurre a mera incubatrice inaffidabile, a madre depersonalizzata prima ancora di mettere al mondo un figlio, circondata da persone (l'amorevole maritino in primis, ma anche la suocera, la sorella pronta a difendere quei due figli mostruosi che si ritrova e persino la mamma di Valeria) preoccupate non tanto per la sua salute, quanto che il deterioramento di quest'ultima causi danno al bambino. Non dovrebbero servire horror come questi per aprire un po' gli occhi, ma magari guardatelo comunque che male non fa, e ricordatevi che le mamme, anche quelle che lo sono da poco, sono sempre esseri umani senzienti ed indipendenti, ai quali fa piacere sentirsi sinceramente chiedere "come stai?", non "come state?", come se non potessero scindersi dal figlio neonato. 

Michelle Garza Cervera è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Messicana, ha partecipato all'antologia México Bárbaro II. Anche produttrice, ha 36 anni.



venerdì 7 aprile 2023

John Wick 4 (2023)

Ammetto che ci avevo quasi rinunciato, tra impegni e malanni, ma domenica siamo riusciti finalmente ad andare al cinema a vedere John Wick 4 (John Wick: Chapter 4), diretto dal regista Chad Stahelski.


Trama: dopo essere quasi morto nel film precedente, John Wick riprende il suo sanguinoso cammino pr liberarsi dal giogo della Gran Tavola e stavolta il suo principale avversario è il Marchese Vincent de Gramont.


E' finita. Forse. Dico forse perché in una scena post-credit che non vi spoilero stiamo già guardando al MCU del Continental e della Gran Tavola, di cui in effetti ci manca di vedere i pilastri fondamentali, ma dopo 9 anni possiamo dire che è finita la saga che ha sdoganato il cinema "di menare" (TM) al pubblico bue, quello che del cinema in questione non conosce nemmeno le basi e che magari, chessò, è riuscito ad incuriosirsi dopo tutto questo tempo. E' finita, e quella di John Wick è una fine a cui non potrò MAI voler male, nonostante tutti i difetti che mi hanno spinta a ridere come una pazza in sala, perché ci sono anche tanti pregi e momenti epici. Di trama ormai non si può più parlare da un paio di episodi, ci mancherebbe. Ogni film di John Wick, salvo forse il primo, è una serie di scuse e deviazioni per far sì che Keanu Reeves, per arrivare dal punto A al punto B, ci metta più o meno tre ore e, nel frattempo, si profonda in coreografie malmenanti sempre più lunghe e complesse (ma non per questo varie. Ci arrivo) e, ovviamente, John Wick 4 non fa eccezione, cosa che porta il nostro eroe a viaggiare dal Marocco ad Osaka, da New York a Berlino e, per il gran finale, a raggiungere una Parigi da cartolina. Ciò che in primis salva il franchise dalla noia perpetua è, come sempre, il bellissimo, interessante world building che lo accompagna, fatto di alberghi misteriosi, concierge efficacissimi (ciao Lance, mi mancherai tanto) e terribili Gran Tavole che giocano con la vita altrui millantando regole perse nell'alba dei tempi e perfino codificate in latino, con tutto il codazzo di personaggi e assassini sui generis che si portano appresso. La seconda cosa sono le infinite sequenze di combattimento, ogni volta più assurde ed esilaranti, che dopo tutti questi anni ancora regalano delle gioie, non tanto quando c'è di mezzo Keanu Reeves (mai stato particolarmente atletico, poverello, ma ci mette l'impegno instancabile di chi ha le giunture sempre un po' rigide e deve compensare con l'entusiasmo) ma quando arriva gente tipo Donnie Yen e Scott Adkins, il primo sempre una gazzella elegantissima e il secondo, pur costretto nel ruolo di Ciccio Bastardo, sempre capace di tirare calci come se non portasse una fat suit addosso.


Le infinite sequenze di cui sopra, signori miei, le avrei onestamente scorciate un po', perché risentono dello stesso difetto del film precedente, ovvero quello di mostrare Reeves rotolare per dieci minuti attorno all'attaccante per poi freddarlo con un headshot, ma quest'anno ci sono anche picchi di sfacciataggine notevole, forieri dell'ilarità isterica di cui parlavo sopra. Per esempio, John Wick 4 introduce "ottimi" abiti in kevlar coi quali basta coprirsi il viso col bavero per sopravvivere anche alle piogge di proiettili peggiori, o ancor più ottimi fucili d'assalto che non si limitano a colpire l'avversario, ma lo incendiano proprio, facendolo quasi esplodere; è stato poi introdotto un concetto di universo espanso secondo il quale John Wick discende direttamente dal clan MacLeod, o non si spiega perché lui riesca a sopravvivere a incidenti stradali reiterati e continue cadute da palazzi di 10 piani, mentre gli sventurati che condividono il suo stesso destino devono arrendersi alla morte impietosa dopo appena un singolo incidente/caduta. Ciò detto, John Wick 4 tocca picchi di commozione plurimi, soprattutto nelle scene ambientate a Parigi, con la rotonda degli Champs Elysées trasformata nel set di Carmageddon e la scalinata che porta al Sacro Cuore trasfigurata in una sorta di tormento di Sisifo, il tutto creato per omaggiare I guerrieri della notte grazie alla sensualissima (e bastardissima) DJ pronta a vendere agli assassini della Ville Lumière il povero Jonathan. Non dimentichiamo, infine, le guest star che come sempre pullulano. Al di là di Donnie Yen e Scott Adkins, per me i top del cast, Bill Skarsgård fa sempre la sua porca figura (e credo che il doppiaggio italiano ci abbia messo una bella pezza, almeno stavolta), di Clancy Brown non parliamo nemmeno, ché la grandezza è troppa, Hiroyuki Sanada è sempre elegante e bellissimo, Marko Zaror un'eccellente ingresso forse poco sfruttato e Ian McShane è perfetto oggi come 9 anni fa. Dite quello che volete, a me John Wick mancherà veramente tantissimo ma, come ho già detto, l'intenzione di tenere la saga in vita c'è (il primo spin-off cinematografico è previsto già per l'anno prossimo!), perché si potrebbero raccontare ancora mille storie su questo universo, stando però bene attenti a giocarsi al meglio la carta del picchiare/uccidere/headshottare bene, cosa che, purtroppo, una serie TV non potrebbe mai fare, ma chi sono io per porre dei limiti alla tamarreide e alla fantasia? Attendo speranzosa!


Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUIKeanu Reeves (John Wick), Laurence Fishburne (Bowery King), Lance Reddick (Charon), Clancy Brown (Harbinger), Ian McShane (Winston), Bill Skarsgård (Marchese), Donnie Yen (Caine), Hiroyuki Sanada (Shimazu) e Scott Adkins (Killa) li trovate invece ai rispettivi link.


Lance Reddick, Keanu Reeves, Ian McShane e persino Anjelica Huston dovrebbero comparire in Ballerina, il primo spin-off della saga, programmato per l'anno prossimo e avente Ana De Armas come protagonista. Nell'attesa, ovviamente, recuperate i primi tre film della saga e aggiungete Atomica Bionda, Bullet Train e I guerrieri della notte. ENJOY!




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