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martedì 30 novembre 2021

Shiva Baby (2020)

La meravigliosa sister mancata Alessandra mi ha regalato un abbonamento di 7 giorni a Mubi e il film che mi sono ritrovata nella mail per cominciare il periodo di prova è stato Shiva Baby, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Emma Seligman.


Trama: durante un shiva la giovane Danielle si ritrova davanti il suo "benefattore" mentre famiglia, parenti, sconosciuti ed ex non smettono di pressarla...


Se cercate un film che vi metta un'ansia spaventosa senza essere horror, Shiva Baby è il film che fa per voi. Che poi, non definirlo horror è un azzardo vista la situazione in cui viene a trovarsi Danielle, ragazzotta ebrea  che ancora non sa bene cosa fare della sua vita e che si barcamena tra il tentativo (fallito) di concludere finalmente il college e un'attività ben più remunerativa, ovvero quella di prostituirsi online con uomini adulti e facoltosi. Durante il shiva del titolo (che, per chi non lo sapesse, è una celebrazione funebre tipica della religione ebraica, durante la quale il lutto viene consumato recandosi in casa dei parenti stretti del defunto) Danielle è costretta a subire ciò che, bene o male, tutti nella vita abbiamo subito almeno una volta, ovvero ritrovarsi rinchiusi in un luogo zeppo di familiari o conoscenti che non ci vedono da un po' e non vedono l'ora di metterci in imbarazzo facendosi i fatti nostri: ce l'hai il ragazzo?, ti sei sposata?, figli ne fate?, l'hai finita la scuola?, il lavoro lo stai cercando?, cosa vuoi fare poi nella vita?, ma come sei grassa, ma come sei magra, ma come sei sciupata, ma perché non ti trucchi, ma cosa ti sei messa, mafattica**ituoiporcamiseria!!!! Ovviamente, in questi casi i genitori non aiutano, lo sappiamo bene, in particolare quelli di Danielle non smettono di "pilotare" conversazioni e risposte tentando di proteggere più la loro reputazione che quella dell'adorata "bambina". In aggiunta, all'interno della casa dove si svolge lo shiva cicciano fuori anche la ex di Danielle, la quale, a differenza sua, ha una fulgida carriera scolastica e lavorativa davanti, e, quel che è peggio, il suo cliente più importante, quello che letteralmente la mantiene in cambio di una scopata... e che si presenta allo shiva con la bellissima moglie in carriera e un mostro frignante di 18 mesi. 


Direi che ce n'è abbastanza per avere una crisi di nervi nel giro di un paio di minuti e Emma Seligman lo sa, perché non dà un attimo di tregua né a Danielle né allo spettatore coinvolto nell'umanissimo dramma di una ragazza insicura e convinta di non valere niente. Shiva Baby, in questo, somiglia molto a Diamanti grezzi (anche se è molto, ma molto meno irritante) perché mette in campo le idiosincrasie tipiche della società americana ebraica attraverso un flusso quasi ininterrotto di persone che parlano, anche una addosso all'altra ovviamente, scrutano, giudicano e mangiano, con Danielle che, sempre più sudata e sconvolta, schiacciata sia dai corpi degli astanti che dalla casa che fa da teatro alla vicenda, cerca di trovare un po' di tranquillità e aria. Shiva Baby è un filo che viene teso dal momento esatto in cui Danielle incontra i suoi genitori, un filo all'apparenza così sottile che parrebbe doversi spezzare appena la figlia di Max comincia a strillare, mandando in frantumi tutte le illusioni di Danielle, e che invece resiste a una continua serie di strattoni sempre più forti finché non cede quando la protagonista, ormai vinta, crolla in lacrime nel corso di una sequenza da strappare il cuore. Non c'è happy ending in Shiva Baby, c'è solo la flebile speranza di ricucire quel filo grazie a mani molto imperfette, che non è detto riescano nell'impresa, e ciò che rimane allo spettatore (oltre alla possibilità di potere finalmente respirare, salvo che la nostra vita non sia simile a quella di Danielle) è la certezza di avere visto un film dove ogni attore offre un'interpretazione perfetta e dove la giovane regista e sceneggiatrice dirige con una mano talmente sicura, originale e acuta da fare invidia ad autori ben più conosciuti e blasonati. Cosa aspettate a recuperarlo?

Emma Seligman è la regista e sceneggiatrice della pellicola, al suo primo lungometraggio. Canadese, ha 26 anni ed è anche produttrice e costumista. 


Fred Melamed
interpreta Joel. Americano, ha partecipato a film come Radio Days, Ombre e nebbia, Bone Tomahawk, Ave, Cesare!, Brawl on Cell Block 99, Dragged Across Concrete e a serie quali Wanda/Vision e American Crime Story; come doppiatore ha lavorato in Leone cane fifone. Ha 65 anni e tre film in uscita. 


Rachel Sennott
, che interpreta Danielle, era già protagonista del corto Shiva Baby, sempre scritto e diretto da Emma Seligman. Ciò detto, se Shiva Baby vi fosse piaciuto provate a recuperare Diamanti Grezzi su Netflix. ENJOY!

lunedì 29 novembre 2021

Il Bollodromo #80: Lupin III - Parte 6 - Episodio 7

Buon lunedì a tutti!! Finiti (per ora) i filler, Lupin III - Parte 6 torna a riallacciarsi alla trama portante, finalmente, con l'episodio 語られざる事件 - Un caso inenarrabile. ENJOY!


Jigen e Lupin, travestiti da marinai, tornano a Londra via fiume, pronti ad indagare su un misterioso assassino. A son di partecipare a filler, il tempo è passato per tutti (più che altro per Goemon, a quanto pare ancora scosso dall'aver perso l'ultima sfida con Holmes) e il famoso Sherlock è tornato ad essere l'infallibile detective di un tempo e quindi ad ignorare i casi più stupidi. Ciò rattrista un pochino Lily, sempre vittima di mal di testa improvvisi, e abbatte il povero Lestrade il quale, durante un confessionale alcoolico con Zenigata e il suo assistente, ammette di non sapere più che pesci prendere ora che Holmes non collabora più con Scotland Yard. Non che Zazà sia messo meglio, ma se non altro il nostro riesce ancora a scoprire, ogni volta, dove si trovi Lupin, nella fattispecie su un tetto a spiare la vita familiare di Sherlock Holmes.


L'incontro tra Zenigata e Lupin viene interrotto dall'assassino di cui sopra, ovvero il colonnello Moran, un abilissimo cecchino intenzionato a fare la pelle a Holmes con un potentissimo fucile ad aria compressa modificato. I due inseguono Moran dentro a un cimitero, dove però il colonnello li tiene sotto tiro; liquidato Jigen con una telefonata, Zazà approfitta dell'attesa per chiedere a Lupin se è vero che è stato proprio lui a uccidere Watson. Come previsto fin dalla prima puntata, la risposta è NO. Lupin si è ritrovato davanti al cadavere di Watson a fatto compiuto ed è stato sgamato sia da Lily che da Holmes; quest'ultimo ha capito, con uno sguardo, che Lupin era innocente e lo ha lasciato andare, consapevole che uno scontro gli sarebbe stato fatale, mentre Lily, in quanto piccola minchia di mare febbricitante, è svenuta conservando odio e terrore nei confronti del povero Arseniico e vecchi merletti. In realtà, l'assassino di Watson è un membro dell'organizzazione segreta Raven, alla quale, come sappiamo, Lupin sta cercando di rubare il tesoro da anni, e dopo essere arrivato a un punto morto nelle ricerche potrebbe essere proprio Lily l'unica ad aver visto in volto il vero assassino di Watson, quindi l'unica in grado di riconoscere almeno UNO dei membri della Raven e dare una mano a Lupin.


Ecco il barbatrucco: per proteggere Lily, Holmes ha imposto a Lupin di starle lontano onde evitare di attirare l'attenzione della Raven ma, giustamente, Lupin si è rotto le palle e siccome la mocciosa ora ha 14 anni è arrivato il momento che si ricordi tutto e lo aiuti a recuperare il maledetto tesoro. Barbatrucco part 2: Zenigata in realtà sta dormendo ubriaco in un pub con l'assistente e Lestrade, e quello che fino a quel momento ha parlato con Lupin in realtà è Holmes in persona. Svelate le carte e dopo un vano tentativo di fare fuori Moran (il quale, letteralmente, si invola sparendo dopo aver ammesso di NON far parte della Raven, bensì di un'altra organizzazione comandata da un fantomatico "Professore" che ribalterà il mondo della criminalità), Lupin e Holmes concordano che sarebbe davvero meglio che Lily ricordasse tutto, onde proteggerla meglio. Sul finale, un dialogo tra Lupin e Jigen rivela che la ragazzina è controllata e protetta dalla nostra banda di ladri preferita da almeno qualche anno... e la settimana prossima l'episodio (intitolato LAST BULLET!!) verterà proprio sul ruolo svolto dall'adorato pistolero nel corso di questo ingrato compito.


Posso solo dire di essere rimasta molto soddisfatta dell'episodio, nonostante il terrificante cambio di look di Holmes, che si è tolto il pizzetto restituendo a Jigen l'esclusiva del personaggio più sexy della serie. Ci sono parecchi nuovi intrighi all'orizzonte e, nonostante la rivelazione sulla morte di Watson fosse abbastanza prevedibile, sarà interessante sapere chi è questo fantomatico Professore (spoiler alert: sarà mica quel balèngo di Moriarty?), in cosa consiste il tesoro della Raven, come si muoverà Fujiko (assieme a Goemon, grande assente della puntata) e cosa diamine c'entra Albert che ciccia sempre fuori come il prezzemolo, rischiando ogni volta di morire male. Sottolineo un paio di sequenze forse poco "evidenziate" ma di sicuro grande impatto per ribadire, ancora una volta, la badassitudine di Jigen (nonostante Lupin gli intimi, alla fine delle anticipazioni del prossimo episodio, di "non fare troppo il figo" - Caro il mio Lupin, ma come fa a NON fare il figo se lo è, perdonami?) e attendo con spasmodia Last Bullet, durante il quale ci sarà Jigen come se piovesse, spero, e in uno dei ruoli a me più cari, ri-spero: quello del burbero papà/protettore di infanti. Alla settimana prossima!

L'orrore. Fatti ricrescere la barba, ti prego.

Ecco le altre puntate di Lupin III - Parte 6:

venerdì 26 novembre 2021

The Green Knight (2021)

Un'altro dei film che aspettavo con trepidazione quest'anno era The Green Knight, scritto e diretto da David Lowery, uscito pochi giorni fa su Amazon Prime Video con un titolo italiano che non sto nemmeno a riportare.


Trama: la notte di Natale, alla corte di Re Artù si palesa il Cavaliere Verde proponendo un gioco: subirà l'attacco di un Cavaliere senza reagire ma, in cambio, in capo a un anno quello stesso Cavaliere dovrà cercarlo e accettare di subire la stessa identica cosa. Gawain accoglie la sfida e decapita il Cavaliere Verde e, dopo un anno, parte per andare incontro al medesimo destino...


La prima cosa che mi è balenata alla mente alla fine della visione di The Green Knight (ma anche nel corso della stessa) è quanto sia vergognoso che un film simile, in Italia, sia finito direttamente tra le maglie della distribuzione online senza passare dal cinema. Che nessuno mi venga a dire che guardare The Green Knight a casa, a meno di non avere una stanza identica a una sala cinematografica (il che non vuol dire solo disporre di uno schermo 4K grosso come mezza parete, signori, mi rincresce), sia equiparabile al guardarlo come avrebbe meritato, nel buio e nel silenzio religioso di un cinema, senza nemmeno mezza distrazione, con uno schermo in grado di rendere giustizia alle splendide sequenze realizzate da Lowery, perché mi metto ad urlare come la bonanima di Solange davanti a degli orridi boxer a pallini. Guardarlo a casa, davvero, dimezza la portata dell'esperienza, e infatti nonostante fossi affascinata e presa dalle vicende di Gawain, mi sono addormentata dopo mezz'ora. Dopo un'ora di nanna e (giuro) ginnastica in casa, sono riuscita ad arrivare alla fine ma senza lo stesso coinvolgimento che avrei provato al cinema, e la cosa mi ha spezzato il cuore perché The Green Knight è uno dei film più particolari e affascinanti dell'anno, con così tanti livelli di lettura che non bastano le due righe stinfie che uso di solito per sviscerarli tutti. Lowery riadatta una leggenda stra-conosciuta dei cicli Arturiani mettendo sotto i riflettori un Gawain non ancora cavaliere, poco più di un ragazzino fatto uomo, che passa le giornate ad ubriacarsi o divertirsi nei bordelli pur essendo nipote di una leggenda come Re Artù; Gawain passa le giornate in attesa di "dimostrare in suo valore" ma senza davvero volerlo, aspettando un destino cavalleresco che parrebbe inevitabile e dovuto ma, in sostanza, non si adopera perché questo arrivi. Ci pensa mammà, con l'ausilio della magia (ma la signora non è Morgana, occhio, bensì Morgause) a richiamare, la notte di Natale, il Cavaliere Verde che renderà Gawain una leggenda... o forse quest'ultimo aspetto è sopravvalutato?


Il Gawain di Lowery, nonostante intraprenda, da un certo punto in poi, la Cerca che dovrebbe renderlo cavaliere, non cambierà né maturerà fino all'ultimo. Il suo animo, sia nel suo villaggio, prima di incontrare il Cavaliere e durante l'anno di attesa, sia durante il viaggio, rimane sempre quello di un ragazzino insicuro e pavido, di una persona che non sa cosa fare nella vita e che prende i dettami cavallereschi come regole prive di senso; sa che deve rispettarli ma non capisce come, né perché, e vive in un'incertezza costante che gli agguanta non solo il cuore, ma anche il braccio, rendendolo debole in ogni senso. Tutti i piccoli episodi in cui è diviso The Green Knight sono come tanti poemi in cui Gawain viene messo di fronte ai suoi difetti e ogni volta fallisce, salvo quando deve decapitare un avversario che non si muoverà, e anche i pochi momenti in cui la sua natura di cavaliere, in qualche modo, emerge (per esempio con Santa Winifred), i suoi modi stonano e non riescono a celare una natura di donnaiolo insicuro, che dagli altri si aspetta sempre qualcosa in cambio, atteggiamento, quest'ultimo, che un cavaliere non dovrebbe mai avere. Di base, Gawain arriva alla meta solo grazie alla fortuna, non certo al suo valore, ed è solo sull'ambiguo finale che parrebbe riscattarsi, aprendo gli occhi ad una triste consapevolezza che ne rinfocola il coraggio da tempo sopito. 


E Dev Patel è uno SPLENDIDO Gawain, proprio con tutti i suoi difetti. Lontano dall'iconografia che lo vorrebbe ovviamente bianco e biondo, Patel incarna un Gawain che rompe con la tradizione anche in questo senso e che si ritrova quindi "separato" dagli altri cavalieri, nonostante il palese amore che gli riserva il re, suo zio. Patel è giovane, aitante, incredibilmente sensuale ma anche dimesso e sconfitto, tanto che a volte verrebbe da prenderlo a schiaffi per l'inerzia e la debolezza che dimostra in ogni sua azione; ma è l'intera cavalleria, lo vediamo, ad essere debole, non a caso Artù e Ginevra sono vecchi e morenti come quel mondo che, a dar retta allo splendido monologo messo in bocca alla Vikander, verrà inevitabilmente ucciso dal verde, il colore della vita, che solo potrà tornare rigoglioso e splendido nella morte, sì, ma dell'uomo. A dispetto di questo pessimismo di fondo, che forse è speranza verso una realtà più attenta ai bisogni della natura, la messa in scena di The Green Knight è un trionfo di colori vividi che paiono usciti dai quadri medievali, ed è zeppo di un'iconografia talmente ricca che bisognerebbe avere una cultura enciclopedica per riuscire a capire tutti i riferimenti; io so solo che alcune sequenze sono di una delicatezza incredibile mentre altre lasciano a bocca aperta da tanto sono ricche ed affascinanti, e che Lowery si riconferma un Autore con la A maiuscola, che regala agli spettatori opere non facilissime ma di sicuro molto originali e di grande impatto. Recuperatelo, se potete.  


Del regista e sceneggiatore David Lowery ho già parlato QUI. Dev Patel (Gawain), Alicia Vikander (Essel/la Lady), Sarita Choudhury (la madre), Sean Harris (Re), Kate Dickie (Regina), Ralph Ineson (Cavaliere Verde), Barry Keoghan (lo sciacallo) e Joel Edgerton (il Lord) li trovare ai rispettivi link.


Erin Kellyman, che interpreta Winifred, ha partecipato alla serie Falcon and the Winter Soldier nei panni di Karli. Se The Green Knight vi fosse piaciuto recuperate Willow, una delle fonti di ispirazione dichiarate del regista, A Ghost Story, Excalibur e L'amore e il sangue. ENJOY! 

mercoledì 24 novembre 2021

The Trip (2021)

Se non fosse stato per Lucia, che a differenza mia è sempre sul pezzo, non mi sarei nemmeno accorta che su Netflix era uscito l'ultimo film diretto e co-sceneggiato da Tommy Wirkola, The Trip (I onde dager).


Trama: marito e moglie vanno in una baita isolata per un weekend, ognuno intenzionato a fare la pelle all'altro. Destino vuole, nella baita si nascondono tre evasi che scombineranno non poco i loro piani omicidi...


All'interno di una camera da letto dai colori sgargianti, un uomo e una donna sanciscono la fine del loro matrimonio con un plot twist degno di una telenovela. Ohibò, ma E' una telenovela, la versione norvegese de gli Occhi del cuore e Lars, protagonista di The Trip, è il René Ferretti della situazione, un regista fallito sia come artista sia come uomo il quale, in maniera assai goffa, con chiunque abbia la compiacenza di starlo ad ascoltare si prepara un alibi per l'imminente omicidio della moglie Lisa. L'idea è quella di andare nella baita dell'anziano padre e, con la scusa di una gita in montagna finita male, far fuori la donna, non fosse che, Shyamalan twist... anche Lisa ha accettato la proposta di un weekend in baita solo per fare fuori Lars! Insomma, i due si odiano e non c'è da stupirsi: quella che era nata come una storia d'amore tra artisti (Lisa è un'attrice fallita quanto Lars) è diventata una palude di risentimento, resa ancora più infida e profonda da debiti, tradimenti, bugie, e chi più ne ha più ne metta. Wirkola si diverte ad esplorare questo matrimonio in rovina mettendo in scena, almeno all'inizio, un confronto più psicologico che fisico, che serve a delineare le personalità dei due coniugi dirottando tutta la nostra simpatia di spettatori verso Lisa, donna combattiva e senza troppi fronzoli che si è ritrovata un'ameba per marito, uno che non si occuperebbe nemmeno delle parti più cruente di un eventuale omicidio, lasciandole ad altri perché disgustato dalla vista del sangue. La situazione di "stallo" si risolve nel momento esatto in cui Lars e Lisa scoprono che la baita è diventata il rifugio di tre evasi e lì, ovviamente, le dinamiche si complicano e Wirkola si butta su quello che sa fare meglio: sbragare.


The Trip
viene definita dai più "commedia horror". In realtà, se andiamo a vedere, è vero che ci sono alcuni momenti in cui persino io, a fronte del periodo abbastanza negativo che sto passando, ho riso di cuore (il padre di Lars è già personaggio dell'anno, senza discussioni), ma il veleno che corrode Lars e Lisa offre il gancio a momenti in cui, onestamente, ho provato abbastanza angoscia. In particolare, è Lars il personaggio più incommentabile, spesso anche più dei tre evasi, giustamente molto caricati, e soprattutto in una particolare, difficilmente sopportabile sequenza centrale, dà prova di essere una merda patentata, un'ameba disgustosa che non esiterebbe a rimanere fermo a braccia incrociate a guardare mentre Lisa subisce le peggio cose. E' una fortuna e una liberazione che, dopo un'inizio "tranquillo" e una parte centrale che non stonerebbe in un film molto più serio, Wirkola dia il via libera a una splatterata violentissima e sopra le righe, che accompagna una sorta di "rinascita" di Lars e offre a Noomi Rapace la possibilità di profondersi in un'interpretazione fisica e godereccia, ché fa sempre bene al cuore vedere dei nazi (tra gli altri) venire massacrati da donne inferocite con le armi contundenti più improprie che possiate pensare. Certo, The Trip è un film che consiglio o a chi già conosce Wirkola e lo apprezza, oppure a chi ama quel tipo di film un po' supercazzola e un po' violenti che riversano sullo spettatore secchiate di sangue (per dire, sempre su Netflix c'è il meno raffinato All My Friends Are Dead, che come stile non si discosta molto), mentre converrebbe che gli altri si tengano distanti. Se apprezzate il genere, vi aspettano due ore di divertimento puro che non rimpiangerete assolutamente! 


Del regista e co-sceneggiatore Tommy Wirkola ho già parlato QUI mentre Noomi Rapace, che interpreta Lisa, la trovate QUA.

Christian Rubeck interpreta Dave. Norvegese, ha partecipato a film come Hansel & Gretel - Cacciatori di stregheDead Snow 2 - Red vs. DeadAutobahn - Fuori controllo, Seven Sisters e a serie come Doctor Who. Ha 41 anni.


Se The Trip vi fosse piaciuto perché non riguardare La guerra dei Roses e il già citato All My Friends Are Dead? ENJOY!


martedì 23 novembre 2021

Ghostbusters: Legacy (2021)

E' stata una tortura resistere fino a domenica per guardare Ghostbusters: Legacy (Ghostbusters: Afterlife), diretto e co-sceneggiato da Jason Reitman, ma chissà se ne è valsa la pena? Niente spoiler salvo nell'ultimo paragrafo!


Trama: una donna con due figli a carico e parecchi problemi economici eredita dal padre praticamente sconosciuto una fatiscente magione nelle campagne dell'Oklahoma. Lì saranno costretti a fronteggiare i fantasmi e ad evitare un'apocalisse...


Santo cielo, da dove cominciare? Eh già, con questo esordio avrete capito che, a differenza di tutti quelli che hanno versato lacrime di commozione, gioia e nostalgia davanti a Ghostbusters: Legacy, io mi sono ritrovata a guardare lo schermo con lo stesso trasporto emotivo di Natolia, la bella compagna dei Bulgari di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ma andiamo con ordine. Ghostbusters: Legacy, l'"affare di famiglia" firmato Jason Reitman che ha educatamente ringraziato Paul Feig per aver "aperto la strada" col dimenticabile Ghostbusters del 2016 e poi, immagino, di nascosto gli ha mostrato il dito medio perculandolo, è una pellicola dotata di due anime, una anche assai apprezzabile, l'altra da prendere a calci nel culo come ha minacciato di fare un padre, in sala, stufo di vedere i figli litigare per i posti a sedere (per inciso, fratello, ti ho stimato tantissimo). La parte apprezzabile è quella dedicata ai 300 pargoli che infest...ehm, affollavano la sala, testimonianza vivente del passaggio generazionale inculcato da orde di genitori nerd cresciuti nel mito del primo Ghostbusters i quali, giustamente, hanno educato i figli alla stessa adorazione; nella prima parte di Legacy, o Afterlife che dir si voglia, si respira un'aria freschissima di film d'avventura, coi ragazzini protagonisti costretti a cambiare vita e a scoprire cosa si nasconde nel passato sepolto della loro famiglia decisamente poco "normale". Le strizzate d'occhio ai Ghostbusters anni '80 non si contano, ma è giusto così, anche perché sono lievi e simpatiche, necessarie alla trama. Phoebe e Trevor percorrono a piccoli passi una strada lastricata di aggeggi fantascientifici e di leggenda, in grado di fargli aprire gli occhi su un pezzo di storia americana dimenticato dai più e anche di far emergere i loro lati migliori, di portarli a comprendere quale potrebbe essere il loro posto nel mondo se solo riuscissero a conoscere meglio se stessi e il loro passato, di brillare come le stelle che meritano di essere alla faccia di una madre triste, vinta da quello stesso passato. In particolare Phoebe (e non poteva essere altrimenti visto che McKenna Grace è una spanna sopra molti suoi giovani coetanei) è tratteggiata magnificamente, è di una tenerezza infinita ed è bello vederla scoprire a poco a poco cosa si cela nella magione ereditata dal nonno e farsi nuovi, strani amici. Si potrebbe definire la prima parte di Ghosbusters: Legacy un coming of age dalle atmosfere vicinissime a quelle dei film di avventura "adulta" a base di ragazzini che ci piacevano tanto negli anni '80? Sì, e pensate che non hanno nemmeno dovuto scomodare delle biciclette per riuscirci. Peccato che poi arrivi la seconda parte. 


La seconda parte è il REGALO di Jason Reitman a tutti i Ghostbros che, guardando il film di Paul Feig, avevano urlato all'orrore nemmeno si fossero trovati in camera Janosz nudo. Ora, a me il film di Feig non era piaciuto ma non perché era un'affronto al Ghostbusters dell'84, bensì semplicemente perché era eccessivamente stupido (ho ancora gli incubi per Chris Hemsworth), incapace di trovare una propria strada originale senza appoggiarsi alla stampella delle scene iconiche del suo predecessore, salvato in corner solo da una Kate McKinnon in stato di grazia. Mai, però, mi sarei aspettata che Legacy avrebbe fatto anche di peggio, mettendosi letteralmente a pecora, scusate la volgarità, e accontentando i Ghostbros... con un remake scena per scena, nota per nota, battuta per battuta di Ghostbusters - Acchiappafantasmi. Ma porca di quella miseria. Signori, ma scherziamo? Io sono la prima ad apprezzare omaggi, rimandi, chicche e guest appearance, ma a parte una goduriosissima scena d'azione che coinvolge la Ecto-1 e il muncher in giro a distruggere la città e un pre-finale che è la summa di tutti gli studi e la tecnologia degli acchiappafantasmi nel corso degli anni (rovinato, come vedrete negli spoiler, da UNA cosa soltanto), non c'è nulla nella seconda parte del film che non sia mutuato direttamente dal Ghostbusters del 1984. Roba che, davvero, fossi stata in Reitman avrei avuto vergogna a farmi pagare, in quanto è palese che il ragazzo avesse in mano nulla più che una checklist da spuntare. Ritengo, come spettatrice e fan, di meritare ancora un minimo di rispetto da chi vuole giocare coi miei sentimenti e un minimo di impegno in più da chi vuole cullarmi nell'effetto nostalgia, perché allora mi riguardo in loop i primi due Ghostbusters (a proposito, il secondo l'abbiamo tolto dal canon? Che vi ha fatto Vigo il carpatico, scusatemi?) e non sto a sprecare ulteriori soldi. Mi rendo conto che il post è venuto più duro di quanto avrei voluto, anche perché gli effetti speciali sono molto ben fatti e le scene d'azione abbastanza goderecce ma, giuro, più ci ripenso più i girano le palle, perché Legacy ha un potenziale enorme, ha un cuore che batte e che non coincide con l'omaggio a tutti i costi, eppure questo cuore è stato messo da parte senza remore, solo per accontentare i fan. Ohibò. Se avete già visto il film e volete capire perché sono tanto arrabbiata, continuate a leggere, altrimenti amici come prima!



SPOILER

Io non mi capacito. Sono la prima ad aver speso una lacrima davanti alle prime scene, davanti a quella presenza del vecchio Spengler sussurrata, mai sbandierata al 100 %, giustamente timida. Sono la prima ad essere saltata sulla sedia davanti a quella telefonata, perché certo, "ecchicchiamerai?". Le due scene post credit mi hanno fatta sorridere, la prima in particolare mi ha sciolto il cuore, ché è stato splendido vedere per la prima volta i coniugi Venkman uniti nell'idillio familiare (però, anche lì, era necessario proprio riciclare le carte? Ma su...) sebbene probabilmente il povero Oscar sia morto, e non nego di aver represso un brivido a rivedere gli Acchiappafantasmi uniti... però, siamo seri? Dal momento esatto in cui Paul Rudd diventa Rick Moranis, il film si trasforma in una copia anastatica del primo film, con un'importante aggravante, ovvero la stupidità delle poche novità aggiunte: mai, nemmeno nei miei incubi più perversi avrei pensato a Carrie Coon, in versione majokko malvagia, indossare magicamente lo stesso abito della Dana posseduta da Zuul (e vorrei davvero comprendere la portata dell'imbarazzo della Coon e di Rudd nel girare "quella" scena), oppure qualcuno raccontare le peggiori barzellette a Gozer, o trasformare Ivo Shandor nell'ennesima, inutile spunta della checklist, sprecando peraltro J.K. Simmons. Di più, MAI avrei pensato che avrebbero ricostruito al computer Harold Ramis, a cui il film è dedicato. Lì mi sono scese lacrime, sì, ma di rabbia e anche un po' di schifo, perché evidentemente Reitman non conosce la differenza che passa tra omaggio elegante e sfruttamento dei defunti per spremere i dotti lacrimali degli spettatori trattati alla stregua di beoti. Capisco Aykroyd, che da decenni non azzecca un film e venderebbe anche la madre per soldi, capisco Ernie Hudson, ma fossi stata in Bill Murray, davanti all'idea di dover recitare un'intera, lunga sequenza davanti a un green screen dove avrebbero poi appiccicato l'immagine ricreata di un mio collega defunto da anni, avrei abbandonato il progetto e mi sarei eclissata con la stessa grazia di Rick Moranis, al quale va invece il mio rispetto per l'eternità. Non posso che concludere il post delusa, e con la stessa delusione citare il film che tutti i Ghostbros del pianeta hanno evidentemente voluto dimenticare: "Tutto ciò che tu fa è male! Io voglio che tu sa ciò!" E quel Twinkie infilatevelo pure dove non batte il sole, dopo averlo fatto diventare lungo dodici metri e del peso approssimativo di trecento chili.


Di Carrie Coon (Callie), Paul Rudd (Grooberson), Finn Wolfhard (Trevor), Mckenna Grace (Phoebe), Bill Murray (Peter Venkman), Dan Aykroyd (Ray Stantz), Ernie Hudson (Winston Zeddmore), Annie Potts (Janine Melnitz), Sigourney Weaver (Dana Barrett Venkman), Bob Gunton (agricoltore fantasma), J.K.Simmons (Ivo Shandor), Josh Gad (voce di Muncher) e Olivia Wilde (Gozer) ho già parlato ai rispettivi link.

Jason Reitman è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Canadese, figlio di Ivan Reitman, ha diretto film come Thank You for Smocking, Juno, Tra le nuvole e Tully. Anche attore, ha 44 anni. 



Celeste O'Connor, che interpreta Lucky, aveva già partecipato a Freaky, mentre nei panni dell'agente Medjuck c'è Stella Aykroyd, figlia di Dan. Ovviamente, per arrivare preparati a Ghostbusters Legacy converrebbe che guardaste Ghostbusters e Ghostbusters II, mentre potete anche evitare Ghostbusters del 2016. ENJOY!

lunedì 22 novembre 2021

Il Bollodromo #79: Lupin III - Parte 6 - Episodio 6

Buon lunedì a tutti e aiuto!, il fatto che la nuova serie di Lupin esca il sabato rende abbastanza difficile avere dei post pronti per lunedì. Ma siamo stakanovisti come i giapponesi, che non conoscono weekend: ecco due parole sulla seconda parte di 帝都は泥棒の夢を見る - La capitale imperiale sogna del ladro. ENJOY!


Avevamo lasciato Lupin e compagnia bloccati nell'era Showa, o così almeno credevo. Il ladro gentiluomo si era ritrovato nei panni di "Maschera d'Oro", ben consapevole tuttavia della sua vera identità, ed era finito invischiato in una lotta per il possesso di un orologio dagli strani poteri, scoperto in Mongolia da una ricca ereditiera e protetto da una fanciulletta esperta di arti marziali; sulla scia di detto orologio c'erano la ladra Black Lizard, identica a Fujiko, i vertici dell'esercito Giapponese con Jigen nei panni di Maggiore, una versione dell'ispettore Zenigata degradato a galoppino del famosissimo investigatore Kogoro Akechi, e infine Goemon, da cui partirei per sottolineare come gli sceneggiatori siano riusciti abilmente a gabbarmi senza che la settimana scorsa capissi una mazza.


Io che credevo, io che speravo di trovarmi davanti a un What If...?: in realtà, sono solo Goemon e Lupin ad essere finiti in un mondo altro mentre gli altri personaggi non è nemmeno detto che siano antenati di quelli che già conosciamo, e le somiglianze sono state messe solo per fare folklore, diciamo. O per piazzare alcune citazioni incomprensibili per un pubblico occidentale mediamente non acculturato, categoria all'interno della quale, mio malgrado, rientro. Per esempio, Black Lizard è il titolo di un film giapponese degli anni '60, tratto da un romanzo di Edogawa Ranpo. Costui è uno dei più grandi scrittori di mistery e thriller e ha creato il personaggio di Kogoro Akechi (l'investigatore infallibile che Zenigata si ritrova ad aiutare), oltre ad aver tradotto, in gioventù, le opere di Arthur Conan Doyle. Per quanto riguarda Hongo Yoshiyaki, l'"alter ego" di Jigen, il nome è quello del protagonista di un'opera di Yamanaka Minetarou, responsabile dell'adattamento di molti romanzi di Sherlock Holmes per il pubblico dei bambini e ragazzi giapponesi. Insomma, La capitale imperiale sogna del ladro è un filler anche abbastanza inutile ma, a scavare nel profondo, offrirebbe un sacco di spunti di lettura e visione per scoprire un mondo altro, distantissimo dal nostro ma comunque legato a quello occidentale (non fosse che la maggior parte delle opere in questione sono difficili da reperire o comunque quasi mai tradotte in italiano o inglese).  


Ma perché lo definisco filler inutile? Perché, ovviamente, nonostante alcuni momenti interessanti e anche da batticuore (ragazzi, ma quel confronto tra Goemon e Hongo Yoshitaki cosa non è? Una meraviglia!! Inoltre, vorrei un'intera serie dedicata a quel gran figo di Jigen soldato integerrimo, con la banda a coprirgli l'occhio), il motivo per cui Lupin e Goemon sono finiti in un'altra dimensione creata ad hoc dai ricordi dell'ereditiera/scienziata è di una stupidità incredibile, degna degli sceneggiatori di Boris, così come la risoluzione, durante la quale Lupin capisce dove e quando si trova... perché sì, perché è Lupin, e più non dimandate, insomma. Anche stavolta, inoltre, la trama principale della storia non è proseguita di un millimetro, senza contare che in un paio di sequenze l'animazione è davvero spaventevole, il che può giusto venire compensato dalla figaggine dello pseudo-Jigen militare. La settimana prossima i filler dovrebbero finire, e grazie al cielo, ché ce ne sono già stati quattro, e potremmo cominciare a dipanare il mistero sul rapporto tra Holmes e Lupin. Quest'ultimo ha già preannunciato che sarà una lunga storia, speriamo sia anche interessante! A lunedì prossimo!



Ecco le altre puntate di Lupin III - Parte 6:

venerdì 19 novembre 2021

Eternals (2021)

Ho lasciato sciamare un po' le orde di nerd pronte a catapultarsi al cinema per vederlo e ho aspettato fino a lunedì per Eternals, l'ultimo film della Marvel, diretto e co-sceneggiato dalla regista Chloé Zhao.


Trama: mandati sulla Terra dai Celestiali in epoca mesopotamica, gli alieni chiamati Eterni si sono prodigati per millenni a far sì che l'umanità prosperasse e sopravvivesse agli attacchi dei Devianti, ma questi ultimi tornano in epoca moderna, più potenti che mai...


Sono un'idiota. Mi rendo conto solo ora che fino a tre secondi fa ero convinta che gli Eterni fossero gli Inumani, infatti c'ero rimasta un po' "male", guardando il film, nel non vedere Freccia Nera e Medusa; anzi, per un attimo avevo persino pensato che l'Eterna muta fosse una versione di Freccia Nera al femminile, invece i due supergruppi, pur essendo Marvel, non c'entrano un cavolo gli uni con gli altri. Pensate un po' come conosco bene i fumetti della Casa delle Idee quando si esula dal novero degli X-Men, e in che condizioni è la mia memoria. Ciò detto, ripeto la domanda fatta su Facebook: ma che diavolo vi hanno mai fatto questi Eterni? Cos'è tutto questo livore verso un film Marvel che non è né migliore né peggiore di altri, anzi, al limite PROVA a distaccarsi dal tono brigittobardò delle ultime pellicole e a creare un'epica più profonda e di ampio respiro? Io ho una memoria di melma, signori, ma probabilmente voi avete già dimenticato, nell'ordine, aberrazioni come il primo Capitan America, Thor: The Dark World e quel disastro di Loki, altrimenti davvero non si spiega perché tutto questo odio. Forse perché il film dura due ore e mezza, poco meno di Avengers: Endgame? D'accordo, in questo senso vi do ragione. Eternals è TROPPO lungo. Quaranta minuti in meno e un po' più di compattezza a livello di storia gli avrebbero enormemente giovato, soprattutto per quanto riguarda quel pesantissimo strascico di storia d'aMMore (??) tra Sersi e Dane Whitman solo in funzione di ciò che apporterà quest'ultimo ai futuri film Marvel, però mi rendo anche conto che tagliare qui e là sarebbe stato un bel casino: con dieci personaggi da introdurre e approfondire un minimo, non potendo contare, come nel caso degli Avengers, su almeno mezza dozzina di film in solitario a precedere la loro prima apparizione come gruppo, si rischiava di avere una pellicola avente per protagonisti dei cartonati monodimensionali di cui al pubblico sarebbe fregato meno di zero e già qui alcuni Eterni (Makkari in primis) sono pesantemente a rischio.


Qui gli sceneggiatori hanno dovuto condensare la genesi dei personaggi come Eterni e come gruppo, abbozzare un minimo di cosmogonia Marvel, dare un'idea di background in grado di coprire millenni e sottolineare legami/conflitti destinati a perdurare fino all'epoca moderna, fornire ai personaggi una nemesi e un twist shyamalano, soddisfare gli appassionati di fumetti e film Marvel con rimandi/citazioni/scene post credits, e ovviamente inserire scene d'azione ed effetti speciali, oltre a lasciare aperta la porta per futuri sequel/crossover. Insomma, avendo a disposizione solo un film non dev'essere stato facile e secondo me il risultato non è stato neppure male. Parlando solo per me, posso dire che Eternals è riuscito a coinvolgermi, a interessarmi al destino di personaggi a tratti anche profondi, molto umani di fronte a un dramma di proporzioni cosmiche (e non è tanto per dire), alla ricerca del loro posto in un mondo dove, a ragion veduta, potrebbero atteggiarsi come dei ma dove molti di loro sono costretti invece a nascondersi, a soffrire invidiando l'umanità, a portare sulle spalle un peso schiacciante, a subire la pazzia, la noia e la disperazione; si vede che le ambizioni di Zhao e company erano molto alte, lo si evince dalla natura multietnica dei personaggi, dal gran numero di location (alcune splendide) utilizzate e dalla grandeur di alcune sequenze (Eternals ha una delle poche scene di lotta finale che non mi fa venire voglia di cavarmi gli occhi) e si vede purtroppo anche l'ingresso a gamba tesa degli executive Marvel che hanno preteso i soliti momenti (tristemente) divertenti e le scene post-credits peggiori EVER. Il cast non è male, così come non lo è la protagonista Gemma Chan, carinissima e delicata ma anche fiera, e dovessi proprio dire gli unici che meritano sputi in un occhio sono Richard Madden, Salma Hayek e Kit Harington, inespressivi come pochi; la Jolie, stellassa, va a momenti, a volte si limita a mostrare i labbroni e dietro il vuoto, a volte diventa il personaggio più interessante e figo del mucchio, benché la palma dei migliori vada a Ma Dong-seok, Barry Keoghan e a Kumail Nanjiani, il quale si profonde in un numero bollywoodiano da urlo che mi impedisce di voler anche solo un po' di male a Eternals. Ho letto tantissime recensioni che lo definivano noioso e incoerente ma se cercate la Noia vera, quest'anno potete dedicarvi a Prisoners of the Ghost Land e se cercate l'incoerenza di azioni, pensieri e opere c'è sempre Army of the Dead. Ma poi, santo Cielo, è un film Marvel: davvero state a spaccare il capello quando potete evitarlo e andare a vedere Freaks Out, Last Night in Soho e The French Dispatch? E dài.


Della regista e co-sceneggiatrice Chloé Zhao ho già parlato QUI. Richard Madden (Ikaris), Angelina Jolie (Thena), Salma Hayek (Ajak), Kit Harington (Dane Whitman), Kumail Nanjiani (Kingo), Brian Tyree Henry (Phastos), Barry Keoghan (Druig), Bill Skarsgård (Kro), Patton Oswalt (voce di Pyp), Mahershala Ali (voce di Blade) li trovate invece ai rispettivi link.

Gemma Chan interpreta Sersi. Inglese, ha partecipato a film come Animali fantastici e dove trovarli, Captain Marvel, Maria regina di Scozia e a serie quali Doctor Who. Anche sceneggiatrice, ha 39 anni e un film in uscita. 


Due cenni anche sugli altri interpreti: Lia McHugh, che interpreta Sprite, era una dei due bambini di The Lodge, Lauren Ridloff, che interpreta Makkari ed è davvero sordomuta, era nel cast di Sound of Metal mentre il vero esperto di arti marziali Ma Dong-seok, ovvero Gilgamesh, si era già distinto in Train to Busan. Passando alle scene post-credit, ad interpretare Eros, fratello di Thanos, c'è l'ex membro degli One Direction Harry Styles. Gemma Chan aveva già partecipato a un film Marvel, Captain Marvel, ma il suo personaggio era l'aliena Kree Minn-Erva ed essendo ricoperta interamente di trucco blu, direi che il problema di due personaggi identici non si è posto; l'attrice, tra l'altro, l'ha spuntata su nomi come Sofia Boutella e Tatiana Maslany, ma quest'ultima non ha picchiato tanto distante visto che interpreterà She-Hulk nella serie a lei dedicata. Passando a chi "non ce l'ha fatta", per il ruolo di Druig c'erano in lizza Keanu Reeves, Luke Evans, Rami Malek e Ian McShane mentre per quello di Ikaris c'erano Charlie Hunnam, Alexander Skarsgård e Armie Hammer. Ciò detto, Eternals si colloca ovviamente DOPO tutti gli altri film del MCU. Se, come immagino, non avete tempo e voglia di recuperarli tutti, per gustarvi al meglio Eternals cercate almeno The Avengers, Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia: Vol. 2 e magari anche il primo Thor: li trovate tutti su Disney +. ENJOY!

martedì 16 novembre 2021

Scary Stories to Tell in the Dark (2019)

Approfittando del suo passaggio televisivo, la sera di Halloween ho deciso di guardare un film che, purtroppo, non era passato in sala dalle mie parti e non si trova su nessuna delle piattaforme per cui pago regolarmente l'abbonamento, ovvero Scary Stories to Tell in the Dark, diretto nel 2019 dal regista André Øvredal e tratto dall'omonima raccolta di racconti di Alvin Schwartz.


Trama: la sera di Halloween, Stella e i suoi amici rimangono chiusi in una vecchia casa che si vocifera essere infestata. Lì la ragazza trova un libro di racconti capaci di influenzare il destino di chi li legge e catapultarli in un incubo...


Scary Stories to Tell in the Dark
mi aveva attirata grazie a una produzione (con zampata alla sceneggiatura) di Guillermo del Toro e grazie a un trailer accattivante e spaventevole, spesso fatto solo da piccolissimi flash delle storie che formano l'ossatura della trama. Le storie in questione, se vi è capitato di leggere il libro di Alvin Schwartz, non sono altro che racconti tra il breve e il brevissimo, spesso e volentieri tratti o ispirati dal folklore americano e mondiale, e somigliano in effetti tantissimo ad alcune delle storie che ci raccontavamo da bambini per spaventarci l'un l'altro (avessi avuto per le mani da bambina una simile miniera d'oro l'avrei sfruttata senza pietà - dei miei amici - peccato averlo scoperto alla veneranda età di 40 anni); onestamente, avrei creduto che un adattamento di queste storie sarebbe stato non solo difficile, ma addirittura impossibile, e invece Øvredal e Del Toro sono riusciti a tirarne fuori uno di quei rarissimi film a episodi coerenti dall'inizio alla fine, popolato da personaggi tridimensionali e capace anche di insegnare qualcosa. Siamo nel 1969 (l'anno della guerra in Vietnam e di un'America spaccata in due tra chi non vede l'ora di credere, appunto, alle panzane di Nixon correndo a combattere i commies e chi ad arruolarsi non ci pensa nemmeno) e la sera di Halloween Stella e i suoi amici si rifugiano nella casa infestata del paese per scappare da un branco di bulli. Lì i nostri trovano per caso la stanza dove si dice fosse stata rinchiusa la giovane Sarah Bellows, reietta accusata dalla sua influente famiglia di aver ucciso molti bambini avvelenando l'acqua, e trovano soprattutto il quaderno dove la ragazza passava il tempo a scrivere storie dell'orrore col sangue. Affascinata dalla leggenda, Stella porta via il quaderno, sulle cui pagine bianche cominciano tuttavia a comparire nuovi racconti aventi per protagonisti proprio i suoi amici, che finiscono vittime del destino designato dalle parole scritte dal vendicativo spirito di Sarah.


Come i migliori racconti horror, Scary Stories to Tell in the Dark è crudele e non fa sconti, va sì a toccare chi deve morire male ma condanna a un destino orribile anche chi non lo meriterebbe, imbroccando alcune delle sequenze più spaventose viste all'interno di un film pensato per un pubblico di ragazzi e rendendo "vive" le già inquietanti illustrazioni di Stephen Gammell (vi sfido a non farvela nei pantaloni davanti alla "donna grassa" o al jangling man, davvero terrificanti), eppure non si limita a seguire il pattern "la storia si scrive da sola - la vittima muore - ecco che spunta un'altra storia". La crudeltà che preme sottolineare ai realizzatori è quella che vede le "storie" come un mezzo per condannare le persone, per rovinare la loro esistenza e persino il loro ricordo, talvolta per ingannarle; Sarah Bellows è una creatura agghiacciante, ma cosa si nasconde davvero dietro la maledizione che la porta a sfogare tutto il suo odio su carta? E se la scrittura, i racconti, possono condannare le persone, non possono forse anche salvarle se usati a fin di bene?  Scary Stories to Tell in the Dark è un film perfetto per i più giovani perché, attirandoli con la promessa di un paio d'ore spaventevoli, apre la loro mente a concetti universali, sui quali è necessario riflettere, come la solitudine e la paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui, ma parla anche dell'impossibilità di decidere della propria vita, del coraggio di affrontare ciò che ci terrorizza e della necessaria empatia nei confronti degli altri, che deve spingerci a non limitarci mai alle apparenze. Come ho detto, la mano di Del Toro si vede e si sente, lo capite da soli. Il risultato è dunque un film per ragazzi che può parlare anche agli adulti, un prodotto che finalmente non tratta i giovani spettatori come dei cretini e che può ambire a ritagliarsi un posticino nel cuore degli appassionati di horror. Se non lo avete ancora visto, recuperatelo al più presto!


Del regista André Øvredal ho già parlato QUI. Dean Norris (Roy Nicholls), Gil Bellows (Sceriffo Turner) e Javier Botet (Cadavere senza pollice) li trovate invece ai rispettivi link. 


L'anno scorso si parlava di un seguito diretto sempre da André Øvredal ma, probabilmente causa covid, temo che il progetto sia stato momentaneamente sospeso perché non se ne hanno più notizie. Ciò detto, se Scary Stories to Tell in the Dark vi fosse piaciuto, recuperate Trick'r Treat e The Mortuary Collection. ENJOY!

lunedì 15 novembre 2021

Il Bollodromo #78: Lupin III - Parte 6 - Episodio 5

Buon lunedì a tutti, anche se temo che queste "disamine" sulla nuova serie di Lupin III le leggo solo io, visti i commenti e gli accessi. Ma chissenefrega, questo è soprattutto un modo per mantenere fresca la mia memoria, quindi bando alle ciance e parliamo un po di 帝都は泥棒の夢を見る 前篇 - La capitale imperiale sogna del ladro, prima parte.


La prima sensazione avuta guardando la puntata è stata di puro terrore. Le atmosfere mi hanno infatti ricordato l'orribile Il sogno italiano, ma a quanto pare quello vissuto da Lupin, ritrovatosi catapultato negli anni '30 con l'identità del Ladro Maschera d'Oro, non è un sogno, il che è già qualcosa. E allora come c'è finito Lupin nell'era Showa? Chi lo sa! Sta di fatto che, se lui ha cambiato la sua identità (pur ricordandosi di essere Lupin), lo stesso vale per i suoi compagni e nemici, che tuttavia paiono aver perso la memoria: Fujiko è diventata la sensuale ladra Black Lizard e, a parte un tatuaggio nero, non ha perso né smalto né porcaggine, Jigen è diventato un gelido maggiore dell'esercito nipponico mentre Goemon compare come guest star solo sul finale, quindi ne sapremo di più la settimana prossima. Sulle tracce di Lupin c'è sempre il solito Zenigata, pur con un nome diverso, ridotto tuttavia a far da assistente ad un super investigatore che, a mio avviso, di questa faccenda sa più di quanto non traspaia, mentre l'oggetto delle brame del ladro, stavolta, è un orologio scoperto in Mongolia che, si dice, avrebbe il potere di controllare il tempo.


Di fronte a quest'ultima scoperta potete farvi un'idea di cosa possa essere successo a Lupin e compagni, probabilmente finiti vittime del potere di questo orologio favoloso. Il finale di puntata rimane sospeso, ovviamente, ché la settimana prossima c'è la seconda parte, ma l'inizio di questa lunga avventura non è male. Vedere i personaggi calati in altre personalità (per quanto simili alle loro) e contesti è interessante, poi io adoro i what if...?, lo sapete. L'unica cosa, come sempre, che apprezzo poco, è l'abitudine costante degli autori di inserire personaggi "di rinforzo" che diventano più importanti di quelli principali. In questo caso abbiamo una ricca ereditiera, fortunatamente non irritante come Rebecca, che ha scoperto l'orologio, e una giovanissima "assistente"/guardia del corpo, diretta discendente di coloro che hanno creato l'orologio e depositaria della chiave per farlo funzionare; alle due, ahimé, viene concesso anche troppo spazio (quando sarebbe stato molto più interessante vedere le versioni alternative dei nostri eroi in azione) ma se non altro, e non vorrei sbagliarmi, per la prima volta nella storia di Lupin viene rappresentata una coppia lesbica, o potenziale tale, senza fini "lubrichi". Ma chissenefrega, a un bel momento: la settimana prossima avremo un sempre graditissimo scontro tra Jigen e Goemon, quindi non posso che essere felice!


Ecco le altre puntate di Lupin III - Parte 6:

domenica 14 novembre 2021

The French Dispatch (2021)

Avviso ai naviganti. Se avete la fortuna di vivere accanto a un cinema che proietta The French Dispatch, l'ultimo film di Wes Anderson, assicuratevi che la sala o il multisala non sia gestito da beoti o rischiate che vi succeda la stessa cosa successa a me, ovvero uno schifo passabile di avere il biglietto rimborsato (non a Savona, ovvio. "Non si può cambiare. Stacce." è stata la risposta ottenuta dall'incauto spettatore che ha preteso che il film venisse interrotto e proiettato a dovere. Ti sono vicina, incauto spettatore, ti ho voluto davvero bene, giuro): l'aspect ratio di The French Dispatch è il vecchio 1.37:1, in omaggio ai film francesi che hanno ispirato il regista, invece del moderno 1.85:1, e il risultato che abbiamo avuto a Savona è stato di avere la parte superiore delle immagini proiettata sul soffitto e quella inferiore tagliata sotto lo schermo, così che alcuni dei sottotitoli e delle didascalie sono andati perduti, il che è una meraviglia quando Léa Seidoux parla un francese così stretto e veloce da essere incomprensibile. Che i gestori del Multisala Diana si vergognino, davvero. Inutile cercare di salvare il cinema visto in sala e i lavoratori della categoria se poi gli spettatori vengono trattati solo come bestie portasoldi, senza un minimo di rispetto nei loro confronti. 


Trama: tre storie tratte dalla rivista The French Dispatch, dedicate una a un pittore, una alle proteste studentesche in Francia e l'ultima a un abilissimo chef di polizia.


Al di là della dabbenaggine di chi gestisce le sale, non stupitevi se vi dico che ho amato The French Dispatch dall'inizio alla fine e nemmeno se vi dico che, se odiate lo stile del regista o vi è venuto a noia, vi conviene stare lontani dalla sala, perché la sua ultima opera è praticamente un compendio di WES ANDERSON. Non so se vi è capitato di andare a vedere a Milano la mostra Il Sarcofago Di Spitzmaus E Altri Tesori, curata proprio dal regista, ma guardare The French Dispatch mi ha fatto lo stesso effetto, ovvero mi ha dato la sensazione di vivere per quasi due ore in un mondo altro, un universo apparentemente caotico, fatto di tante piccole "cose" eleganti, graziose ed ironiche messe assieme senza un filo logico, che tuttavia portano il visitatore (in questo caso lo spettatore) a illuminarsi nel momento esatto in cui riesce ad intuire parte delle complesse regole che lo governano, interamente racchiuse in una mente che i detrattori sicuramente definiranno solo "fighetta" e "manierista", ma che io trovo elegantemente geniale. The French Dispatch, sotto la splendida, ricchissima superficie formale, è un film che ripropone nuovamente tematiche profonde quali la solitudine, la speranza di poter contare qualcosa e distinguersi in un mondo particolarmente spietato con chi è dotato di grande sensibilità, il fortissimo desiderio di instaurare dei legami, la consapevolezza (non di tutti i personaggi, solo di alcuni) che nulla di ciò che faremo potrà mai cambiare il triste fatto che è il fato a governarci e a scombinare tutti i nostri piani di gloria, soprattutto se puntiamo in alto; l'unica cosa che possiamo fare per avere un'illusione di controllo è abbracciare l'arte, in ogni sua forma, perché è l'unica cosa che ci è dato creare e gestire, sempre fino a un certo punto. E' per questo che la perfezione formale dei film di Wes Anderson va sempre a braccetto con personaggi tristi, tragicomici, ridicoli e splendidi, accanto ai quali morte e dolore camminano con naturalezza, accettati quali inevitabili compagni di vita, al pari della delusione.


E così, all'interno della redazione del French Dispatch, situato nientemeno che a Ennui-sur-Blasé (ho riso male), il direttore Arthur Howitzer Jr cerca di tenere a bada dei collaboratori dalle personalità strabordanti, intimando di "non piangere" neppure quando si diventa parte delle storie raccontate e delle notizie riportate, mentre allo spettatore non resta che godere di tre vicende (la prima, con Owen Wilson per protagonista, è un'introduzione alla cittadina, letteralmente un mondo in miniatura nonostante la piantina assurdamente semplice) che contengono tutti gli elementi ai quali ho accennato sopra, ovviamente interpretati da attori in stato di grazia. Se dovessero puntarmi una pistola alla tempia e costringermi a scegliere la mia preferita opterei per la seconda, ambientata ai tempi delle proteste studentesche francesi; lì per lì sembra di trovarsi davanti a una parodia di The Dreamers o di qualche film della Nouvelle Vague francese, in realtà forse, nonostante le ampie dosi di ironia, è il segmento più malinconico di tutti perché sviscera tutto il senso di impotenza di chi la sua vita l'ha già vissuta e la grandeur di chi, ancora giovanissimo, mette in discussione ogni cosa e cerca di cambiare il mondo battendosi spesso per cause "stupide" senza neppure capirle bene, ma comunque mettendoci cuore e anima, oltre a tantissima ingenuità. All'interno dell'episodio in questione, Wes Anderson fa un uso magistrale del bianco e nero e della colonna sonora, mescola l'amore per il cinema a quello per il teatro, propone risoluzioni divertenti e assurde a situazioni da cliché e finalmente rende Timothée Chalamet affascinante e tenero come merita.


Per il resto, The French Dispatch è una continua scoperta, oltre che una gioia per le orecchie e per gli occhi. La sequela di guest star che si rendono indimenticabili o iconiche anche solo per 5 minuti è infinita e fanno tutti da degna spalla agli attori principali, ognuno ugualmente strepitoso; impossibile scegliere tra la strana coppia Del Toro/Séydoux (lo scazzo di lei, un po' da maestrina un po' da mistress, è qualcosa di assurdo), la sempre bravissima Frances McDormand, una Tilda Swinton che non smette MAI di essere favolosamente eccentrica o un Jeffrey Wright capace di spezzare il cuore, quindi per non sbagliare mi asciugo lacrime di commozione davanti a un cast della madonna e passo a ringraziare Wes Anderson per tutte le elegantissime scelte di regia, montaggio, scenografia e costumi, questi ultimi affidati a Milena Canonero. A partire dai disegni debitori dello stile del New Yorker, passando a un bianco e nero dalle mille sfumature, che lascia il posto agli abbacinanti colori della nuova arte di un pittore violento e persino a fumetti trasformati in cartoni animati, senza dimenticare quei "finti" fermo immagine colmi di perfida ironia, ogni sequenza di The French Dispatch è un piccolo capolavoro, e quest'ultimo è un altro di quei film meravigliosi che, come Ultima notte a Soho, riconcilia con la Settima Arte tutta e porta a ringraziare che esistano ancora Autori a questo mondo, non solo registi piegati ai voleri della major. Poi, lo sapete, io sono una Bimba di Wes e non posso fare a meno di amarlo a prescindere. 


Del regista e sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato QUI. Benicio Del Toro (Moses Rosenthaler), Adrien Brody (Julian Cadazio), Tilda Swinton (J.K.L. Berensen), Léa Seydoux (Simone), Frances McDormand (Lucinda Krementz), Timothée Chalamet (Zeffirelli), Jeffrey Wright (Roebuck Wright), Mathieu Almaric (Il Commissaire), Bill Murray (Arthur Howitzer Jr), Owen Wilson (Herbsaint Sazerac), Bob Balaban (Zio Nick), Henry Winkler (Zio Joe), Lois Smith (Upshur 'Maw' Clampette), Christoph Waltz (Paul Duval), Cécile de France (Mrs. B), Rupert Friend (Sergente), Liev Schreiber (Conduttore del talk show), Willem Dafoe (Albert "l'abaco"), Edward Norton (il chauffeur), Saoirse Ronan (Tossica/Showgirl #1), Elisabeth Moss (Alumna), Jason Schwartzman (Hermès Jones), Fisher Stevens (l'editore), Griffin Dunne (l'avvocato) e Anjelica Huston (la narratrice) li trovate invece ai rispettivi link.

Steve Park interpreta Nescaffier. Americano, ha partecipato a film come Un poliziotto alle elementari, Poliziotto in blue jeans, Toys - Giocattoli, Un giorno di ordinaria follia, Fargo e a serie come Macgyver, La signora in giallo, Friends e Innamorati pazzi. Anche stuntman, ha 70 anni e due film in uscita. 


Tony Revolori interpreta il giovane Rosenthaler. Americano, lo ricordo per film come Grand Budapest HotelSpider-Man: Homecoming, Spider-Man: Far from Home e serie come My Name is Earl. Anche produttore, ha 25 anni e due film in uscita, tra cui Spider-Man: No Way Home


Spunta anche qui la faccetta "stronza" di Alex Lawther, nei panni di Morisot. Kate Winslet avrebbe dovuto interpretare il ruolo andato poi a Elizabeth Moss, ma ha rinunciato per il film Ammonite. Ciò detto, se The French Dispatch vi fosse piaciuto, recupererei l'intera filmografia di Wes Anderson. ENJOY!