Visualizzazione post con etichetta Alexander Skarsgård. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Alexander Skarsgård. Mostra tutti i post

mercoledì 22 marzo 2023

Infinity Pool (2023)

Tra Oscar e altre priorità, riesco a scrivere solo ora di Infinity Pool, diretto e sceneggiato dal regista Brandon Cronenberg. Cercherò di non fare troppi spoiler, tranquilli! 


Trama: James, uno scrittore con all'attivo solo un romanzo poco conosciuto, è in vacanza con la ricca moglie in un resort di La Tolqa e lì fa la conoscenza di altri riccastri assieme ai quali, un giorno, viene coinvolto in un incidente stradale...


Sono passati due anni dall'uscita di Possessor e io, ancora, non ho recuperato Antiviral, cosa che rende la mia conoscenza di Cronenberg figlio in qualche modo incompleta. Da quel che ho visto, comunque, il mio quasi coetaneo Brandon non ha molto in simpatia i ricconi, anzi, diciamo che li odia proprio, assieme a tutto il carico di ipocrisia e sciocca vanità che si portano appresso, cosa che non rende facilissimo parteggiare per qualcuno, in questo Infinity Pool. L'ultima opera di Cronenberg Jr. racconta infatti l'odissea di James, wannabe scrittore con all'attivo solo un romanzo che avranno letto lui e il suo agente, il quale da anni si fa mantenere da una ricca figlia di papà. In vacanza nella nazione fittizia di La Tolqa, James e la moglie fanno amicizia con l'attrice Gabi e il marito architetto, assieme ai quali, una sera, investono un autoctono uccidendolo. Da qui in poi non è facile parlare di Infinity Pool senza fare spoiler ma vi basti sapere che La Tolqa è un paese così poco tollerante che, al confronto, l'Arabia Saudita è Las Vegas e che gli stranieri vengono condannati a morte se anche solo si soffiano il naso; (s)fortunatamente per questi ultimi, avendo i soldi c'è un ottimo metodo per scamparla, il che fa di La Tolqua una sorta di luna park per quegli stronzi abbienti il cui unico pregio è nuotare nei soldi (il disprezzo di Cronenberg nei confronti non solo di James, connotato come un apatico minchione, ma anche di Gabi e compagnia, è riassunto alla perfezione nell'allucinante sequenza finale in cui il gruppetto torna a casa con addosso abiti degni di un branco di scappati di casa, parlando come se niente fosse di argomenti futili e trivialissimi, dopo averla zappettata a James per tutto il film con tremila discorsi "maledetti" su sangue, emancipazione, elevazione dalla massa, coraggio, ecc. ecc.). La triste realtà dipinta da Cronenberg si basa, altrettanto tristemente, su un "male" trattato alla stregua dell'ultimo modello di cellulare, visto come status symbol temporaneo (o valvola di sfogo, fate voi) da parte di gente depersonalizzata per un motivo ben preciso, che è riuscita persino ad acquistare e volgere a proprio favore un folklore così terrificante che, in un altro film, avrebbe cambiato per sempre le vite di chi fosse sopravvissuto per parlarne. 


In tal senso, James è un non-protagonista per più di una ragione, è un belinone che nulla impara e nulla insegna allo spettatore, un essere fastidioso che fa venire voglia a più riprese di riempirlo di sberle, e in questo tanto di cappello ad Alexander Skarsgård per essersi accollato un ruolo tanto sgradevole. Non che quello di Mia Goth lo sia di meno, ma lei è una dea e la si adora alla follia anche (e soprattutto) quando si butta di testa nell'interpretazione di un personaggio irritante nei modi e nella voce, una di quelle donne che solo un mollusco vanesio come James riuscirebbe non solo a trovare affascinanti al punto da cascarci con tutte le scarpe, ma anche a convincersi che siano interessate a lui in virtù di chissà quale merito (povero geììììììììììììììììms). Più metaforico e, sì, anche più didascalico rispetto al film precedente, Infinity Pool non si fa mancare comunque angosciantissime e grottesche sequenze gore che in alcuni punti mi hanno portata a girarmi dall'altra parte, a parer mio assai più efficaci dei deliri allucinati e onirici innescati da una pianta psicotropa che, invece, mi sono sembrati dei meri mezzucci artistici per allungare il metraggio del film e privarlo, da un certo punto in poi, di un ritmo che avrebbe necessitato maggior coesione. Ciò detto, Brandon Cronenberg si riconferma un autore interessante e coerente come il padre, apparentemente deciso a proseguire la sua crociata contro i mali e la stupidità del capitalismo senza rinunciare a un che di "affettato" ed arty che ne smussa un po' la ferocia. Chissà se, anche lui, arriverà a 80 anni senza mai cambiare rotta pur riuscendo ad esplorare anche generi distanti dall'horror? Posso solo augurarglielo e augurarmi che questo Infinity Pool arrivi presto in Italia. 


Del regista e sceneggiatore Brandon Cronenberg ho già parlato QUIAlexander Skarsgård (James Foster), Mia Goth (Gabi Bauer) e Thomas Kretschmann (Detective Thresh) li trovate invece ai rispettivi link.
 


mercoledì 27 aprile 2022

The Northman (2022)

Siccome è miracolosamente uscito anche qui, sabato sono corsa a vedere The Northman, l'ultima fatica di Robert Eggers come regista e co-sceneggiatore.


Trama: un principe vichingo, ancora bambino, fugge al tentativo di omicidio da parte di suo zio e torna a cercarlo, da adulto, per riscuotere una sanguinosa vendetta...


Avevo letto le peggio cose di The Northman, anche scritte da persone fidate. Non so se è perché da Eggers ci si aspettava un delirio lisergico ancora peggiore, nel senso migliore, di The Lighthouse come terzo lungometraggio, oppure perché chi lo ha visto in lingua originale probabilmente non è riuscito a superare lo scoglionamento da dialoghi rimaneggiati, dopo le critiche, persino dallo stesso regista, che si è cosparso il capo di cenere (sì perché noi italiani, invece, con Anya Taylor Joy doppiata con l'accento da bagassa dell'est... vabbé. Vergogna. E vergogna anche ai sottotitolatori, ché poi mi tocca leggere Valalla invece che Valhalla e mi viene in mente "la palla di Lalla". Ma su!), eppure prima della visione mi sono comparsi sotto agli occhi solo commenti negativi. Il "problema" di The Northman, se di problema si può parlare, è che viene fatto passare per un blockbuster fruibile da chiunque, cosa che scontenta ovviamente la maggior parte degli spettatori casuali (ma al Bolluomo è piaciuto molto), e che è troppo "commerciale" per i cinèfili, i quali probabilmente sono morti dall'orrore di dover condividere una sala con gli utenti medi per godere dell'opera di un Autore che, fino a ieri, conoscevano solo loro. Da par mio, che fortunatamente cinèfila non sono, bensì una semplice appassionata di cinema, credo di aver lasciato il segno della bocca spalancata contro la mascherina, perché The Northman è davvero una meraviglia. Epico nel vero senso della parola, di quell'epica che si studia a scuola e che si scopre in tutta la sua crudezza e fantasiosità da soli, è tanto semplice nella sua struttura portante quanto ricco di tutto ciò che può rendere assolutamente avvincente la storia di un eroe antico: morte, tradimenti, riti di iniziazione, leggende, oggetti mitici, mostri, spiriti, superstizioni, sacrificio, divinità, odio, amore, peccati, sesso. L'"origin story" di una dinastia di re, l'ideale "primo libro" di un ciclo vichingo, segue le vicende di un principe rozzo e disperato che non può fare a meno di vivere per l'odio e la vendetta, tenuto d'occhio da messaggeri degli dèi che tessono le fila di un destino già scritto, al quale non ci si può sottrarre, pena l'ignominia perpetua o un'ancor più peggiore condanna di codardia.


E così, Amleth procede come un treno nella sua vendetta, ben lontano dall'intellettuale shakespeariano che porta un nome assai simile (Il co-sceneggiatore Sjón ha preso ispirazione dalle leggende narrate da Saxo Grammaticus, alle quali si era ispirato già Shakespeare per il suo Amleto), e noi spettatori non possiamo che plaudire al suo cammino, benché zeppo di deviazioni che avrebbero fatto storcere il naso alla Sposa, e chiudere un occhio schifato sulle pene sanguinarie inflitte a nemici talmente immorali da mettere i brividi (uno in particolare; se la maggior parte dei personaggi, Amleth compreso, è abbastanza monodimensionale, c'è qualcuno a cui invece viene regalato un monologo talmente feroce e ben recitato da mettere i brividi, oltre che qualche dubbio sulla bontà del cammino del protagonista). Chiudere un occhio, virgola, ché distogliere lo sguardo dalla bellezza della regia di Eggers sarebbe peccato mortale. Il regista confeziona violentissime scene di battaglia calibrate con perfezione millimetrica e l'ausilio di piani sequenza meravigliosi, ma a mio avviso questa è stata solo la punta dell'iceberg; ciò che mi ha davvero catturata sono le scene oniriche di battaglie e prove visionarie, il volo di una valchiria tremenda e bellissima allo stesso tempo, l'inquietante orrore di sacrifici umani colorati dalle tinte del fuoco ed eseguiti con mano "elegante" dalla particolare Olwen Fouéré, la bellezza di una natura lussureggiante ma per nulla amichevole, fatta di colline verdissime, boschi consacrati agli dei e mari salvifici e pericolosi in egual modo. In tutto questo, ovviamente, ci sono fior di attori. Nonostante il brevissimo metraggio di presenza, la Kidman è per The Northman che meriterebbe delle nomination, non per filmetti come Being the Ricardos, quanto a Alexander Skarsgård e Anya Taylor Joy, definirli dream couple di una bellezza esagerata non rende l'idea e nonostante la differenza di età sarebbero coppia da shippare anche nella vita vera; grandissime lodi anche a Claes Bang, affascinante sia quando fa Dracula che quando interpreta lo Scar versione vichinga, e complimentissimi sia a lui che a Skarsgård per la fisicata mostrata in quello che è già il duello finale migliore di sempre. Avrete capito che l'entusiasmo mi impedisce di scrivere qualcosa che vada oltre il "bello bello in modo assurdo", quindi non date retta alle malelingue menose e andate a vedere The Northman, AL CINEMA, per Odino, non aspettate lo streaming! Ce ne fossero di film "banali" e imperfetti così!


Del regista e co-sceneggiatore Robert Eggers ho già parlato QUIAlexander Skarsgård (Amleth), Nicole Kidman (Regina Gudrún), Ethan Hawke (Re Aurvandil Corvo di Guerra), Anya Taylor-Joy (Olga della Foresta di Betulle), Willem Dafoe (Heimir Il Folle), Olwen Fouéré (Áshildur Hofgythja), Ralph Ineson (Capitano Volodymyr) e Kate Dickie (Halldóra) li trovate invece ai rispettivi link.


Claes Bang interpreta Fjölnir il Senzafratello. Danese, ha partecipato a film come The Square, Millenium - Quello che non uccide e a serie quali Dracula. Ha 54 anni e un film in uscita. 


Björk
(vero nome Björk Guðmundsdóttir) interpreta la veggente. Cantante e compositrice islandese, la ricordo per film come Dancer in the Dark. Anche regista e sceneggiatrice, ha 56 anni. 


Ingvar Sigurdsson
, che interpreta lo stregone, era il protagonista di A White, White Day. Bill Skarsgård era stato scelto per il ruolo di Thorir, il fratello di Amleth, ma ha dovuto abbandonare il progetto dopo che la produzione è stata ritardata causa Covid. Ovviamente, se The Northman vi fosse piaciuto recuperate The VVitch e The Lighthouse. ENJOY!


domenica 13 ottobre 2019

Non succede, ma se succede... (2019)

Spinta da un trailer simpatico e dalla presenza di Seth Rogen ho recuperato Non succede, ma se succede... (Long Shot), diretto dal regista Jonathan Levine.


Trama: Fred Flarsky, integerrimo giornalista dalle forti idee liberali, scopre che la sua ex babysitter è diventata la segretaria di stato. Dall'incontro fortuito tra i due nasce un'improbabile collaborazione quando la donna decide di far scrivere a Fred i propri discorsi...


Il Long Shot del titolo originale indica una cosa improbabile (mai quanto la sua traduzione italiana, chevvelodicoaffare.). Fred Flarsky sarebbe contento se iniziassi il post dicendo che il Longshot della Marvel era un mutante col dono della fortuna, capace di volgere le situazioni più improbabili in suo favore, e l'improbabilità è un po' il filo conduttore della commedia di Jonathan Levine. Nell'America Trumpiana, nel MONDO Trumpiano, che la bella segretaria di stato Charlotte Field riesca a fare le scarpe allo stupido e vanesio presidente americano pur essendo donna, giovane e bella, magari mostrando al mondo intero il suo fermo impegno di lottare per l'ambiente, è improbabile. Ancor più improbabile un sistema basato sulla meritocrazia, che vede un paria come Fred Flarsky ritrovarsi nei panni di ghost writer della donna più potente del mondo. Se poi aggiungiamo che il paria in questione ha il volto barbuto e gioviale di Seth Rogen mentre lei la bellezza surreale di Charlize Theron, e tra i due piano piano nasce una splendida storia d'amore a base di canzoni dei Roxette e inconfessabili affinità, beh, è ovvio che il long shot diventa ancora più "long", ma il bello del cinema è anche la possibilità di abbandonarsi e sognare un mondo migliore, pieno di Fred e Charlotte innamorati e al potere, ché francamente le varie Kate, William, Harry e Meghan, glamour e cacafigli, hanno davvero un po' rotto le palle. Non c'è vergogna quindi nell'abbandonarsi all'improbabile universo creato da Levine e soci, che mescola l'umorismo "grezzo" e citazionista tipico di un film di e con Rogen alla leggerezza di una romcom adatta un po' a tutti i palati, soprattutto a quelli femminili, che potranno prendere a modello la Theron come donna innamorata ma forte, alla quale nessuno riesce a mettere i piedi in testa. Un gioco di contrasti e incastri che, a dire il vero, la tira anche troppo per le lunghe (il film avrebbe potuto durare anche mezz'ora di meno, tranquillamente) ma che comunque regala parecchie risate e, a patto di non essere totalmente cinici e disillusi, anche un po' di sano ottimismo se non addirittura flebili speranze.


Poi, insomma, sapete che se c'è di mezzo Rogen io non faccio testo e divento di parte. Ammetto pubblicamente che tra Seth Rogen e un Alexander Skarsgård dall'accento franzoso e la risata inquietante, io sceglierei ciccio Rogen tutta la vita, col suo vocione roboante e l'umorismo da tredicenne, e anche se un po' lo odio per lammerda che è diventato Preacher (che orrore quest'ultima stagione) me lo terrei volentieri sul comodino per abbracciarlo quotidianamente nemmeno fosse un orsacchiotto formato famiglia. Peccato non essere la Theron, che vi devo dire. Eppure, nonostante, anche lì, i due assieme siano la coppia più improbabile del creato, l'alchimia funziona eccome. La bella Charlize Theron aveva già dimostrato di sapersi prendere in giro nel dimenticabile Un milione di modi di morire nel west, dove peraltro era affiancata, anche lì, da un partner non particolarmente bello e pure un po' sfigato, ed evidentemente Talia è stata molto generosa con lei, perché l'attrice dimostra di divertirsi e sapersi divertire senza perdere un'oncia della sua eleganza, persino nelle situazioni dove il suo personaggio mostra la natura di "ronzino" sotto la maschera della statista. A proposito di maschere. Quando nel cast ho letto il nome di Andy Serkis ho avuto l'istinto di riguardare l'intero film dall'inizio alla fine, perché giuro che non l'ho proprio riconosciuto. Ma divago, perdonatemi. In soldoni, Non succede, ma se succede... è uno di quei film perfetti per una serata davanti alla TV. Il mio consiglio è aspettare che venga messo in catalogo su qualche servizio di streaming, perché al cinema non val la pena andare, a meno che non lo proiettino in v.o., ché sapete quanto la voce di Rogen sia troppo particolare perché Simone Mori, la cui inflessione rende i personaggi interpretati dall'attore più cretini di quanto non siano (d'altronde era il doppiatore di Ross, e chi è più sfigato di Ross??), le tributi il giusto onore.


Del regista Jonathan Levine ho già parlato QUI. Charlize Theron (Charlotte Field), Seth Rogen (Fred Flarsky), Bob Odenkirk (Presidente Chambers), Andy Serkis (Parker Wembley), Alexander Skarsgård (Primo ministro James Stewart) e Lisa Kudrow (Katherine) li trovate invece ai rispettivi link.

June Diane Raphael interpreta Maggie Millikin. Americana, ha partecipato a film come Zodiac, Anchorman 2 - Fotti la notizia e The Disaster Artist, inoltre ha lavorato come doppiatrice in BoJack Horseman, I Muppet, American Dad! e Big Mouth. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 39 anni e un film in uscita.


Randall Park interpreta il capo di Fred. Americano, ha partecipato a film come The Interview, The Disaster Artist, Ant- Man and the Wasp, Aquaman e serie come Alias, E.R. Medici in prima linea, Dr. House, Beautiful, Cold Case e CSI - Scena del crimine, inoltre ha lavorato come doppiatore in Robot Chicken e BoJack Horseman. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 45 anni e tornerà nell'universo Marvel con la serie WandaVision.




domenica 24 luglio 2016

The Legend of Tarzan (2016)

Avrete notato che i film nuovi da recensire languono, ma d'estate è normale. Oggi tuttavia riesco a parlare di The Legend of Tarzan, diretto dal regista David Yates e ovviamente tratto dai romanzi di Edgar Rice Burroughs.


Trama: dopo molti anni passati in Inghilterra assieme a Jane, John Clayton alias Tarzan ritorna nella sua terra natìa su invito del Re del Belgio, impegnato in una violenta espansione coloniale in Congo. L'invito nasconde però una minaccia dal passato, che John Clayton sarà costretto ad affrontare...


Ciò che vale per i dinosauri, vale anche per Tarzan: la creatura di Burroughs non mi ha mai affascinata e in 35 anni non mi è ancora capitato di leggere un romanzo dedicato al "Signore delle Scimmie" (né credo capiterà, per inciso). Ammetto di avere guardato The Legend of Tarzan giusto per il bel trailer, l'addominale devastante di Alexander Skarsgård e la presenza di Christoph Waltz ed effettivamente almeno per quel che riguarda gli ultimi due punti sono stata parecchio soddisfatta. Riguardo alla bellezza e al coinvolgimento emotivo promessi dal trailer, diciamo invece che se ne può discutere. Di The Legend of Tarzan ho molto apprezzato giusto un paio di cose. In primis il personaggio di Jane, indipendente, colta e consapevole della sua bellezza al punto che la sua natura di damsel in distress mi è parsa quasi forzata, sfruttata giusto per spingere il protagonista ad intervenire nel momento clou. Come seconda cosa, ho trovato molto intelligente l'idea di mostrare un John Clayton ormai perfettamente integrato all'interno della società aristocratica inglese, oppresso dalla "leggenda" di Tarzan al punto da essere ormai materiale adatto per le fiabe da raccontare ai bambini; il suo ritorno nella giungla rappresenta un ritorno alle radici, eppure si vede lontano un miglio che ormai John non è più il Signore delle Scimmie (anzi, nella pellicola di Yates non lo è mai stato, almeno così mi è parso di capire) bensì un uomo civilizzato dotato di abilità fisiche che lo rendono superiore ai suoi simili e di conoscenze "etologiche" che gli consentono di non venire sventrato dagli animali africani. Il contorno avventuroso l'ho trovato sinceramente poco entusiasmante, popolato da personaggi poco caratterizzati o mal sfruttati (un esempio è il Capo Mbonga, messo a mo' di inutile boss finale) e concretizzato in una trama concentrata sulla condanna dello schiavismo e dei cattivoni belgi, prevedibile dall'inizio alla fine.


Tecnicamente, la bellezza di The Legend of Tarzan risiede nel fatto che, nell'anno domini 2016, chi è abile con la computer graphic può creare davvero qualunque cosa. Per esempio, si possono fondere le splendide immagini dei paesaggi del Gabon a delle riprese quasi interamente realizzate in studio, in Inghilterra, per poi aggiungere degli animali talmente reali da sembrare veri; la tenera interazione tra Tarzan e i leoni o la terrificante lotta tra lui e il capo dei Mangani, razza di grandi scimmie creata da Burroughs, sono effettivamente mozzafiato e lo stesso vale per l'incontro con gli elefanti, l'unico momento del film in cui mi sono commossa e ho sentito il cuore fremere dal desiderio di incontrare delle creature così straordinarie, oltre che dall'invidia per le capacità di Tarzan. Ciò che mi ha lasciata perplessa, per non dire delusa, è il già citato showdown finale con il Capo Mbonga, realizzato con tutti i tempi cinematografici sbagliati, al punto da non lasciare allo spettatore un minimo di partecipazione o suspance (la presenza di Samuel L. Jackson poi è particolarmente inopportuna...) e l'altra cosa che, dall'alto della mia ignoranza, ho percepito come quantomeno fatta tirar via, è il montaggio. Probabilmente, per ottenere il PG-13 dalla commissione americana si è dovuti ricorrere al taglio di sangue, violenze, colpi troppo ben dati, momenti intimi tra Jane e Tarzan, gorilloni che squartano persone e mi va benissimo così, per carità, ma un minimo di fluidità tra una scena e l'altra ci vorrebbe, ché a un certo punto mi è sembrato di vedere il filmino delle vacanze in Congo visto il netto (e a tratti incomprensibile) distacco tra le sequenze. Quindi, riassumendo, probabilmente The Legend of Tarzan potrebbe essere un film divertente per chi è appassionato del genere ma temo che buona parte degli spettatori, tra i quali rientro anche io, dopo un paio di giorni dimenticherà tutto tranne gli addominali di Skarcoso e aspetterà fremente l'arrivo della Robbie nell'imminente Suicide Squad.


Del regista David Yates ho già parlato QUIAlexander Skarsgård (John Clayton/Tarzan), Christoph Waltz (Leon Rom), Samuel L. Jackson (George Washington Williams), Margot Robbie (Jane Clayton), Djimon Hounsou (Capo Mbonga), Jim Broadbent (Primo ministro) e Ben Chaplin (Capitano Moulle) li trovate invece ai rispettivi link.


Per il solito angolo della curiosità, pare che Emma Stone abbia rifiutato il ruolo di Jane e che Jessica Chastain vi abbia rinunciato a causa dei ritardi nelle riprese, mentre Alexander Skarsgård ha strappato quello di Tarzan ad attori come Henry Cavill (impegnato nelle riprese di Batman vs Superman), Tom Hardy e Charlie Hunnam. All'interno del cast era presente anche John Hurt ma alla fine le sue scene sono state tagliate e di lui è rimasta solo la voce narrante all'interno di alcuni trailer. Detto questo, se The Legend of Tarzan vi fosse piaciuto, avete solo l'imbarazzo della scelta nel recupero di film a tema, tra i quali posso segnalarvi giusto quelli che ho visto io ovvero Greystoke - La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie e Tarzan della Disney. ENJOY!

domenica 14 febbraio 2016

Zoolander (2001)

Siccome questa settimana è uscito il sequel, ho deciso di recuperare Zoolander, diretto nel 2001 dal regista Ben Stiller.


Trama: Derek Zoolander è un modello ormai in declino e un gruppo di non meglio identificati "pezzi grossi della moda" decidono di fargli il lavaggio del cervello e sfruttarlo per uccidere il primo ministro della Malesia...



All'epoca dell'uscita di Zoolander lo avevo un po' snobbato, vuoi perché ero nella fase "aulica" della mia cinefilia, vuoi perché il genere comico-demenziale non mi ha mai fatta impazzire. Negli anni (ne sono già passati ben 15!) non sono mai riuscita a guardare Zoolander per intero, sempre e solo qualche esilarante spezzone con l'aggiunta di battute ripetute tra amici e colleghi oppure ragguardevoli foto scovate su internet: effettivamente, credo non esista NESSUNO che non abbia incontrato almeno una volta l'Espressione Magnum scorrendo le bacheche Facebook degli amici. Quindi, è stato solo qualche giorno fa che mi è capitato di guardare consapevolmente Zoolander, dall'inizio alla fine e, pur non essendone rimasta entusiasta quanto mi sarei aspettata, devo ammettere di essermi fatta parecchie, grasse risate. La storia segue un canovaccio assai simile a quello di un cult come The Anchorman e di altri film interpretati da Will Ferrell (non a caso, presente anche in questa pellicola); la trama di Zoolander racconta infatti le peripezie di un divo ormai in declino, in questo caso un modello, ovviamente vanesio e decerebrato, che si ritrova a dover affrontare una situazione potenzialmente pericolosissima senza fondamentalmente capire una mazza di quello che sta accadendo. Zoolander segue lo schema di altri film simili anche nell'affiancare al protagonista almeno un personaggio dal Q.I. normale (qui c'è la giornalista del Times Matilda Jeffries, nonché moglie di Ben Stiller nella realtà) e altre "spalle" più o meno decerebrate come lui; essendo il film ambientato, in questo caso, all'interno del mondo della moda, una simile condizione viene soddisfatta facilmente ed ecco che Zoolander si ritrova affiancato dallo svanito amico/rivale Hansel, dai favolosi coinquilini Rufus, Brint e Meekus (troppo poco, ahimé), dalla tristissima famiglia di minatori e ovviamente dal "cattivissimo" Mugatu, che gli ruba la scena spesso e volentieri. La critica ad un mondo fatto di apparenza e vanità è corrosiva ma anche troppo didascalica e compiaciuta per credere che davvero quello della moda sia un universo detestato da Stiller, piuttosto si ha l'impressione che l'attore volesse "vincere facile" e, soprattutto, divertirsi ricamando sull'improvvisa fama di un personaggio inventato da lui e Drake Sather per un paio di speciali televisivi della VH1.


Detto questo, Stiller è semplicemente esilarante nei panni di Derek Zoolander, non tanto per la natura assolutamente clueless del personaggio quanto proprio per l'espressività dell'attore, con la sua duckface unita a due occhioni azzurri e spalancati (l'espressione Blue Steel, attenzione!!) e l'atavica incapacità di "girare a sinistra". A dargli manforte c'è un cast di attori e guest star che farebbe impallidire produzioni ben più blasonate. Agli amici di sempre Owen Wilson (perfetto nel ruolo del biondo Hansel), Vince Vaughn (è irriconoscibile ma è uno dei fratelli di Zoolander) e Will Ferrell (il migliore, Mugatu e i suoi vezzi da primadonna fanno piegare in due dalle risate) si aggiungono infatti attoroni del calibro di Milla Jovovich e Jon Voight ma, in generale, ogni scena del film conta l'apparizione di perlomeno UN personaggio famoso nei panni di se stesso, "gente" come David Bowie o Billy Zane pronta a prendersi in giro e a dare un'immagine assolutamente surreale del proprio modo di vivere, oppure VIP che si "limitano" semplicemente a metterci la faccia, anche non accreditati. I vivacissimi e abbondanti costumi giocano una parte importantissima nella riuscita del film, anche perché trucco e parrucco di Zoolander, Hansel, Mugatu e compagnia sono talmente improbabili e allo stesso tempo, ahimé, assurdamente plausibili che sarebbe impensabile fare senza, in una parodia del mondo della moda, ma anche la colonna sonora non è da sottovalutare: il mood della pellicola è interamente all'insegna di melodie festaiole e un po' gaye anni '80/'90 e azzardati remix che toccano pezzacci quali la fondamentale Relax, Let's Dance, Wake me Up Before You Go-Go, Call Me e molte altre hit piacione. Visto Zoolander, sono davvero curiosa di capire cosa potrebbe raccontare ancora il seguito e, onestamente, temo molto la fregnaccia fuori tempo massimo ma devo anche ammettere che l'Espressione Magnum mi ha conquistata... quindi spero in un'espressione ancora più bella, bella, bella in modo assurdo.


Di Ben Stiller, regista, co-sceneggiatore e volto di Derek Zoolander, ho già parlato QUI. Owen Wilson (Hansel), Will Ferrell (Mugatu), Milla Jovovich (Katinka), Alexander Skarsgård (Meekus), James Marsden (John Wilkes Booth) e Vince Vaughn (Luke Zoolander) li trovate invece ai rispettivi link.

Christine Taylor interpreta Matilda Jeffries. Americana, moglie di Ben Stiller, ha partecipato a film come Giovani streghe, Palle al balzo - Dodgeball, Tropic Thunder e a serie come Dallas, Bayside School, Blossom, Ellen, Friends, My Name is Earl e Hannah Montana; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie American Dad! e Phineas e Ferb. Ha 45 anni e un film in uscita.


Jerry Stiller (vero nome Gerald Isaac Stiller) interpreta Maury Ballstein. Americano, padre di Ben Stiller,  ha partecipato a film come Airport 75, Su e giù per i Caraibi, Grasso è bello, Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy, Hairspray: Grasso è bello e a serie come Love Boat, La signora in giallo, L'ispettore Tibbs, Hercules e Sex and the City. Anche produttore e regista, ha 89 anni e un film in uscita.


David Duchovny interpreta J.P. Prewitt. Indimenticabile agente Fox Mulder della serie X-Files, lo ricordo anche per film come Una donna in carriera, ... non dite a mamma che la babysitter è morta!, Beethoven, Charlot - Chaplin, Kalifornia, X-Files - Il film, Evolution e X-Files: Voglio crederci; inoltre, ha partecipato ad altre serie come I segreti di Twin Peaks, Millenium, Sex and the City, Californication e lavorato come doppiatore in uno storico episodio de I Simpson. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 56 anni.


Jon Voight (vero nome Jonathan Vincent Voight) interpreta Larry Zoolander. Americano, lo ricordo per film come Un uomo da marciapiede, Un tranquillo weekend di paura, Tornando a casa (che gli è valso l'Oscar come miglior attore protagonista), Heat - La sfida, Anaconda, L'uomo della pioggia, Nemico pubblico e Il mistero dei templari; inoltre, ha partecipato a serie come 24. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 78 anni e quattro film in uscita tra cui Animali fantastici e dove trovarli.



Tra le celebrità che sono riuscita a vedere e soprattutto riconoscere (tolti ovviamente i mitici David Bowie e Billy Zane, graziati da due comparsate un po' più lunghe e significative!) segnalo Donald Trump, Christian Slater, Cuba Gooding Jr., Natalie Portman, Fabio, Lenny Kravitz, Gwen Stefani, Paris Hilton, Fred Durst, Winona Ryder e Donatella Versace mentre Andy Dick è irriconoscibile nei panni della massaggiatrice Olga, piccolo cammeo che si è ritagliato per non aver potuto accettare il ruolo di Mugatu. Inoltre, assieme al padre e alla moglie di Ben Stiller ci sono anche la madre Anne Meara (la donna che colpisce Mugatu con un uovo), la sorella Amy Stiller (una degli amici nel loft di Hansel) e il fratellastro Mitch Winston (il regista di una pubblicità). Probabilmente furioso per non essere stato infilato nel novero delle guest star, quella pazza di Bret Easton Ellis ha invece deciso di citare in giudizio Stiller e compagnia perché la trama di Zoolander sarebbe molto simile a quella del suo romanzo Glamorama; la contesa è stata risolta fuori dai tribunali ed è morta lì, probabilmente con l'aiuto di una vagonata di dollari. Bah. Detto questo, se Zoolander vi fosse piaciuto andate a vedere il secondo capitolo e aggiungete Palle al balzo - Dodgeball, Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy, Talladega Nights - The Ballad of Ricky Bobby e Starsky & Hutch. ENJOY!

mercoledì 15 gennaio 2014

Disconnect (2012)

Qualche sera fa sono riuscita a recuperare Disconnect, diretto dal regista Henry Alex Rubin nel 2012 e uscito proprio in questi giorni nelle sale italiane.


Trama: il film è incentrato su tre storie, vagamente intrecciate tra loro. Una racconta lo scherzo crudele di due ragazzini ai danni di un loro coetaneo, l’altra mostra una coppia in crisi che deve fare i conti con il furto di tutti i loro dati bancari e infine l’ultima parla dello squallido mondo delle chat erotiche.


Arrivata al punto clou di Disconnect, focalizzato da un ralenti in cui TUTTO va, letteralmente, nel peggiore dei modi possibili, mi chiedevo in lacrime perché diamine i protagonisti della pellicola non avessero semplicemente PARLATO tra loro prima di arrivare a questi estremi. Soffiandomi il naso e continuando a singhiozzare come se non avessi un domani mi sono detta “Eh, è proprio questo il punto”. Come avrete capito, Disconnect è un film angosciante e bastardo. Lo è in primis perché scava nelle magagne della nostra società, in quei bozzoli di solitudine autoimposta che siamo arrivati a crearci tutti (ovviamente a livelli diversi), nell’incapacità ormai cronica di comunicare con amici e famiglia, preferendo confidare tutti i nostri problemi ad una rete di sconosciuti, nel bruciante desiderio di ottenere la fama o una vita facile a tutti i costi, nella cieca fiducia con cui abbocchiamo come pesci tonni ad ogni inganno di Internet, usandolo senza conoscerne i rischi. Non è un film perfetto e anzi, come ho accennato, è anche un po' infingardo perché utilizza troppi mezzucci per entrare nel cervello di chi ha la lacrima facile come la sottoscritta (soprattutto durante le storie dedicate alla coppietta o al ragazzino) ma lascia comunque spazio ad interessanti considerazioni anche all'interno degli episodi più banali.


La vicenda più interessante e "spiazzante" è sicuramente quella ambientata nel mondo delle chat erotiche perché racconta in maniera particolare il rapporto di apparente fiducia che si viene a creare tra una giornalista senza scrupoli e un ragazzo preso nelle maglie di un'organizzazione che sfrutta i giovani per spillare soldi ai pornomani sparsi in tutto il mondo. E' spiazzante perché è l'unica delle tre vicende a non offrire una facile soluzione né un lieto fine, per quanto triste, e nemmeno un'interpretazione univoca dei protagonisti, difficili da classificare come "buoni" o "cattivi" in quanto le loro scelte sono contemporaneamente tutte discutibili e accettabili (la giornalista è presa tra le smanie di successo e il sincero desiderio di aiutare Kyle, il ragazzo sarebbe pronto a rinunciare al proprio "lavoro" se avesse la certezza di un futuro, in caso contrario lascerebbe che il suo cyberpappone continuasse ad attirare nella rete altri minorenni disperati). Le altre due storie sono più toccanti, come ho detto, ma anche più banali e facili da processare e popolate, purtroppo, da personaggi che andrebbero presi a ceffoni dal mattino alla sera. Tra le due, ho comunque preferito la storia che ha per tema il cyberbullismo perché a tratti riesce a mostrare non solo l'ovvia solitudine della vittima e la stoltezza di familiari e compagni di classe ma anche il profondo disagio di almeno uno dei carnefici, che paradossalmente impara a conoscere il bersaglio del suo disgusto e a provare empatia proprio attraverso lo scherzo, cosa che rende il tutto ancora più tragico. Da applausi, inoltre, l'impietosa rappresentazione del vuoto che imperversa nelle menti degli adolescenti americani (e non solo americani ahimé), incarnato in uno sputo in piena faccia idealmente rivolto a tutti gli esponenti della generazione Bling Ring.


Per quanto riguarda la realizzazione, ho trovato geniale l'idea di lasciare priva di colonna sonora buona parte del film, cosa in grado di enfatizzare il senso di solitudine emanato dai personaggi e dalle situazioni presenti nella pellicola molto più della presenza degli stralci di chat riportati in tempo reale sullo schermo; inutile dire, però, che ho amato alla follia anche il tema portante On the Nature of Daylight di Max Richter, responsabile del 90% delle mie lacrime e semplicemente struggente. Tra gli attori, spiccano un Jason Bateman stranamente serio e intenso, l'ambigua Andrea Riseborough e il bravo Max Thieriot che, tolti (letteralmente o quasi) i panni del fratello di Norman Bates, dimostra di saperci fare anche con ruoli un po' più "importanti". In sostanza, Disconnect soffre qua e là di un lieve eccesso di moralismo e melodrammaticità ma è un film che mi è piaciuto molto e che forse avrebbe meritato di uscire in un periodo dell'anno in cui le nostre sale non fossero già invase dai meravigliosi pezzi grossi in odore di Oscar. Secondo me vale la pena recuperarlo, magari con un occhio di riguardo verso il proprio stato d'animo: se siete già depressi o avete avuto una giornata difficile esistono delle ottime commedie, affrontare Disconnect non è proprio il caso!


Di Jason Bateman (Rich Boyd), Hope Davis (Lydia Boyd), Michael Nyqvist (Stephen Schumacher) e Paula Patton (Cindy Hull) ho già parlato ai rispettivi link.

Henry Alex Rubin è il regista della pellicola. Americano, prima di Disconnect ha diretto due documentari, Who is Henry Jaglom? e Murderball. E’ stato anche attore, sceneggiatore e produttore.


Frank Grillo (vero nome Frank Anthony Grillo) interpreta Mike Dixon. Americano, ha partecipato a film come Minority Report, Mother’s Day, My Soul to Take – Il cacciatore di anime, Zero Dark Thirty, Gangster Squad e a serie come Sentieri, The Shield, Prison Break, CSI – Scena del crimine, Senza traccia e CSI: NY. Ha 50 anni e quattro film in uscita tra cui Capitan America: The Winter Soldier, Demonic e The Purge 2.


Andrea Riseborough interpreta Nina Dunham. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, W.E. - Edward e Wallis e Oblivion. Ha 32 anni e quattro film in uscita.


Alexander Skarsgård (vero nome Alexander Johan Hjalmar Skarsgård) interpreta Derek Hull. Svedese, ha partecipato a film come Zoolander, Melancholia, Straw Dogs, Battleship e a serie come True Blood. Anche regista e sceneggiatore, ha 37 anni e tre film in uscita tra cui The Giver.


Max Thieriot (vero nome Maximillion Drake Thieriot) interpreta Kyle. Americano, lo ricordo per il ruolo di Dylan nella serie Bates Motel, inoltre ha partecipato a film come My Soul to Take – Il cacciatore di anime e Hates - House at the End of the Street. Ha 25 anni.

Il giovane Colin Ford, che interpreta l'odioso Jason, ha partecipato all'orrendo Under the Dome nei panni (più positivi) di Joe McAlister, mentre Haley Ramm, che interpreta la sorella di Ben, è stata una giovanissima Jean Grey in X-Men - Conflitto finale. Se Disconnect vi è piaciuto, potreste recuperare anche Crash: Contatto fisico e due film diretti da due ex star di Friends: Talhotblond di Courteney Cox e Trust, diretto da David Schwimmer. Nonostante non li abbia mai visti, dovrebbero trattare temi molto simili; fatemi sapere se sono validi, in caso contrario li toglierò dai consigli! ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...