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venerdì 3 gennaio 2025

Nosferatu (2024)

Quest'anno ho chiesto al Bolluomo, come regalo di Natale, di portarmi a Genova per vedere Nosferatu, diretto e co-sceneggiato dal regista Robert Eggers, in v.o. e il primo giorno di uscita. Sono stata accontentata!


Trama: Ellen, appena sposata con Thomas, ripiomba negli incubi della sua adolescenza quando al marito viene chiesto di andare in Transilvania per sbrigare affari importanti col mostruoso conte Orlok.


Sono più una bimba di Coppola, invece che di Murnau ed Herzog, quindi le volte che ho guardato Dracula di Bram Stoker sono innumerevoli mentre, per contro, ho visto il Nosferatu originale e il suo remake giusto un paio di volte e non in tempi recenti. Non aspettatevi dunque una precisa disamina sul rapporto tra il nuovo film di Eggers e il suo modello di riferimento, il Nosferatu di Murnau, e prendete il mio post come le semplici impressioni di una spettatrice entusiasta, con tutte le imprecisioni del caso. L'opera di Eggers riconsegna alla figura del vampiro tutte le caratteristiche di ferina, disgustosa, anaffettiva sensualità che le rielaborazioni degli ultimi decenni avevano trasformato in materiale da romanzetto rosa e le inserisce in un contesto sociale che vede la donna come una creatura da tenere a bada e da temere. Per la prima volta è Ellen il fulcro del racconto, l'origine di ogni male. Privata dell'amore della famiglia e di qualsiasi tipo di contatto umano, Ellen parla all'istinto primario celato dentro di lei, che nessun corsetto né regola possono cancellare, e desidera la comunione con qualcuno, "qualcosa" che sia simile a lei ed allevi non solo la tremenda solitudine che l'affligge, ma anche il senso di vergogna per naturalissime pulsioni, considerate malvagie ed impure (che Ellen sia innocente e pura in questo suo desiderio, ce lo dice il fiore del lillà). Dolore e desiderio risuonano annullando tempo e distanze, risvegliando il mostruoso Orlok. Nel legame tra i due non c'è traccia del romanticismo coppoliano, anche se la bestialità degli amplessi e degli sguardi conserva parecchie somiglianze col suo Dracula di Bram Stoker. Anzi, l'elemento di spicco mi è parso, piuttosto, la volontà del maschio "dominante" di sottomettere al suo volere colei che lo ha evocato, di disconoscerne l'innegabile potere, dimostrandosi, in questo, non tanto diverso dai maschi che circondano Ellen e falliscono nella titanica impresa di comprenderla e salvare la città dall'influenza di Orlok. Il potere reale, nel Nosferatu di Eggers, ce l'ha Ellen. E' qualcosa di simile all'innocenza che ha trasformato le eroine che l'hanno preceduta in puri agnelli sacrificali, ma è molto più consapevole, è un'accettazione del destino più volte nominato nel corso del film (ma non è un'accettazione passiva), l'affermazione di una potenza in grado di generare il male, ma anche di distruggerlo. E', soprattutto, un grido di libertà, di una donna che vorrebbe parità anche nel vincolo matrimoniale, vissuto come un modo per legittimare desideri comunemente condannati come osceni, e che guarda con diffidenza a qualsiasi istituzione, religiosa o scientifica che sia.  


Come ho scritto sopra, gli uomini non ci fanno una gran bella figura, Orlok in primis. Il carisma terrificante di quest'ultimo schiaccia gli esponenti del sesso maschile come fossero mosche, riducendoli o a matti adoranti o a bambini terrorizzati, ma in tutto questo il conte non riesce ad avere ragione di Ellen, neppure rovinandole l'esistenza. L'unico che riesce a fungere da utile alleato, in quanto slegato da ogni preconcetto legato alle norme "scolastiche" e sociali (quindi a sua volta un paria), è il professor von Franz, subito seguito dal povero Thomas, che si sforza di aprire la mente in nome dell'amore, ma Sievers e, soprattutto, Harding sono due cause perse in partenza, nonché fonti di dialoghi e situazioni grottesche, di cui Nosferatu, per la cronaca, è zeppo. Sievers non vede oltre i suoi studi medici, e alle crisi sempre più gravi di Ellen risponde aumentando le dosi di etere, Harding è l'archetipo dell'uomo forte, ricco e sicuro di sé, arroccato nel suo gineceo familiare, con tre donne-trofeo da esporre nell'attesa che la moglie gli assicuri, finalmente, l'erede tanto agognato. Non c'è nessuna gioia nel vedere la progressiva distruzione della sicurezza di questi uomini piccini, specchio dei sogni di morte che confondono Ellen, anche perché Orlok, nonostante quel che ho scritto sopra, fa davvero paura. Fa paura soprattutto quando la sua presenza si manifesta nelle spettacolari sequenze oniriche che intrappolano le sue vittime privandole del senso del tempo e dello spazio, o negli incubi sanguinosi di Ellen; il lungo capitolo che vede come protagonista il favoloso Nicholas Hoult senza fiato, sempre più terrorizzato e sull'orlo della pazzia, costretto ad interagire con forze incomprensibili e un uomo disgustoso, contiene, per quanto mi riguarda, le sequenze più belle e terrificanti del film, tanto che, guardandole, mi sono sentita oppressa quanto il povero Thomas. Ma non crediate che l'aspetto di Orlok mi abbia delusa. Imponente, brutto come il peccato e, finalmente, rappresentato come un nobile guerriero rumeno, con tanto di baffoni e copricapo di pelliccia, Orlok è l'incarnazione stessa dell'orrore, una presenza anche fisica, connotata da altezza e stazza eccessive, a rappresentare qualcosa a cui è impossibile sottrarsi, soprattutto quando viene "da dentro".


Orlok è anche uno dei motivi per cui sono felicissima di aver visto Nosferatu in lingua originale. Il lavoro che ha fatto Bill Skarsgård sulla propria voce è qualcosa di notevole, e ogni volta che apre bocca è come se l'Inferno stesso comunicasse coi poveri mortali tanto sventurati da trovarsi nei pressi. Aggiungo anche che è l'unica volta che provo davvero orrore all'idea di godere del morso di un vampiro, perché gli effetti sonori che accompagnano ogni pasto di Orlok rivoltano lo stomaco, alla faccia degli sguardi languidi delle vittime. Ottimo anche il resto del cast. Lily-Rose Depp si è probabilmente riguardata Possession in loop, prima di cominciare a girare, perché la sua performance mi ha ricordato tantissimo quella di Isabelle Adjani (non a caso, la Lucy del Nosferatu di Herzog), e Nicholas Hoult mi ha stretto il cuore più volte, riconfermandosi uno dei miei attori preferiti. Un po' sottotono Willem Dafoe, che comunque dà vita a un von Franz dignitosissimo, a tratti divertente e persino tenero, mentre Aaron Taylor-Johnson l'ho percepito un po' troppo teatrale e non particolarmente a suo agio nei panni del borioso riccastro. Per quanto riguarda la regia (colma di affettuosi omaggi ai due Nosferatu precedenti), ogni immagine è costruita per trasmettere o un senso di claustrofobica angoscia, o solitudine, oppure idilli ingannevoli; i personaggi, soprattutto Ellen e Thomas, sono spesso racchiusi all'interno di cupe cornici naturali, privati gradualmente della luce, oppure ripresi contro paesaggi sterminati e squallidi interni minimali, mentre in presenza di Friedrich e Anna sembra di avere di fronte cartoline d'epoca, spaccati di calorosa vita quotidiana talmente iconici da risultare falsi, punteggiati giusto da qualche elemento dissonante che mette ancora più ansia. E' vero, Eggers sembra essersi impegnato soprattutto nelle sequenze legate al folklore rumeno, al castello di Orlok e, in generale, a tutti i momenti horror, mentre segna un po' il passo nel raccordo che unisce la partenza di Orlok al ritorno di Thomas, ma considerato che, dove rallenta la regia, l'occhio ha comunque modo di godere di una fotografia bellissima e di costumi talmente belli, soprattutto quelli femminili (gli orecchini di Ellen!!!), che viene voglia di indossarli, non ho proprio avuto da lamentarmi. Per quanto mi riguarda, l'anno cinematografico è iniziato col botto, e questo nuovo Nosferatu mi ha conquistata. Speriamo sia un preludio a un 2025 di visioni altrettanto belle! 


Del regista e co-sceneggiatore Robert Eggers ho già parlato QUILily-Rose Depp (Ellen Hutter), Nicholas Hoult (Thomas Hutter), Bill Skarsgård (Conte Orlok), Aaron Taylor-Johnson (Friedrich Harding), Willem Dafoe (Prof. Albin Eberhart von Franz), Ralph Ineson (Dr. Wilhelm Sievers) e Simon McBurney (Knock) li trovate invece ai rispettivi link.

Emma Corrin interpreta Anna Harding. Inglese, ha partecipato a film come Deadpool & Wolverine e serie quali The Crown. Ha 30 anni e un film in uscita. 


Bill Skarsgård
era stato scelto per interpretare Thomas Hutter, ma nel corso della pre-produzione Eggers ha deciso di dargli il ruolo di Orlok. La lunga gestazione del film ha fatto sì che né Harry StylesAnya Taylor-Joy, ai quali erano stati offerti i ruoli dei protagonisti, abbiano potuto partecipare. Se Nosferatu vi fosse piaciuto recuperate Nosferatu - Il vampiro, Nosferatu - Il principe della notte e Dracula di Bram Stoker. ENJOY!

venerdì 12 aprile 2024

Omen - L'origine del presagio (2024)

Dopo l'abbuffata di "Presagi" sono andata ovviamente a vedere Omen - L'origine del presagio (The First Omen), diretto e co-sceneggiato dalla regista Arkasha Stevenson.


Trama: nel 1971, la novizia Margaret si trasferisce in un convento di Roma per prendere i voti. Lì si ritroverà invischiata in un complotto per fare nascere l'Anticristo...


Finalmente si è concluso questo mese a base di presagi. In tutta onestà, non poteva finire meglio. Dopo la qualità calante dei sequel de Il presagio, film entrato giustamente a fare parte della storia del genere cinematografico "satanico", questo prequel è stata una boccata d'aria fresca. La cosa è paradossale, potete immaginare perché. The First Omen racconta tutto ciò che conduce all'inizio de Il presagio, quindi sappiamo già come andrà a finire, cioè male, e chi si è da poco immerso nella saga, come me, potrebbe farsi persino un'idea chiara di come e per chi andrà a finire male più o meno dalle prime scene. Non che sia un problema visto che, salvo un paio di incongruenze/forzature e qualche "maccosa", la trama di The First Omen è coinvolgente e interessante. Protagonista è Margaret, novizia americana che si trasferisce a Roma per prendere i voti e viene accolta all'interno di un orfanotrofio per sole bambine. Fin dall'inizio, l'esperienza di Margaret non è tutta rose e fiori: la madre superiora ha un cuore decisamente arido e poco cristiano, una bambina in particolare viene ostracizzata e tenuta separata dalle altre, tremende visioni del passato tornano a perseguitare la novizia e c'è anche il disagio di avere una compagna di stanza decisa a sperimentare piaceri molto terreni prima di indossare per sempre il velo. In generale, ciò che si percepisce di Margaret è uno stato di confusione, solitudine e spaesamento, dettato dapprima dal doversi adattare ad un Paese sconosciuto (il pout-pourri linguistico del film sarebbe molto interessante ma, ahimé, l'adattamento italiano ha dato una bella piallata in tal senso) e poi da eventi sempre più inquietanti che accrescono la diffidenza della protagonista e, parallelamente, anche la sua forte volontà di decidere del proprio destino. Nonostante, infatti, il punto di vista di The First Omen sia prevalentemente femminile, il film parla di una femminilità schiacciata e violata a più riprese, sfruttata da un sistema ecclesiastico governato ovviamente da uomini, dove le donne non sono solo serve/spose di Dio, ma anche sottoposte alle decisioni degli alti prelati. Come già nel Presagio originale, la Chiesa ci fa una ben magra figura, o mostrando una debolezza isterica (sono sempre dell'idea che se Padre Brennan la smettesse di terrorizzare il prossimo coi suoi modi da matto, il Maligno avrebbe meno possibilità) o qualcosa di ancora più oscuro, che nel primo film era stato giusto accennato (sì, negli anni '70 si parlava di satanisti, ma mi sono sempre chiesta perché nella nascita di Damien fossero coinvolti anche dei preti e delle suore) e che qui diventa fulcro stesso della trama, eliminando la nozione di "satanismo".


Rimanendo in tema "violazione della femminilità", The First Omen ha delle sequenze agghiaccianti assimilabili al body horror (un paio delle quali farebbero passare la voglia di partorire persino alla più fervente mamma pancina) che sono poi quelle più originali, riuscite e distanti dai necessari omaggi riaggiornati a Il presagio. Arkasha Stevenson, che si è fatta le ossa con serie interessanti e "visionarie" come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia, dimostra di avere occhio per le atmosfere che richiamano l'horror anni '70 e non le scimmiotta, bensì le riporta in vita con gli stessi colori, la stessa morbidezza ed eleganza, spingendo lo spettatore a temere non solo quello che potrebbe nascondersi nel buio, ma anche ambienti familiari, in primis una città turistica come Roma. La sequenza che ho preferito è quella in cui il focus della cinepresa si allarga fino a mostrare come le luci che circondano Margaret siano posizionate in modo da rappresentare un viso demoniaco che la inghiotte, ma non è l'unico tocco di raffinatezza; tutto il film richiama alla mente capolavori come Suspiria, in particolare per l'uso del sonoro (per non parlare di quando esplode, prepotentissimo, lo score di Jerry Goldsmith nella scena clou. Non so se mi ha causato più brividi di gioia quello oppure Rumore della Carrà), mentre Possession viene esplicitamente citato poco prima del finale. A tal proposito, Arkasha Stevenson dimostra di sapere anche scegliere bene gli attori. Nell Tiger Free non è solo bellissima, ma anche brava nell'esprimere il tormento e la forza di Margaret, oltre a prestare il corpo ad un paio di scene disgustose, ma in generale tutto il cast di supporto è formato da facce espressive ed inquietanti, con menzione d'onore per Maria Caballero, la quale sul finale è talmente bella e solenne da mozzare il fiato. L'unica cosa che non ho granché apprezzato di The First Omen è l'apertura verso potenziali spin-off della serie, che manda un po' in vacca l'impressione di avere davanti un'opera curata e realizzata con passione, non con l'intento di fare soldi a palate gabbando, in futuro, gli spettatori babbei. E' vero che produce Disney, e che la malvagità della Casa del Topo supera quella di Damien, ma per stavolta spererei che i presagi finiscano in gloria, con questo bel prequel.


Di Ralph Ineson (Padre Brennan), Charles Dance (Padre Harris) e Bill Nighy (Cardinale Lawrence) ho parlato ai rispettivi link. 

Arkasha Stevenson è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto episodi di serie come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia. E' anche produttrice. 


Nell Tiger Free
interpreta Margaret. Inglese, ha partecipato a serie come Il trono di spade e Servant. Ha 25 anni. 


Sonia Braga
, che interpreta Sorella Silva, era la protagonista de Il bacio della donna ragnoOmen - L'origine del presagio è il prequel de Il presagio quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate almeno il primo film, visto che il resto della saga non è proprio un capolavoro! ENJOY!

martedì 20 febbraio 2024

Lord of Misrule (2023)

Il sesto suggerimento della challenge HorrorX52 su Letterboxd diceva di guardare un film consigliato online. La scelta è caduta così sul recente Lord of Misrule, diretto nel 2023 dal regista William Brent Bell, visto che la mia homepage Facebook era zeppa di post a tema.


Trama: il giorno della festa del raccolto, la figlia di Rebecca, ministro della chiesa locale, scompare misteriosamente. Le indagini della donna riveleranno il cupo passato della cittadina in cui si è trasferita da poco...


Potrei sbagliare ma, al momento, il 2024 horror mi è sembrato privo di uscite di spessore. Gennaio è passato praticamente senza horror, febbraio comincia all'insegna di questo Lord of Misrule che è un folk horror dalle grandi ambizioni e dalla resa fiacca. Non che da William Brent Bell mi aspettassi un nuovo Midsommar, ma fare male con antichi riti pagani e una cittadina con un piede nel cristianesimo e uno nella superstizione è maledettamente difficile. Infatti, Lord of Misrule non è orribile, è solo un'occasione mancata con problemi di ritmo. In un paesino inglese, la figlia del nuovo vicario viene eletta angelo del raccolto e, prima della fine della festa, scompare nei boschi. La madre, più di chiunque altro, si impegna a cercarla, anche perché nottetempo la bambina le compare all'interno di incubi sempre più inquietanti; in parallelo, il paesino viene scosso da strani eventi, mentre un passato accantonato (ma mai dimenticato, come dimostrano i simboli pagani disseminati in ogni dove) si sovrappone al presente in maniera sempre più insistente. Lord of Misrule inizia nella maniera migliore possibile. Ci sono bambini innocenti affascinati da simboli e rituali che invece non lo sono poi tanto, c'è una festa di paese dove il cosiddetto Lord of Misrule viene evocato per cacciare Gallowgog, un'entità pronta a distruggere il raccolto e la prosperità dei cittadini, c'è un'atmosfera generale di segreti e minacce neppure tanto sottili, nata dalla contrapposizione tra la religiosità della protagonista e la natura pagana di ciò che si nasconde dietro la scomparsa della figlia. Lo spettatore mediamente scafato, dopo 10 minuti ha già capito che gli amichevoli abitanti del paese lo sono solo di facciata, il problema è che William Brent Bell non è in grado di costruire la tensione né veicolare l'inquietudine derivante dall'"ignoranza" della protagonista e dalla presenza di occhi che tengono costantemente d'occhio le sue mosse. 


Il ritmo di Lord of Misrule si ammoscia nelle inconcludenti indagini di Rebecca, tra una sequenza onirica e un'infinita serie di salotti o cucine di campagna in cui la protagonista fa domande ai vari abitanti prima di tornare nei boschi, in un'affannosa ricerca che si concretizza in un finale ambiguo eppure, nonostante ciò, anch'esso ampiamente prevedibile. Parrebbe quasi che Lord of Misrule punti più su apparenze e suggestioni, come se il regista avesse voluto girare un folk horror e si fosse letto un bignami del genere, ma senza accompagnare una trama di sostanza ad immagini che, lasciate a sé stesse, diventano evanescenti quanto il fienile nero dove si svolge il finale del film. Probabilmente la fiacchezza di Lord of Misrule deriva anche da un casting poco azzeccato. Tuppence Middleton non è particolarmente carismatica, anzi, sembra spesso la povera Enoiósa quando chiedeva costantemente "Dov'è mia sorella? Dovè mia sorella?" e le dinamiche tra il personaggio di Rebecca e suo marito sono talmente forzate da privare il film anche di quel disagio derivante da un rapporto che si sgretola; la piccola Evie Templeton pare perennemente addormentata, Matt Stokoe sa di poco, Ralph Ineson ci mette tutto l'impegno del mondo a risultare inquietante ma la sceneggiatura lo fa perdere nell'ennesima serie di immagini disturbanti fini a sé stesse, quindi ci sono giusto un paio di spaventevoli vecchie a salvare la baracca, e un'altra mocciosa che chiama schiaffi fin dalla prima inquadratura. Non male il Gallowgog versione "spirito", così come le scenografie, i costumi e la musica, accompagnati da un'interessante divisione del film in quattro capitoli/simboli, ma è un po' poco per salvare Lord of Misrule dall'immediato oblio.


Del regista William Brent Bell ho già parlato QUITuppence Middleton (Rebecca Holland) e Ralph Ineson (Jocelyn Abney) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Lord of Misrule vi fosse piaciuto recuperate, ovviamente, The Wicker Man e Midsommar. ENJOY!

mercoledì 4 ottobre 2023

The Creator (2023)

Incoraggiata dalle molte critiche positive d'oltreoceano, domenica sono andata a vedere The Creator, diretto e co-sceneggiato dal regista Gareth Edwards.


Trama: dopo lo scoppio di un ordigno nucleare a Los Angeles, gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra alle A.I, che hanno trovato rifugio nella Nuova Asia. Un ex militare americano viene richiamato in servizio e incaricato di ritrovare e distruggere l'arma definitiva prodotta da Nirmata, il creatore di ogni A.I...


The Creator è un film di fantascienza "come una volta", che affronta però un tema attuale come quello della A.I. e del rischio che quest'ultima, prima o poi, finisca fuori controllo. La mia definizione di "come una volta", deriva dal fatto che The Creator ha una trama molto derivativa, legata a doppio filo alla classica indagine sulla natura e sviluppo dell'Intelligenza Artificiale e sulla possibilità che esseri artificiali dalle sembianze umane arrivino a provare anche più sentimenti di noi, sviluppando una coscienza propria. Anche i personaggi coinvolti sono degli archetipi, a partire dal protagonista Joshua: vittima della più tipica "controindicazione" da doppiogioco, il nostro viene condannato a perdere tutto ciò che ha di più importante nella vita e poi richiamato all'ordine da un governo che l'ha usato e gettato via come uno straccio, solo per aprire gli occhi sugli errori passati e passare dalla parte del "nemico". E per quanto riguarda il nemico, anche qui, nulla di nuovo. In contrasto col militarismo rozzo e crudele degli USA, basta cambiare un attimo prospettiva per capire che nemici non ne esistono, e che l'unico motore della guerra è la paura, l'istinto di autoconservazione, il desiderio di essere liberi e venire capiti. Non a caso, l'arma finale destinata (forse) a distruggere l'umanità è la cosa più innocente a cui si possa pensare, una creatura pura ma già vittima di un immenso dolore, davanti alla quale potrebbe rimanere indifferente giusto un sasso. E infatti, a discapito di tutto il condivisibile astio dei veri cultori del genere fantascientifico verso The Creator, io due pianti me li sono fatti con gioia, soprattutto sul finale, perché l'ultima fatica di Gareth Edwards, con tutti i suoi twist prevedibili dal minuto uno, è la "solita" bella storia che conosciamo fin da bambini e funge proprio da coperta di Linus per rilassarsi e passare una serata al cinema in totale sicurezza, in una comunione universale con gli spettatori senza pretese che cercano solo una pellicola gradevole.


D'altra parte, Edwards comunque non è un cretino. Visto al cinema, The Creator è uno spettacolo. Tanto per cominciare è un film che definirei "arioso" per via degli ampi movimenti di macchina e delle incredibili panoramiche di paesaggi incontaminati. Certo, su questi ultimi incombono armi di distruzione gigantesche che mettono angoscia solo a pensarle e che sembrano quasi reali, in virtù di una CGI per nulla posticcia e perfettamente integrata con gli sfondi ripresi dal vero; a tal proposito, un altro aggettivo che mi viene in mente per The Creator è "abbondante", perché la caratteristica principale di molte sequenze è quella di mostrare dei personaggi inghiottiti all'interno di ambienti giganteschi, che si estendono a perdita d'occhio. Anche il contrasto tra l'artificialità ostentata e i paesaggi naturali è importante, così come lo è l'umanizzazione dei robot non antropomorfi, a volte con risultati eccellenti (le bombe sacrificabili mi hanno magonata), altri meno (davanti ai robot/bonzi con tanto di rosario ho avuto delle perplessità), e soprattutto c'è Madeleine Yuna Voyles che, con quel musetto, mi farebbe passare dalla parte dell'A.I. senza pensarci un secondo. Di sicuro, mi rimarrà più impressa la sua deliziosa faccetta rispetto all'espressione un po' monocorde di Baby Denzel, il quale avrà di sicuro il phisique du role ma soprattutto, purtroppo, dispone della gamma emotiva di un comodino basito. Questa è una delle mancanze di un film al quale imputo l'unico, reale difetto di lasciare cadere nel dimenticatoio un paio di sottotrame/spunti tecnologici che avrebbero potuto essere sfruttati molto meglio ma che vengono gettati via solo per far proseguire la storia da A a B. Ciò, sicuramente, relegherà The Creator nel novero dei film che dimenticherò nel giro di un mese (anche se ricorderò la bellissima colonna sonora che usa splendidamente i Radiohead e omaggia Evangelion), ed è un peccato perché visivamente è un'opera perfetta da godersi in sala!


Del regista e co-sceneggiatore Gareth Edwards ho già parlato QUI. John David Washington (Joshua), Gemma Chan (Maya), Allison Janney (Colonnello Howell), Ken Watanabe (Harun) e Ralph Ineson (Generale Andrews) li trovate invece ai rispettivi link.

Marc Menchaca interpreta McBride. Americano, lo ricordo per film come Alone e Sick, inoltre ha partecipato a serie quali CSI: NY, CSI - Scena del crimine, The Outsider. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 48 anni. 


Benedict Wong era stato scelto per il ruolo di Harun ma ha dovuto abbandonare il progetto per impegni pregressi. Se The Creator vi fosse piaciuto recuperate Blade Runner, Blade Runner 2049, Ex Machina e A.I. Intellingenza Artificiale. ENJOY!

mercoledì 27 aprile 2022

The Northman (2022)

Siccome è miracolosamente uscito anche qui, sabato sono corsa a vedere The Northman, l'ultima fatica di Robert Eggers come regista e co-sceneggiatore.


Trama: un principe vichingo, ancora bambino, fugge al tentativo di omicidio da parte di suo zio e torna a cercarlo, da adulto, per riscuotere una sanguinosa vendetta...


Avevo letto le peggio cose di The Northman, anche scritte da persone fidate. Non so se è perché da Eggers ci si aspettava un delirio lisergico ancora peggiore, nel senso migliore, di The Lighthouse come terzo lungometraggio, oppure perché chi lo ha visto in lingua originale probabilmente non è riuscito a superare lo scoglionamento da dialoghi rimaneggiati, dopo le critiche, persino dallo stesso regista, che si è cosparso il capo di cenere (sì perché noi italiani, invece, con Anya Taylor Joy doppiata con l'accento da bagassa dell'est... vabbé. Vergogna. E vergogna anche ai sottotitolatori, ché poi mi tocca leggere Valalla invece che Valhalla e mi viene in mente "la palla di Lalla". Ma su!), eppure prima della visione mi sono comparsi sotto agli occhi solo commenti negativi. Il "problema" di The Northman, se di problema si può parlare, è che viene fatto passare per un blockbuster fruibile da chiunque, cosa che scontenta ovviamente la maggior parte degli spettatori casuali (ma al Bolluomo è piaciuto molto), e che è troppo "commerciale" per i cinèfili, i quali probabilmente sono morti dall'orrore di dover condividere una sala con gli utenti medi per godere dell'opera di un Autore che, fino a ieri, conoscevano solo loro. Da par mio, che fortunatamente cinèfila non sono, bensì una semplice appassionata di cinema, credo di aver lasciato il segno della bocca spalancata contro la mascherina, perché The Northman è davvero una meraviglia. Epico nel vero senso della parola, di quell'epica che si studia a scuola e che si scopre in tutta la sua crudezza e fantasiosità da soli, è tanto semplice nella sua struttura portante quanto ricco di tutto ciò che può rendere assolutamente avvincente la storia di un eroe antico: morte, tradimenti, riti di iniziazione, leggende, oggetti mitici, mostri, spiriti, superstizioni, sacrificio, divinità, odio, amore, peccati, sesso. L'"origin story" di una dinastia di re, l'ideale "primo libro" di un ciclo vichingo, segue le vicende di un principe rozzo e disperato che non può fare a meno di vivere per l'odio e la vendetta, tenuto d'occhio da messaggeri degli dèi che tessono le fila di un destino già scritto, al quale non ci si può sottrarre, pena l'ignominia perpetua o un'ancor più peggiore condanna di codardia.


E così, Amleth procede come un treno nella sua vendetta, ben lontano dall'intellettuale shakespeariano che porta un nome assai simile (Il co-sceneggiatore Sjón ha preso ispirazione dalle leggende narrate da Saxo Grammaticus, alle quali si era ispirato già Shakespeare per il suo Amleto), e noi spettatori non possiamo che plaudire al suo cammino, benché zeppo di deviazioni che avrebbero fatto storcere il naso alla Sposa, e chiudere un occhio schifato sulle pene sanguinarie inflitte a nemici talmente immorali da mettere i brividi (uno in particolare; se la maggior parte dei personaggi, Amleth compreso, è abbastanza monodimensionale, c'è qualcuno a cui invece viene regalato un monologo talmente feroce e ben recitato da mettere i brividi, oltre che qualche dubbio sulla bontà del cammino del protagonista). Chiudere un occhio, virgola, ché distogliere lo sguardo dalla bellezza della regia di Eggers sarebbe peccato mortale. Il regista confeziona violentissime scene di battaglia calibrate con perfezione millimetrica e l'ausilio di piani sequenza meravigliosi, ma a mio avviso questa è stata solo la punta dell'iceberg; ciò che mi ha davvero catturata sono le scene oniriche di battaglie e prove visionarie, il volo di una valchiria tremenda e bellissima allo stesso tempo, l'inquietante orrore di sacrifici umani colorati dalle tinte del fuoco ed eseguiti con mano "elegante" dalla particolare Olwen Fouéré, la bellezza di una natura lussureggiante ma per nulla amichevole, fatta di colline verdissime, boschi consacrati agli dei e mari salvifici e pericolosi in egual modo. In tutto questo, ovviamente, ci sono fior di attori. Nonostante il brevissimo metraggio di presenza, la Kidman è per The Northman che meriterebbe delle nomination, non per filmetti come Being the Ricardos, quanto a Alexander Skarsgård e Anya Taylor Joy, definirli dream couple di una bellezza esagerata non rende l'idea e nonostante la differenza di età sarebbero coppia da shippare anche nella vita vera; grandissime lodi anche a Claes Bang, affascinante sia quando fa Dracula che quando interpreta lo Scar versione vichinga, e complimentissimi sia a lui che a Skarsgård per la fisicata mostrata in quello che è già il duello finale migliore di sempre. Avrete capito che l'entusiasmo mi impedisce di scrivere qualcosa che vada oltre il "bello bello in modo assurdo", quindi non date retta alle malelingue menose e andate a vedere The Northman, AL CINEMA, per Odino, non aspettate lo streaming! Ce ne fossero di film "banali" e imperfetti così!


Del regista e co-sceneggiatore Robert Eggers ho già parlato QUIAlexander Skarsgård (Amleth), Nicole Kidman (Regina Gudrún), Ethan Hawke (Re Aurvandil Corvo di Guerra), Anya Taylor-Joy (Olga della Foresta di Betulle), Willem Dafoe (Heimir Il Folle), Olwen Fouéré (Áshildur Hofgythja), Ralph Ineson (Capitano Volodymyr) e Kate Dickie (Halldóra) li trovate invece ai rispettivi link.


Claes Bang interpreta Fjölnir il Senzafratello. Danese, ha partecipato a film come The Square, Millenium - Quello che non uccide e a serie quali Dracula. Ha 54 anni e un film in uscita. 


Björk
(vero nome Björk Guðmundsdóttir) interpreta la veggente. Cantante e compositrice islandese, la ricordo per film come Dancer in the Dark. Anche regista e sceneggiatrice, ha 56 anni. 


Ingvar Sigurdsson
, che interpreta lo stregone, era il protagonista di A White, White Day. Bill Skarsgård era stato scelto per il ruolo di Thorir, il fratello di Amleth, ma ha dovuto abbandonare il progetto dopo che la produzione è stata ritardata causa Covid. Ovviamente, se The Northman vi fosse piaciuto recuperate The VVitch e The Lighthouse. ENJOY!


martedì 1 marzo 2022

Macbeth (2021)

Gli Oscar si avvicinano a grandi passi e, per l'occasione, ho recuperato Macbeth (The Tragedy of Macbeth), diretto e sceneggiato dal regista Joel Coen a partire dalla tragedia omonima di William Shakespeare. Il film è candidato a tre premi Oscar: Denzel Washington miglior attore protagonista, miglior scenografia e miglior fotografia. 


Trama: Macbeth, nobile scozzese, viene avvicinato da tre streghe, che gli predicono un futuro come re di Scozia. Per raggiungere tale obiettivo, l'uomo non esita a macchiarsi del sangue di chi gli ostacola la strada...


Macbeth
è probabilmente la mia opera preferita di Shakespeare e credo di averla vista un po' in tutte le salse, quindi ero molto curiosa di capire come un Joel Coen per la prima volta in solitaria si sarebbe approcciato all'argomento. A livello di trama, per quanto sia stata un po' rimaneggiata, mi sarei aspettata un po' più di coraggio nell'adattamento e un po' più di nera ironia, anche perché i personaggi e il contesto si prestano parecchio, invece questo Macbeth non aggiunge praticamente nulla all'opera originale di Shakespeare e, se posso permettermi, i personaggi risultano quasi monodimensionali; chi dovesse avvicinarsi per la prima volta all'opera, me lo immagino come minimo perplesso davanti alla fregola di potere di Lady Macbeth e davanti all'arrendevolezza omicida di un uomo fedele al suo Re fino a pochissimi istanti prima, e anche la discesa nella follia di entrambi i personaggi mi è parsa trattata con freddezza, distacco e, ancor peggio, in modo un po' sbrigativo. A teatro, una cosa simile è comprensibile, d'altronde Macbeth è una tragedia molto breve, ma un'opera con un po' più di respiro cinematografico ha tutto il tempo (visto che ultimamente i film durano almeno due ore e mezza) di sviscerare maggiormente la relazione tra Macbeth e la moglie, la trasformazione del primo in sanguinoso e duro tiranno e della seconda in pulcino spaventato. Giova poco e confonde, a mio avviso, la promozione di un personaggio minore come Ross ad eminenza grigia e veicolo di tradimenti a non finire, impegnato a fare il doppio e triplo gioco per portare a casa non ho capito bene quale risultato, visto che la seconda profezia delle streghe riguarda sempre la progenie di Banquo, quindi a Ross che importa? Mah.


Trama a parte, il Macbeth di Joel Coen è un capolavoro visivo. Da amante dell'horror, sono rimasta semplicemente estasiata dalla resa delle Sorelle Fatali (interpretate da una sola persona, l'inquietantissima Kathryn Hunter), soprattutto nella splendida sequenza introduttiva in cui la figura di una singola strega si specchia in un'enorme pozza d'acqua rivelando il trio, e dall'ultima profezia offerta a Macbeth, dove misteriose illusioni acquatiche tornano ad essere protagoniste. La nitidissima fotografia in bianco e nero rende ancora più belle le scenografie meticolosamente ricostruite in studio, sottolineando ulteriormente la simmetria di alcune inquadrature e la natura sghemba, quasi espressionista, di altre, mentre il formato 4:3 è la perfetta cornice di una regia dal sapore antico e claustrofobico. Per quanto riguarda gli attori, in tutta sincerità non ne sono rimasta granché entusiasta. L'alchimia tra Denzel Washington e la McDormand è praticamente inesistente e, nonostante la loro interpretazione di un testo in inglese "antico" sia molto espressiva, al punto che chiunque potrebbe comprendere il senso delle frasi pur senza conoscere ogni singola parola, la piccola Queen Elizabeth che è in me ha rischiato di morire ogni volta che Denzellone apriva bocca per pronunciare la "parola di Shakespeare" con pesantissimo accento aMMeregano. Insomma, sicuramente bene, sia per gli amanti di Shakespeare che del cinema "artistico", ma non benissimo, e onestamente da uno dei Coen mi sarei aspettata molto di più.


Del regista e co-sceneggiatore Joel Coen ho già parlato QUI. Denzel Washington (Macbeth), Frances McDormand (Lady Macbeth), Brendan Gleeson (Duncan), Harry Melling (Malcom), Stephen Root (Porter), Sean Patrick Thomas (Monteith) e Ralph Ineson (Capitano) li trovate invece ai rispettivi link. 

Corey Hawkins interpreta Macduff. Americano, ha partecipato a film come Iron Man 3, BlacKkKlansman, Georgetown e a serie quali The Walking Dead. Anche produttore, ha 34 anni e un film in uscita.


Se lo stile di Macbeth vi è piaciuto, recuperate La passione di Giovanna d'Arco e il Macbeth di Orson Welles. ENJOY! 

venerdì 26 novembre 2021

The Green Knight (2021)

Un'altro dei film che aspettavo con trepidazione quest'anno era The Green Knight, scritto e diretto da David Lowery, uscito pochi giorni fa su Amazon Prime Video con un titolo italiano che non sto nemmeno a riportare.


Trama: la notte di Natale, alla corte di Re Artù si palesa il Cavaliere Verde proponendo un gioco: subirà l'attacco di un Cavaliere senza reagire ma, in cambio, in capo a un anno quello stesso Cavaliere dovrà cercarlo e accettare di subire la stessa identica cosa. Gawain accoglie la sfida e decapita il Cavaliere Verde e, dopo un anno, parte per andare incontro al medesimo destino...


La prima cosa che mi è balenata alla mente alla fine della visione di The Green Knight (ma anche nel corso della stessa) è quanto sia vergognoso che un film simile, in Italia, sia finito direttamente tra le maglie della distribuzione online senza passare dal cinema. Che nessuno mi venga a dire che guardare The Green Knight a casa, a meno di non avere una stanza identica a una sala cinematografica (il che non vuol dire solo disporre di uno schermo 4K grosso come mezza parete, signori, mi rincresce), sia equiparabile al guardarlo come avrebbe meritato, nel buio e nel silenzio religioso di un cinema, senza nemmeno mezza distrazione, con uno schermo in grado di rendere giustizia alle splendide sequenze realizzate da Lowery, perché mi metto ad urlare come la bonanima di Solange davanti a degli orridi boxer a pallini. Guardarlo a casa, davvero, dimezza la portata dell'esperienza, e infatti nonostante fossi affascinata e presa dalle vicende di Gawain, mi sono addormentata dopo mezz'ora. Dopo un'ora di nanna e (giuro) ginnastica in casa, sono riuscita ad arrivare alla fine ma senza lo stesso coinvolgimento che avrei provato al cinema, e la cosa mi ha spezzato il cuore perché The Green Knight è uno dei film più particolari e affascinanti dell'anno, con così tanti livelli di lettura che non bastano le due righe stinfie che uso di solito per sviscerarli tutti. Lowery riadatta una leggenda stra-conosciuta dei cicli Arturiani mettendo sotto i riflettori un Gawain non ancora cavaliere, poco più di un ragazzino fatto uomo, che passa le giornate ad ubriacarsi o divertirsi nei bordelli pur essendo nipote di una leggenda come Re Artù; Gawain passa le giornate in attesa di "dimostrare in suo valore" ma senza davvero volerlo, aspettando un destino cavalleresco che parrebbe inevitabile e dovuto ma, in sostanza, non si adopera perché questo arrivi. Ci pensa mammà, con l'ausilio della magia (ma la signora non è Morgana, occhio, bensì Morgause) a richiamare, la notte di Natale, il Cavaliere Verde che renderà Gawain una leggenda... o forse quest'ultimo aspetto è sopravvalutato?


Il Gawain di Lowery, nonostante intraprenda, da un certo punto in poi, la Cerca che dovrebbe renderlo cavaliere, non cambierà né maturerà fino all'ultimo. Il suo animo, sia nel suo villaggio, prima di incontrare il Cavaliere e durante l'anno di attesa, sia durante il viaggio, rimane sempre quello di un ragazzino insicuro e pavido, di una persona che non sa cosa fare nella vita e che prende i dettami cavallereschi come regole prive di senso; sa che deve rispettarli ma non capisce come, né perché, e vive in un'incertezza costante che gli agguanta non solo il cuore, ma anche il braccio, rendendolo debole in ogni senso. Tutti i piccoli episodi in cui è diviso The Green Knight sono come tanti poemi in cui Gawain viene messo di fronte ai suoi difetti e ogni volta fallisce, salvo quando deve decapitare un avversario che non si muoverà, e anche i pochi momenti in cui la sua natura di cavaliere, in qualche modo, emerge (per esempio con Santa Winifred), i suoi modi stonano e non riescono a celare una natura di donnaiolo insicuro, che dagli altri si aspetta sempre qualcosa in cambio, atteggiamento, quest'ultimo, che un cavaliere non dovrebbe mai avere. Di base, Gawain arriva alla meta solo grazie alla fortuna, non certo al suo valore, ed è solo sull'ambiguo finale che parrebbe riscattarsi, aprendo gli occhi ad una triste consapevolezza che ne rinfocola il coraggio da tempo sopito. 


E Dev Patel è uno SPLENDIDO Gawain, proprio con tutti i suoi difetti. Lontano dall'iconografia che lo vorrebbe ovviamente bianco e biondo, Patel incarna un Gawain che rompe con la tradizione anche in questo senso e che si ritrova quindi "separato" dagli altri cavalieri, nonostante il palese amore che gli riserva il re, suo zio. Patel è giovane, aitante, incredibilmente sensuale ma anche dimesso e sconfitto, tanto che a volte verrebbe da prenderlo a schiaffi per l'inerzia e la debolezza che dimostra in ogni sua azione; ma è l'intera cavalleria, lo vediamo, ad essere debole, non a caso Artù e Ginevra sono vecchi e morenti come quel mondo che, a dar retta allo splendido monologo messo in bocca alla Vikander, verrà inevitabilmente ucciso dal verde, il colore della vita, che solo potrà tornare rigoglioso e splendido nella morte, sì, ma dell'uomo. A dispetto di questo pessimismo di fondo, che forse è speranza verso una realtà più attenta ai bisogni della natura, la messa in scena di The Green Knight è un trionfo di colori vividi che paiono usciti dai quadri medievali, ed è zeppo di un'iconografia talmente ricca che bisognerebbe avere una cultura enciclopedica per riuscire a capire tutti i riferimenti; io so solo che alcune sequenze sono di una delicatezza incredibile mentre altre lasciano a bocca aperta da tanto sono ricche ed affascinanti, e che Lowery si riconferma un Autore con la A maiuscola, che regala agli spettatori opere non facilissime ma di sicuro molto originali e di grande impatto. Recuperatelo, se potete.  


Del regista e sceneggiatore David Lowery ho già parlato QUI. Dev Patel (Gawain), Alicia Vikander (Essel/la Lady), Sarita Choudhury (la madre), Sean Harris (Re), Kate Dickie (Regina), Ralph Ineson (Cavaliere Verde), Barry Keoghan (lo sciacallo) e Joel Edgerton (il Lord) li trovare ai rispettivi link.


Erin Kellyman, che interpreta Winifred, ha partecipato alla serie Falcon and the Winter Soldier nei panni di Karli. Se The Green Knight vi fosse piaciuto recuperate Willow, una delle fonti di ispirazione dichiarate del regista, A Ghost Story, Excalibur e L'amore e il sangue. ENJOY! 

martedì 3 agosto 2021

Gunpowder Milkshake (2021)

Certe volte meglio non sapere le cose. Certe volte, meglio guardare film come Gunpowder Milkshake, diretto e co-sceneggiato dal regista Navot Papushado, disponibile su Amazon Prime Video, lasciandosi ispirare dalle locandine viste su Letterboxd e dalle attrici coinvolte, e più non dimandare.


Trama: una killer a pagamento scazza gli ultimi due lavori e viene condannata a morte dall'organizzazione per cui lavora...


Perché certe volte è meglio non sapere le cose, oltre ad avere la memoria di un criceto? Perché a me, per esempio, il nome Navot Papushado non diceva nulla e mi sono guardata Gunpowder Milkshake come fosse una parodia al femminile di John Wick diretta da qualche russo rincoglionito. Purtroppo poi tocca documentarsi prima di scrivere il post e si viene a scoprire che Papushado non solo non è russo, ma era uno dei registi e sceneggiatori di quel trionfo di Big Bad Wolves, rimanendoci conseguentemente male e aggiungendo punti di ignominia a una pellicola altrimenti innocua. Gunpowder Milkshake altro non è che un mix di tutte quelle pellicole "di menare" (mi perdonino i giovini de I400calci per il prestito linguistico) tamarre che vanno per la maggiore in questi ultimi anni; l'ispirazione principale è il già citato John Wick col suo world building fatto di assassini dotati di particolari rifugi/punti di rifornimento armi (là è la catena di hotel Continental, qui c'è una biblioteca) ma si possono aggiungere anche Atomica Bionda, Hotel Artemis, l'umorismo grossolano di Guns Akimbo, un po' di Léon, persino Charlie's Angels e Baby Driver, quest'ultimo citato in un paio di "vorrei ma non posso" fatto di morti in macchina e canzoni utilizzate come elementi costruttivi della trama più che come mero sfondo. Protagonista del film è una killer che ha seguito le orme della madre scomparsa e che, un giorno, si ritrova nel mirino della sua organizzazione dopo avere sbagliato ben due lavori; una simile situazione porta con sé tutto un codazzo di sparatorie, scontri corpo a corpo, rivelazioni e personaggi tra il cazzuto e l'assurdo, insomma tutti elementi che, normalmente, mi porterebbero a leccarmi le dita, ché sapete quanto adori le storie di killer al femminile che menano come fabbri ferrai (e qui ce ne sono ben quattro), ma che stavolta mi hanno lasciata spesso perplessa e annoiata.


Nonostante un paio di sequenze invero pregevoli, nella fattispecie quella all'interno dello studio medico, il combattimento multiplo in biblioteca e il piano sequenza al ralenti finale, i tempi morti di Gunpowder Milkshake sono infatti troppi, soprattutto all'inizio, quando gli sceneggiatori si preoccupano di mettere quintali di carne di seconda mano al fuoco e lasciarla lì, a friggere per "dopo". Di fatto, il film ingrana solo con la prima sequenza meritevole, la prima ad avermi portata a sorridere di approvazione anche dopo un paio di scene più splatter del normale (il vampiro che finisce impalato è notevole), dopodiché diventa poco più di un divertissement piacevole, se si riesce ad ignorare una generale aria di scopiazzatura che rende Gunpowder Milkshake un frullato insipido sia a livello di sceneggiatura che di regia che, nonostante il cast stellare, di attori, punto assai dolente. Io non so se il personaggio di Sam è stato volutamente scritto per essere inespressivo e distaccato, ma Baby e Léon avevano un contesto che li rendeva adorabili, mentre Sam spesso sembra solo vittima della svogliatezza di Karen Gillan e nemmeno affiancandole una bambina vivace ed espressiva la situazione migliora; addirittura, i nemici maschili non sono proprio pervenuti, in particolare i "boss di fine livello", tanto che l'unico a rimanere impresso è il sempre valido Michael Smiley, mentre va un po' meglio dalla parte femminile, dove, a parte Angela Basset che fa a gara di inespressività con la Gillan, ci sono Lena Headey, Michelle Yeoh e, soprattutto, la splendida Carla Cugino a tirare su la baracca. Visti i film precedenti di Papushado, Gunpowder Milkshake mi risulta una caduta di stile proprio perché vorrebbe credersela e averne a pacchi; certo, ho visto di molto peggio e non posso sconsigliarvi la visione del film, però è proprio a "lasciar correre" simili pellicole che tentano di dissimulare la mancanza di idee con un paio di trovate esagerate che lo stile di questo genere di film si appiattisce fino ad intristire gli appassionati. E io ora sono molto, molto triste. 


Del regista e co-sceneggiatore Navot Papushado ho già parlato QUI. Karen Gillan (Sam), Lena Headey (Scarlett), Paul Giamatti (Nathan), Ralph Ineson (Jim McAlester), Carla Cugino (Madeleine), Angela Bassett (Anna May), Michelle Yeoh (Florence) e Michael Smiley (Dr. Ricky) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Gunpowder Milkshake vi fosse piaciuto aggiungete anche i due Kingsman oltre ai film citati nel post. ENJOY!  

venerdì 14 dicembre 2018

La ballata di Buster Scruggs (2018)

Nel catalogo di originali Netflix spesso ciofecosi ecco spuntare la magia dei Coen e del loro western ad episodi, La ballata di Buster Scruggs (The Ballad of Buster Scruggs), diretto e sceneggiato proprio da Joel ed Ethan Coen.


Il film comincia con l'episodio titolare, The Ballad of Buster Scruggs, appunto. Tra tutti, l'ho trovato il segmento più divertente, un mix tra western, influenze campyssime di musica country, alcuni dei migliori episodi di Lucky Luke e ovviamente Fratello, dove sei? , film dei Coen che dovrei decidermi a riguardare e recensire. The Ballad of Buster Scruggs è un florilegio di musica e personaggi surreali che più caricati non si può, a partire dal protagonista, interpretato da uno spettacolare Tim Blake Nelson. Andando avanti ci sono episodi più elaborati e profondi ma come antipasto questo è perfetto perché mette subito nel mood giusto, introducendo il fil rouge delle storie narrate dai Coen, ovvero la casualità di un destino di morte che non guarda in faccia a nessuno, che si tratti di buoni, cattivi, intelligenti o stupidi.


Near Algodones è un episodio altrettanto esilarante e pregno di umorismo nero. In dieci minuti i Coen sono riusciti a fare quello che non è riuscito a MacFarlane nelle due ore del suo logorroico Un milione di modi per morire nel West, presentandoci una terra pericolosissima, zeppa di contraddizioni, dove nel giro di un momento la vittima diventa carnefice e il bandito diventa vittima e dove non bisogna sottovalutare nessuno, nemmeno i vecchietti ciarlieri. Il finale è decisamente poetico e malinconico e, per una volta, ho adorato la faccetta da ca**o di James Franco dall'inizio alla fine.


A proposito di triste e malinconico, ma anche grottesco, Meal Ticket è indubbiamente uno degli episodi che rischiano di rimanere maggiormente impressi nella mente dello spettatore e di spezzargli il cuore per la casualità con la quale la disperazione arriva a privare le persone di ogni residuo di umanità. In una terra dove la sopravvivenza e la povertà vanno a braccetto, dove il pericolo è sempre dietro l'angolo, essere indifesi è una condanna ed essere acculturati non serve a nulla; soprattutto, la disumanizzazione del protagonista tocca il cuore e fa male. Potrei dire anche che fa pensare, riflettere su un mondo odierno non tanto diverso dal West, dove lo sfoggio di cultura fine a se stesso si risolve in un tweet o in un post su Facebook di rapido consumo e altrettanto rapido disinteresse, ripetuto fino a privarsi del suo significato originale, ma servirebbe solo a  deprimersi ulteriormente.


Basato su un racconto di Jack London, All Gold Canyon è lo one man show di un Tom Waits strepitoso, un inno alla testardaggine e alla natura predatoria dell'uomo. In esso, seguiamo un cercatore d'oro che all'inizio viene connotato nel modo più negativo possibile, soprattutto se confrontato con la natura incontaminata che la sua sete d'oro arriva a disturbare: acque limpide sporcate di terra, animali costretti a fuggire, splendidi prati ridotti a un colabrodo, risorse rubate, ecco ciò che porta la febbre, la smania del Cercatore. Eppure, nella sua ricerca febbrile ci sono metodo e rispetto, un qualche codice d'onore che ad un certo punto, quando l'uomo è a un passo dal suo obiettivo, ce lo rendono molto più simpatico, ribaltando in un istante la percezione del protagonista. Un episodio girato benissimo, recitato alla perfezione, costruito come un cerchio perfetto ed incredibilmente profondo nella sua brutale semplicità.


The Girl Who Got Rattled (ispirato a un racconto di Stewart Edward White) è invece uno spaccato di quotidianità colonica con tutto quel che ne consegue. Probabilmente è il segmento più "complesso", dal momento che è reiterato nel tempo, si basa su eventi sottesi e prevede un'evoluzione costante dei personaggi principali, al punto che lo spettatore comincerebbe ad affezionarsi agli occhioni sgranati di Zoe Kazan (sempre bellissima) e al timido cowboy che arriva a farle la corte, sperando di poterli seguire nella loro futura vita da marito e moglie. Invece i Coen non sono minimamente interessati all'aspetto più soapoperistico dello slice of life western portato sullo schermo, anzi, ci tengono a ribadire come la quotidianità del west andava comunque a braccetto con terribili incognite e con la morte sempre a un passo; ignorare il pericolo trincerandosi dietro ingenuità ed ignoranza significa mettere con le spalle al muro se stessi e gli altri, diventare un peso insostenibile che rischia di scatenare tragedie ancora più grandi. E' la tipica natura clueless di buona parte dei personaggi Coeniani a venire celebrata (criticata?) qui, l'atteggiamento di chi non ha ben inquadrato la realtà in cui vive e si limita a stare ai margini combinando solo casini. Il che ci porta dritti all'ultimo segmento.


The Mortal Remains, le spoglie mortali. Il semplice viaggio di cinque persone all'interno di una carrozza? O forse il loro ultimo viaggio, quello definitivo? L'ambiguità è voluta ma come chiosa finale propenderei più per l'ultima opzione, anche per quella fotografia cupissima, virata sul grigio, e quelle scenografie inquietantemente posticce sul finale. Sta di fatto che l'episodio, benché in esso, di fatto, succeda poco o nulla, è uno dei miei preferiti perché è recitato benissimo, ha dei dialoghi che spaziano dall'incredibilmente witty al malinconico e permette a Brendan Gleeson di sfogare le sue doti canore con una tristissima ballata irlandese.


Riassumendo, La ballata di Buster Scruggs è un'antologia western che non perde un colpo che sia uno. Introdotta ed intervallata, come i vecchi film Disney, dalla ripresa di un libro a cui vengono sfogliate le pagine, sulle quali c'è scritto esattamente come iniziano e finiscono gli episodi, consente ai Coen di sfruttare diversi stili di regia e spaziare attraverso svariati registri narrativi che coinvolgono lo spettatore senza mai annoiarlo: si passa dal musical al western, dallo slice of life alla tragedia per arrivare a tinte da ghost story, il tutto interpretato, diretto, scritto e soprattutto musicato alla perfezione. Al momento, oserei dire che La ballata di Buster Scruggs è uno dei più bei film che potete trovare su Netflix e consiglierei il recupero non solo agli amanti dei Coen, che troveranno pane per i loro denti, ma anche a chi di solito non mastica western perché qui c'è da rimanere estasiati a prescindere dal genere.


Dei registi e co-sceneggiatori Joel e Ethan Coen ho già parlato QUI. Tim Blake Nelson (Buster Scruggs), Clancy Brown (Surly Joe), David Krumholtz (il francese), James Franco (Cowboy), Stephen Root (Teller), Ralph Ineson (Leader del branco), Liam Neeson (Impresario), Zoe Kazan (Alice Longabaugh) e Brendan Gleeson (L'irlandese) li trovate invece ai rispettivi link.

Tom Waits interpreta il Cercatore. Cantautore americano, ha partecipato a film come I ragazzi della 56sima strada, Rusty il selvaggio, La leggenda del re pescatore, Dracula di Bram Stoker, America oggi e ha lavorato come doppiatore in un episodio de I Simpson. Anche sceneggiatore, ha 69 anni e un film in uscita.


Harry Melling, che interpreta l'Artista nell'episodio Meat Ticket, era l'odioso Dudley Dursley nei film di Harry Potter. Detto questo, se La ballata di Buster Scruggs vi fosse piaciuta potete recuperare Il Grinta e Fratello, dove sei? ENJOY!

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