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venerdì 7 luglio 2023

Insidious: L'ultima chiave (2018)

Ce l'ho fatta! Grazie a una serie di miracolosi squarci di tempo libero ho concluso il recupero degli Insidious con Insidious: L'ultima chiave (Insidious: The Last Key), diretto nel 2018 dal regista Adam Robitel.


Trama: Elise riceve una telefonata che la costringe a tornare nella casa dov'è cresciuta e a rivangare terribili ricordi d'infanzia...


Con Insidious: L'ultima chiave si conclude, almeno fino all'uscita al cinema di Insidious: La porta rossa, la mia avventura con la saga creata da Wan e Whannell nel 2010. Giusto in tempo per evitare la noia, anche se questo quarto capitolo è stato il più fiacco, almeno per me. La prima parte, in realtà, è una delle più interessanti: la sceneggiatura fa un ulteriore passo indietro e ci mostra come viveva Elise da bambina, già fiaccata dal suo "dono" di sensitiva al punto da trovarsi in un costante stato di terrore, alimentato non solo dalla vicinanza con una prigione dotata di braccio della morte ma anche dalla presenza di un padre padrone deciso a liberare Elise dalle sue doti a son di vergate e violenze. La protagonista, assieme agli ormai inseparabili Specs e Tucker, viene richiamata dall'attuale proprietario nella casa da cui era fuggita da bambina, tuttora teatro di terrificanti fenomeni paranormali, e da lì la vicenda si dipana intrecciando presente e passato, famiglie naturali e nuclei costruiti nel tempo, vecchi e nuovi nemici. Dopo un inizio scoppiettante (e nonostante un paio di plot twist abbastanza sconvolgenti ma gettati in pasto al pubblico come se fossero delle note a margine) il film si ammoscia su sentieri già ampiamente battuti, tentando di ampliare ulteriormente la mitologia di Insidious attraverso uno stillicidio di rimandi che prova disperatamente a mantenere desta l'attenzione dello spettatore, il quale però ha già ottenuto tutte le informazioni necessarie nei primi due capitoli. Lo stesso tentativo di approfondire maggiormente il passato di Elise si rivela un'arma difficile da gestire, in quanto i suoi familiari, soprattutto nel presente, sono abbozzati in maniera talmente superficiale che anche la sua eventuale erede rimane davvero poco impressa.


Poca gioia anche dal reparto mostri. Il cosiddetto "Facciadichiave", incarnato dal solito Javier Botet, è affascinante sulla carta ma ben poco interessante non solo a livello visivo ma anche concettuale: questo mostro possiede dieci chiavi (una per ogni dito) e ne usa solo un paio, mentre invece sarebbe stata una mossa furba renderlo il fulcro di tutta la saga, soprattutto vista la volontà di sfruttare il potere di Elise per "aprire tutte le porte", ma, di fatto, si limita a collezionare vittime e farsi sconfiggere nel modo più moscio possibile. Soprattutto, quello che ho pensato guardando Insidious: L'ultima chiave è che i vari aspetti che solitamente compongono un film qui non si siano amalgamati bene. La recitazione di Lin Shaye, per esempio, è validissima e lei è carismatica come sempre, ma Specs e Tucker sono un comic relief al limite del cringe (la love story inserita a un certo punto, poi, sembra tirata via di peso da un altro film); la regia di Robitel non è male ma la fotografia è abbastanza squallida e il montaggio è poco dinamico, il che concorre a rendere il film soporifero; c'è un solo jump scare davvero inaspettato e furbo, nel momento in cui Elise entra nel tunnel, il resto dei momenti spaventosi funziona male e mi ha portata a rimpiangere la paraculaggine di Whannell, che invece infilava una scorrettezza ogni cinque secondi. In definitiva, il cerchio si è chiuso, imitando alla perfezione l'andamento della saga: ho cominciato annoiandomi col primo capitolo, ho finito annoiandomi con quello che, fino al 2018, doveva essere l'ultimo, così come tutto inizia e finisce in casa Lambert. Adesso esce il quinto, chissà cosa avrà tirato fuori dal cilindro Whannell e, soprattutto, come se la caverà Patrick Wilson dietro la macchina da presa!


Del regista Adam Robitel ho già parlato QUILin Shaye (Elise Rainier), Leigh Whannell (anche sceneggiatore, interpreta Specs), Angus Sampson (Tucker), Spencer Locke (Melissa Rainier), Josh Stewart (Gerald Rainier), Bruce Davison ( Christian Rainier), Javier Botet (Keyface), Ty Simpkins (Dalton Lambert), Rose Byrne (Renai Lambert), Patrick Wilson (Josh Lambert), Stefanie Scott (Quinn Brenner) e Barbara Hershey (Lorraine Lambert) li trovate ai rispettivi link.


Credo che Insidious: L'ultima chiave possa essere visto come film a se stante ma ovviamente, per completezza, il mio consiglio è quello di recuperare InsidiousOltre i confini del male - Insidious 2 Insidious 3 - L'inizio (sono tutti su Netflix tranne il primo, che si trova a noleggio su qualsiasi piattaforma). ENJOY!

martedì 16 novembre 2021

Scary Stories to Tell in the Dark (2019)

Approfittando del suo passaggio televisivo, la sera di Halloween ho deciso di guardare un film che, purtroppo, non era passato in sala dalle mie parti e non si trova su nessuna delle piattaforme per cui pago regolarmente l'abbonamento, ovvero Scary Stories to Tell in the Dark, diretto nel 2019 dal regista André Øvredal e tratto dall'omonima raccolta di racconti di Alvin Schwartz.


Trama: la sera di Halloween, Stella e i suoi amici rimangono chiusi in una vecchia casa che si vocifera essere infestata. Lì la ragazza trova un libro di racconti capaci di influenzare il destino di chi li legge e catapultarli in un incubo...


Scary Stories to Tell in the Dark
mi aveva attirata grazie a una produzione (con zampata alla sceneggiatura) di Guillermo del Toro e grazie a un trailer accattivante e spaventevole, spesso fatto solo da piccolissimi flash delle storie che formano l'ossatura della trama. Le storie in questione, se vi è capitato di leggere il libro di Alvin Schwartz, non sono altro che racconti tra il breve e il brevissimo, spesso e volentieri tratti o ispirati dal folklore americano e mondiale, e somigliano in effetti tantissimo ad alcune delle storie che ci raccontavamo da bambini per spaventarci l'un l'altro (avessi avuto per le mani da bambina una simile miniera d'oro l'avrei sfruttata senza pietà - dei miei amici - peccato averlo scoperto alla veneranda età di 40 anni); onestamente, avrei creduto che un adattamento di queste storie sarebbe stato non solo difficile, ma addirittura impossibile, e invece Øvredal e Del Toro sono riusciti a tirarne fuori uno di quei rarissimi film a episodi coerenti dall'inizio alla fine, popolato da personaggi tridimensionali e capace anche di insegnare qualcosa. Siamo nel 1969 (l'anno della guerra in Vietnam e di un'America spaccata in due tra chi non vede l'ora di credere, appunto, alle panzane di Nixon correndo a combattere i commies e chi ad arruolarsi non ci pensa nemmeno) e la sera di Halloween Stella e i suoi amici si rifugiano nella casa infestata del paese per scappare da un branco di bulli. Lì i nostri trovano per caso la stanza dove si dice fosse stata rinchiusa la giovane Sarah Bellows, reietta accusata dalla sua influente famiglia di aver ucciso molti bambini avvelenando l'acqua, e trovano soprattutto il quaderno dove la ragazza passava il tempo a scrivere storie dell'orrore col sangue. Affascinata dalla leggenda, Stella porta via il quaderno, sulle cui pagine bianche cominciano tuttavia a comparire nuovi racconti aventi per protagonisti proprio i suoi amici, che finiscono vittime del destino designato dalle parole scritte dal vendicativo spirito di Sarah.


Come i migliori racconti horror, Scary Stories to Tell in the Dark è crudele e non fa sconti, va sì a toccare chi deve morire male ma condanna a un destino orribile anche chi non lo meriterebbe, imbroccando alcune delle sequenze più spaventose viste all'interno di un film pensato per un pubblico di ragazzi e rendendo "vive" le già inquietanti illustrazioni di Stephen Gammell (vi sfido a non farvela nei pantaloni davanti alla "donna grassa" o al jangling man, davvero terrificanti), eppure non si limita a seguire il pattern "la storia si scrive da sola - la vittima muore - ecco che spunta un'altra storia". La crudeltà che preme sottolineare ai realizzatori è quella che vede le "storie" come un mezzo per condannare le persone, per rovinare la loro esistenza e persino il loro ricordo, talvolta per ingannarle; Sarah Bellows è una creatura agghiacciante, ma cosa si nasconde davvero dietro la maledizione che la porta a sfogare tutto il suo odio su carta? E se la scrittura, i racconti, possono condannare le persone, non possono forse anche salvarle se usati a fin di bene?  Scary Stories to Tell in the Dark è un film perfetto per i più giovani perché, attirandoli con la promessa di un paio d'ore spaventevoli, apre la loro mente a concetti universali, sui quali è necessario riflettere, come la solitudine e la paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui, ma parla anche dell'impossibilità di decidere della propria vita, del coraggio di affrontare ciò che ci terrorizza e della necessaria empatia nei confronti degli altri, che deve spingerci a non limitarci mai alle apparenze. Come ho detto, la mano di Del Toro si vede e si sente, lo capite da soli. Il risultato è dunque un film per ragazzi che può parlare anche agli adulti, un prodotto che finalmente non tratta i giovani spettatori come dei cretini e che può ambire a ritagliarsi un posticino nel cuore degli appassionati di horror. Se non lo avete ancora visto, recuperatelo al più presto!


Del regista André Øvredal ho già parlato QUI. Dean Norris (Roy Nicholls), Gil Bellows (Sceriffo Turner) e Javier Botet (Cadavere senza pollice) li trovate invece ai rispettivi link. 


L'anno scorso si parlava di un seguito diretto sempre da André Øvredal ma, probabilmente causa covid, temo che il progetto sia stato momentaneamente sospeso perché non se ne hanno più notizie. Ciò detto, se Scary Stories to Tell in the Dark vi fosse piaciuto, recuperate Trick'r Treat e The Mortuary Collection. ENJOY!

venerdì 6 settembre 2019

It - Capitolo due (2019)

Mercoledì sera mi sono imbarcata in una maratona degna di quelle di Mentana, culminata con la proiezione di mezzanotte dell'attesissimo It - Capitolo due (It Chapter Two), diretto dal regista Andy Muschietti e tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King. Siccome non sono una brutta persona, NIENTE SPOILER.



Trama: i Perdenti tornano dopo 27 anni a Derry, così da uccidere il malvagio clown Pennywise una volta per tutte.



Disclaimer: ho solo 4 ore di sonno addosso, quindi mi scuso in anticipo se questo post sarà scritto coi piedi (per non dire di peggio) ma tanto c'è chi ha già parlato e soprattutto parlerà di questo secondo capitolo di It meglio di quanto possa fare io, ergo non mi preoccupo. Abbiamo aspettato due anni, pianto e gioito sul dream cast messo in piedi da Muschietti e soci, incrociato le dita affinché la conclusione di It cancellasse con un colpo di spugna il ragno di gomma di Tommy Lee Wallace e finalmente è arrivato il momento di tirare le somme: i perdenti sono cresciuti, hanno dimenticato quello che è successo a Derry nel corso della loro terrificante adolescenza e ventisette anni dopo sono tornati all'ovile, pronti a uccidere Pennywise una volta per tutte. Se la prima parte della serie del 1990 si concludeva con un evento ben preciso, dopo aver giustamente mescolato passato, presente e telefonate minatorie, il film del 2017 si era concluso invece con la promessa dei Perdenti ancora ragazzini: è normale, quando non si sa quale successo potrà avere la pellicola e quindi bisogna offrire un film in grado di stare in piedi da solo. Ecco perché uno degli eventi più importanti di It, uno dei più scioccanti e, perché no, "scenografici", qui viene ridotto a mero flash (mentre io quelle caspita di gocce che cadono le ricordo ancora adesso), parte di un processo di accelerazione che riunisce i Perdenti già adulti nel giro di pochi minuti. Uno dei difetti del film, senza dubbio, ma difetti inevitabili, ahimé. Come condensare in tre ore, tante ma purtroppo lo stesso insufficienti, tutta la ricchezza delle fisime, dei problemi, del dolore accumulatosi in 27 anni? C'è giusto il tempo di qualche sprazzo di indizio che il pubblico potrà cogliere o meno, di far pace con l'idea che forse Tom e Audra non sono poi così importanti all'economia della storia, di pensare che magari Bowers qualche minuto in più l'avrebbe anche meritato altrimenti non è null'altro che una macchia messa lì per far colore; di chiedersi, di nuovo, dove diamine è finito Mike, povero bibliotecario con la mera funzione di guardiano e portasfiga cosmico, prima che l'azione incalzi e cancelli ogni pensiero. Non si può dire, infatti, che il secondo capitolo di It manchi di ritmo. Allo spettatore non viene concesso nemmeno un istante di tregua perché anche i momenti più riflessivi sono il preludio a qualcosa di orribile, con l'occhio onnipresente di Pennywise sempre puntato sulla schiena dei protagonisti, nel passato e nel presente.


E quanto è più infantile e malvagio Pennywise in questo secondo capitolo. Così appare, ovvio, perché i Perdenti sono cresciuti, gli anni '80 hanno lasciato il posto al nuovo millennio ma Pennywise è rimasto sempre lo stesso, una creatura piena di sé convinta di avere sempre davanti dei bambini incapaci di liberarsi dai traumi passati e che quindi agisce di conseguenza, probabilmente nell'unico modo che conosce. Vero, sono passati 27 anni, non dovrebbero essere solo i Perdenti ad essere cambiati ma anche il mondo, popolato da ragazzini più smaliziati che hanno per l'anima di farsi prendere in giro da un clown; eppure, la solitudine e la paura travalicano i tempi, i diversi e perdenti vengono sempre perseguitati, e di questo il maledetto clown si nutre, approfittando della natura umana che tende a voler dimenticare quello che fa male, anche a costo di allontanarsi dai momenti felici e abbandonare tutto, le cose importanti e quelle che non lo sono mai state. Per questo, sono tanto più importanti quei momenti in cui i perdenti si ritrovano, l'umorismo infantile degli esilaranti battibecchi tra Richie ed Eddie e quei momenti di apparente comic relief che aiutano a stemperare la tensione, perché il fulcro della storia è, banalmente, questo: Pennywise è ridicolo, Pennywise incarna la stupida bruttezza del mondo, è il bullo supremo che merita di essere annullato con una risata in faccia per mostrargli la realtà della sua insipienza, non di essere temuto e venerato. Questo King lo diceva nel libro, lo ribadisce Muschietti, e se per un paio di momenti divertenti vi siete messi a gridare allo scandalo e al "ma questo non è horror", mi spiace ma non avete capito nulla. Anzi, It - Capitolo due, nonostante non sia privo di momenti agghiaccianti, è un film volutamente molto ironico e demolisce non solo Pennywise ma anche quelli che "la vecchia miniserie era meglio" (in effetti un ragno c'è anche qui), quelli che "ma questo pezzo nel libro non era così" (sì, mi ci metto in mezzo io per prima. E ammetto che alcuni contentini mi hanno fatto un po' male, decontestualizzati come sono), quelli che "Stephen King non sa scrivere i finali" (a volte è vero) e persino lo stesso Stephen King (amore mio), facendosi volere ancora più bene.


Non che il film sia esente da difetti, ci mancherebbe. Come ho scritto, tante, troppe cose si perdono qui e là o vengono totalmente stravolte per le esigenze più svariate ma ci sta, gli sceneggiatori non possono diventare scemi e inoltre non hanno vilipeso in toto un libro che al limite posso rileggere per la ventesima volta; è soprattutto la CGI a non convincere. Vedendo in sequenza il primo e il secondo capitolo saltano all'occhio gli imbarazzanti pupazzoni deformi e se già, rivista a mente fredda, la donna di Modigliani fa pietà, preparatevi all'orribile visu della strega/gollum e ad altre schifezzuole assortite, finte come i soldi virtuali di un Monopoli giocato su un green screen. Peccato, perché poi la battaglia finale è epica, tra regia e montaggio si arriva a un certo punto che manca il respiro per l'ansia e Bill Skarsgård è talmente "bello" che verrebbe voglia di abbracciarlo e allora perché Muschietti non ce la fa a stare lontano dagli obbrobri grotteschi? Chi lo sa, non pensiamoci, perché in It - Capitolo due ci sono ancora tante cose bellissime. Il dream cast di cui parlavo sopra, in primis. Tutti gli attori, nessuno escluso, sono assolutamente in parte e se da Jessicona nostra e Jamesuccio bello me lo aspettavo, non avevo idea che Bill Hader sarebbe stato un Richie sfaccettato, dolce da spezzare il cuore, né che i semi-sconosciuti James Ransone e Jay Ryan avrebbero riportato in vita alla perfezione due personaggi amatissimi come Eddie e Ben (tra l'altro scusate ma Ben è strafigo, come l'avevo sempre pensato). I loro volti, le loro espressioni, i loro gesti non fanno rimpiangere quelli delle loro giovani controparti (anche se, non me ne voglia la Chastain, ma la Lillis è talmente bella da essere innaturale) ed entrano nel cuore dello spettatore, concorrendo a spillare qualche lacrima, non certo per il bruciore dovuto a cinque ore ininterrotte di film. E qui, mi dispiace, ma parte lo SPOILER, tanto la recensione è bell'e finita, il film mi è piaciuto, correte a vederlo.


SPOILER
Stephen King potrà anche non sapere scrivere finali, ma quello di It è amaro e malinconico, una rappresentazione lucida di quello che è la vita, dove anche i legami più saldi, col tempo e a causa di percorsi diversi, tendono ad indebolirsi e forse a scomparire. E' un finale per nulla felice, che ho amato da lettrice, detestato da fan girl. Muschietti mi è venuto incontro con un happy ending per il quale non posso che ringraziarlo tra le lacrime, che hanno cominciato a scorrere copiose quando sullo schermo è comparsa una delle citazioni più belle di It e si sono intensificate con l'inno alla vita e all'amicizia di Stan. E' una cosa paracula, lo so. E' un tradimento dello spirito dell'opera, va bene, senza contare che Stan è morto per mera paura (e qui avrebbero potuto ricamare sul fatto che è stato l'unico, assieme a Beverly, a guardare DENTRO It)  enon per qualche contorto e scricchiolante piano. Ma che cazzo, già la vita dona poche gioie, perché non si può sperare, abbracciando idealmente un Ben finalmente felice, innamorato e pronto a girare il mondo in compagnia di Beverly? Sperando che la maledetta rimpatriata al ristorante cinese sia una delle mille che accompagneranno i Perdenti superstiti fino alla vecchiaia? Suvvia, lasciatemi sognare. E lasciate in pace Muschietti, criticoni.
FINE SPOILER



Del regista Andy Muschietti ho già parlato QUI. Jessica Chastain (Beverly Marsh), James McAvoy (Bill Denbrough), Bill Hader (Richie Tozier), James Ransone (Eddie Kaspbrak), Bill Skarsgård (Pennywise), Jaden Lieberher (Bill Denbrough da giovane) Nicholas Hamilton (Henry Bowers da giovane), Javier Botet (il barbone/la strega) e Xavier Dolan (Adrian Mellon) li trovate invece ai rispettivi link.


Il primo It ha portato fortuna ai giovani protagonisti, tutti tornati anche in questo secondo capitolo? Non proprio a tutti, in effetti, ma ad alcuni sì: Jack Dylan Grazer (Eddie) ha partecipato al film Shazam!, Finn Wolfhard (Richie) è sempre più mostro e, oltre a continuare a interpretare Mike in Stranger Things ha avuto tempo di doppiare Pugsley nell'imminente La famiglia Addams e parteciperà al nuovo Ghostbusters 2020; Sophia Lillis (Beverly) era nel cast di Sharp Objects, Chosen Jacobs (Mike) in quello di Castle Rock mentre Jeremy Ray Taylor (Ben) ha fatto capolino in Piccoli brividi 2 - I fantasmi di Halloween. Interessante invece vedere come l'attrice Molly Atkinson, che nel primo film interpretava la madre di Eddie, sia stata utilizzata nel secondo film per incarnarne la moglie, Myra; se inoltre, come me, volete sapere chi sia il "Peter" regista del film di Bill, trattasi di un regista vero, nella fattispecie Peter Bogdanovich il quale, per inciso, non è l'unica guest star eccellente della pellicola, anzi. Ma ho promesso niente spoiler, quindi vi rimando semplicemente alla visione di It e della miniserie del 1990 oltre a consigliarvi di leggere il romanzo di Stephen King. ENJOY!

domenica 9 giugno 2019

Polaroid (2019)

Ma che disperazione. Polaroid, diretto dal regista Lars Klevberg, a Savona non è uscito. Fortuna o sfortuna?


Trama: Bird, ragazza timida ed impacciata, entra in possesso di una vecchissima macchina fotografica Polaroid. Presa dall'entusiasmo, la utilizza per scattare alcune foto agli amici, scatenando però sugli stessi una terribile maledizione...



Si può dire "che palle"? Potrebbe essere l'unico modo per riassumere la visione di Polaroid, horror che di innovativo non ha nulla e che procede lento e triste "come chi deve" sui binari già stabiliti a inizio millennio da The Ring, Shutter e compagnia urlante. La vecchia tecnologia che si ribella ai millenials, condannandoli a morire in un modo atroce rigorosamente fuori dall'inquadratura, ché rinunciare al PG-13 tipico di queste produzioni sarebbe brutto, offre al pubblico di ragazzetti una storia stravista che, boh, forse vuole metterli in guardia dalla mania di fare photobombing? Non saprei. In soldoni, ogni foto scattata con la Polaroid del titolo mostra alle spalle delle persone ritratte un'ombra inquietante, "firma" di un mostro tutto storto interpretato ovviamente da Javier Botet che, di lì a poco, farà impazzire tutte le luci della casa e giustizierà i poveracci ignari. Il perché o il percome lo si scopre seguendo i pochi sopravvissuti alla mattanza che, come da copione, si impelagano in un'indagine resa difficoltosa dalla creatura che incombe, tra false piste, motori di ricerca che trovano letteralmente ogni cosa e capatine nelle biblioteche. Insomma, ripeto, nulla di nuovo sotto il sole. C'è da dire, per lo meno, che i protagonisti sono meno irritanti del solito, non fanno cose stupide per motivi di trama (tranne uno ma, oh, almeno UN cretino all'interno di un gruppo ci dev'essere, d'altronde la gente ha votato Trump e Salvini, sarebbe surreale pensare il contrario) e la protagonista, oltre ad essere molto carina, mostra di avere anche un cervello pensante in grado di sfruttare le peculiarità delle foto scattate dalla Polaroid.


Tra i visetti tutti uguali di stelline varie tirate fuori da serie che guardano tutti tranne la sottoscritta, spuntano a nobilitare l'insieme la sempre inquietante Grace Zabriskie (onestamente, fa più paura lei del mostrone) e un Mitch Pileggi che, lì per lì, non avevo nemmeno riconosciuto e che meriterebbe un premio denominato ad hoc "mannaggiavvoi, fatevicazzivostri".  Purtroppo queste due vecchie glorie vengono sottoutilizzate ma è anche vero che il pubblico di riferimento non saprà nemmeno di chi sto parlando, quindi chissene. Il resto, come ho detto, è noia. A Lars Klevberg, autore del corto che ha dato origine a Polaroid, è stato affidato il reboot de La bambola assassina, che dovrebbe uscire tra poco in Italia, e benché non mi aspettassi chissà quale regista dietro la macchina da presa di un film così atteso, diciamo che Polaroid è dimenticabile anche dal punto di vista dalla regia. Il mostronetto, infine, è il solito agglomerato di pixel cucito addosso alle movenze dell'amabile Javier Botet e diverte il fatto che non abbia nulla a che vedere con la creatura mostrata nel corto, a mio avviso molto più efficace. D'altronde, è sempre così: un'idea come quella di Polaroid funziona nell'immediato, con un metraggio breve, in quanto si fonda sullo shock di uno jump scare o una situazione sovrannaturale priva di spiegazioni o conseguenze a lungo termine. Quando si cerca di allungare il brodo (i primi dieci minuti di film sono una riproposta quasi identica del corto stesso, dialoghi compresi, e una volta conclusa la breve introduzione i personaggi protagonisti scompaiono), il risultato si annacqua e il risultato sono filmetti dimenticabili come questo Polaroid, che poteva benissimo rimanere nel limbo distributivo internazionale al quale pareva essere stato condannato dopo lo scandalo Weinstein.


Javier Botet (l'entità), Grace Zabriskie (Lena Sable) e Shauna MacDonald (la madre di Bird) li trovate ai rispettivi link.

Lars Klevberg è il regista della pellicola. Norvegese, tornerà presto sugli schermi italiani con La bambola assassina. Anche sceneggiatore e produttore, ha 39 anni.


Kathryn Prescott interpreta Bird. Inglese, ha partecipato a film come Fino all'osso e a serie come 24: Legacy. Inglese, anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 28 anni.


Mitch Pileggi interpreta lo sceriffo Pembroke. Americano, indimenticato Walter Skinner di X-Files, lo ricordo per film come Il giustiziere della notte 4, Il ritorno dei morti viventi 2, Sotto shock, Basic Instinct, Vampiro a Brooklyn, X-Files - Il film, X-Files - Voglio crederci e per altre serie quali A-Team, Hunter, Dallas, Walker Texas Ranger, That's 70's Show, E.R. Medici in prima linea, Nip/Tuck, CSI - Scena del crimine, Cold Case, Criminal Minds, Medium, Supernatural, Grey's Anatomy e Dallas. Ha 67 anni e due film in uscita.



Polaroid è tratto dall'omonimo corto, sempre di Lars Klevberg, che potete trovare QUI. Se il film vi fosse piaciuto recuperate la serie The Ring. ENJOY!

domenica 16 settembre 2018

Slender Man (2018)

L'abbuffata cinematografica della settimana scorsa si è conclusa con Slender Man, horror diretto dal regista Sylvain White.


Trama: quattro ragazze decidono di evocare lo Slender Man guardando un video su internet e ovviamente la creatura non si fa pregare, arrivando a sconvolgere le loro esistenze...


Da brava appassionata di horror della domenica, ho conosciuto la leggenda internettiana dello Slender Man giusto il giorno prima di andare a vedere il film. Effettivamente, a Lucca un po' di volte mi ero imbattuta in cosplay di questo essere nato da un thread su internet a base di foto ritoccate e poi sviluppatosi fino ad entrare nel mito di videogiochi, film, serie TV e creepypasta, ma ovviamente non avevo idea di chi fosse, segno che ormai sono davvero troppo vecchia per Lucca Comics. In questi giorni ho anche scoperto di come due ragazzine, in America, abbiano accoltellato una loro compagna quasi a morte (fortunatamente erano troppo stupide anche per accertarsi che lo fosse veramente e la sventurata si è salvata...) proprio per entrare nelle grazie dello Slender Man, cosa che ha portato l'opinione pubblica USA a rendersi conto della potenza di questa leggenda metropolitana nata quasi per scherzo e che, ovviamente, ha portato realizzatori e produttori del film a farsela nelle mutande, pubblicizzare ben poco il prodotto finito e a offrire al pubblico un pasticciaccio brutto e moscerello. E' un peccato, perché Slender Man aveva, palesemente, delle grandi ambizioni. Il regista Sylvain White non è un cretino e nel corso del film piazza delle sequenze da brivido, non solo per le tempistiche perfette di un paio di eleganti ed inaspettati jump scare ma soprattutto per l'atmosfera onirica che accompagna ogni comparsa del boogeyman;  in bilico tra i video "espressionisti" di The Ring e le sequenze più riuscite di Nightmare, le deformazioni di tempo e spazio che anticipano l'arrivo dello Slender Man, "virus" che si insinua nel cervello delle vittime alterandone le percezioni (oppure consentendo loro di vedere ciò che si nasconde dietro il velo della realtà, chissà...), sono ardite e ben realizzate, tanto che verrebbe voglia di vedere girato l'intero film in questa maniera invece di sorbirsi l'ennesima saga dello stereotipo, affossata dai tagli necessari per raggiungere il rating PG-13 e penalizzata da una delle peggiori fotografie mai viste in un film horror (ho avuto male agli occhi per due giorni perché quasi tutte le scene sono illuminate da schifo, tanto che a tratti si fa quasi fatica a distinguere le espressioni dei personaggi).


Tolti i momenti in cui Sylvain White da sfogo alla sua verve, Slender Man è però un banalissimo horror per adolescenti, dove anche il piccolissimo tentativo iniziale di contestualizzare la storia viene dimenticato in favore di una trama stravista. La sequenza di apertura, infatti, ci mostra una cittadina squallida, il solito mall da quattro soldi, sparuti esempi di gioventù che vaga annoiata per le strade, una ragazza che cerca di distinguersi dalle sue coetanee nella speranza di fuggire da un padre ubriaco e da una vita ingrata, non a caso interpretata dalla valida Annalise Basso; c'erano quindi tutti i presupposti per un horror malinconico alla It Follows, invece si è preferito ripiegare sul collaudato pattern "evocazione sconsiderata - tormento dell'entità - tentativi stupidi e malriusciti di rimediare (con l'aggiunta di danni collaterali. Se io ti dico di NON guardare 'sto cavolo di video dopo che ho appena strillato come un'aquila sopravvivendo a stento all'attacco di "qualcosa" evocato dallo stesso, perché tu lo guardi? Sei scemo???) - giusto cazziatone dell'entità", con tutte le varianti del caso e con l'aggiunta di una tristissima mancanza di coraggio nell'affrontare il destino finale dei coinvolti, alcuni portati via dallo Slender Man, altri uccisi, altri non si sa, benché nel trailer li si vedesse morti. Bah. Altra scelta poco astuta, a mio avviso, è stata quella di affidare la parte della protagonista all'attrice meno dotata del gruppo, sprecando la già citata Annalise Basso e relegando Joey King nel ruolo della pazza, ovvero l'amica che dovrebbe essere una delle più care ma in realtà ti odia senza un motivo plausibile. Ha problemi di famiglia? No. Di salute? No. Di soldi? Boh.Ti invidia, banalmente? Forse sì, ma non viene mai spiegato perché. E' vero, in un film horror magari certi dettagli non sono importanti ma i confronti sempre più piccati tra Wren e Hallie (e l'orribile incoolata della prima ai danni della seconda, soprattutto) sono parte fondante della trama, quindi magari andavano approfonditi. Insomma, poteva essere un trionfo ma Slender Man è purtroppo solo un film ibrido, che non sa bene da che parte andare, dotato di mille ambizioni ma ridottosi ad essere l'ennesimo horror dimenticabile nel giro di un giorno o due.


Di Annalise Basso, che interpreta Katie, ho già parlato QUI mentre Javier Botet, ovvero Slender Man, lo trovate QUA.

Sylvain White è il regista della pellicola. Francese, ha diretto film come Stepping - Dalla strada al palcoscenico, The Losers ed episodi di serie quali CSI: Miami. Anche sceneggiatore e produttore, ha 47 anni.


Joey King interpreta Wren. Americana, ha partecipato a film come Quarantena, Crazy Stupid Love, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, Il grande e potente Oz, L'evocazione - The Conjuring e a serie quali Zack e Cody al Grand Hotel, Medium, CSI - Scena del crimine e Ghost Whisperer; come doppiatrice, ha lavorato in L'era glaciale 3 - L'alba dei dinosauri, American Dad! e Robot Chicken. Anche produttrice, ha 19 anni e due film in uscita.


Se Slender Man vi fosse piaciuto recuperate la saga di The Ring e Sinister, poi buttatevi sulla serie Channel Zero. ENJOY!

domenica 5 agosto 2018

Hostile (2017)



Dopo il pezzo forte della settimana, ovvero Hereditary - Le radici del male, parliamo di un altro film horror uscito giovedì scorso, ovvero Hostile, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Mathieu Turi e prodotto da Xavier Gens.


Trama: in un'America post-apocalittica, la giovane Juliette si ritrova sola, appiedata e con una gamba rotta, alla mercé di orribili creature antropofaghe...



Ad Hostile, sinceramente, non avrei dato un euro, alla faccia del nome altisonante del produttore. Altrettanto sinceramente devo dire che la pellicola fatica ad ingranare per almeno metà della sua durata, tanto sono banali le situazioni riportate sullo schermo, soprattutto in questi tempi in cui il genere post-apocalittico va per la maggiore, su Netlix in primis. In soldoni, Hostile segue la protagonista, Juliette, in due archi narrativi paralleli, uno ambientato in un presente/futuro terribile e l'altro nel passato, con i ricordi di una storia d'amore che vengono richiamati dalla situazione di pericolo in cui viene a trovarsi la ragazza e ad essa si intersecano; Juliette rimane bloccata in mezzo al deserto dopo un incidente e, tra un attacco e l'altro delle misteriose creature antropofaghe che hanno portato a un imbarbarimento della civiltà, ha tutto il tempo di riflettere sul suo amore perduto. Nonostante sia donna, preferisco un bell'horror a un film sentimentale, e il problema di Hostile risiede nel non essere un horror particolarmente originale (interessante l'idea di ambientarlo nel claustrofobico ambiente di un furgone incidentato, circondato da buio e pericolo, ma come ho detto ho già visto di meglio) e nemmeno un interessante film d'amore. La storia tra Juliette e Jack strappa infatti sonore risate da tanto è banale e zeppa di cliché apprezzabili giusto dalle fan dei romanzi Harmony. Riassumendo, bella ragazza problematica incontra affascinante uomo francese che, in quanto tale, è ricco, artista, colto, bello, amante del formaggio e del vino (seriously? Ma basta con questi stereotipi!!!), lui le da tutto il suo cuore ma lei rimane arroccata nella sua natura di bella e maledetta salvo poi pentirsene davanti all'inevitabile tragedia. E se questo è spoiler, signori miei, non avete mai guardato un film da quattro soldi in vita vostra. Beati voi ma abbiate pazienza.


A un certo punto, però, succede qualcosa che lo spettatore scafato potrebbe arrivare a predire (desiderare?) più o meno a metà film e che potrebbe lasciare lo spettatore meno smaliziato a bocca aperta, qualcosa in grado di conciliare i due aspetti della pellicola e renderla così più interessante e particolare; personalmente, una volta capito "il gioco" sono tornata ad interessarmi a quello che avevo davanti e sul poetico finale mi sono persino emozionata, almeno un pochino. Questo è l'unico motivo per cui non mi sento di sconsigliare in toto Hostile, pellicola che tuttavia rischia di scontentare i cultori di un certo cinema horror francese, in quanto quasi priva di scene splatter o momenti di tensione vera, per di più affossata anche da attori abbastanza cani. Brittany Ashworth ha il phisique du role da eroina tosta e determinata tipica del cinema di genere d'oltralpe e risulta assai convincente quando deve strillare o mostrare terrore o dolore (quindi nella parte horror) ma datele un copione, signori miei, e farete fatica a intendere quello che dice, tanto da non capire se volete prenderla a schiaffi per la sua recitazione o per quanto è odioso il suo personaggio nei segmenti drammatici. Grégory Fitoussi, da par suo, si limita ad essere figo e portare a casa il suo sterotipatissimo Jack parlando come l'ispettore Clouseau e l'unica gioia la dà il sempre valido (e sempre irriconoscibile) Javier Botet nei panni del bianchissimo, dinoccolato mostro che perseguita Juliette; il mostrillo in questione risulta assai gradevole, in quanto non realizzato al computer e quindi molto più realistico, altro punto a favore di Hostile. Quindi, concludendo, l'esordio alla regia di Mathieu Turi è un lavoro non proprio riuscito ma dotato comunque di un paio di caratteristiche che lo salvano dall'essere una schifezza invereconda. Magari, se in futuro il ragazzo decidesse di staccarsi dai cliché, potrebbe anche darci delle gioie ma al momento gli darei giusto una sufficienza stiracchiata.


Mathieu Turi è il regista e sceneggiatore della pellicola. Francese, è al suo primo lungometraggio (come aiuto regista ha lavorato in Bastardi senza gloria e Sherlock Holmes - Gioco di ombre), ha 31 anni ed è anche produttore e attore.


Javier Botet interpreta la creatura. Spagnolo, ha partecipato a film come Rec, Rec2, Ballata dell'odio e dell'amore, Rec 3 - La genesi, La madre, Le streghe son tornate, Rec 4: Apocalipsis, Crimson Peak, Revenant - Redivivo, The Conjuring - Il caso Enfield, Non bussate a quella porta, Alien: Covenant, La mummia e It. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 41 anni e cinque film in uscita tra cui Slender Man e It: Capitolo 2.


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