mercoledì 25 gennaio 2023
Babylon (2022)
venerdì 30 settembre 2022
Don't Worry Darling (2022)
martedì 9 agosto 2022
How it Ends (2021)
Questo sarà un post di servizio per mettere in guardia chiunque si facesse venire voglia, come purtroppo è accaduto a me, di guardare How it Ends, scritto e diretto nel 2021 da Zoe Lister-Jones e Daryl Wein e approdato la settimana scorsa su Amazon Prime Video.
Trama: il giorno della fine del mondo Liza, accompagnata dal suo io più giovane, si mette in cammino per risolvere tutte le questioni lasciate in sospeso, prima di concludere la sua esistenza a un party.
Vi è mai capitato che un film vi stesse antipatico a pelle, un po' come succede con le persone? Di solito, con queste ultime mi succede nel momento esatto in cui mi rendo conto che chi ho davanti è un* quaquaraqua, un* che se la crede, un* fint* compagnon* che in realtà ti sta giudicando e pensando "ma guarda te st* sfigat*, sono molto più intelligente e fig* io, diamo corda solo perché mi fa pena". Ecco, le stesse sensazioni le ho provate guardando How it Ends, il film sulla fine del mondo che si crede molto più acuto degli altri film sulla fine del mondo e te lo sbatte in faccia in maniera simpatica, mettendo assieme un mucchio di attori che si sono divertiti un casino a girarlo, tanto che sicuramente buona parte dei dialoghi (come si evince dai "simpaticissimi" titoli di coda) sono stati improvvisati, anche perché trattasi di siparietti pseudo-comici ed arguti che nascondono solo un enorme cumulo di aria fritta derivante dalla necessità di aggiungere qualcosa alla trama semplicissima e derivativa: protagonista (che è anche co-regista e co-sceneggiatrice) deve andare da punto A a punto B, il giorno della fine del mondo, per rimettere a posto tutti gli errori commessi nel corso della vita. Per rendere la cosa più frizzante e alternativa, alla protagonista viene affiancata la sua versione più giovane, una sorta di avatar che dovremmo avere tutti e che solitamente vediamo solo noi, tuttavia con l'arrivo della fine del mondo questo essere immaginario diventa capace di interagire e di essere visto da quasi tutti e molti di quelli che Liza incontra ne hanno una loro versione accanto. In realtà, questo "younger self" serve non tanto per dare un'aura surreale alla vicenda, quanto piuttosto per veicolare il METAFORONE che accompagna il messaggio principale del film, ovvero "tu conti, sei importante, e per vivere bene devi imparare ad amare ed accettare te stesso e a metterti in cima alle priorità". Mi verrebbe da citare Martellone di Boris, guarda.
L'enorme problema di How it Ends, film girato in pandemia tra amici e con un budget risicato probabilmente utilizzato per appiccicare con lo sputo un asteroide in CGI sullo sfondo che ciccia fuori verso il finale, è che il messaggio finale sarà anche condivisibile e giusto, ma il percorso per arrivarci è una martellata sulle gonadi. Gli incontri che fa Liza nel mezzo del cammin verso la festa di fine mondo vanno dal MEH con velleità hipster (la comica e la cantante) all'orrore di persone che, per la maggior parte, sono la versione moderna e tiratissima per i capelli di Dharma (ve lo ricordate Dharma e Greg?), impegnate in dialoghi che vorrebbero essere simpatici e divertenti, o comunque legati al modo di parlare dei 30/40something di oggi (aggiungo una parentesi: la protagonista ha la mia età e sogna un aldilà dove scoparsi Chalamet. Ma mi tiri il belino??? Che orrore, quell'essere implume che potrebbe essere tuo figlio!!!), ma risultano solo imbarazzanti, nemmeno cringe, diciamo le cose in italiano per non abbassarci ai livelli di How it Ends. Ve lo giuro, il film dura un'ora e 22 e sono riuscita ad addormentarmi almeno sette volte prima di arrivare alla fine; testardamente, ogni volta mandavo indietro e dopo nemmeno un quarto d'ora stavo a occhi rivoltati e con la bava alla bocca, in catalessi, pregando che 'sta tortura a base di dialoghi sul nulla e confronti inutili finisse e maledicendo tutti quelli che si lamentano del mumblegore o degli horror in cui "non succede nulla". Sulle guest star presenti nel film non mi pronuncio, spero che abbiano partecipato o per amicizia o perché ben pagati, non certo perché convinti di poter portare una ventata di freschezza e divertimento alla settima arte. Comunque, c'è da dire che Zoe Lister-Jones e Daryl Wein un traguardo lo hanno raggiunto, ovvero quello di girare un film che finirà quasi sicuramente al primo posto della mia Worst 5 di fine anno. Oh, sempre meglio di nulla!
Di Finn Wolfhard (Ezra), Logan Marshall-Green (Nate), Nick Kroll (Gary), Bradley Whitford (Kenny), Olivia Wilde (Alay), Paul Scheer (Dave), Helen Hunt (Lucinda), Colin Hanks (Charlie) e Charlie Day (Lonny) ho già parlato ai rispettivi link.
Zoe Lister-Jones è la co-regista e co-sceneggiatrice della pellicola, inoltre interpreta Liza. Americana, ha diretto altri due film, Band Aid e Il rito delle streghe, ovvero il remake di Giovani streghe. Anche produttrice, ha 40 anni ed è l'ex moglie di Daryl Wein.
Daryl Wein è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Lola Versus. Anche attore e produttore, ha 39 anni ed è l'ex marito di Zoe Lister-Jones.
Le guest star del film sono molteplici, anche fuori dal cast di It's Always Sunny in Philadelphia, di cui fanno parte Glenn Howerton (John) e Mary Elizabeth Ellis (Krista): Cailee Spaeny, che interpreta la giovane Liza, era nel cast de Il rito delle streghe, sempre diretto da Zoe Lister-Jones, Whitney Cummings (Mandy) è una famosa comica americana, vista di recente in Studio 666 mentre Fred Armisen è un altro comico comparso anche in The Anchorman. Ciò detto, se cercate un bel film a tema fine del mondo, recuperate These Final Hours e Don't Look Up. ENJOY!
martedì 23 novembre 2021
Ghostbusters: Legacy (2021)
venerdì 24 gennaio 2020
Richard Jewell (2019)
Trama: Richard Jewell, agente di sicurezza, trova una bomba durante una manifestazione al Centennial Park di Atlanta in occasione delle Olimpiadi ed evita così un conteggio delle vittime ancora più grave. L'FBI, tuttavia, lo accusa di essere l'attentatore...
Tutto il mondo è paese, e il paese, consentitemi di dirlo con volgarità, sta andando a puttane, lo ha sempre fatto. E' una cosa che il cinema ci sta mettendo sotto il naso da tanti anni, aprendoci gli occhi su come le istituzioni non sono poi così adamantine come dovrebbero essere e su come i media troppo spregiudicati facciano l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare il buon giornalismo, ovvero informare, limitandosi al becero sensazionalismo quando va bene (sto pensando agli exploit del nostro adorato Capitone verde, che adesso s'è messo a molestare anche la gente al citofono) e a mettere in croce le persone quando va male. A Richard Jewell, guardia di sicurezza con qualche problemino a livello fisico e mentale ma convinto al 100% del funzionamento delle istituzioni, della polizia e del governo, è andata malissimo nel 1996, anno in cui ha scoperto che a farsi i fatti propri avrebbe potuto campare cent'anni, e pazienza se a rimetterci la vita sarebbero state 300 persone invece di un centinaio. Richard Jewell, ligio al dovere ed incredibilmente entusiasta, quell'anno ha scoperto una bomba al Centennial Park di Atlanta e ha giustamente dato l'allarme (cosa che ha ridotto sensibilmente il numero di vittime, che purtroppo ci sono state), per poi venire accusato dall'FBI e dai giornali americani di essere l'attentatore e vedersi così rovinata una vita già non facilissima. Il vecchio Clint, qui "solo" in veste di regista, non critica assolutamente la legittimità di un dubbio, ché Richard Jewell non è l'uomo più gradevole del mondo e nemmeno il più rassicurante: un po' megalomane, ligio al dovere e alla giustizia al punto da essere stato condannato per abuso di autorità, fanatico delle armi, ciccione, single, ancora in casa con mamma, dotato di atteggiamenti ambigui e già sotto consiglio di una bella valutazione psichiatrica, non è così scandaloso che l'FBI abbia potuto tracciare un profilo negativo a suo discapito. Quello che è scandaloso, invece, è che i media ci si siano buttati a pesce, cancellando con un colpo di spugna tutta la privacy e la dignità di quest'uomo e di sua madre, trasformandolo in tempo zero da "eroe" (altra bella esagerazione) a "mostro" da sbattere in prima pagina.
Non sono la più grande estimatrice di Clint Eastwood e non mi ritengo un'esperta né della sua poetica, né della sua cinematografia, diciamo che prendo ogni suo film come fosse un'opera a sé stante, per questo non mi addentro in confronti con altri film; tuttavia, la frustrazione provata guardando Richard Jewell è assai simile a quella che ho provato con Mystic River, un senso di rabbia impotente e di voglia di piangere causati da una sensazione di claustrofobia ed incredulità crescenti. Mi sono messa nei panni non tanto di Richard Jewell (come ho detto, empatizzare con il protagonista non è facilissimo, ci si ritrova spesso a guardarlo perplessi e sconsolati come la "voce della ragione" Sam Rockwell, con le mani che prudono dalla voglia di prenderlo a schiaffi) quanto della povera Bobi, la mamma magistralmente interpretata da Kathy Bates. Che cosa significa dover sopportare tutta quella pressione mediatica, venire additata come mamma di un mostro e non poter nemmeno andare in bagno senza timore di essere ascoltati dall'FBI, il tutto mantenendo intatta la fiducia verso un figlio che tutti vorrebbero vedere morto? Onestamente, non riesco nemmeno a pensarci. In questo periodo, lo ammetto, sono psicologicamente fragile ma il pianto di Kathy Bates mi ha spezzato il cuore e mi sono vergognata, perché con tutta probabilità se all'epoca avessi avuto interesse nella vicenda mi sarei schierata a favore di un'opinione pubblica impietosa, perché è troppo facile giudicare male chi è debole e disadattato come Richard Jewell. E' troppo facile assecondare il carisma di una giornalista spregiudicata, abbassare le orecchie davanti alla strafottenza degli agenti dell'FBI, farsi intortare, anche in senso buono, dalla parlantina di un avvocato che per fortuna ha saputo guardare oltre e che è quanto di più americano si poteva inserire all'interno di una sceneggiatura (dai, lo si perdona); è facile ma anche terribile perché, alla fine, anche se vorremmo essere dei granitici Bruce Willis, siamo tutti un po' Paul Walter Hauser e quello che è successo a Richard Jewell potrebbe succedere anche a noi. E chi sarà lì per raccontarlo con questo rigore senza sbavature, riuscendo ad emozionare senza suonare retorico, quando Clint Eastwood non ci sarà più?
Del regista Clint Eastwood ho già parlato QUI. Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant), Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Jon Hamm (Tom Shaw) e Kathy Bates (Bobi Jewell) li trovate invece ai rispettivi link.
Jonah Hill avrebbe dovuto interpretare Richard Jewell ma alla fine è rimasto solo come produttore del film e lo stesso vale per Leonardo Di Caprio, a cui si pensava per il ruolo dell'avvocato. Se Richard Jewell vi fosse piaciuto recuperate il già citato Mystic River. ENJOY!
domenica 7 giugno 2015
The Lazarus Effect (2015)
Trama: un gruppo di scienziati sperimenta un siero che, nelle loro intenzioni, dovrebbe tenere vive più a lungo le funzioni cerebrali dei pazienti durante le operazioni particolarmente difficili. Il siero si rivela invece capace di resuscitare i morti ma quando toccherà ad una di loro tornare dall'aldilà scopriranno che questo "dono" ha un prezzo terribile...
Dopo tutte le critiche negative lette su The Lazarus Effect mi sono stupita quando, arrivata più o meno a metà film, mi sono resa conto di quanto la storia (tolte le inevitabili banalità) scorresse abbastanza e di quanto gli attori fossero, in effetti, più che dignitosi. Tolto Duplass e la sua faccia da caSSo (perdonatemi il francese) e dimenticata la limitante mini-comparsata di Ray Wise c'è davvero di che leccarsi le dita: Olivia Wilde (non a caso Presidentessa ad honorem dell'Antro) accetta di imbruttirsi, per quanto possibile, e offre un'interpretazione inquietante e sensuale al tempo stesso e tutti i giovinetti che le sono stati affiancati, in primis Sarah Bolger e il sempre gradito Evan Peters, riescono a rendere i loro personaggi abbastanza tridimensionali, senza limitarsi alle solite interpretazioni da "carne da macello" tipiche del genere. La trama ricorda poi un paio di "capisaldi" (almeno per me) anni '80/'90, a partire dal quasi dimenticato Link, che passava spesso in TV quando ero ragazzina, per arrivare al più conosciuto Linea mortale; l'idea di un gruppo di scienziati che gioca a sovvertire le regole della natura, ovviamente sempre cominciando con le migliori intenzioni, si porta appresso un fascino risalente già ai tempi dell'800 e anche il mistero che circonda le esperienze post-mortem ha sempre il suo perché. Se The Lazarus Effect si fosse limitato a bullarsi tronfio dei suoi attori e, soprattutto, a mescolare queste due componenti, cercando di concentrare la storia e, conseguentemente, l'orrore, sugli strani effetti del siero protagonista sul cervello dei resuscitati, non dico che ci saremmo trovati davanti un capolavoro ma perlomeno un film dignitoso sì. E invece gli sceneggiatori Luke Dawson (responsabile di quella mezza schifezza di Shutter - Ombre dal passato) e Jeremy Slater (al suo esordio quindi perdonabile ma se mi rovina Death Note lo aGGido) hanno pensato bene di sbragare.
Volevate mica che The Lazarus Effect si limitasse a propinare ai mocciosetti aMMeregani un noiosissimo e banale complesso della divinità oppure qualcosa che affondasse le basi esclusivamente su dei concetti scientifici? E il mostrone finale? E le possessioni demoniache che ci piacciono tanto? E il finale aperto che altrimenti l'anno prossimo non possiamo andare al cinema a vedere The Lazarus Effect 2 - Lazaruses Unleashed (titolo puramente inventato ma fattibilissimo)? Tranquilli piccoli consumatori americani, ché la Blumhouse pensa sempre a voi! Dopo lo sdegno dei cattolici benpensanti e un incidente che a definirlo idiota gli si fa un complimento, comincia a sentirsi puzza di zolfo e quello che cominciava come un horror "scientifico" diventa un horror sovrannaturale con tanto di esseri che rimangono immobili a fissare le vittime per ore (vi ricorda qualcosa Paranormal Activity?), effettacci al computer, sensi di colpa che diventano il veicolo per qualche demone sconosciuto e, ovviamente, un assurdo quanto sbrigativo finale che lascia lo spettatore perplesso a chiedersi "perché". La cosa divertente, infatti, è che mentre di solito questo genere di film propina spiegoni lunghi e complessi, The Lazarus Effect preferisce fare propria la lezione orientale del "taciuto" senza ovviamente esserne in grado e il risultato è che il cambio di registro fa soltanto l'effetto "Casa delle Libertà", ovvero "facciamo un po' quel caSSo che ci pare". Peccato perché, come ho detto all'inizio, The Lazarus Effect poteva essere molto gradevole e invece è stata solo l'ennesima occasione sprecata all'interno di un genere che ne è già zeppo. Guardatelo solo se non avete nulla di meglio da fare o se siete fan di Oliviona perché l'occhiolino rivolto al buon Evan Peters vi farà impazzire.
Di Mark Duplass (Frank), Olivia Wilde (Zoe), Evan Peters (Clay) e Ray Wise (Mr. Wallace) ho già parlato ai rispettivi link.
David Gelb è il regista della pellicola. Americano, al suo primo lungometraggio, è anche produttore, attore, sceneggiatore e animatore. Ha 32 anni e un film in uscita.
Sarah Bolger interpreta Eva. Irlandese, la ricordo innanzitutto per essere stata la Principessa Aurora nella serie C'era una volta, inoltre ha partecipato a film come Locke & Key e ad altre serie come I Tudors; come doppiatrice, ha lavorato nella versione inglese de La collina dei papaveri. Ha 24 anni e tre film in uscita.
Se The Lazarus Effect vi fosse piaciuto recuperate senza indugio i ben migliori Linea mortale, L'uomo senza ombra e magari anche Link o Monkey Shines - Esperimento nel terrore. ENJOY!
venerdì 21 marzo 2014
Lei (2013)
Trama: Theodore è un uomo solitario, provato dalla fine di un lungo matrimonio. Un giorno, per curiosità, decide di acquistare un software in grado di "evolversi" in base alle necessità del padrone ed è così che, a poco a poco, intesse una relazione con questo programma, autodenominatosi Samantha...
Quanta tristezza, quanta bellezza. Durante la visione di Lei sono stata colta da una malinconia talmente profonda che ho fatto fatica ad arrivare alla fine e non perché il film sia brutto, anzi. Solo che, verso la fine, alla malinconia si è aggiunta anche un po' d'inquietudine. La storia di Theodore, ambientata in un futuro prossimo dove le lettere d'amore vengono dettate da appositi impiegati ad un computer che poi le stamperà in bella calligrafia, sembrerebbe quasi la naturale evoluzione di questa società dove le persone sono sempre più isolate e chiuse all'interno di una rete globale in grado di alimentare disagio e solitudine. Il protagonista si trova davanti al suo primo, importante fallimento come essere umano (il matrimonio è andato a rotoli) e non ha più il coraggio di rapportarsi agli altri perché, che scoperta!, l'amore è un sentimento reciproco dove è bello ricevere ma bisogna anche dare... e lui non riesce più a darsi completamente, o forse non c'è mai riuscito, perso nella ricerca egoista di un ideale inesistente e ingiusto. L'unica soluzione è vivere una fantasia, per quanto assurda, con qualcuno che non potrà mai essere alla pari di un essere umano e che tuttavia, apparentemente, è la persona perfetta: Lei. Samantha. Il software che, attraverso l’interazione con Theodore, comincia a comprendere il mondo e sé stessa, ad evolversi e superarsi, a trascendere in modo imprevedibile. La mia inquietudine non deriva tanto dalla svolta vagamente distopica che il film prende verso il finale, quanto dalla consapevolezza che l’essere umano Theodore è, se così si può dire, il “personaggio negativo” del film, un uomo perso nel suo ideale di artistica perfezione che si ammanta di un’aura di sfiga e tenerezza che non lo rende però meno ottuso, debole o ridicolo (si veda la sequenza dell'appuntamento al buio con Olivia Wilde, scioccante in ogni suo aspetto!). E’ più facile empatizzare con Samantha che, poverina, sarà anche infallibile in quanto computer e a tratti istericamente provata dal suo desiderio di vivere accanto a Theodore e convincerlo della possibilità di una relazione, tuttavia palesa sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, gelosia, tristezza e curiosità genuinamente e meravigliosamente umani.
Jonze racconta così la favola malinconica di un amore 2.0, di una ricerca disperata della felicità impossibile e anche di amicizia; lo fa con tocco delicato e poetico, regalando allo spettatore momenti divertenti, assurdi e commoventi che ci spingono a riflettere su noi stessi e sul nostro modo di rapportarci agli altri, magari identificandoci di volta in volta con Theodore o con Samantha, anche se la persona più “vera” (nel senso di plausibile) del film è la tenera e frustrata Amy, interpretata da una Amy Adams bravissima e stranamente dimessa. Le sfumature del passato si mescolano ad un presente fatto di note malinconiche, colori tenui e luci soffuse e a squarci di un incerto futuro perso negli sterminati neon di una città cosmopolita, che può offrire agli sperduti protagonisti la speranza e l’amore, come anche la disperazione e il perpetuarsi della solitudine. Joaquin Phoenix regge quasi da solo il film con la sua delicata e convincente interpretazione di un uomo qualunque, senza particolari pregi se non quello di saper mettere su carta i sentimenti altrui (e col fatale difetto di non riuscire a gestire i propri), ma la particolarità del film è la briosa, sensuale e tenera voce di Scarlett Johansson, in grado di rendere viva e reale Samantha e di emozionare lo spettatore anche se priva di un corpo. La cosa incredibile è che Jonze non usa mezzucci per dotarla di una presenza fisica, come un ologramma o un'immagine, ma gli basta semplicemente inquadrare l'inseparabile telefonino che Theodore porta sempre con sé e col quale ha una relazione simbiotica fin dalle prime immagini del film, prefigurazione veritiera di tutto quello che accadrà in seguito. Her è una pellicola lieve e particolare, che bisogna seguire con un po' di attenzione e una certa predisposizione alla malinconia; bisogna stare al gioco del regista e lasciarsi trasportare dai suoni e dalle parole, senza lasciarsi fuorviare dallo stile patinato delle immagini o dalla tematica fantascientifica perché questa, più che la storia di un amore impossibile tra un uomo e una macchina, è una storia sull'impossibilità di amare ed esprimere al meglio quello che proviamo, da vedere e rivedere.
Del regista e sceneggiatore Spike Jonze (che presta anche la voce al bimbetto alieno del videogame) ho già parlato qui. Di Joaquin Phoenix (Theodore), Chris Pratt (Paul), Rooney Mara (Catherine), Kristen Wiig (è la voce di SexyKitten), Scarlett Johansson (la voce di Samantha), Amy Adams (Amy) e Brian Cox (la voce di Alan Watts) ho già parlato ai rispettivi link.
Olivia Wilde (vero nome Olivia Jane Cockburn) interpreta la ragazza con cui Theodore ha l'appuntamento al buio. Americana, la ricordo per film come Turistas, Tron: Legacy, Cowboys & Aliens, In Time, The Words e Rush; inoltre, ha partecipato a serie come The O.C. e Dr House e, come doppiatrice, ha partecipato ad episodi di Robot Chicken e American Dad!. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 30 anni e cinque film in uscita.
Portia Doubleday, che nel film interpreta il "doppio" umano di Samantha, Isabella, nell'imbarazzante Lo sguardo di Satana - Carrie era mora e rispondeva al nome di Chris Hargensen. Originariamente, a dare la voce a Samantha avrebbe dovuto essere l'attrice Samantha Morton, che è stata sul set ogni giorno e aveva già registrato tutti i dialoghi. In fase di montaggio, però, Jonze ha capito che qualcosa non funzionava e, col benestare dell'attrice, ha deciso di ingaggiare la Johansson e farle ri-recitare da capo tutti i dialoghi. Tra l'altro, anche Chris Cooper ha girato alcune scene ma il suo personaggio è stato tagliato completamente fuori dalla pellicola. Un'altra attrice che ha dovuto rinunciare a partecipare al film, sebbene semplicemente a causa di impegni pregressi, è stata Carey Mulligan, rimpiazzata da Rooney Mara. E con questo concludo.. ENJOY!