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martedì 30 agosto 2022

Bullet Train (2022)

Conquistata da un trailer che prometteva Giappone e tamarrate come se piovessero, domenica sono corsa a vedere Bullet Train, diretto dal regista David Leitch e tratto dal romanzo I sette killer dello Shinkansen di Kotaro Isaka.


Trama: al ladro/killer Ladybug viene commissionato il furto di una valigetta all'interno di uno Shinkansen diretto a Kyoto. Il lavoro, all'apparenza semplicissimo, si complicherà all'inverosimile...



Giappone e tamarreide mi aspettavo e tanto ho avuto. Bullet Train è un rinfrescante mix di vari generi, perfetto come blockbuster estivo, che segna una sorta di ritorno al passato popolato dai vari Tarantino, Guy Ritchie e, soprattutto, dei mille emuli che tentavano senza successo di eguagliarli, in quanto propone allo spettatore un film a base di killer ciarlieri, citazioni pop e splatterate irriverenti messe nelle mani di assassini stilosissimi e sopra le righe. Non ho letto il romanzo di Kotaro Isaka (direi mai tradotto in italiano e disponibile in lingua inglese a prezzi ancora troppo alti per un e-book - lo so, sono ligure, abbiate pazienza) e, considerato che Bullet Train in origine doveva essere un thriller serissimo diretto da Antoine Fuqua (rimasto in veste di produttore), dubito che il film di Leitch gli sia granché fedele a livello di atmosfere, ma di sicuro la trama è abbastanza machiavellica da essere stata concepita da un giapponese. Tutto parte dal lavoro "facile" di Ladybug, a cui viene chiesto di rubare una valigetta di proprietà di altri due killer, Tangerine e Lemon, il cui lavoro consiste invece nel consegnare detta valigetta e un ragazzo al padre di quest'ultimo, un terribile boss della mala; purtroppo, all'interno dello spazio claustrofobico costituito dal treno veloce che da il titolo al film, paiono essersi radunati altri killer, ognuno con i loro obiettivi, il loro passato e le loro colpe, e i destini di tutti questi particolari passeggeri arriveranno ad intrecciarsi in un clamoroso e tesissimo gioco dove non necessariamente servono forza, furbizia e cattiveria per vincere, quanto piuttosto fortuna. Fortuna (o l'atavica mancanza della stessa) e destino sono il fil rouge che lega tutti i personaggi e sono le forze che muovono una trama capace di regalare non poche sorprese allo spettatore, a cui si chiede di prestare molta attenzione e non farsi distrarre dalla messinscena accattivante, in quanto tra dialoghi fiume, flashback e soggettive particolari, perdersi è un attimo. 


Dal canto suo, infatti, David Leitch parrebbe perseverare nel suo progressivo allontanamento da prodotti tamarri ma "seri" come John Wick e Atomica Bionda per continuare sulla scia del sovraccarico cazzaro di Deadpool (non a caso in Bullet Train ci sono tantissimi attori che hanno avuto a che fare, chi più e chi meno, con Deadpool 2). Tra coloratissime scritte bilingue in sovraimpressione che introducono i vari killer, morbidi pupazzoni, dialoghi con gabinetti automatici, utilizzo di armi improprie, flashback rapidissimi ed esilaranti, citazioni pop e linguaggio "colorito", non è difficile immaginarsi Wade Wilson aggirarsi nei corridoi dello shinkansen, pronto a sgozzare i nemici tra una battuta e l'altra, e si vede che il regista è perennemente in cerca di quel miracoloso equilibrio tra stunt fenomenale e slapstick comedy. Su grande schermo e con l'occhio "vergine" di una prima visione, il film non presenta sequenze sciatte o mal realizzate, soprattutto per quanto riguarda i momenti di confronto corpo a corpo, e il finale in particolare, salvo quale esagerazione a livello di CGI, per quanto necessaria, lascia letteralmente a bocca aperta per la sfacciataggine con cui ignora qualsiasi legge della fisica. Personalmente, in quanto cultrice di killer "weird", ho apprezzato soprattutto il bestiario di assassini presenti nel film e la caratterizzazione dei vari attori. Dopo anni di assenza in ruoli da protagonista (parliamone, nell'ultimo Kingsman spuntava giusto 5 minuti), Aaron Taylor-Johnson torna a bucare lo schermo con un personaggio affascinante e carismatico anche nella sua puntuale dabbenaggine, e l'unica cosa che mi dispiace è che ciò lo ha portato a venire nuovamente inghiottito in quel carrozzone Marvel/Sony che era riuscito ad abbandonare, stavolta come Kraven il cacciatore, nemesi di Spider-Man; il suo Tangerine è diventato in tempo zero il mio personaggio preferito all'interno di un cast in parte e carichissimo, dove assieme a un Brad Pitt mattatore e alcune ghiotte guest star spiccano, in personalissimo ordine di gradimento, Hiroyuki Sanada, Brian Tyree Henry e Michael Shannon. Onestamente, posso dire di essermi divertita tantissimo con questo Bullet Train e, se dovessi proprio trovargli un difetto, è l'assenza di un crossover con John Wick. Ma invece di spendere soldi in MCU e DC Cinematic Universe, perché non create un JohnWickVerse? Pensateci!! 


Del regista David Leitch, che interpreta anche Jeff Zufelt, ho già parlato QUI. Brad Pitt (Ladybug), Joey King (Prince), Aaron Taylor-Johnson (Tangerine), Brian Tyree Henry (Lemon), Hiroyuki Sanada (il vecchio), Michael Shannon (Morte Bianca), Sandra Bullock (Maria), Logan Lerman (il figlio) e Zazie Beetz (Hornet) li trovate invece ai rispettivi link.


Un paio di curiosità: Ryan Reynolds compare, non accreditato, nel ruolo di Carver, Channing Tatum nei panni del passeggero fissato col sesso mentre la bionda "hostess" del treno non è altri che Karen Fukuhara, l'adorabile Kimiko della serie The Boys, e il controllore Masi Oka, ovvero Hiro della serie Heroes. Sandra Bullock ha rimpiazzato Lady Gaga nel ruolo di Maria. Se Bullet Train vi fosse piaciuto recuperate tutti i film della saga John Wick, Atomica Bionda, Free Fire e Pulp Fiction. ENJOY!  

venerdì 26 agosto 2022

Prey (2022)

Piano piano sto recuperando tutto ciò che di interessante e "horror" è uscito in streaming ad Agosto e oggi tocca a Prey, diretto e co-sceneggiato dal regista Dan Trachtenberg, disponibile su Disney +.


Trama: All'inizio del diciottesimo secolo, in un territorio popolato da indiani Comanche, atterra un Predator e la giovane Naru, desiderosa di diventare una vera cacciatrice, si ritrova a dovere combattere una strenua battaglia per la sopravvivenza...


Il giorno stesso dell'uscita, di Prey avevano già parlato tutti, chi inneggiando al capolavoro e chi alla becera schifezza. Io nel frattempo ero a godermi il fresco in montagna, quindi mi sono portata a casa il clima positivo nella capoccetta e mi sono presa il tempo di guardare Prey con la mia solita velocità da bradipo, ritrovandomi essenzialmente nel mezzo. Se cercate confronti con gli episodi precedenti della saga di Predator guardate pure altrove, ché a casa Bolla il film di John McTiernan è un cult ma non perché è stato visto e rivisto, au contraire: da piccola non avevo il coraggio di guardarlo e, quando mi sono fatta crescere un paio di palle, l'ho visto giusto un paio di volte, apprezzandolo come merita ma senza rimanere col desiderio di ammazzarmi di ulteriori visioni, quanto agli altri capitoli della saga ho concesso loro solo uno sguardo. Lo stesso capiterà di sicuro a Prey, prequel della saga ambientato nelle praterie popolate da Comanche ed invasori francesi, dove la protagonista Naru ambisce a diventare una cacciatrice nonostante il suo retaggio da guaritrice e si ritrova a mordere un osso ben più grosso del previsto quando un Predator atterra nelle foreste. Il titolo, abbastanza rivelatorio, sposta il fulcro della trama dal mistero dell'alieno, di cui ormai noi spettatori sappiamo praticamente tutto, al racconto di formazione attraverso cui Naru si libera dell'etichetta di "preda", di femmina debole alla quale non dev'essere permesso toccare le armi, e ironicamente sottolinea come anche chi si ritiene invincibile e potente (animali feroci o uomini, comanche o francesi, persino Predator) deve sempre fare i conti col rischio di diventare a sua volta la preda di qualcuno, soprattutto quando si tende a sottovalutare l'intelligenza e la capacità di adattamento a favore della mera forza bruta e dell'istinto.  


Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, sia per quanto riguarda la svolta "femminista" della trama, sia per quanto riguarda l'efferatezza di un Predator che prima studia ed affronta gli animali feroci, poi si rende conto che nessuno è feroce e arrogante come l'uomo, il che regala allo spettatore delle belle mattanze tramite armi aliene improprie ma assai efficaci. Prey scorre bene dall'inizio alla fine, si lascia guardare volentieri e non manca di tenere desta l'attenzione dello spettatore non solo tramite la natura sempre infida e mortale di Predator, ma anche grazie all'indubbio carisma della protagonista, Amber Midthunder; discendente della tribù Assiniboine e già esperta in ruoli da dura guerriera (in Legion era strepitosa e non smetterò mai di consigliarvi di guardare una delle serie di supereroi più originale e interessante di sempre), la fanciulla è praticamente perfetta per il ruolo di Naru, soprattutto grazie allo sguardo testardo e intelligente che caratterizza il personaggio. Gli altri membri del cast non sono indimenticabili allo stesso modo, salvo il delizioso cane Sarii che ruba spesso la scena a chi ha la (s)fortuna di dividerla con lui, e in generale la produzione si assesta su quel livello medio-alto tipico delle produzioni pensate per lo streaming "serio" che non riescono mai a diventare qualcosa di più di una film piacevole con cui passare una serata, neppure a livello di regia o fotografia, nonostante le coinvolgenti scene d'azione mi siano piaciute parecchio. Poiché un easter egg e i titoli di coda suggeriscono che potrebbero esserci ulteriori capitoli della saga, spero solo che il livello continui ad essere questo e non diminuisca e, soprattutto, che non si debba cominciare a studiare per godere di un film su Predator, come succede ogni volta che esce un cinecomic targato Marvel!


Del regista e co-sceneggiatore Dan Trachtenberg ho già parlato QUI.

Amber Midthunder interpreta Naru. Adorabile Kerry della serie Legion, ha partecipato a film come Hell or High Water e altre serie come. Americana, anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 26 anni. 


Ovviamente Prey è un prequel che può essere visto da solo ma vi consiglierei il recupero almeno di Predator e Predator 2, poi se l'argomento vi attira aggiungete Predators e The Predator. ENJOY!


martedì 23 agosto 2022

Thor: Love and Thunder (2022)

Aiuto. E' passato più di una settimana da quando ho visto Thor: Love and Thunder, diretto e co-sceneggiato dal regista Taika Waititi. Spero di ricordarmi ancora qualcosa.


Trama: Thor viene richiamato dal suo esilio nello spazio nel momento in cui Gorr, il distruttore di dei, attacca il nuovo regno di Asgard. Lì, Thor si trova di fronte la sua ex fidanzata Jane Foster, scelta dal martello Mjolnir per diventare la Potente Thor.



Se non altro questa volta ero preparata. Dopo i primi due serissimi (e ammorbantissimi, almeno per quanto riguarda The Dark World) Thor, la visione di quell'invereconda trashata di Ragnarok mi aveva lasciata basita, mentre stavolta Love and Thunder non mi ha sconvolta, anche se Waititi ha messo di sicuro il turbo alle meenchiate portate sullo schermo, a maggior ragione perché, da brava Dory dei poveri, prima di andare al cinema ho riguardato la trashata di cui sopra. Devo inoltre ammettere di averla trovata meno orribile di quanto (non) ricordassi e riconosco che l'aver stravolto completamente la natura seriosa di un personaggio anacronistico come una divinità vichinga, trasformandolo da babbalone malinconico a supereroe babbeo, è senza dubbio vincente; certo, continuano a sanguinarmi le orecchie davanti a "zio del tuono", ma non è colpa di Waititi, quanto di un adattamento italiano orribilmente cciovane. Ma parliamo di Love and Thunder. La vita di un Thor sempre più scemo viene raccontata con toni epici attraverso la voce dello stesso regista (il doppiatore originale del personaggio che funge da narratore, Korg), il quale ribadisce così la paternità di questa versione folle del Dio del Tuono, al punto da permettersi di tornare sui suoi passi e colmare le mancanze del precedente capitolo nel modo che più gli è congeniale, trasformando così un film di supereroi in uno strampalato film d'amore dove i protagonisti sono Thor, la sua ex fiamma Jane Foster, il martello Mjolnir e l'ascia Stormbreaker. L'Amore è il fil rouge di ogni vicenda della pellicola e ogni personaggio chiave ha il suo percorso di caduta e redenzione ad esso legato: il villain Gorr diventa un mostro per amore della figlia defunta, Thor rifiuta l'amore per timore di soffrire e per questo è solo, triste ed imperfetto, Jane (afflitta da un tumore incurabile) diventa la Potente Thor per amore di un martello, un'ascia perde il controllo per gelosia, e così via, fino ad arrivare a chi di amore ne è privo, ovvero le divinità, che invece dovrebbero provarne in abbondanza verso chi crede in loro. 


Come ho scritto su, il film si dimentica facilmente, anche perché procede per accumulo di assurdità visive e scene spettacolari che pure si conformano, comunque, allo standard Marvel nonostante fingano originalità e weirdness, dal momento in cui tutto fa parte della Fase 4 del MCU e ogni cosa è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo, ovvero il completamento della "Saga del Multiverso" di cui vedremo la fine nel 2025 (aiuto!!!!). L'unica cosa che veramente spicca in Thor: Love and Thunder, ancora più delle capre urlanti, della colonna sonora cafona e delle chiappe nude di un Chris Hemsworth al quale vanno tutti i miei complimenti per la fisicata, è Christian Bale, un uomo che probabilmente riuscirebbe a rendere interessante anche l'interpretazione di un comodino. Il suo Gorr è un mostro uscito dritto da un film dell'orrore, il babau che ti aspetti di vedere sotto il letto, una creatura in grado di prendere a coppini ogni versione di Pennywise riducendola a intrattenimento per bambini, e non è merito solo del trucco; probabilmente, Bale si è pensato alla perfezione il personaggio di Gorr dandogli tutta la tridimensionalità di cui era privo il post-it su cui Waititi avrà vergato giusto due appunti, infondendo, in quello che dalle foto di scena sembrava uno Zio Fester magrolino e nulla più, tutta la dignità, la disperazione, l'odio e il disprezzo di un uomo tradito dalla fede (forse scrivo questo perché sono Team Gorr, al quale viene davvero difficile dare torto, ma sfido chiunque abbia visto il film a dire di non avere tifato per lui per più di metà pellicola). Purtroppo, la complessità incarnata da Bale fa a pugni con troppa faciloneria da parte di Waititi, che la fa spesso fuori dal vaso: il pre-finale non ha senso, con Thor che conferisce la "dignità" nemmeno fosse la Santità di Padre Maronno, al finale che spiega il significato del titolo volevo alzarmi e andarmene, ché non ci sono già abbastanza supereroi che cicciano fuori al ritmo di venti al mese nel MCU, ma la cosa che mi ha infastidita di più è il modo in cui è stato gestito il tumore di Jane, maneggiato con la delicatezza di un elefante e l'umorismo inopportuno di un Boldi qualsiasi. Arrivati a questo punto, siccome Thor "thornerà", io spero davvero che Waititi trovi un equilibrio tra commedia e tragedia, altrimenti il quinto episodio della saga (se mai ci sarà) sarà la zappa che il regista rischierà di darsi sui piedi, mettendo a rischio la sua carriera cinematografica per portare avanti la sua fama di "trollone". Incrocio le dita perché ciò non accada, sarebbe davvero un peccato dopo tutte le belle opere che ci ha regalato. 


Del regista e co-sceneggiatore Taika Waititi, che doppia anche Korg e il dio Kronano, ho già parlato QUI. Chris Hemsworth (Thor), Natalie Portman (Jane Foster/La Potente Thor), Christian Bale (Gorr), Tessa Thompson (Re Valchiria), Russell Crowe (Zeus), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Sean Gunn (Kraglin/On-Set Rocket), Vin Diesel (voce di Groot), Bradley Cooper (voce di Rocket), Matt Damon (attore che interpreta Loki), Idris Elba (Heimdall), Melissa McCarthy (attrice che interpreta Hela) e Sam Neill (attore che interpreta Odino) li trovate invece ai rispettivi link.  

Jaimie Alexander torna nei panni di Sif dopo l'assenza in Thor: Ragnarok e lo stesso vale per Kat Dennings, la cui Darcy Lewis era tuttavia una presenza preponderante nella serie Wanda/Vision. Torna anche Luke Hemsworth, uno dei fratelli di Chris, nei panni della versione teatrale di Thor, e non è l'unico membro della famiglia ad essere presente nel cast: i figli di Chris Hemsworth, Sasha e Tristan, interpretano Thor da bambino, India Rose è la figlia di Gorr (ribattezzata Love sul finale), e la moglie di Chris, Elsa Pataky, è la donna lupo. Per godere appieno di Thor: Love and Thunder, infine, recuperate  ThorThor: The Dark WorldGuardiani della galassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Thor: Ragnarok, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame e le serie Wanda Vision e Loki. ENJOY!

venerdì 19 agosto 2022

Nope (2022)

Finalmente i cinema hanno riaperto anche dalle mie parti e, ovviamente, non potevo esimermi dal correre a vedere uno dei film che aspettavo con più impazienza, ovvero Nope, scritto e diretto dal regista Jordan Peele. NO SPOILER, tranquilli.


Trama: dopo la morte del padre, O.J. e la sorella Emerald cercano di salvare la loro attività di addestratori di cavalli dalla bancarotta, proprio quando qualcosa di orribile comincia ad accadere all'interno della loro proprietà...


Mi levo subito il dente, così la facciamo finita. Credo di essere una delle poche persone ad avere avuto qualche problemino con Nope e ammetto di non averlo apprezzato tanto quanto i lavori precedenti del regista. Il motivo è essenzialmente legato a una questione di pancia: l'argomento di Nope, per quanto sia tra le cose che più mi terrorizzano cinematograficamente parlando, è anche uno di quelli che mi infastidisce maggiormente e che mi dà sempre una sensazione di "cheap", di cretinata buttata lì. Di conseguenza, sono rimasta molto meno coinvolta da Nope rispetto a Noi o Get Out, ma ciò non significa assolutamente che l'ultima pellicola di Peele sia un brutto film, anzi, probabilmente è quella più stratificata ed ambiziosa e, di sicuro, non è una cretinata. Senza scendere troppo nello specifico, Nope getta uno sguardo piuttosto feroce su un'altra delle nostre piaghe sociali, la necessità (più che la brama) di essere famosi e speciali per contare davvero qualcosa, quel "picture or it didn't happen" che, più in piccolo, governa anche la nostra quotidianità, tra Facebook, Instagram, Youtube, ecc. Nope però non è una critica ai social, nulla di così banale, ma proprio alla pressione sociale che ormai ha cambiato definitivamente il nostro modo di approcciarci alle cose, trasformando tutto in "spettacolo" usa e getta; alla sincera passione si affianca troppo spesso il desiderio non solo di ricavare del denaro ma, soprattutto, di spiccare, di essere speciali ed unici, anche a scapito della ragionevolezza e del piacere di dedicarsi a qualcosa. I protagonisti di Nope, è vero, sono alla canna del gas e la loro attività (retaggio comunque di un tempo passato in cui i risultati si ottenevano con calma e ci si fidava dei professionisti, senza pensare di saperne più di loro) rischia di mandarli in bancarotta, ma quando l'orrore si abbatte sulle loro vite né O.J., che parrebbe più ragionevole, né l'inaffidabile Emerald pensano di lasciare i loro terreni, e non tanto per una questione di orgoglio o nostalgia, quanto proprio per il triste miraggio del denaro e della fama. Lo stesso vale per Jupe, ex bambino prodigio, protagonista di una side story che, lì per lì, parrebbe non entrarci nulla con la trama principale ma che, invece, nasconde proprio la chiave per interpretare l'intera pellicola. 


Jupe è sopravvissuto a un'esperienza che avrebbe mandato al manicomio più di una persona e ne ha trasfigurato l'orrore in una sorta di benedizione, di autocelebrazione a base di memorabilia capaci di parlare agli istinti più bassi dei curiosi. "Tu sei il prescelto", si ripete Jupe, risparmiato da una furia omicida per puro caso, eppure ovviamente convinto che dietro alla sua fortuita salvezza si nasconda un qualche significato in virtù dell'egocentrismo che abbiamo tutti in misura più o meno minore, e da questa convinzione deriva quella di essere invincibile, speciale e necessario, con tutte le conseguenze che Jordan Peele mette in scena in una delle sequenze più angoscianti del film. Nel trailer, un personaggio si domanda "come si chiama un miracolo al contrario?". Ebbene, qui c'è da chiedersi come si chiama il contrario della speranza gioiosa di Spielberg, di quell'ingegno umano tutto americano e anche un po' sfacciato che consentiva ad adulti e ragazzini di vivere le avventure più meravigliose trovandosi davanti l'ignoto. Si chiamerà "Nope", come a dire "manco per il ca**o" o come a dire "No hope"? In qualunque modo la si voglia chiamare, di sicuro a Peele non manca la grandiosità spielberghiana di una regia che regala immagini splendide ed emblematiche, tra campi lunghi mozzafiato e comunque claustrofobici (perché qualunque cosa può nascondersi nel paesaggio brullo dove i cavalli fuggono spaventati), primi piani di occhi che non ardirebbero guardare ma devono farlo comunque, perché essere testimoni, anche di fronte all'orrore, significa essere speciali ed unici, e punti di vista che cambiano a seconda del personaggio, cosa che ci cala nei panni dei terrorizzati protagonisti, il tutto unito da un montaggio fluido e intelligente. Nope non è un film ottimista, nonostante ci insegni a fare un passo indietro e a rivestirci di umiltà ridimensionando il nostro posto nel mondo, ma è un film che sancisce la fine del sogno americano, dell'innocenza di un far west esistito solo al cinema, e che regala un lieto fine incerto ed amarissimo, racchiuso interamente nel sorriso forzato della brava Keke Palmer. A prescindere da tutto quello che mi ha potuta infastidire (e da tutto quello che ci viene insegnato nel film), a voi consiglio però di non distogliere lo sguardo da Nope e di godervi lo spettacolo messo in scena da Peele, rigorosamente al cinema. 


Del regista e sceneggiatore Jordan Peele ho già parlato QUI. Daniel Kaluuya (O.J. Haywood), Michael Wincott (Antlers Holst), Steven Yeun (Ricky "Jupe" Park), Keith David (Otis Haywood Senior) e Oz Perkins (Fynn Bachman) li trovate invece ai rispettivi link.

Keke Palmer interpreta Emerald Haywood. Americana, ha partecipato a film come Cleaner, e a serie quali Cold Case, E.R. Medici in prima linea, Grey's Anatomy, Scream Queens, Scream: La serie; come doppiatrice ha lavorato in The Cleveland Show, I Griffin, Robot Chicken, L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva e L'era glaciale 5 - In rotta di collisione. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 29 anni. 


Se Nope vi fosse piaciuto recuperate Incontri ravvicinati del terzo tipo e Signs. ENJOY!

venerdì 12 agosto 2022

Bloodbath at the House of Death (1984)

Il caldo non accenna a diminuire e, nella scelta dei film, ultimamente la parola d'ordine è "leggerezza". Attirata dall'adorabile faccetta di Vincent Price ho dunque recuperato su Netflix lo sconosciuto (almeno per me) Bloodbath at the House of Death, diretto nel 1984 dal regista Ray Cameron.


Trama: in passato, 18 persone sono state uccise nella stessa notte a Headstone Manor. Nel presente, degli scienziati cercano di scoprire i segreti della sinistra magione, mentre un gruppo di monaci adoratori del demonio tentano di ucciderli...


Uno dei miei tanti limiti è quello di non sapere scrivere delle recensioni sui film comici o le parodie. Non importa che mi siano piaciuti, come in questo caso, è che non so proprio che dire per convincere le persone a guardarli o meno, perché se c'è una cosa soggettiva al massimo è proprio il sense of humour, quindi non stupitevi se questo post sarà meno ispirato del solito. Bloodbath at the House of Death, nonostante il già citato Vincent Price che campeggia nell'anteprima della home page di Netflix, è una parodia british del genere horror, un precursore più raffinato dei vari Scary Movie ma molto più demenziale e sconclusionato, soprattutto verso il finale, di un Per favore non mordermi sul collo. Il film comincia col botto, ovvero con una sequenza in cui diciotto persone muoiono in svariati modi, uno più sanguinoso dell'altro, col top del quartetto impalato; questo gusto esagerato per il sangue è, per inciso, una delle cifre stilistiche di Bloodbath at the House of Death, parodia dove le morti vengono comunque prese molto sul serio, anche quelle più esilaranti a base di orsacchiotti e talpe, e dove assisterete a una delle decapitazioni più interessanti della storia del genere. Le splatterate di cui sopra sono realizzate con spassosi effetti speciali artigianali, alcuni assai seri e ben fatti, altri volutamente più trash, che compensano la generale atmosfera un po' "televisiva" di regia e scenografia, purtroppo uno degli aspetti negativi nonché uno dei limiti del film.


Un altro limite, ovviamente, è la sensibilità dello spettatore per quanto riguarda l'umorismo utilizzato nel film. Bloodbath at the House of Death non sconfina mai nel troppo assurdo o demenziale e le gag sono legate principalmente o a giochi di parole oppure alla parodia di film ed opere più o meno conosciute (Carrie, Alien ed E.T. sono i primi che saltano alla mente anche di un pubblico non anglofono o meno "esperto", poi per il plot il riferimento a Gli invasati è abbastanza chiaro, e uno dei numeri più esilaranti del film è la parodia della canzone Twelve Days Of Christmas, quindi carne al fuoco ce n'è parecchia), con l'aggiunta di alcuni momenti da commedia sexy. A tal proposito, come succede in questi casi, alcune cose sono invecchiate maluccio o sono diventate troppo cringe per i tempi che corrono, soprattutto col senno di poi. Il protagonista, Kenny Everett, ha infatti nascosto per quasi tutta la vita la sua omosessualità e ha fatto outing solo verso la fine degli anni '80, sicuramente dopo l'uscita del film, e onestamente dialoghi come "let's burn some faggots" o le velate prese in giro della coppia gay ed interraziale presente nel film risultano un po' indigesti. E' un peccato, perché il cast non è male e gli attori sono in forma, in primis il già citato Kenny Everett, artista che non conoscevo ma sicuramente dotato di una verve trascinante, e poi ovviamente l'indimenticabile Vincent Price, che compare ahimé poco ma nobilita con la sua simpatia e la sua eleganza quelle poche sequenze che lo vedono protagonista. Bloodbath at the House of Death è dunque, sicuramente, una stranissima aggiunta al catalogo Netflix ma secondo me merita almeno una visione, potreste divertirvi!


Di Vincent Price, che interpreta l'uomo sinistro, ho già parlato QUI.

Ray Cameron è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo e ultimo lungometraggio. Canadese, anche produttore, compositore, attore e cantante, è morto nel 1993 all'età di 55 anni.


Tra gli interpreti a me sconosciuti spicca il comico Kenny Everett, deejay e comico inglese assai famoso negli anni '70-'80 e legato sia per amicizia che per tragico destino (è morto di HIV negli anni '90 dopo aver nascosto per quasi tutta la vita di essere omosessuale) a Freddie Mercury. Se Bloodbath at the House of Death vi fosse piaciuto potreste recuperare i primi due Scary Movie, visto che Scary Movie 2 prende parecchi spunti dal film di Ray Cameron. ENJOY!

martedì 9 agosto 2022

How it Ends (2021)

Questo sarà un post di servizio per mettere in guardia chiunque si facesse venire voglia, come purtroppo è accaduto a me, di guardare How it Ends, scritto e diretto nel 2021 da Zoe Lister-Jones e Daryl Wein e approdato la settimana scorsa su Amazon Prime Video.


Trama: il giorno della fine del mondo Liza, accompagnata dal suo io più giovane, si mette in cammino per risolvere tutte le questioni lasciate in sospeso, prima di concludere la sua esistenza a un party.


Vi è mai capitato che un film vi stesse antipatico a pelle, un po' come succede con le persone? Di solito, con queste ultime mi succede nel momento esatto in cui mi rendo conto che chi ho davanti è un* quaquaraqua, un* che se la crede, un* fint* compagnon* che in realtà ti sta giudicando e pensando "ma guarda te st* sfigat*, sono molto più intelligente e fig* io, diamo corda solo perché mi fa pena". Ecco, le stesse sensazioni le ho provate guardando How it Ends, il film sulla fine del mondo che si crede molto più acuto degli altri film sulla fine del mondo e te lo sbatte in faccia in maniera simpatica, mettendo assieme un mucchio di attori che si sono divertiti un casino a girarlo, tanto che sicuramente buona parte dei dialoghi (come si evince dai "simpaticissimi" titoli di coda) sono stati improvvisati, anche perché trattasi di siparietti pseudo-comici ed arguti che nascondono solo un enorme cumulo di aria fritta derivante dalla necessità di aggiungere qualcosa alla trama semplicissima e derivativa: protagonista (che è anche co-regista e co-sceneggiatrice) deve andare da punto A a punto B, il giorno della fine del mondo, per rimettere a posto tutti gli errori commessi nel corso della vita. Per rendere la cosa più frizzante e alternativa, alla protagonista viene affiancata la sua versione più giovane, una sorta di avatar che dovremmo avere tutti e che solitamente vediamo solo noi, tuttavia con l'arrivo della fine del mondo questo essere immaginario diventa capace di interagire e di essere visto da quasi tutti e molti di quelli che Liza incontra ne hanno una loro versione accanto. In realtà, questo "younger self" serve non tanto per dare un'aura surreale alla vicenda, quanto piuttosto per veicolare il METAFORONE che accompagna il messaggio principale del film, ovvero "tu conti, sei importante, e per vivere bene devi imparare ad amare ed accettare te stesso e a metterti in cima alle priorità". Mi verrebbe da citare Martellone di Boris, guarda. 


L'enorme problema di How it Ends, film girato in pandemia tra amici e con un budget risicato probabilmente utilizzato per appiccicare con lo sputo un asteroide in CGI sullo sfondo che ciccia fuori verso il finale, è che il messaggio finale sarà anche condivisibile e giusto, ma il percorso per arrivarci è una martellata sulle gonadi. Gli incontri che fa Liza nel mezzo del cammin verso la festa di fine mondo vanno dal MEH con velleità hipster (la comica e la cantante) all'orrore di persone che, per la maggior parte, sono la versione moderna e tiratissima per i capelli di Dharma (ve lo ricordate Dharma e Greg?), impegnate in dialoghi che vorrebbero essere simpatici e divertenti, o comunque legati al modo di parlare dei 30/40something di oggi (aggiungo una parentesi: la protagonista ha la mia età e sogna un aldilà dove scoparsi Chalamet. Ma mi tiri il belino??? Che orrore, quell'essere implume che potrebbe essere tuo figlio!!!), ma risultano solo imbarazzanti, nemmeno cringe, diciamo le cose in italiano per non abbassarci ai livelli di How it Ends. Ve lo giuro, il film dura un'ora e 22 e sono riuscita ad addormentarmi almeno sette volte prima di arrivare alla fine; testardamente, ogni volta mandavo indietro e dopo nemmeno un quarto d'ora stavo a occhi rivoltati e con la bava alla bocca, in catalessi, pregando che 'sta tortura a base di dialoghi sul nulla e confronti inutili finisse e maledicendo tutti quelli che si lamentano del mumblegore o degli horror in cui "non succede nulla". Sulle guest star presenti nel film non mi pronuncio, spero che abbiano partecipato o per amicizia o perché ben pagati, non certo perché convinti di poter portare una ventata di freschezza e divertimento alla settima arte. Comunque, c'è da dire che Zoe Lister-Jones e Daryl Wein un traguardo lo hanno raggiunto, ovvero quello di girare un film che finirà quasi sicuramente al primo posto della mia Worst 5 di fine anno. Oh, sempre meglio di nulla!


Di Finn Wolfhard (Ezra), Logan Marshall-Green (Nate), Nick Kroll (Gary), Bradley Whitford (Kenny), Olivia Wilde (Alay), Paul Scheer (Dave), Helen Hunt (Lucinda), Colin Hanks (Charlie) e Charlie Day (Lonny) ho già parlato ai rispettivi link. 

Zoe Lister-Jones è la co-regista e co-sceneggiatrice della pellicola, inoltre interpreta Liza. Americana, ha diretto altri due film, Band Aid e Il rito delle streghe, ovvero il remake di Giovani streghe. Anche produttrice, ha 40 anni ed è l'ex moglie di Daryl Wein.


Daryl Wein è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Lola Versus. Anche attore e produttore, ha 39 anni ed è l'ex marito di Zoe Lister-Jones.


Le guest star del film sono molteplici, anche fuori dal cast di It's Always Sunny in Philadelphia, di cui fanno parte Glenn Howerton (John) e Mary Elizabeth Ellis (Krista): Cailee Spaeny, che interpreta la giovane Liza, era nel cast de Il rito delle streghe, sempre diretto da Zoe Lister-Jones, Whitney Cummings (Mandy) è una famosa comica americana, vista di recente in Studio 666 mentre Fred Armisen è un altro comico comparso anche in The Anchorman. Ciò detto, se cercate un bel film a tema fine del mondo, recuperate These Final Hours e Don't Look Up. ENJOY!

venerdì 5 agosto 2022

Monstrous (2022)

E' uscito questa settimana su Infinity il film Monstrous, diretto dal regista Chris Sivertson, che ha attirato il mio interesse per la protagonista.


Trama: in fuga dal marito, Laura si rifugia col figlioletto Cody in una casa isolata dove ricominciare una nuova vita ma comincia a venire perseguitata da una strana entità...


Quando ho letto il nome di Christina Ricci all'interno del cast di Monstrous, non ho potuto fare a meno di recuperarlo. Non vedevo un film con la Ricci protagonista dal 2006, tanto che pensavo si fosse persa nel limbo di quelli che avevano smesso di recitare ma in realtà, come molti suoi colleghi, si è data alle serie TV e io quelle, ahimé, riesco a seguirle pochissimo. Mi ha fatto dunque un po' effetto vederla nel ruolo di madre (anche se ormai pure lei è 42enne, quindi hai voglia!) in questo horror ambientato negli anni '50, che la vede protagonista come mamma di un bimbo in età scolare e in fuga da un marito violento. Laura e Cody scappano dalla città e si rifugiano in una casetta da sogno, isolata ma arredata come una bomboniera, circondata tuttavia da terreni abbastanza brulli e, soprattutto, vicino a una palude da dove, la sera, esce un mostro particolarmente interessato al bambino. Mentre Laura cerca di vivere l'American Dream di una donna dell'epoca, tra deliziosi vestitini, un lavoro come segretaria e succulenti manicaretti da offrire al pargolo, Cody è sempre più esasperato dalla situazione, non riesce a farsi neppure un amico a scuola e vorrebbe solo tornare a casa, quindi la presenza del mostro non fa che esacerbare i conflitti tra i due e minare ancor più la tranquillità precaria di Laura, la quale vede il suo sogno andare a poco a poco in frantumi e non riesce a liberarsi dalla spada di Damocle della minaccia del marito. Di più non conviene dire sulla trama di Monstrous, uno di quei film che ci mette un po' a svelare le sue carte e che dissemina qui e là particolari indizi di un puzzle che troverà un senso solo alla fine, cosa che spingerebbe lo spettatore a una seconda visione se solo, ammettiamolo, la trama non sconfinasse spesso dal misterioso al confusionario (non confuso. Alla fine torna tutto ma bisogna turarsi un po' il naso, anche perché l'utilità di alcuni dettagli dati per importanti sembrerebbe quasi essersi persa in fase di montaggio, come per esempio il dolore allo stomaco che Laura dà mostra di provare di tanto in tanto).


Per il resto, Monstrous non è un film eccezionale ma è comunque gradevole. Purtroppo, i fasti di All Cheerleaders Die (a dire il vero co-diretto assieme all'adorato Lucky McKee) sono lontani e il film spicca non tanto per la regia, che si appoggia a un unico vezzo "rivelatorio" mentre per il resto è abbastanza ordinaria, quanto piuttosto per la fotografia dai colori particolarmente vividi e la bellezza delle scenografie e dei costumi indossati dalla Ricci, entrambi sicuramente migliori del solito, orrendo mostrillo fatto al computer che parrebbe essere un'inevitabile condanna in questo genere di produzioni a medio budget. Quanto a Christina Ricci, che è poi il motivo che mi ha spinta a vedere Monstrous, offre un'interpretazione prevalentemente valida, che a tratti si fa forse un po' troppo isterica ed esagerata, quasi "finta", e l'alchimia tra lei e il pargoletto moscerello che interpreta Cody stenta a crearsi, esprimendosi compiutamente solo nel commovente finale. Il resto del cast non è particolarmente memorabile, ho riconosciuto giusto Colleen Camp, relegata tuttavia all'ingrato ruolo della vicina di casa rompitasche, e Nick Vallelonga nei panni dell'anziano avventore del pub, mentre le altre facce a me sconosciute sono rimaste tali e nessuno mi ha colpita positivamente o negativamente. In definitiva, lo avrete capito, Monstrous non è un film imprescindibile ma se siete fan di Christina Ricci potrebbe darvi parecchie gioie e anche chi ama i thriller horror with a twist potrebbe passare una serata gradevole.
 

Del regista Chris Sivertson ho già parlato QUI. Christina Ricci (Laura), Colleen Camp (Mrs. Langtree) e Lew Temple (Mr. Alonzo) li trovate invece ai rispettivi link.



 

martedì 2 agosto 2022

Dashcam (2021)

Quest'anno il mio istinto fa cilecca. Non mi spiego altrimenti perché mi sarei ritrovata a guardare Dashcam, diretto e co-sceneggiato nel 2021 dal regista Rob Savage.


Trama: una vlogger ruba la macchina a un amico e dà un passaggio a un'anziana e misteriosa signora, per poi pentirsene subito dopo.


E io che ero convinta di avere già visto il peggio dell'horror del 2022 con The Scary of Sixty-First e Occhiali neri. Che ingenua. Non avevo calcolato che Rob Savage, dopo il gradevole Host, si sarebbe appassionato a film realizzati in pandemia con due lire, facendola fuori dal vaso. Se non conoscete Host vi rimando al mio post ma, in soldoni, il film in questione racconta di una seduta spiritica condotta via zoom in pieno lockdown e, poiché sfrutta alla perfezione tutti i limiti della situazione contingente ricorrendo ad espedienti fantasiosi, riesce a risultare molto efficace e, benché non particolarmente innovativo, è realizzato in maniera molto intelligente. Quest'ultima caratteristica si perde totalmente in Dashcam, pellicola che della stupidità fa una sorta di orgogliosa bandiera, "sovvertendo" il legame che viene a crearsi tra spettatori e final girl in quanto la protagonista, Annie Hardy, è l'essere più fastidioso che vi possa venire in mente. L'attrice/cantante interpreta una versione "romanzata" di se stessa, quindi per tutta la durata del film vi toccherà sorbirvi le tirate in chiave rap di una trumpiana, no vax, complottista (e mi par di aver capito che il personaggio di finzione non sia molto distante da quello reale, il che mi dà ancora più fastidio) scema come un tacco, il cui unico scopo nella vita è intrattenere i suoi followers con le canzoni e i video più stupidi ed infantili mai realizzati. Parteggiare per costei è difficile se non impossibile e l'unica speranza che si prova durante la tortur... ehm, visione del film è quella di vederla morire malissimo.


Purtroppo, anche utilizzare il verbo "vedere" è una parola grossa perché, ahimé, ahivoi, ahituttiquellichehannoavutolasventuradiincappareinDashcam, l'ultimo lavoro di Savage è girato con la tecnica del video in presa diretta, con telefonini che riprendono o in soggettiva oppure mostrano la faccia stupida (non stupíta) della protagonista, e corredo di chat live di presunti utenti che commentano in diretta ciò che avviene sullo schermo. Vi dico solo che dopo pochi minuti, giusto per distrarmi dalle cretinate sparate a raffica dalla Hardy, mi sono messa a leggere i commenti senza prestare granché attenzione al film, anche perché è tutto talmente "shaky", buio e fuori fuoco da farmi rivalutare ogni aspetto di The Gallows come una sorta di eredità Kubrickiana, soprattutto quando viene introdotto l'elemento horror. A proposito del quale, Savage preferisce indulgere sul dettaglio schifoso piuttosto che giocare d'atmosfera, peccato che le sequenze più piene di "ciccia" siano anche (ovviamente) quelle più confuse, il che non va a favore di una sceneggiatura che è già di per sé pasticciata pur nella sua semplicità (SPOILER: Ma i tizi della setta che si suicidano d'amblé in presenza di Angela cosa mi significano? E se si sono suicidati per permettere la nascita dello schifo che possiede la ragazzina/vecchia, a che pro stare nascosti visto che qualcuno Angela doveva portarla nella villa? Giuro, non si capisce nulla ma, a un certo momento, chi se ne frega). Ma giuro che, in tutto questo, l'unica cosa che davvero non ho sopportato e che mi porterà a maledire Dashcam finché campo è Annie Hardy, orripilante frutto marcio caduto dritto dall'albero della maledetta ignoranza americana, e la totale mancanza di catarsi sul finale, con aggiunta perculante di ulteriore, orrido rap sui titoli di coda. Avrei concluso il post invitandovi a stare lontani da questo film come la peste, ma Lucia ne ha parlato molto meglio di me, in ogni senso, quindi leggete entrambi i punti di vista e fatevi un'idea di ciò che rischiate di guardare!


Del regista e co-sceneggiatore Rob Savage ho già parlato QUI