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venerdì 30 dicembre 2022

Bolla's Top 5: Best of 2022

Finito lo schifo dei Worst 2022 e digeriti i panettoni, passiamo alle cose belle che ci ha lasciato l'anno che sta per finire! Come al solito, le mie top 5 (soprattutto quella dei film "generici") sono viziate da molteplici fattori negativi, tra i quali spiccano la distribuzione caprina della città in cui vivo, il poco tempo settimanale a disposizione da dedicare alle visioni casalinghe, l'impossibilità di partecipare a festival importanti (certo, so benissimo che molti film tra quelli usciti all'estero/festival candidati ai Globes sono già disponibili per "vie traverse", ma non ho alcuna fretta di recuperarli prima dell'anno prossimo, sperando di poterne godere come si deve, ovvero in una sala cinematografica), ecc. ecc. Quindi, se non trovate in elenco un film tra quelli che avete enormemente amato, probabilmente è perché non l'ho visto ma potete sempre segnalarmelo nei commenti e cercherò di recuperarlo appena possibile; tra quelli rimasti per un pelo fuori classifica, segnalo i reperibilissimi Red e The Fallout (distribuito su Sky come La vita dopo), oltre ai meno reperibili Too Cool to Kill (visto al Far East Film Festival on line) e Weird: the Al Yankovich Story, di cui parlerò nel 2023. ENJOY!!!


5. The Fabelmans

Non mi ha convinta quanto avrei sperato, ma la dichiarazione d'amore di Spielberg al cinema è qualcosa che cresce nella mente e nel cuore dello spettatore man mano che il tempo passa, così come la voglia di riguardare il film per cogliere, a mente fredda, tutto ciò che è sfuggito a una prima visione. Spielberg ci ha cresciuti quasi tutti, e le sequenze iniziali, in cui gli occhi del piccolo protagonista rispecchiano la magia e lo stupore provato davanti alle pellicole del regista quando ero più o meno grande come lui, non le dimenticherò per tantissimo tempo!


4. The House

Prima delle due opere in stop motion presenti in classifica. Ero indecisa se metterla in quella horror, visto che The House non è proprio un prodotto per bambini, ma l'episodio dedicato ai gattini non appartiene granché al genere, quindi ho lasciato perdere. Affascinante e ben realizzata, questa antologia di mediometraggi animati è una girandola di emozioni e stili, un'opera stratificata che merita di essere vista e ricordata, alla faccia della sua presenza sul catalogo Netflix, cosa che rischia di condannarla all'oblio del consumo rapido tipico della piattaforma.


3. The Northman

Epico, crudo, violentissimo ed esaltante. E' riuscito a spiazzare gli appassionati di Eggers e a portare in sala chi non lo aveva mai nemmeno sentito nominare, confermandosi come una delle visioni imprescindibili del 2022, anche al di là del mio gusto personale.  


2. Pinocchio

Meno di 24 ore prima della pubblicazione del post ho cercato di recuperare quello che in molti hanno definito un capolavoro. E mi ha frantumato il cuore, al punto da raggiungere di diritto un secondo posto legato anche allo schifo provato davanti alla visione del live action della Disney. Il Pinocchio di Del Toro è poesia pura, nonché una personalissima, affascinante rivisitazione di un classico narrato così tante volte da avere ormai perso significato. Per fortuna c'è ancora chi è in grado di raccontare storie intrise di magia!


1. Everything Everywhere All At Once

In Italia se lo sono filati in pochissimi, in America sta mietendo premi a non finire ed è giusto così: il film dei Daniels ha conquistato il primo posto nel mio cuore per la sua natura folle, esilarante e commovente. Spacciato, ingiustamente, come "il film definitivo sul Multiverso", questa definizione ha finito per tenere distante troppi spettatori stufi delle cretinate Marvel, e ha impedito loro di godere di un'opera unica e, a suo modo, profondissima. Se non lo avete ancora visto, cercatelo e guardatelo assolutamente!


E ora, come ogni anno, tocca al genere horror, che è vivo, lotta con noi, sta benissimo NONOSTANTE l'inevitabile appiattimento qualitativo provocato dall'abbondanza di opere distribuite sui vari canali di streaming legale. Per carità, non mi lamenterò mai della diffusione capillare del genere che più amo, ma sarei abbastanza menzognera se dicessi che i prodotti "solo" carini superano di gran lunga le opere indimenticabili. Ciò detto, anche nel 2022 c'è stato di che gioire, anche se, come al solito, non sono riuscita a guardare tutte le opere imprescindibili; tra i titoli rimasti fuori tra ciò che ho potuto vedere (ho preferito comunque, salvo un paio di eccezioni, dare la priorità in classifica a opere uscite già in Italia e ben diffuse), comunque, il mio consiglio è quello di recuperare assolutamente Scream (anche perché a marzo uscirà il sesto capitolo della saga), Sweetie, you won't believe it, Barbarian, A Wounded Fawn, Syk Pike, Speak no Evil, Piggy e Deadstream (due film di cui parlerò nei primi giorni del 2023!). Cercate di finire l'anno in bellezza e di cominciare ancora meglio, ci risentiamo tra qualche giorno! 

5. Nope

Non pensavo, sinceramente, che l'ultimo film di Jordan Peele sarebbe finito in classifica, ma più ci ripenso più, nonostante il mio scarso entusiasmo rispetto alle sue opere precedenti, lo ritengo un film importante e ben realizzato sotto ogni punto di vista. 


4. Terrifier 2

E' finito in classifica perché, se c'è stato un horror evento quest'anno, da tutto esaurito, è proprio l'ultima fatica di Damien Leone. E poi, ammettiamolo, è uno spasso fuori dal comune e una gioia per gli amanti dell'horror tout court, senza "nobilitazione" alcuna!


3. Smile

La sorpresa commerciale che non ti aspetti per nulla, nonché l'unico film che è riuscito a farmi davvero paura e a rimanermi impresso, a livello di inquietudine, anche dopo la fine della visione. L'altro è Deadstream, per la cronaca!


2. X 

La cima della classifica è occupata dai due film realizzati da Ti West, per il quale il 2022 è stato un anno d'oro. Non li ho messi assieme, come avevo fatto l'anno scorso per la trilogia di Fear Street, perché X e Pearl sono due film molto diversi e il primo, a ben vedere, è molto più tradizionale e "banale", ma già contiene tutti i semi di quello che sarebbe diventato quel trionfo di Pearl ed è una goduria splatter da vedere e rivedere.


1. Pearl

Pearl è il "mio" horror dell'anno. Coloratissimo, inquietante e anche molto triste, è la consacrazione (nel caso ce ne fosse stato bisogno) del talento di Mia Goth, che quest'anno conquista il primo posto anche nelle interpretazioni, surclassando persino l'adorata Michelle Yeoh. Confido in una veloce e capillare distribuzione nelle sale italiane, non come X che è stato, come al solito, relegato a pochissimi cinema in un periodo infelice! 





martedì 27 dicembre 2022

Bolla's Top 5: Worst of 2022

Benvenuti alle classifiche di fine anno! Il 2022 ha sicuramente portato molti film belli (tra l'altro, al momento di scrivere il post, sto ancora aspettando di vedere il Pinocchio di Del Toro, Avatar 2 e The Fabelmans, giusto per non mancare qualche pezzo grosso dell'ultimo minuto) ma, per la nostra "gioia", anche parecchie ciofeche. Ho cercato di inserire in classifica solo quelle che hanno avuto un'ampia distribuzione, ma tra i film più orribili e odiosi dell'anno figurano un paio di chicche che vi consiglio di cercare, per poi venire a prendermi per i capelli e pretendere una giusta e sommaria giustizia, come il pretenzioso The Scary of Sixty- First, l'imbarazzante All Jacked Up and Full of Worms e quell'incessante fonte di nervoso che risponde al nome di Dashcam. Fortunatamente domani arrivano cose meravigliose, capaci di riconciliarci col mondo!! ENJOY!


5. Diabolik - Ginko all'attacco!

Dio, quanto mi dispiace inserire una produzione "di genere" italiana all'interno di questa classifica, soprattutto perché i Manetti Bros. a me stanno molto simpatici. Però, davvero, ho trovato ben poco da salvare nel secondo capitolo dedicato alle gesta dell'antieroe creato dalle Giussani, e tantissimo di cui ridere fino all'eternità, in primis la love story tra la Contessa di Monica Bellucci e il povero Ginko di Valerio Mastandrea.

La mia reazione più o meno ad ogni sequenza

4. Non aprite quella porta

Anche detto Old Man Leatherface, è un guazzabuglio di momenti involontariamente ilari e facilonerie, zeppo di personaggi scemi che fanno cose stupide e detentore dell'anticlimax più grande del 2022. C'è di buono che, almeno, dura poco ed è zeppo di sangue, quindi si può anche approcciare per una serata ad altissimo tasso di ignoranza. Astenersi appassionati della saga, ovviamente. 

La svogliatezza anche nell'accettare laGGente

3. Pinocchio

Non posso nemmeno scrivere "tecnicamente ineccepibile", visto che la CGI a tratti fa schifo e i personaggi di finzione non interagiscono alla perfezione con quelli veri. Il Nadir delle carriere di Robert Zemekis e Tom Hanks, che tra tutti e due fanno una figura... una figura di... niente, non mi viene la parola. Agevolo una diapositiva assai ficcante, magari mi verrà in mente. 



2. How it Ends

Inserire in classifica questa palla al ca**o, invece, non mi dispiace per nulla. Girato tra amici in periodo di pandemia, ha ottenuto come unico risultato quello di farmi addormentare più volte e maledire tutti quelli che, per superare la noia da Covid, non hanno avuto nulla di meglio da fare che realizzare discutibili film di pseudo-fantascienza che scavano nella psiche di personaggi insopportabili e profondi quanto una pozzanghera.

Eh già. Non avrei saputo esprimermi meglio

1. Occhiali neri

E' giusto e doveroso che il Re dell'horror italiano si meriti il podio. Non so neppure da dove cominciare a sottolineare quanto male faccia al cinema di genere nostrano un film come questo. Nato già vecchio, svogliato da morire, recitato coi piedi, diretto senza un minimo di verve, più virato verso il ridicolo dramma familiare che verso il thriller, fonte dei dialoghi e delle scene più scult dell'anno, ha solo un momento apprezzabile, ovvero la sequenza iniziale. Il resto, andrebbe davvero guardato con un addosso un paio di occhiali neri e magari anche un paio di cuffie. Povero Argento, che brutta fine hai fatto!

L'unica reazione possibile al capolavoro


venerdì 23 dicembre 2022

Violent Night (2022)

Lo aspettavo... beh, lo aspettavo come si aspetta il Natale, ma mi ha fatto penare questo introvabile Violent Night (no, il titolo italiano non esiste), diretto dal regista Tommy Wirkola. Con l'occasione, faccio tantissimi auguri di Natale ai pochi che ancora hanno voglia di seguire questo blog azzoppato come una renna anziana! Ci sentiamo tra qualche giorno con le classifiche di fine anno! 


Trama: la notte di Natale, una facoltosa famiglia viene presa in ostaggio da un gruppo di criminali e tocca proprio a un riluttante Babbo Natale risolvere la situazione...


La settimana prossima la programmazione del blog sarà ridotta per ovvi motivi festaioli e anche perché mi dedicherò alle consuete classifiche di "chiusura" , quindi quella di Violent Night sarà l'ultima recensione del 2022 e, vi avviso, non sarà oggettiva. Rilassata come non mai, felice come una bambina che per la prima volta in vita sua vede un film di Tommy Wirkola in sala e, soprattutto, consapevole di stare per guardare un'epica pu**anata graziata dalla presenza di quel gran figo di David Harbour, non avete idea di quanto mi sia goduta Violent Night alla faccia di tutte le (giuste, per carità, ma qui non ci sarà spazio per il disfattismo) critiche piovute sul film. Anche perché, siamo onesti, chi è andato al cinema per aspettarsi qualcosa di non derivativo o arguto partiva svantaggiato in partenza, ché qui gli sceneggiatori non vanno tanto per il sottile e confezionano il più classico, trito dei film natalizi con tanto di morale e messaggio consolatorio annesso, passando però attraverso il cinismo bolso e ubriacone di un Babbo Natale ex guerriero vichingo costretto a salvare i membri della peggiore delle famiglie (le cui personalità sono state scritte sul retro di uno scontrino) da un commando di delinquenti assortiti (le cui personalità sono state scritte sul retro di un biglietto della metro). I "sentimenti" positivi sono cheap quanto quelli negativi, tanto che non c'è nemmeno il tempo di commuoversi come accadeva davanti ai dialoghi tra uno spaventato Bruce Willis e l'amico a distanza Reginald VelJohnson in Trappola di cristallo (nume tutelare, assieme a 58 minuti per morire, dell'intera operazione) e persino le tenere bambine in difficoltà sono delle iene di rara perfidia, nonostante il loro nome figuri nell'elenco dei buoni. La particolarità di Violent Night è dunque quella di non essere particolare affatto, eppure i realizzatori sono riusciti a dosare ogni singolo cliché e omaggio in modo che il risultato finale fosse divertente, dissacrante e, soprattutto, interessante dall'inizio alla fine.


L'aspetto più gradevole di Violent Night, per quanto mi riguarda, è stato proprio quello di "stravolgere" le tradizioni dei classici film di Natale e di estremizzare quelli che lo sono diventati col tempo (vedi la parentesi "realistica" su Mamma ho perso l'aereo) tingendoli delle pennellate sanguinolente del "solito" Tommy Wirkola, colui che della tamarreide ha fatto un'arte al punto da rendere piacevole anche roba come Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe; se, alla fine di quella trashata piaciuta solo a me e ad altre tre persone, mi ero augurata di vedere presto un seguito, il medesimo pensiero ha fatto capolino anche alla fine di Violent Night, perché io amerei molto godermi di nuovo il Babbo Natale di David Harbour e conoscere anche i suoi elfi e la Signora Natale (!). Ciò detto, rimanendo in tema David Harbour, lo sceriffo Hopper non potrà MAI scalzare l'adorato Bruno dal mio podio personale di figoni del cinema action, ma non posso nemmeno negare che un pezzetto del mio cuore sia già suo da tempi non sospetti, e vedere il suo corpicione (cit) ignudo coperto di tatuaggi mi ha fatto fare la stessa esclamazione eccitata di Amy in The Big Bang Theory; David ha il phisique du role perfetto per interpretare un Babbo Natale ubriaco e sfatto, ma è anche pregevolissimo come riluttante eroe "di menare", soprattutto quando viene armato con dolorosissimi oggetti contundenti. Voto dieci anche a Leguizamo, che finalmente è riuscito a riprendersi il ruolo di malvagio natalizio che gli spettava già dal 1990 e che, circondato da un codazzo di henchmen uno più esilarante dell'altro, migliora ulteriormente la qualità dell'operazione. Personalmente, ritengo che il periodo festivo non potesse cominciare meglio e non vedo l'ora di riguardare Violent Night fino a farlo diventare uno dei miei classici natalizii! 


Del regista Tommy Wirkola ho già parlato QUI. David Harbour (Babbo Natale), John Leguizamo (Scrooge), Beverly D'Angelo (Gertrude), Cam Gigandet (Morgan Steel), Brendan Fletcher (Krampus) li trovate invece ai rispettivi link.


André Eriksen, che interpreta Gingerbread, aveva già lavorato con Wirkola in The Trip. Ciò detto, se Violent Night vi fosse piaciuto recuperate Trappola di cristallo e Babbo bastardo. ENJOY!



mercoledì 21 dicembre 2022

Pearl (2022)

Ogni promessa è debito! Dopo X è stato distribuito anche Pearl, sempre diretto e co-sceneggiato da Ti West, e l'attesa è valsa la pena!


Trama: Pearl è una ragazza che, nell'attesa del ritorno del marito dalla guerra, vive in una fattoria con la severissima madre e il padre paraplegico. Pearl, però, desidera la fama e il successo e vorrebbe diventare ballerina...


Che inaspettato trionfo. Non ho altro modo di descrivere Pearl, un film che aspettavo fin dal brevissimo trailer visto alla fine di X, e che si è rivelato qualcosa di molto diverso dalla pellicola da cui è partito, benché altrettanto soddisfacente. Se X era sia un "omaggio" agli slasher di fine anni '70 sia una riflessione malinconica sulla libertà e la giovinezza, Pearl cambia totalmente registro ma mantiene il fil rouge del mito del successo e la frustrazione derivata dalla consapevolezza, non riconosciuta, di essere speciali e di poter aspirare a qualcosa di più. Lo fa, come da titolo, tornando ai tempi della prima guerra mondiale e raccontandoci la giovinezza di Pearl, l'anziana villainess del primo film. Fin dall'inizio, il dichiarato omaggio è ai film in technicolor degli anni '30, sia per quanto riguarda l'utilizzo delle palette all'interno della fotografia, sia per le inquadrature e le singole sequenze, che richiamano spesso e volentieri iconiche immagini di musical (non è un mistero che West abbia chiesto a Mia Goth di riguardare lo storico Mago di Oz) e, a chi è cresciuto a pane e Disney come la sottoscritta, i numeri musicali delle principesse con i loro amici animaletti, in particolare quello in cui una certa "bella" lamentava di quanto le andasse stretta la vita del paesino popolato da buzzurri francesi in cui era relegata. Per Pearl, non a caso vestita anche lei di azzurro, almeno all'inizio, è la stessa cosa: non tollera l'idea di rimanere a marcire nella fattoria di famiglia, non quando nella sua mente si susseguono immagini di successo e glamour, di una vita passata a danzare sullo schermo di un cinema, finalmente protagonista dei film tanto amati. Purtroppo per Pearl, al di là di tutto ciò che il destino potrebbe riservarle, la differenza sostanziale tra lei e le eroine dei musical è una natura oscura e psicotica, che la porta ad estremizzare le emozioni fino alle inevitabili conseguenze e a coltivare un insano gusto per il sangue, il che la rende, ovviamente, una bomba pronta ad esplodere. 


Nonostante ciò, Pearl è ben poco sanguinoso e horror, anche se ci sono un paio di scene dove l'utilizzo di armi bianche improprie si spreca. Il film è costruito, piuttosto, come un thriller psicologico, un gotico americano dove il sottilissimo filo della salute mentale della protagonista si tende fino a strapparsi, mentre lo spettatore (consapevole di quanto accaduto in X) da una parte teme per la vita di chiunque abbia la sventura di incrociare il cammino di Pearl, dall'altra non può fare a meno di provare pietà per questa ragazza con cui la vita non è stata proprio tenerissima. Merito, non sto neanche a dirlo, di Mia Goth. Sono anni che l'attrice porta a casa interpretazioni eccelse, eppure il pubblico ha cominciato ad aprire gli occhi solo dopo aver visto X. Meglio tardi che mai, certo, soprattutto perché quella in Pearl è la sua migliore interpretazione di sempre e ci sono già due sequenze destinate a diventare iconiche, tra le migliori di questo generoso 2022 horror. Una è il monologo rivelatore poco prima del finale, talmente intenso e sconvolgente che staccare gli occhi dallo schermo è dannatamente difficile (e sarà un problema anche rivedere, se mai uscirà, Pearl sul grande schermo doppiato, ché la Goth ha due polmoni in grado di rivaleggiare con quelli di Amanda Seyfried), l'altra è l'inquadratura di almeno tre minuti sulla quale scorrono i titoli di coda; considerato che al giovane Timothée Chalamet hanno offerto una candidatura all'Oscar per qualcosa di assai simile, sarebbe quantomeno irrispettoso non tenere in considerazione il doloroso, angosciantissimo sorriso di Mia Goth, con tutta la disperazione e la follia (per non parlare della professionalità) che racchiude. In generale, sarebbe quantomeno irrispettoso non pensare a Pearl quando cominceranno a fioccare premi cinematografici, ma la mia è una speranza ancora più risibile di quella della protagonista di questo film. Ma chissenefrega, l'importante è che guardiate e ammiriate l'ultimo film di Ti West, volendogli bene come merita, aspettando che la trilogia si chiuda ne 2023 con l'annunciato MaXXXine


Del regista e co-sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI mentre Mia Goth, che interpreta Pearl ed è anche co-sceneggiatrice, la trovate QUA.


Se Pearl vi fosse piaciuto recuperate, ovviamente, X: A Sexy Horror Story. ENJOY!


martedì 20 dicembre 2022

Triangle of Sadness (2022)

Ne ho letto così bene in giro che ho deciso di recuperare, prima della fine dell'anno, Triangle of Sadness, diretto e sceneggiato dal regista Ruben Östlund.


Trama: una crociera di lusso si trasforma in un naufragio per alcuni ricconi, tra i quali spiccano una coppia di modelli...


Ruben Östlund
è un regista e sceneggiatore di cui avevo apprezzato moltissimo Forza Maggiore, un cinico trattato sulle umane imperfezioni e la labilità dei legami, anche quelli che crediamo più saldi. In parte, Triangle of Sadness, diviso in tre atti, richiama le atmosfere di Forza Maggiore. Nel primo atto facciamo infatti la conoscenza di Yaya e Carl, due giovani modelli impegnati in una relazione non proprio alla pari, nella quale lei, pur essendo molto più famosa e ricca di lui, non esita ad assecondare tutti gli stereotipi del "sesso debole", consapevole di poter farlo in quanto bellissima e sulla cresta dell'onda; se in Forza Maggiore la causa scatenante dei dissidi era l'"attaccamento" a un tablet, qui lo scontro tra Yaya e Carl, con tutto quello che scatenerà le dinamiche del terzo atto, nasce da un conto non pagato, dall'immaturità di un maschietto alfa che, oltre ad essere invidioso, non sa bene come gestire la consapevolezza di essere inferiore alla compagna in quegli aspetti che dovrebbero essere propri di un uomo. Nel secondo atto, il disagio personale e amoroso di Yaya e Carl si unisce (pur venendo messo in secondo piano) alla più "banale" delle lotte di classe, consumata all'interno di uno yacht di lusso dove l'apparenza di un micromondo perfettamente regolato si infrange contro lo scoglio dello spirito autodistruttivo di un uomo che non ha più niente da perdere, il che ci porta dritti a un terzo atto che, per modo di dire, riassume e completa le questioni accennate nei primi due. Bloccati su un'isola deserta dopo un naufragio, i pochi superstiti dello yacht (tra i quali, ovviamente, Yaya e Carl) devono fare i conti sia con l'inutilità di chi è diventato ricco per mera botta di culo, sia con un ribaltamento di ruoli tanto giusto quanto grottesco, specchio di quei discorsi a base di frecciatine e risentimento malcelato che accompagnavano la cena iniziale dei due protagonisti. Il naufragio, così come il Covid, invece di rendere tutti migliori lascia o tutti uguali a prima oppure peggiora ulteriormente delle persone che della pigrizia e dei privilegi hanno fatto la loro ragione di vita, oltre a rendere ancora più disperati quelli che prima si trovavano ai più bassi livelli sociali.


Con Triangle of Sadness mi è parso che Ruben Östlund volesse sottolineare l'assoluta casualità delle umane fortune e l'incapacità delle persone di andare oltre a stereotipi sociali da loro stessi creati, con pattern che si ricreano sempre uguali anche quando le situazioni cambiano (si vedano le "concessioni" di Vera allo staff della nave o le interazioni tra Carl e Abigail); persino la situazione del naufragio è un cliché a cui i sopravvissuti si adattano senza troppo clamore, con echi da Signore delle mosche che vengono anticipati ma mai interamente realizzati, come se la società attuale fosse troppo anestetizzata persino per una vera rivoluzione violenta, come del resto dimostrano i deliranti confronti tra "capitalisti e comunisti", a base di frasi fatte, che rappresentano il fulcro del secondo atto. A proposito del secondo atto, ormai è famigerata la sequenza della cena, che, al di là dell'ovvio disgusto a cui sottopone lo spettatore, è realizzata con tutti i crismi di regia e offre un'altra interpretazione dello schifo assoluto nascosto dietro una realtà perennemente filtrata, dove dev'essere tutto splendido splendente (ma un'altra bella sequenza è quella iniziale, dove i modelli vengono trattati al pari di quarti di bue) per venire incontro allo sguardo di chi ormai non vede oltre lo schermo di un telefonino o la situazione contingente. Triangle of Sadness non è un film sottile, urla la sua metafora come Men di Garland, ma, poiché gli mancano la raffinatezza e il grandeur di quest'ultimo, risulta molto più simpatico, benché altrettanto imperfetto. A mio avviso, infatti, il terzo atto non regge il ritmo e l'acume dei primi due e si perde in alcune lungaggini a cui rimedia, in parte, un finale tragicamente ambiguo in cui la realtà prende a schiaffi Yaya e Carl a seguito di una tardiva presa di coscienza. Mentirei se dicessi che, dopo tutte le belle recensioni lette, non mi sarei aspettata qualcosa in più, ma Triangle of Sadness resta comunque un film bello e interessante, graziato da un'ottima regia e attori molto bravi, l'ennesima conferma del talento indiscutibile di Ruben Östlund.


Del regista e sceneggiatore Ruben Östlund ho già parlato QUI mentre Woody Harrelson, che interpreta il capitano, lo trovate QUA.

Harris Dickinson interpreta Carl. Inglese, ha partecipato a film come The King's Man - Le origini e Omicidio nel West End. Anche regista e sceneggiatore, ha 26 anni e due film in uscita. 


Se Triangle of Sadness vi fosse piaciuto recuperate Parasite e The Menu. ENJOY!

venerdì 16 dicembre 2022

Mr. Harrigan's Phone (2022)

Nonostante le recensioni non proprio esaltanti ho deciso di recuperare comunque Mr. Harrigan's Phone, diretto e sceneggiato dal regista John Lee Hancock a partire dal racconto omonimo di Stephen King, contenuto nella raccolta Se scorre il sangue, e disponibile su Netflix.


Trama: il giovane Craig fa amicizia con l'anziano milionario Mr. Harrigan quando viene assunto da quest'ultimo per leggergli dei libri. Un giorno Mr. Harrigan muore e Craig riceve in eredità anche il suo I-Phone, oggetto dagli inquietanti poteri...


Questa volta le recensioni avevano ragione, Mr. Harrigan's Phone non è granché esaltante ed è il tipico prodotto medio creato per la piattaforma Netflix da un Ryan Murpy poco ispirato e prodotto da un Jason Blum che, fuori dalle sale cinematografiche, dimostra di avere ben poca simpatia per lo spettatore, condannato alla visione di robetta come i Welcome to the Blumhouse. Certo, Mr. Harrigan's Phone confronto alla seconda stagione del quartetto antologico è un capolavoro spaventosissimo, ma preso da solo è l'ennesima trasposizione senza spina dorsale di un'opera Kinghiana neppure troppo ispirata; prima di guardare il film ho riletto il racconto e credo sia stato effettuato giusto un cambiamento a livello di sceneggiatura (nella fattispecie, si è diventati molto più "bigotti" relativamente alla morte di Yanko), per il resto viene mantenuto ogni singolo snodo narrativo e l'unica vera differenza è la solita superficialità del prodotto cinematografico rispetto a quello cartaceo. Dite di King quello che volete ma in pochi riescono a tratteggiare come lui i rapporti umani e il legame delle persone con le cittadine in cui vivono, o a farci entrare nel cuore dei narratori e diventare parte della loro vita, ed è questo ovviamente che manca al 90% delle trasposizioni delle sue opere, che prendono solo l'ossatura di racconti e romanzi e lasciano a vagare sullo schermo dei personaggi senza nerbo ai quali, se va bene, è concesso di venire tenuti in piedi da bravi attori. In questo caso, per fortuna, Jaeden Martell e Donald Sutherland se la cavano molto bene ed intessono un rapporto credibile tra giovanissimo discepolo affascinato e vecchio squalo della finanza dal passato zeppo di ombre, ma il risultato finale è poco emozionante, soprattutto per chi ha letto il racconto e si ritrova davanti una storia identica e senza particolari guizzi.


Tra l'altro, Mr. Harrigan's Phone funziona più come racconto di formazione in cui Harrigan mette a parte Craig delle sue idee e della sua esperienza piuttosto che come horror, dal momento che dalla morte di Harrigan tutto ciò che dovrebbe inquietare lo spettatore si riduce nel "lo dimo" di Boris 4 (per carità, "lo dimo" anche nel racconto ma un minimo di spettacolo cinematografico ci vuole...) e in una chiosa da boomer in cui, di base, Craig impara a non lasciare la sua vita nelle mani dei telefonini, il che viene ulteriormente sottolineato dalle reiterate, tristissime interazioni all'interno della caffetteria scolastica, dove i ragazzi comunicano a breve distanza via sms. Arrivare a fine film senza che la palpebra cali è molto difficile, ma c'è da dire che il film non è nemmeno così brutto da risultare interessante nella sua natura di horror inguardabile di serie Z, pertanto l'ultima cosa che mi rimane da dire è che le scenografie sono molto belle, tanto che risulta avere più personalità la villa di Harrigan, curata nei dettagli ed imponente, rispetto ai personaggi che parlano, leggono e si confrontano. Detto ciò, non vorrei che anche la villa, come la maggior parte degli ambienti dei film del MCU, sia una creazione virtuale, quindi mi taccio e mi limito a consigliarvi di leggere non solo il racconto di Stephen King, ma anche le opere citate nel corso del film, magari vi si aprirà un mondo di ottima letteratura e non avrete sprecato il vostro tempo!


Del regista e sceneggiatore John Lee Hancock ho già parlato QUI. Donald Sutherland (Mr. Harrigan) e Jaeden Martell (Craig) li trovate invece ai rispettivi link.

Kirby Howell-Baptiste interpreta Mrs. Hart. Inglese, ha partecipato a film come Crudelia, Silent Night e a serie quali Veronica Mars e Sandman; come doppiatrice ha lavorato ne Le Superchicche. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 35 anni. 


Lo sgraziato Cyrus Arnold, che interpreta Yanko, era il Truck della seconda stagione de L'esorcista. Se Mr. Harrigan's Phone vi fosse piaciuto recuperate Black Phone. ENJOY!

mercoledì 14 dicembre 2022

Spirited - Magia di Natale (2022)

E' uscito su Apple TV+ un film perfetto per il periodo, ovvero Spirited - Magia di Natale (Spirited), diretto e co-sceneggiato dal regista Sean Anders.


Trama: i fantasmi del Natale Dickensiano si ritrovano a dover redimere il cinico consulente Clint Briggs, che si rivela un osso durissimo soprattutto per Presente, veterano roso da mille dubbi...


Come faccio a scrivere qualcosa di obiettivo su un film che sembra realizzato apposta per me e che, in effetti, ha fatto di tutto per piacermi, riuscendoci? Pur essendo un Grinch della peggior specie, ho sempre adorato Il canto di Natale di Dickens in ogni sua forma e questo Spirited ne è la rilettura in chiave moderna; in più, ho un debole per i musical e, nonostante nutra verso di lui sentimenti molto ambivalenti, quando è in buona ho anche un debole per Will Ferrell, che in questo Spirited dà veramente il bianco. Prendete dunque con le pinze tutto quello che sto scrivendo, compresa la definizione di "Film natalizio del 2022" (considerate che devo ancora guardare Violent Night), e rimanete ancora un po' con me per cercare di capire perché, al di là dei motivi di cui sopra, mi è piaciuto così tanto Spirited. Intanto, ne ho apprezzato la trama. Spirited prende tutti i cliché de Il canto di Natale, rende i personaggi consapevoli di essere protagonisti di una storia già raccontata mille volte, e ci ragiona sopra attraverso l'ottica cinica e moderna di Clint Briggs, media consultant che punta al successo sfruttando i più bassi istinti umani e che, ovviamente, rifiuta di sottomettersi al volere degli spiriti diventando l'ennesimo malvagio convertito. L'atteggiamento strafottente ma non privo di acume di Clint costringe il Fantasma del Natale presente, veterano che da anni potrebbe reincarnarsi ma continua a lavorare per recuperare le anime "prave", a rimettersi completamente in discussione deviando dal classico percorso di redenzione della vittima e anche dal classico rapporto tra fantasmi ed esseri umani, con twist interessanti che, ovviamente, non sto a svelare ma che posano interamente sulla bella alchimia tra Will Ferrell e Ryan Reynolds.


I due attori abbracciano i ruoli che sono loro più congeniali, ovvero quello dell'adorabile babbeo e quello dello stronzetto sboccato, e assieme fanno faville. Il rischio corso da Ferrell è sempre un po' quello di perdersi, a un certo punto, nella smielatezza di un personaggio costretto in improbabili storie d'amore (un punto debole di Euro Vision Song Contest, giusto per nominare una pellicola), ma fortunatamente la presenza di Reynolds, col suo reiterato rifiuto di ruoli e snodi canonici, mantiene salda quell'aura di cinismo che, di fatto, equilibra l'intera opera incarnando il messaggio che il film vuole veicolare, ovvero il rifiuto di una redenzione posticcia valida solo per quel "Christmas Morning Feelin" a favore, invece, di un impegno giornaliero ad essere persone imperfette ma gentili, che ci provano senza essere necessariamente straordinarie o sante, né cambiare dal giorno alla notte. Poi, ovviamente, c'è la parte musical. I compositori Pasek e Paul (già autori di un'opera a tema natalizio con A Christmas Story: The Musical e vincitori di un Oscar per City of Stars) hanno scritto una serie di canzoni che non solo catturano lo spirito irriverente e contemporaneamente festivo dell'opera, ma si adattano perfettamente allo stato d'animo e alla situazione contingente dei personaggi, toccando a volte picchi emozionanti che non sfigurerebbero in musical più "seri". Per la prima volta in anni mi sono ritrovata a ridere di cuore e a continuare a farlo per parecchi minuti grazie alla geniale Good Afternoon, sicuramente la mia canzone preferita, ma tutti gli altri numeri musicali valgono la visione, sono ben realizzati a livello di scenografie e luci (senza contare che spesso sono molto metacinematografici!) e ancor meglio eseguiti da attori e ballerini, forse con l'unica eccezione di Octavia Spencer che, povera stella, era palesemente alla sua prima prova come cantante e lascia trasparire tutte le difficoltà affrontate. Un piccolissimo neo che non inficia assolutamente la visione di Spirited e che, anzi, rende ancora più tenero il suo personaggio, l'unico (assieme allo scazzatissimo Marley di Patrick Page) a non farsi fagocitare dalla verve dei due protagonisti. Augurandovi un Good Afternoon, vi invito quindi a vedere il film il prima possibile, senza perdervi i titoli di coda, che contengono uno splendido numero musicale "scartato"!


Del regista e co-sceneggiatore Sean Anders ho già parlato QUI. Will Ferrell (Presente), Ryan Reynolds (Clint Briggs), Octavia Spencer (Kimberly), Tracy Morgan (voce originale di Futuro), Rose Byrne (Ms. Blansky), P.J.Byrne (Mr. Alteli) e Judi Dench (Judi Dench) li trovate invece ai rispettivi link.

Sunita Mani interpreta Passato. Americana, ha partecipato a film come Si salvi chi può!, Evil Eye, Everything Everywhere All at Once e a serie quali Mr. Robot e GLOW. Anche sceneggiatrice, ha 36 anni e un film in uscita. 


Se Spirited vi fosse piaciuto recuperare S.O.S. Fantasmi, Il Grinch e Elf. ENJOY!

martedì 13 dicembre 2022

Speak No Evil (2022)

Altro che Barbarian, il film più bastardo dell'anno è Speak No Evil, diretto e co-sceneggiato dal regista Christian Tafdrup.


Trama: una famiglia danese decide di accettare l'invito di un'altra famiglia, conosciuta in vacanza, a passare un weekend da loro in Olanda. La convivenza però non sarà così piacevole...


Ma si può sapere cosa diamine hanno i popoli scandinavi? Di tutti i film visti quest'anno, quelli che mi hanno angosciato di più sono stati Lamb (coproduzione in cui compare anche la Svezia), The Innocents (Norvegia), Hatching (Finlandia) e Syk Pike (Norvegia), adesso è arrivato Speak No Evil, uno slow burn danese dal finale terrificante, che mi ha lasciato addosso un nervoso mai più provato dai tempi di Funny Games. Cercherò di non fare spoiler, ovviamente, anche se immagino l'avrete già guardato tutti visto che si trova sul canale Midnight Factory di Prime Video. Nel caso non fosse così, sappiate che Speak No Evil è uno di quei film in cui "non succede niente" quasi fino alla fine, più uno studio sui personaggi e sulle interazioni tra gli stessi che un thriller/horror e, quel che è peggio, è terribilmente verosimile. La storia, infatti, è quella di Bjørn, Louise e la piccola Agnes, famigliola danese che, in vacanza in Italia (dovrebbe essere a Volterra, per la cronaca), ha modo di passare parecchio tempo con la famiglia olandese composta da Patrick, Karin e dal loro scontroso figlioletto Abel. Finita la vacanza, ai danesi arriva una cartolina da parte degli olandesi, che li invitano a passare un weekend da loro; dopo qualche giorno di riflessione, i danesi decidono di accettare, memori dei bei momenti passati assieme, tuttavia l'accoglienza olandese non è proprio quella sperata e la famiglia di Bjørn si ritrova ad essere sempre più insofferente davanti alle mille piccole cose che non vanno. Lo studio dei personaggi comincia già dalla breve parentesi italiana. Dal gioco di sguardi, mezze parole e atteggiamenti, capiamo che Bjørn e Louise hanno i loro problemi come coppia (probabilmente stanno scendendo la china verso un divorzio neppure troppo distante), per nulla aiutati dalla natura "mammona" di Agnes, che non può stare senza il suo coniglietto di peluche e non riesce nemmeno a dormire in camera sua. La costante ricerca di distrazioni, di novità, deriva da un'impossibilità di comunicare e di rovinare la facciata esteriore di perfezione borghese, due caratteristiche che Bjørn e Louise si portano dietro in Olanda e che, complice anche il gap linguistico/culturale, impedisce loro di tirare fuori le palle quando gli atteggiamenti di Patrick e Karin cominciano a risultare sgradevoli.


La bastardaggine insita in Speak No Evil è proprio questa. Bjørn ed Agnes, per educazione o desiderio di quieto vivere, mostrano, durante la prima parte del film, un fastidio piccato che si risolve in "scaramucce" interne alla coppia, seguite da sorrisi falsi all'indirizzo dei loro ospiti; il "gioco" è quello di spingere lo spettatore ad alzare gli occhi al cielo di fronte alla rozzezza degli olandesi, ma anche a chiedersi quanto possano essere rompicoglioni 'sti due danesi, ai quali non va bene mai nulla, un dualismo che mi sono ritrovata a sperimentare io stessa nella vita, arrivando in diverse occasioni a non esternare le mie rimostranze per paura di essere io la rompiscatole che magari non capisce le buone intenzioni di chi mi circonda. Speak No Evil approfitta di questa verosimiglianza, è un continuo rimpiattino che cambia continuamente punti di vista e lascia lo spettatore sul chi va là, preso dal disperato tentativo di capire dove e come arriverà l'incoolata, talmente intento a sviscerare dialoghi e sguardi da perdersi i tanti piccoli indizi rivelatori che il regista lascia cadere fin dall'inizio, anzi, da ancora prima che cominci il film, a ben vedere. Il risultato, almeno per me, è stato un nervoso senza fine scatenato dagli ultimi dieci minuti di film. Capitemi, vi prego: Speak No Evil è una delle pellicole più interessanti, ben costruite e meglio interpretate dell'anno, ha anche una colonna strepitosa, però ha smosso in me un odio fuori dal comune e, per spiegarvi il motivo, dovete prima andare a vedere il film e poi tornare qui. A prescindere, guardatelo e cercate di non maledirmi, perché non riesco a sconsigliarvelo, dopodiché parliamo di questo:

SPOILER

Mamannaggialapu**ana, ma veramente fate??? Davanti a due persone folli, che 99 su 100 vi uccideranno comunque, davvero non provate nemmeno per un istante a reagire? A me, in tutta onestà, è parso che gli olandesi fossero armati solamente di un paio di forbici e non ho visto nessuna pistola, per dire, quindi perché mai né Bjørn né Louise hanno fatto almeno un tentativo di prenderle e infilarle in un occhio ai loro aguzzini? Ma io mi contorcevo sulla sedia, pregavo di avere il potere di entrare nello schermo a fare scempio di sti due maledetti, con le unghie e con i denti, altro che annuire e nascondersi dopo due pugnetti allo stomaco. Figli miei, vi meritate di venire lapidati, eh, anche se un po' di magone mi è venuto. E i pargoletti, santo cielo. Ho capito il gap linguistico e la mancanza letterale della lingua ma esistono I DISEGNI, esiste prendere per mano la figlia delle vittime e portarla a vedere l'inquietante sala dei trofei, esistono mille modi per evitare che altri bambini vengano condannati a un infausto destino! Ma dai, ma che nervoso!!

FINE SPOILER, CORRETE A VEDERE IL FILM 

Christian Tafdrup è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Danese, ha diretto i film A Horrible Woman e Parents. Anche attore, ha 45 anni.


Se il film vi fosse piaciuto, recuperate Il sacrificio del cervo sacro, The Invitation e Funny Games. ENJOY!



SPOILER SUL FINALE:
Il finale originale prevedeva la presenza di altre persone uccise in modi diversi, altri ospiti di altre famiglie olandesi, riunite in una vera e propria setta. Poiché si è rivelato difficile girare con così tante persone, alla fine il regista ha deciso di ridurle a due.


venerdì 9 dicembre 2022

Slumberland - Nel mondo dei sogni (2022)

In cerca di un film da vedere col Bolluomo domenica, siamo incappati in Slumberland - Nel mondo dei sogni (Slumberland), diretto dal regista Francis Lawrence, presente sul catalogo Netflix e liberamente tratto dalle strisce a fumetti Little Nemo di Winsor McCay.


Trama: una ragazzina trova la mappa di Slumberland, il regno dei sogni, e assieme a un eccentrico ladro di nome Flip decide di andare in cerca delle leggendarie perle in grado di esaudire ogni desiderio...


Non avevo visto nessun trailer di Slumberland e sono stata spinta alla visione da un paio di fattori abbastanza "personali". In primis, come ho scritto sopra, cercavo qualcosa da poter vedere col Bolluomo a fronte dell'ulteriore rinvio di Wakanda Forever causa impegni domenicali, quindi qualcosa di non troppo pesante né lungo e che potessimo guardare anche senza per forza vederlo in lingua originale, ché qui non parliamo di chissà quali interpretazioni da godere necessariamente in v.o. Seconda cosa, scorrendo vari post su Facebook mi erano capitati sott'occhio un paio di pareri sorpresi di persone che si aspettavano una cretinata cosmica e invece si sono trovati davanti un film godibile e persino non banale nell'affrontare argomenti abbastanza delicati, di qui la decisione di dargli una chance. In effetti, Slumberland non è sciocco come lasciavano supporre le foto promozionali di un Jason Momoa cornuto e, pur non arrivando ai picchi di poesia di uno splendore come A Monster Calls, affronta con delicatezza un paio di argomenti molto tristi. Senza fare troppi spoiler, Slumberland parla dell'elaborazione del lutto e della difficoltà di affrontare il mondo reale quando subentra una depressione tale che l'unica cosa che si desidera fare è dormire (ahimé, non parlo per sentito dire), per sfuggire ai pensieri cupi che ci offuscano la mente; il mondo di Slumberland è un gioioso caleidoscopio pieno di avventure, dove c'è anche la speranza di rivedere chi è morto e passare di nuovo parte dell'esistenza con i nostri cari defunti. Il concetto, ovviamente, veniva espresso in maniera più adulta e angosciante in Al di là dei sogni e qui l'attenzione dello spettatore viene "deviata" un po' dalle situazioni divertenti e al limite del surreale che la piccola Nemo è costretta ad affrontare, dalla natura gigiona e animalesca di Momoa e dalla mascotte preferita in casa Bolla/Gazzera, il porcellino di peluche Maiale, ma ciò non toglie che il desiderio di Nemo di rimanere a Slumberland è comprensibile e molto triste.


Slumberland è abbastanza realistico ed equilibrato anche in un altro aspetto che, spesso, nelle pellicole viene esacerbato in positivo o in negativo, ovvero quello del ricollocamento dei ragazzi in nuove scuole o famiglie. Di solito la trama sceglie solo il punto di vista del protagonista bambino, soprattutto in questo genere di film per ragazzi, qui invece la vicenda viene filtrata anche dagli occhi di un adulto che si ritrova a non sapere come gestire le novità della sua vita; lo zio Philip non è né una persona zeppa di qualità né uno di quei patrigni malvagi che trattano i piccoli ospiti a pesci in faccia, è semplicemente un tizio normalissimo abituato a stare da solo che non sa assolutamente come relazionarsi con gli altri e, ovviamente, avendo un animo buono ne soffre, anche perché con Nemo imbrocca un errore dietro l'altro. Avrete capito che ho apprezzato molto il personaggio di Philip, interpretato da un Chris O'Dowd dolce e sfigatello a cui la sceneggiatura offre ampio spazio di sviluppo e che, nonostante tutto, riesce a non farsi "divorare" dall'esuberante Jason Momoa. A quest'ultimo ("abbruttito" ma non penalizzato da orecchie morbidose, corna caprine e buzza di birra in bella vista) va l'onore di essere riuscito ad evitare l'effetto Jack Sparrow nonostante i rischi intrinsechi nel personaggio di Flip e di avere interpretato quest'ultimo mettendoci del suo, riuscendo anche a trovare una bella alchimia con la piccola Marlow Barkley, caruccetta ma non particolarmente espressiva, almeno per quanto mi riguarda. Sarà che la bella trama mi ha messa di buonumore, ma sono riuscita a non provare fastidio nemmeno di fronte alla CGI invasiva. Quest'ultima è ovviamente indispensabile durante le sequenze ambientate a Slumberland, dove la fantasia degli animatori e del regista dà origine ad alcune scene pregevoli, come quella del sogno della ballerina spagnola, zeppo di coloratissime farfalle, ma crea un tangibile senso di posticcio all'interno del faro dove abita Nemo e, purtroppo, anche nei momenti in cui i personaggi si ritrovano in mare, dove lo stacco tra attori, barca e sfondo è molto visibile. Piccoli difetti sui quali si può anche sorvolare, ché sarebbe un peccato non dare una chance a questo Slumberland, perfetto per tutta la famiglia e delizioso anche se non avete figli!


Del regista Francis Lawrence ho già parlato QUI. Jason Momoa (Flip), Chris O'Dowd (Philip) e Kyle Chandler (Peter) li trovate invece ai rispettivi link.


Le strisce di Winsor McKay erano già state adattate in un cartone animato dal titolo Piccolo Nemo - Avventure nel mondo dei sogni ma, non avendolo mai visto, non posso consigliarvelo o meno, tuttavia se Slumberland vi fosse piaciuto consiglio il recupero di Stardust, A Monster Calls e I Kill Giants. ENJOY!