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venerdì 22 novembre 2024

My Old Ass (2024)

Attirata dalla presenza nel cast di Aubrey Plaza, ho recuperato su Prime Video il film My Old Ass, diretto e sceneggiato dalla regista Megan Park

Disclaimer con spoiler: il post (che ho ritenuto opportuno non modificare per non alterarne la natura super partes) è stato scritto subito dopo aver guardato il film, visto senza sapere nulla relativamente alle mille controversie che circondano Percy Hynes White, accusato di razzismo e violenza sessuale. Mi sono documentata dopo avere sbirciato una serie di recensioni negative che accusavano My Old Ass di whitewashing, di avere scelto un mostro come love interest della protagonista e di avere usato il personaggio per "instradare" la lesbica Elliott verso l'eterosessualità. Quest'ultimo aspetto è una grossa puttanata, perché la protagonista arriva a definirsi pansessuale (come lo è, del resto, l'attrice che la interpreta), mentre capisco che alcuni spettatori possano provare disagio e disgusto di fronte ad accuse abbastanza pesanti, sebbene ancora non provate. Quindi, prendete sia il mio post che il film con le pinze della vostra sensibilità personale. 


Trama: il giorno del suo 18simo compleanno, strafatta di funghi allucinogeni, Elliott incontra la se stessa adulta. I pochi consigli della donna cambieranno l'ultima estate che Elliott passerà prima di andare a vivere lontana dalla sua famiglia...


Non di solo horror vive la Bolla, lo sapete, anche se avrete notato che ho saltato a piè pari tutte o quasi le ultime uscite d'Autore, tra Sorrentino, Coppola e Scott. La verità è che è un periodo svogliato ma anche pieno di belle cose da fare nei weekend, zeppi di viaggi e occasioni di socializzare con gli amici, come non accadeva da un po'. E in settimana, senza nessuno che mi accompagni al cinema, mi viene il culo pesante ad andare da sola. Ma questo non c'entra nulla con My Old Ass, tranne il fatto di avere, per l'appunto, un "ass" che non solo è "heavy" ma anche "old", e di essermi ritrovata una sera con la voglia di ammirare l'adorata Aubrey Plaza. Purtroppo, l'unica attrice che potrebbe convincermi a cambiare sponda si vede poco in My Old Ass, giusto all'inizio e alla fine. Il secondo film di Megan Park, infatti, si concentra sui cambiamenti che Elliott, diciottenne lesbica in procinto di andare via dall'odiato paesino in cui è nata, subisce a seguito dell'incontro allucinato con la sua versione adulta. All'inizio del film Elliott è una teenager sicura del suo futuro radioso e consapevole di ciò che le fa schifo, vittima di quel disprezzo verso le nostre radici che abbiamo avuto tutti a quell'età; non sopporta i suoi strani fratelli minori, è insofferente verso i genitori, non ha intenzione di fare la loro stessa vita, ovvero vivere ai margini delle foreste canadesi nella fattoria di famiglia, a coltivare mirtilli (certo, è anche vero che non sa assolutamente cosa voglia diventare una volta trasferitasi nella grande città. Ma anche questo è tipico di quell'età). Durante i festeggiamenti per il suo diciottesimo compleanno, complice una tisana allucinogena, Elliott si ritrova faccia a faccia con la sua versione quasi quarantenne, la quale, senza troppo esagerare, le dà qualche consiglio che si rivelerà prezioso per trasformare l'ultima estate prima di trasferirsi in città in un percorso di maturazione e comprensione. Da uno spunto quasi fantascientifico, che si sviluppa in modo ancor più surreale sfruttando la tecnologia, Megan Park confeziona un altro slice of life, meno tragico di The Fallout ma comunque attento ad indagare nell'animo di adolescenti a un passo dall'età adulta, frastornati da cambiamenti sui quali non possono avere alcun controllo, con conseguente, somma frustrazione. La Park, però, stavolta parla anche ai nostri vecchi culi, ricordandoci che crogiolarci nella malinconia del passato per evitare di guardare con ottimismo al futuro, confondendo l'incoscienza entusiasta della gioventù per stupidità, è la via più rapida per diventare adulti tristi e pavidi, gli stessi che criticavamo con veemenza a 18 anni. Il risultato è una rom com dolceamara, che a quelli della mia età ricorderà, per qualcosa che non sto a spoilerarvi, uno dei film più spaccacuore di sempre (e, se vorrete, vi dirò quale nei commenti).


My Old Ass
alterna momenti assai divertenti, tra i quali il geniale utilizzo della canzone One Less Lonely Girl di Justin Bieber (a tal proposito, il mio ass è veramente old e meno male, mi sono venuti i brividi al pensiero di aver potuto essere una delle beliebers dell'epoca, eeew!!!) e le interazioni tra Aubrey Plaza e Maisy Stella, ad altri commoventi al punto che mi sono ritrovata a spendere copiose lacrime, anche se in questo ho trovato la sceneggiatura leggermente scorretta, salvo ovviamente sul finale. Il punto è che mentre Elliott e Chad sono ben caratterizzati, e Maisy Stella interpreta la protagonista con verve e credibilità sorprendenti, quella famiglia di cui dovrebbe importarci rimane evanescente e in sottofondo fino al momento dei confronti "emotivi", che ci strappano pianti commossi pur non avendo dietro una base solida, a meno che per "base solida" non si intendano gli splendidi paesaggi che Elliott è pronta ad abbandonare. Molto interessante, invece, far sì che la Elliott del futuro imponga solo un divieto alla sua giovane controparte; questo, unito a un dettaglio linguistico assai importante relativamente all'oggetto del divieto, spinge lo spettatore a seguire con maggiore curiosità la vicenda e a chiedersi, come la protagonista, il motivo dietro alla categorica richiesta. Quanto ad Aubrey Plaza, che è poi il motivo che mi ha spinta a recuperare My Old Ass, sfrutta al massimo il poco tempo concessole ed incarna alla perfezione le due anime del film, creando un'adulta imperfetta, cinica e amara, con la quale mi sono rispecchiata parecchio. Anzi, spero vivamente che il messaggio positivo di questo delizioso film mi spinga a cambiare un po' il mio atteggiamento già "vinto" nei confronti dell'esistenza, ché qui la nostalgia del tempo passato e sprecato, oltre alla volontà di fermarlo, è ormai diventata una costante dalla quale è difficile uscire, per di più ottimisti. Anche per questo, vi sconsiglierei di recuperare My Old Ass in un periodo di sconforto, perché la parte drammatica rischierebbe di abbattervi senza possibilità di venire sollevati dai tanti momenti lieti. Vi ho avvisati, ma sappiate che sarebbe comunque un peccato perderlo!


Della regista e sceneggiatrice Megan Park ho già parlato QUI mentre Aubrey Plaza, che interpreta la Elliott cresciuta, la trovate QUA.


Percy Hynes White
, che interpreta Chad, era lo Xavier della serie Mercoledì mentre Maddie Ziegler, che interpreta Ruthie, era la co-protagonista di The Fallout. ENJOY!

martedì 19 novembre 2024

The Toxic Avenger - Il vendicatore tossico (1984)

Sono testarda e, nonostante il sicuro fallimento, continuo con la challenge di Letterboxd! Il tema di oggi è "Happy Anniversary! Watch a Horror released in 1984", così ho scelto The Toxic Avenger - Il vendicatore tossico (The Toxic Avenger), diretto e sceneggiato dai registi Michael Herz e Lloyd Kaufman nel 1984.


Trama: Melvin, tuttofare sfigato della palestra di Tromaville, finisce dentro dei rifiuti tossici e si trasforma in un giustiziere dall'aspetto mostruoso...


Credo corresse la fine del vecchio millennio quando ho sentito per la prima volta il nome Troma, citato all'interno della spassosissima rubrica di Ciak dedicata ai film weird e, più volte, all'interno dell'elenco delle 100 pellicole più brutte della storia del cinema. Ho poi recuperato, qualche anno dopo, quel Tromeo e Giulietta di cui non ricordo nulla, inizio e fine della mia storia con la casa di produzione fondata da Michael Herz e Lloyd Kaufman. Com'è stato, dunque, guardare The Toxic Avenger, caposaldo della Troma, praticamente "vergine", a 40 anni dalla sua uscita? Molto divertente e stranamente piacevole. Mi aspettavo una boiata della peggio specie, per di più noiosissima, pompata da orde di nostalgici o amanti del trash, ma la verità è che The Toxic Avenger ha un cuore, per quanto marcio. Ciò che lo rende vivo e simpaticissimo è la volontà di divertire in primis chi lo ha realizzato, anche se la trama è solo una scusa per mostrare le peggio nefandezze, pompando su un disgusto che non nasce solo dalle scene splatter. Il teatro della vicenda, infatti, è la cittadina fittizia di Tromaville, dove vengono stipati tutti i rifiuti tossici d'America grazie alla connivenza del laido sindaco. In una città che fa dell'immondizia tossica la sua ragion d'essere, esiste una palestra che raccoglie la peggio gioventù (e non solo), fatta di bulli, zoccolotte, drogati, assassini seriali e pervertiti di ogni genere e lì lavora il povero Melvin, al confronto del quale Steve Urkel era un modello di figaggine. A seguito dell'ennesimo scherzo ai suoi danni, Melvin finisce all'interno di un barile di liquame tossico e si trasforma in un mostro ma, attenzione, perché a Tromaville il bello è brutto e viceversa: l'incidente non risveglia la malvagità di Melvin, bensì un profondo senso di giustizia e la volontà di eradicare tutto il male presente nella tristissima cittadina. Dopo anni di supereroi cinematografici puliti e a modino, ammetto di essere rimasta piacevolmente colpita dalla semplicità d'intenti e della purezza di questo "avenger", deciso a soffocare nel sangue tutti i malviventi e a punirli senza temere di essere troppo eccessivo. A differenza di film come Terrifier, che fanno venire voglia di vomitare il panettone dell'84 perché, pur essendo giocosi, a modo loro, fanno dannatamente sul serio nelle scene splatter, The Toxic Avenger carica di umorismo slapstick anche le mattanze, e non risulta mai fastidioso nell'eccesso, nemmeno quando vengono messi in mezzo bambini e cani.


Intendiamoci, The Toxic Avenger, come ho accennato sopra, è comunque disgustoso, ma perché è volutamente rozzo. Il 90% dei personaggi maschili fa davvero schifo ai cani (se andiamo a vedere, il meno orripilante è proprio il vendicatore tossico, nonostante viva nella rumenta e sia deforme) e, in generale, tutta la città di Tromaville è connotata da un profondo squallore; inoltre, l'umorismo anni '80 zeppo di ragazze zoccole, macchiette gay, fat shaming, tette, culi e quant'altro ha cominciato a pesarmi non poco, anche se questo è probabilmente solo un mio problema, che si può superare contestualizzando, appunto, l'epoca e il pubblico a cui un film come The Toxic Avenger era destinato. Gli attori sono mediamente cani, questo è vero, per la maggior parte destinati a brillare solo con questo titolo oppure a razzolare esclusivamente nel pollaio della Troma, ma nel complesso la loro incapacità attoriale non è fastidiosa e rispecchia in pieno la natura genuina del prodotto finito. Me lo aspettavo, d'altra parte, mentre invece quello che mi ha stupito sono una regia discreta (assimilabile ai migliori Scuola di polizia, giusto per dare un'idea) e degli effetti speciali artigianali ma dignitosissimi, se si pensa al basso budget. Ho apprezzato anche gli scontri tra il vendicatore tossico e tutta una serie di criminali urbani, perché alcuni sono coreografati in maniera vivace e non scontata, e mi sono ritrovata a ridere per parecchie trovate atte a parodiare i generi più svariati, la rom com in primis (ma ce n'è davvero per tutti i gusti. Potete persino trovare citato il Dottor Stranamore, tanto di cappello a Kaufman e Herz!). La cosa più importante di tutte però, vista la mia vecchiaia, è che non mi sono addormentata neppure una volta guardando The Toxic Avenger, il che depone molto a favore del mio voto positivo odierno. Il film "manifesto" della Troma, infatti, non è per tutti e io stessa (pur essendo contenta di averlo visto) non credo lo riguarderò mai più, ma se volete approcciarvi alle opere di questa particolarissima e famigerata casa di produzione potrebbe essere un ottimo punto d'inizio.  

Michael Herz è il co- regista della pellicola. Americano, co-fondatore della Troma, ha diretto film come The Toxic Avenger Part II, The Toxic Avenger Part III: The Last Temptation of Toxie e Sgt. Kabukiman N.Y.P.D. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 75 anni.


Lloyd Kaufman
(accreditato come Samuel Weil) è il co- regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, co-fondatore della Troma, ha diretto film come Class of Nuke 'Em High, The Toxic Avenger Part II, The Toxic Avenger Part III: The Last Temptation of Toxie, Sgt. Kabukiman N.Y.P.D. , Tromeo and Juliet, Citizen Toxie: The Toxic Avenger IV e Poultrygeist: Night of the Chicken Dead. Anche attore e produttore, ha 79 anni. 


Vincent D'Onofrio
avrebbe dovuto interpretare Bozo ma è stato licenziato per aver chiesto un aumento di salario e sostituito da Gary Schneider. Il film ha generato tre seguiti: The Toxic Avenger Part II, The Toxic Avenger Part III: The Last Temptation of Toxie e Citizen Toxie: The Toxic Avenger IV. Esisterebbero anche due remake, The Toxic Avenger: The Musical e quel The Toxic Avenger con Peter Dinklage che, ad oggi, non ha ancora trovato distribuzione. Nell'attesa che il miracolo si compia, cose da recuperare ne avete! ENJOY!

venerdì 15 novembre 2024

Don't Move (2024)

Attirata dal nome del produttore Sam Raimi, ho recuperato su Netflix Don't Move, diretto dai registi Brian Netto e Adam Schindler.


Trama: pronta a suicidarsi dopo la morte del figlioletto, Iris si ritrova a dover combattere per sopravvivere quando un serial killer le inietta un farmaco paralizzante e comincia a darle la caccia nel bosco...


Disney +
ci invitava a trattenere il respiro, Netflix ci impone di non muoverci, chissà adesso cosa vorrà da noi Prime. Nell'attesa di scoprirlo, Don't Move è l'ennesima aggiunta "media" al catalogo Netflix ed è un peccato vedere il nome di Raimi tra i produttori di una cosina tutto sommato risibile. Il film va poco oltre l'idea riassunta nel titolo, e funziona per quei minuti in cui la protagonista scopre i terribili effetti della tossina iniettatale dal maniaco di turno, ritrovandosi paralizzata in mezzo a un bosco. Capirete anche voi, però, che l'immobilità totale favoleggiata dal killer non potrà durare molto, altrimenti sarebbe stato problematico fare evolvere la vicenda, quindi la protagonista un po' avrà sempre modo di fare qualcosa, in primis sbattere le palpebre per comunicare, rotolando "felice" di plot device in plot device, sempre grazie a gente SCEMA. La cosa davvero innovativa di Don't Move, in effetti, è la stupidità anormale del killer. Quest'ultimo, nella realtà, sarebbe stato sgamato e incaprettato dopo due minuti, fortunatamente per lui i potenziali soccorritori di Iris sono ancora più idioti ed è un bene che la protagonista riesca a muovere gli occhi, così da poter dimostrare il suo disappunto facendoli roteare fortissimo. Capisco che l'idea dietro a Richard sia "family man che nasconde un terribile segreto", ma se solo gli sceneggiatori del film si fossero guardati Spoorloos avrebbero capito che esistono anche modi per renderla inquietante ed efficace, invece Richard è proprio un belinone che persino un bambino riuscirebbe a fregare. Passando ad Iris, quest'ultima ha due caratteristiche. E' piagata dal dolore per la morte di un figlio il cui destino è poco meno idiota di quello del protagonista di Antichrist (io ultimamente piango per un nonnulla ma non ho provato niente davanti al disagio esistenziale di questa madre, giuro) e riesce a mantenere una pelle flawless e capelli perfetti anche dopo avere corso per venti minuti nel bosco ed essere caduta nelle rapide. Credevo che solo Megan Fox potesse ambire a simili risultati, e invece. Il fatto che sembri anche carismatica è interamente dovuto alla dabbenaggine di Richard, che è poi lo stesso motivo per cui, un pochino, ci sentiamo in pena per lei e speriamo sopravviva, ma ammetto che, sul finale, non mi importava granché.


Nulla da dire, letteralmente, sulla regia. Brian Netto e Adam Schindler consegnano un compitino pulito ma anonimo, privo di difetti ma anche di qualcosa per cui entusiasmarsi. Il fatto che l'ambiente montano e il bosco siano sfruttati poco, che non veicolino alcun senso di claustrofobia, ha del criminale, e lo stesso vale per una sorta di "terra di nessuno" talmente priva di personalità che non viene neppure l'ansia al pensiero di incontrare gli autoctoni, cosa gravissima. Quanto agli attori... eh. Io a Finn Wittrock voglio non bene, di più. Però quella faccetta da babbalone belloccio riesce a farla funzionare solo Ryan Murphy e non avete idea di quante volte abbia rimpianto il Dandy di American Horror Story Freakshow, che era scemo, sì, ma faceva anche tantissima paura. Provaci ancora, Finn, sei comunque gnocco e vederti senza maglietta è sempre un piacere. Così come sarà piacevole, non ne dubito, godersi la bellezza di Kelsey Asbille per il pubblico interessato ai volti femminili, ma la ragazza funzionava più come comprimaria nel bellissimo I segreti di Wind River che come protagonista di un intero lungometraggio. Mi direte, ha poco da fare, non deve neppure sforzarsi di essere espressiva, quindi le basta essere bella, però si poteva fare di più. Il che, riassumendo, è il mio pensiero su Don't Move. Carino, guardabile per il tempo che dura, ma si poteva fare MOLTO di più. Avanti il prossimo!


Del co-regista Adam Schindler ho già parlato QUI mentre Finn Wittrock, che interpreta Richard, lo trovate QUA.

Brian Netto è il co-regista della pellicola. Americano, anche sceneggiatore, produttore e attore, è al suo secondo lungometraggio.


Se Don't Move vi fosse piaciuto recuperate What Keeps You AliveHunted, Hush, Man in the Dark e Alone. ENJOY!






martedì 12 novembre 2024

Strange Darling (2023)

Attirata da una vagonata di recensioni positive, ho recuperato Strange Darling, diretto e sceneggiato nel 2023 dal regista JT Mollner.


Trama: una donna fugge nel bosco, inseguita da un uomo armato di fucile. Nel corso di sei capitoli, capiremo perché...


Premesso che l'horror più strano che vedrete quest'anno è Cuckoo (anche lì, tra l'altro, c'è una bionda dalla testa fasciata), Strange Darling, che dell'horror riprende alcuni topoi e buona parte della violenza rappresentata ma, di fatto, è un thriller, è di sicuro uno dei film più particolari. Lo è talmente tanto, infatti, che non posso parlarvene come vorrei, perché basterebbe una frase sbagliata per rovinare una visione costellata di twist enfatizzati dalla strana struttura della pellicola. I capitoli di Strange Darling, ognuno caratterizzato da un titolo rivelatore, non sono in ordine cronologico, bensì mescolati in modo da ottenere un effetto sorpresa ancora maggiore e giocare con le aspettative e i pregiudizi del pubblico. L'unica cosa che vi posso dire relativamente all'intreccio, prima di passare alla parte spoilerosa del post, è che c'è un uomo che insegue una donna e che molte persone finiranno vittime di questa sanguinosa caccia. Posso parlare più liberamente degli aspetti tecnici di Strange Darling, girato dichiaratamente in 35 mm e fotografato in colori vividissimi sui quali spicca il rosso, il colore dell'amore, del pericolo, del sangue; il  direttore della splendida fotografia, per inciso, è Giovanni Ribisi, che si è messo alla prova dopo un'ottima carriera di attore e non ha certamente cominciato trattenendosi. E non si sono trattenuti neppure gli attori ma, anche qui, vi rimando a dopo la visione, così potete leggere quello che ne penso sotto la linea dello spoiler. Per convincervi a dare una chance a Strange Darling, aggiungo solo che ha una colonna sonora (della musicista Z Berg), che ascolterei in loop e che, tolte le ovvie differenze e al netto di iperboli che rischierebbero di attirarmi strali post-visione, ha alcuni elementi che rimandano ai primissimi Tarantino e Coen senza voler essere un omaggio dichiarato, né una delle mille copie carbone che mirano a seguire un trend mai esaurito. Purtroppo devo fermarmi qui o rischio davvero di rovinare l'esperienza Strange Darling a chi dovesse leggere queste righe e fidarsi. Spero che ciò che ho scritto vi spinga alla visione, mal che vada potete mandarmi al diavolo nei commenti! E ora passiamo agli


SPOILER

Strange Darling è un film furbissimo, in senso buono. Non arrivo a definirlo geniale, forse non è il caso, ma mi ritengo una persona ormai abbastanza sgamata e difficilmente rimango sorpresa da una trama. Ecco, JT Mollner mi ha fregata alla grande, ho inghiottito l'esca con amo e tutto, accogliendo senza pormi nemmeno una domanda immagini e dialoghi troppo "espliciti" per non far venire dubbi. Forse perché "ho una vagina", come viene rinfacciato molto simpaticamente alla poliziotta dell'ultimo capitolo dal suo superiore, mi sono lasciata ingannare (come lei) da tutti gli stereotipi cinematografici che vogliono una donna indifesa, inseguita in un bosco da un demone armato di fucile, pronto a violentarla o peggio. JT Mollner gioca con questi topoi, sfruttando la morale comune e il ritorno in grande stile dei rape and revenge, portando avanti il suo inganno in parallelo con quello della "Lady" che, ben lungi dall'essere una damsel in distress, è una serial killer senza scrupoli. L'inganno funziona non solo in virtù della già citata struttura divisa in capitoli mescolati, o per l'intro descrittivo che fa molto true crime, ma anche perché il film disattende continuamente le aspettative dello spettatore, indossando di volta in volta la maschera del dramma psicologico, del thriller erotico, persino della celebrazione dell'amour fou (contro ogni buon senso, vi giuro che ho sperato che Lady e il Demone si riscoprissero seriamente innamorati, sono veramente un bibino gloglottante). Anche le inquadrature e il montaggio, oltre alla colonna sonora di cui ho parlato sopra, sostengono l'inganno alla perfezione, ti portano dove vuole JT Mollner al punto che le palesi dissonanze non vengono neppure percepite. Pensate pure che fossi svogliata e disattenta, durante la visione, ma giuro che non era così (no, sto mentendo. Lo so dove mi sono distratta. Davanti a quella cazzo di colazione a base di burro e zuccheri, capace di fare impallidire il "imburra la pancetta e impancetta la salsiccia" di Simpsoniana memoria), non mi sono neppure addormentata, e sì che ero stanca morta . Anche perché è impossibile addormentarsi davanti alla performance di Willa Fitzgerald, altra candidata di un ideale Oscar che quest'anno dovrebbe fare incetta di nomi femminili horror. Comincia in maniera soft la Fitzgerald, quasi banale, ché il genere è pieno di final girl urlanti e insanguinate, lo sapete meglio di me. Ma guardate la final girl trasformarsi in femme fatale prima, mostro poi e vittima della sua stessa psiche malata sul finale, e vi renderete conto che la sua è una delle performance dell'anno. Kyle Gallner lo sa, e signorilmente la sostiene senza esagerare, dando corpo al proprio personaggio attraverso sfumature, anche fisiche, che concorrono a rendere ancora più efficace l'inganno di Strange Darling. Un film strano, come da titolo, e per questo da tenersi ancora più caro in questo 2024 cinematografico che, arrivato quasi alla fine e dopo un inizio lentino, continua a sorprendere e a dare enormi soddisfazioni.  
 

Di Kyle Gallner (il Demone), Barbara Hershey (Genevieve), Jason Patric (voce del narratore true crime) e Giovanni Ribisi (direttore della fotografia nonché voce di Art Pallone) ho parlato ai rispettivi link.

JT Mollner è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto un altro lungometraggio, Outlaws and Angels. E' anche produttore e attore.


Willa Fitzgerald
interpreta The Lady. Americana, la ricordo per serie quali Scream: La serie, Piccole donne e La caduta della casa degli Usher. Ha 33 anni e un film in uscita. 


Ed Begley Jr.
interpreta Frederick. Americano, lo ricordo per film come Il bacio della pantera, She Devil, Caro zio Joe, Mezzo professore tra i marines, Batman Forever, Auto Focus, Ghostbusters e serie quali Happy Days, Starsky & Hutch, Colombo, Wonder Woman, Charlie's Angels, Fantasilandia, Love Boat, Pappa e ciccia, I racconti della cripta, Una famiglia del terzo tipo, Sabrina vita da strega, La tata, Dharma & Greg, Scrubs, Kingdom Hospital, Six Feet Under, Hannah Montana, CSI: Miami, Better Call Saul e Young Sheldon; come doppiatore ha lavorato in Batman, Capitan Planet, I Rugrats, I Simpson e Spongebob Squarepants. Anche produttore e regista, ha 75 anni e cinque film in uscita. 




venerdì 8 novembre 2024

Alien - La clonazione (1997)

Con la Spooky Season ho un po' abbandonato la horror challenge (direi ormai fallita) di Letterboxd. Ricomincio oggi con Alien - La clonazione (Alien - Resurrection), diretto nel 1997 dal regista Jean-Pierre Jeunet e scelto dalla collezione video del creatore della challenge.


Trama: duecento anni dopo la sua morte, Ripley viene clonata ibridando cellule umane ed aliene. Assieme a un gruppo di mercenari, si ritrova nuovamente a dover affrontare gli xenomorfi...


Con Alien - La clonazione posso dire di avere finalmente completato il mio recupero della saga, anche se sono quasi sicura che avessi già visto questo film in passato. La cosa ironica è che i fan considerano la pellicola di Jeunet il punto più basso mai raggiunto dal franchise, mentre a me non è sembrata chissà quale aberrazione, così come gli altri non mi sono sembrati chissà quali capolavori, quindi questo non sarà un post disgustato. In Alien - La clonazione Ripley viene, per l'appunto, clonata dopo 200 anni dal sacrificio finale di Alien3. Il risultato è una protagonista assai diversa da quella a cui siamo abituati, un ibrido tra umano e alieno che, probabilmente, è alla ricerca del suo posto nel mondo, ma nel frattempo non si fa menare il belino da chi la ritiene un mostro o un giocattolo da sfruttare. E' una Ripley amara, selvatica e sensuale, ma anche capace di enormi slanci emotivi, con un piede nel mondo umano e l'altro in quello delle creature contro la quale si è scontrata per tutta la vita precedente; si vede che la sceneggiatura è stata scritta da Joss Whedon, perché i tratti di Ripley hanno qualcosa che ricorda Buffy all'inizio della sesta serie, quella che "vive all'inferno perché è stata cacciata dal Paradiso". Allo stesso modo, i comprimari della vicenda, quel mix di mercenari e pirati spaziali ingaggiati dai militari per il più orribile ed ingrato dei compiti, richiamano un po' Firefly e altre opere dello sceneggiatore, forse per questo mi sono sentita a casa guardando Alien - La clonazione (per quanto Whedon sia un uomo di merda, le sue opere televisive mi fanno l'effetto coperta di Linus). Un altro punto a favore della sceneggiatura è l'arrivo di quell'ibrido xenomorfo-umano che mi ha causato un sacco di sentimenti contrastanti, non tutti necessariamente negativi, tra i quali una profonda pena che, sul finale, ha eclissato l'istintivo disgusto provato davanti all'aspetto ben poco rassicurante e le tendenze mordaci della creatura. In realtà, i contrasti mi sono parsi un po' la cifra stilistica dell'opera, nella quale l'orrore va a braccetto con un erotismo mai così esplicito, la modernità degli equipaggiamenti con un gusto quasi gotico per le scenografie e gli oggetti, l'umorismo dei dialoghi con la serietà ingessata che li vede pronunciati.


A tal proposito, ho letto che Whedon si è sempre detto orripilato dal modo in cui è stata trattata la sua sceneggiatura. Non riesco ad immaginare, all'epoca, nulla di più distante tra l'umorismo tongue-in-cheek di Whedon e la natura plumbea del primo Jeunet, quindi la collisione tra mondi dev'essere stata inevitabile e, probabilmente, nelle mani di un altro regista sarebbe uscita fuori una roba completamente diversa, forse più bella, forse più sciocca, chi lo sa. A me, tutto sommato, lo scontro tra queste due anime non è dispiaciuto e sarei stata anche curiosa di capire come sarebbe potuta proseguire la saga, sulla Terra e con queste premesse, ma ormai quel tempo è passato, lo so bene. Anche a livello di regia, credo di avere apprezzato Alien - La clonazione più di Alien3, mi sono sicuramente annoiata meno: la sequenza acquatica è notevole, lo sfogo nel laboratorio anche, le interazioni queer tra Ripley, gli xenomorfi e Call sono una piacevolissima novità e anche quegli alieni lucidissimi, che sembrano ricoperti di latex, hanno incontrato il mio gusto. Inoltre, Alien - La clonazione (una volta tolto di mezzo Dan Hedaya, imbarazzante e fuori posto persino per me, che di Alien non capisco una mazza) è pieno di bellissime facce. A parte una Sigourney Weaver sempre più bella, ci sono un Ron Perlman in formissima, un Brad Dourif che fa quello che gli riesce meglio, ovvero il matto col botto, e Winona Ryder mi ha ricordato che, all'epoca, riusciva a recitare senza limitarsi a fare faccette stralunate. Anzi, il suo "sintetico" Call è forse quello a cui ho voluto più bene in tutta la saga, se non altro perché è l'unico che non me l'ha fatta fare sotto dalla paura quando meno me l'aspettavo, o forse perché è adorabilmente testardo e umano. Ma temo di essere in minoranza, quindi la smetto definitivamente qui e lascio Alien a chi se ne intende davvero!


Del regista Jean-Pierre Jeunet ho già parlato QUI. Sigourney Weaver (Ellen Ripley), Winona Ryder (Call), Dominique Pinon (Vriess), Ron Perlman (Johner), Michael Wincott (Elgyn), Dan Hedaya (Generale Perez), Brad Dourif (Gediman), Raymond Cruz (Distephano) e Leland Orser (Purvis) li trovate invece ai rispettivi link.


Gary Dourdan
, che interpreta Christie, ha partecipato a mille stagioni di CSI come Warrick Brown. Tra i registi che hanno rifiutato l'incombenza di dirigere il film ci sono David Cronenberg e Peter Jackson. Se Alien - La clonazione vi fosse piaciuto, recuperate AlienAliens - Scontro finale, Alien3Prometheus e Alien: CovenantENJOY!  

martedì 5 novembre 2024

The Substance (2024)

Dopo mesi di attesa, finalmente sono riuscita a guardare The Substance, diretto e sceneggiato dalla regista Coralie Fargeat.


Trama: Elizabeth Sparkle, celebrità in declino, scopre la possibilità di creare un suo doppio, migliore e più giovane, grazie a The Substance. Dopo la prima esperienza positiva, l'esperimento condurrà all'orrore...


Sono riuscita, più o meno, ad evitare la quantità immane di spoiler su The Substance che hanno cominciato ad infestare internet già da prima che arrivassero le anteprime italiane, quindi sono arrivata quasi completamente impreparata a ciò che mi avrebbe mostrato Coralie Fargeat. Mi sarei aspettata di provare disgusto, e l'aspettativa è stata rispettata, soprattutto sul finale, ma non la seria angoscia che mi ha portata più volte a distogliere lo sguardo dallo schermo, colma di pena e tristezza. La storia di The Substance è vecchia quanto il mondo: la protagonista, Elizabeth Sparkle, è una donna inutile. In una società dominata dal male gaze (e ci tornerò su come la Fargeat renda, visivamente, questo gaze), soprattutto all'interno dello show business, i cinquant'anni equivalgono alla morte. Quello che un tempo era un viso senza rughe, adesso (per quanto ancora talmente splendido che qualsiasi donna "normale" vorrebbe averlo) mostra tutti i segni dell'età e lo stesso vale per il corpo, non importa quanto la sua proprietaria sia stata attenta alla dieta o all'esercizio fisico. In un mondo che vuole la donna sessualizzata, desiderabile e quasi aliena, non c'è modo di competere con chi ha dalla sua bellezza e giovinezza, e il risultato è sotto gli occhi di tutti, se volete vi faccio qualche nome: Nicole Kidman, Madonna, Courtney Cox. Donne splendide, che per stare al passo e non finire relegate in un angolo si sono deturpate volto e corpo al punto da diventare irriconoscibili, bambole di plastica dall'espressione perennemente sorpresa. Magari loro si vedono anche belle, poverine, chissà quale sofferenza avranno provato e proveranno nel vedersi superare da ragazze con la metà dei loro anni, pronte a vivere dei fasti che per loro forse non torneranno mai. A noi, a me per prime, sembrano stupide, perché le loro soddisfazioni se le saranno tolte di sicuro, ma cosa posso saperne, se le scintille del successo e dell'adorazione non hanno mai brillato nel mio firmamento? E quante volte io stessa mi sono ritrovata, davanti all'orrore dei 43 anni, ad invidiare ragazzine che oggi sono tutte molto più belle di quanto fossi io alla loro età, ad abbassare lo sguardo davanti allo specchio impietoso che mi ritrae ogni giorno più vecchia, grassa e brutta? A buttare abiti che magari mi andrebbero ancora "tecnicamente" bene ma che su di me risultano ridicoli, l'imbarazzante tentativo di una vecchia di sentirsi ancora giovane? Non stupitevi di leggere che, per me, la sequenza più angosciante di The Substance è stata quella in cui Elizabeth si prepara per un appuntamento a cui non andrà mai, schiacciata dalla consapevolezza di non essere all'altezza del suo io migliore, distrutta da quello che, fino alla settimana prima, sembrava un raggio di speranza in una vita ormai finita. 


Forse io l'ho presa un po' troppo sul personale, ma The Substance è una parabola ben triste. In tanti hanno paragonato il film alla versione distorta di un anime majokko, ma la verità è che nell'opera della Fargeat non c'è speranza nemmeno quando le cose sembrano andare per il verso giusto. Sue è la "versione migliore" di Elizabeth ma, come specificato dall'assioma di The Substance, le due donne sono sempre la stessa persona. Il miglioramento fisico di Elizabeth non corrisponde alla sua liberazione dalle aspettative di un pubblico avido ed impietoso, perché Sue continua ad avere un disperato bisogno di essere guardata e desiderata; le majokko "cambiavano", sfruttavano l'esperienza nei panni dei loro alter ego per crescere, mentre in The Substance l'unica cosa che aumenta sono l'odio e la sofferenza verso una condizione ormai irreversibile. Più il tempo passa, più Sue prova risentimento per Elizabeth, rea di stare sprecando la propria vita e di impedirle di vivere la "sua"; allo stesso modo, Elizabeth detesta Sue in quanto "parassita" e si abbandona sempre più a un marcio, una bruttezza interiore che finalmente raggiungono anche l'esterno. Ma parliamo sempre della stessa persona, incapace di concepire qualcosa che vada oltre una pienezza raggiunta compiacendo il pubblico, due facce di una stessa, sofferente, insoddisfatta medaglia. La Fargeat è molto attenta a portare sullo schermo la natura voyeuristica e narcisista del mondo che circonda Elizabeth/Sue. Le inquadrature che usa sono al limite del pornografico, imperniate al 90% su glutei torniti, seni a malapena contenuti da costumini inesistenti e sgambature che metterebbero alla prova qualsiasi estetista, tutto ciò che è bello e glamour viene filtrato da un pesantissimo sotteso sessuale, come se bellezza e pornografia fossero equivalenti. E' il male gaze di cui parlavo prima, infatti non ci sono donne "rilevanti" all'interno del film, salvo le due protagoniste. Tutto ciò che Elizabeth e Sue vivono, o subiscono, è testimoniato dall'occhio di uomini che, alternativamente, le disprezzano o le bramano, e questo punto di vista distorce, inevitabilmente, la loro realtà. La cosa si ripercuote anche sulla regia, che fa ampio uso di grandangoli, allungando a dismisura corridoi, deformando volti visti attraverso lo spioncino di un appartamento, trasformando un pranzo di lavoro nel trionfo del disgusto. L'apice dell'orrore è il personaggio di Dennis Quaid, la summa di tutto ciò che può rendere un uomo repellente, ma la cinepresa si sostituisce all'occhio di ogni maschio presente nel film, enfatizzando così l'oggettificazione delle vittime di quello stesso sguardo. 


E' talmente invadente, di fatto, questo male gaze, che arriviamo a percepire brutta una come Demi Moore. O meglio, a dimenticare che la Moore (la quale, vi ricordo, ha avuto la fortuna di essere moglie di Bruce Willis, porca puttana) non ha 50 anni come da copione di The Substance, bensì SESSANTUNO, ed è più gnocca lei di quanto lo fossi io a 20 anni. Eppure, anche prima del terrificante make-up che la renderà irriconoscibile nel corso del film, la suprema interpretazione dell'attrice, unita all'abilità della Fargeat, ce la consegna irrimediabilmente "brutta". Non vi piace questo aggettivo? Allora posso dire "superata","consumata", "sciatta", "invecchiata", che è poi come se la figura l'abietto produttore Harvey, nonché il motivo per cui decide che lui, e per estensione il mondo (non solo dello spettacolo) non ha più bisogno di lei. E' talmente invadente, questo male gaze, che arriviamo a percepire Margaret Qualley come una dea scesa in terra, la perfezione fatta a persona. Ed è indubbiamente bellissima, santa creatura, ma, tolto il fatto che il seno esposto nel film è dichiaratamente prostetico, guardatevi un paio di foto sui red carpet delle due attrici messe insieme e pensate che la Moore ha TRENT'ANNI in più, quindi Margaret, arrivaci tu a quell'età ancora così figa (e trovati un figo come Bruce ad accompagnarti. Adesso userò un po' di female gaze, ma 'sto Jack Antonoff non si può guardare, figlia mia!!). Quindi sì, Coralie Fargeat avrà anche scelto di raccontare una storia vecchia come il mondo, ma vedete quante riflessioni scatena, quante diverse sensazioni, quanti modi di interpretarla e parlarne ci sono? Ci vuole coraggio, a mio avviso, a spiattellarla in faccia al pubblico con tanta raffinatezza a livello di immagini, colori, luci e suono (non dimentichiamoci il suono, inquietante ed invasivo) e tanta brutalità per il contenuto di queste stesse immagini. La Fargeat omaggia Kubrick, Lynch e Cronenberg passando attraverso il grottesco di quel capolavoro de La morte ti fa bella, Yuzna e persino la Troma, demolendo senza pietà non solo gli ideali di bellezza odierni, ma vomitando sopra l'opprimente ipocrisia moderna tonnellate di sangue liberatorio, in una potente affermazione della natura fondamentalmente brutta ed imperfetta del genere umano. Se riuscissimo ad abbracciarla, questa nostra naturale bruttezza, forse saremmo molto più felici, sicuramente meno stressati e cattivi, ma finché ci verrà imposta la perfezione, il rischio tangibile è quello di trasformarci in mostri. 

P.S. Io non lo so se The Substance è l'horror dell'anno. Sicuramente, per quanto mi riguarda, è il FILM dell'anno. Se non altro, quello che è riuscito a coinvolgermi e sconvolgermi di più durante la visione. In tempi di cinema mordi e fuggi è un risultato incredibile. Anche se non sarà la cup of tea di molti, datemi retta comunque, correte in sala a vederlo.


Della regista e sceneggiatrice Coralie Fargeat ho già parlato QUI. Demi Moore (Elizabeth Sparkle), Margaret Qualley (Sue) e Dennis Quaid (Harvey) li trovate ai rispettivi link.


Gore Abrams
, che interpreta il leppegosissimo vicino di casa di Sue, era già "dei nostri", perché ha partecipato a Hell House LLC e a Hell House LLC III: Lake of Fire. Ray Liotta avrebbe invece dovuto interpretare Harvey ma purtroppo è morto prima dell'inizio delle riprese e la regista lo ha ringraziato nei credits. Se The Substance vi fosse piaciuto recuperate La mosca, Videodrome, Society, Titane, La morte ti fa bella, Revenge, Starry Eyes, The Neon Demon e anche un po' Tetsuo. ENJOY!

venerdì 1 novembre 2024

Woman of the Hour (2023)

Incuriosita da un po' di pareri positivi, ho recuperato Woman of the Hour, recentemente uscito su Netflix, diretto nel 2023 dalla regista Anna Kendrick.


Trama: Sheryl, attrice in difficoltà, viene ingaggiata per essere la concorrente single della trasmissione televisiva The Dating Game. Tra i tre pretendenti maschi, però, si nasconde un pericolosissimo serial killer...


Non sono una di quelle persone che va matta per il true crime, ma ammetto di avere (credo come tutti) un po' di morbosa curiosità verso quelle storie vere talmente allucinanti da spingere a mettere in discussione la già scarsa fiducia verso l'umanità e la legge. Rientra nel novero la vicenda di Rodney Alcala, che negli anni '70 ha stuprato e ucciso un numero imprecisato di donne (vi rimando alla pagina Wikipedia per farvi un'idea di quanta incertezza ancora ci sia sul numero delle sue vittime, è sconcertante), riuscendo a farla franca al punto da partecipare persino al popolarissimo programma televisivo The Dating Game. Chi, come me, è una vecchia degli anni '80, ricorderà Marco Predolin e Corrado Tedeschi, sulle reti del biscione, impegnati a condurne la versione italiana, ovvero Il gioco delle coppie. Le regole erano semplici: un single, di entrambi i sessi, cercava di trovare l'anima gemella ponendo domande a tre contendenti anonimi e alla fine del gioco, in base alle risposte, sceglieva "chi portarsi a casa", ovvero con chi andare a fare il viaggio messo in palio. Era un programma basato su un concetto idiota, perché io mai andrei a fare un weekend con una persona che neppure conosco; infatti, nel 1978, la povera "bachelorette" della settimana, Cheryl Bradshaw, ha rischiato di uscire col serial killer Rodney Alcala, risultato vincitore della puntata. La Bradshaw ha fortunatamente rifiutato l'appuntamento (e chissà cosa sarebbe successo se avesse accettato) e Alcala è tornato alla sua vita di tutti i giorni, continuando a stuprare e uccidere donne per un altro paio d'anni. Per il suo film d'esordio come regista, Anna Kendrick si è messa in gioco proprio con questa inquietante vicenda, usandola come fulcro di una riflessione più ampia su quanto sia pericoloso e frustrante essere donne in una società maschilista, dove sì, il peggio che può capitare è un serial killer, ma ogni giorno c'è da combattere contro complimenti indesiderati, consigli non richiesti, molestie travestite, indifferenza e cattiveria, contro un dolore che potrà arrivare in qualsiasi forma. "Quale di voi mi farà del male?" è la domanda più importante di tutte, d'altronde. 


La Kendrick sceglie una narrazione non lineare né cronologica, mostrando sprazzi dell'orrore inflitto da Alcala alle sue vittime, alternati alla vicenda chiave del Dating Game. Questa struttura, da una parte, amplifica il senso di angoscia che deflagra nel pre-finale al cardiopalma, durante il quale si arriva a temere seriamente per la vita di Sheryl in una sequenza di rara finezza, ambientata in un bar; dall'altra, consente allo spettatore di toccare "con mano" la differenza tra le maschere indossate dai due protagonisti. Sheryl, per raggiungere il sogno di diventare attrice, reprime i suoi pensieri reali, nascondendoli dietro la maschera della ragazza modesta e accondiscendente, che non fa mai domande scomode. Ciò che scatena l'empatia e alimenta ancor più l'inquietudine, è la triste verosimiglianza delle situazioni in cui viene a trovarsi Sheryl, nelle quali tutte, in misura più o meno maggiore, siamo incappate almeno una volta nella vita, e la sua temporanea ribellione nel corso di The Dating Game è qualcosa di estremamente godurioso, ma anche pericoloso. Questo perché Alcala cela invece la sua natura di predatore proprio sfruttando la necessità delle sue vittime di credere che esistano ancora uomini incapaci di nuocere, se non addirittura pronti ad accettarle a braccia aperte con tutti i loro pregi e difetti. Intelligente ed acculturato, Alcala coglie in un attimo ciò che la sua vittima desidera, lo usa contro di lei fino alle estreme conseguenze, e viene fregato solo quando trova qualcuno in grado di giocare secondo le sue stesse regole. Al netto delle situazioni romanzate per ovvi motivi di sceneggiatura (modalità e personalità dei coinvolti all'interno del Dating Game in primis) ciò che mostra la Kendrick è fin troppo verosimile e mette paura, perché ben poco è cambiato dagli anni '70, il che rende la vicenda di un'attualità sconcertante. 


Oltre a questo, Woman of the Hour è un bel film anche a livello formale. La sceneggiatura cura la caratterizzazione dei personaggi secondari, consentendo di brillare anche ad attori con brevissimo tempo sullo schermo, i dialoghi sono naturali, la regia elegante e attenta sia ai diversi "tempi" che scandiscono la vicenda (non ci sono sbavature tra momenti thriller, assai riusciti, la riproposizione quasi documentaristica di una puntata di The Dating Game e persino sequenze di commedia che strappano una sincera risata) che a costumi, scenografie e colori, enfatizzati da una fotografia splendida. Per essere un'opera prima è di alto livello e, in quanto attrice, la Kendrick è riuscita a tirare fuori il meglio dai suoi colleghi sul set. Prendete Daniel Zovatto. Mi rendo conto solo ora di averlo visto in tantissimi altri film e di essermelo dimenticato, mentre la sua interpretazione di Rodney Alcala colpisce per un'intensità che non sconfina mai in overacting e da vita a un personaggio inquietante nella sua normalità; leggenda vuole che Cheryl Bradshaw abbia rifiutato di uscire con Alcala perché lo trovava "creepy" e che gli altri due concorrenti non fossero proprio a suo agio con lui, e Zovatto dà proprio quest'impressione, di un uomo non così strano da far fuggire a gambe levate, ma dotato comunque di qualcosa di "sbagliato". Anna Kendrick, neanche a dirlo, è bravissima e sembra aver trovato la sua dimensione proprio nelle protagoniste nervose e fragili di thriller al cardiopalma, e ci sono un paio di colleghe in grado di darle manforte nell'interpretazione di personaggi femminili ben caratterizzati, come Nicolette Robinson e la splendida Autumn Best. La spooky season è finita ieri, ma il mio consiglio è quello di non perdervi questo delizioso Woman of the Hour, un'ottima aggiunta a un catalogo Netflix che troppo spesso offre enormi sòle ai suoi abbonati (prossimamente vi parlerò di Don't Move, per esempio). Non è questo il caso, tranquilli!


Della regista Anna Kendrick, che interpreta anche Sheryl, ho già parlato QUI. Daniel Zovatto (Rodney) e Tony Hale (Ed) li trovate invece ai rispettivi link.


Se la storia di Alcala vi interessasse, esiste anche un film per la TV intitolato Dating Game Killer, ma onestamente non garantirei sulla qualità. Quindi vi consiglio di recuperare altri film "a tema" come Watcher, Ted Bundy - Fascino criminale e The Clovehitch Killer. ENJOY! 


martedì 29 ottobre 2024

Visioni dal ToHorror Fantastic Film Fest 2024

Anche quest'anno ho avuto la fortuna di recarmi a Torino per il ToHorror Fantastic Film Fest 2024, un'edizione dedicata al tema dell'Antropocene. Il programma era molto ricco e prevedeva tre lungometraggi tra i migliori usciti quest'anno, In a Violent Nature, Stopmotion (con tanto di masterclass e presenza in sala di Robert Morgan!) e Oddity (risultato vincitore della Menzione Speciale della Giuria nella sezione lungometraggi). Avendoli però già visti, ho optato per altri titoli, quindi ecco un piccolo riassunto di ciò che sono riuscita a godermi sugli schermi del festival e di ciò che vi conviene tenere d'occhio per i mesi a venire! Colgo l'occasione per ringraziare gli organizzatori che, ogni anno, si prodigano per creare un festival ricco, interessante e senza intoppi (riuscendo a tapullare con eleganza quando questi ultimi, inevitabilmente, si presentano!). Nell'attesa della prossima edizione... ENJOY!


Di origine sconosciuta
(George Cosmatos, 1983)

L'unico film che sono riuscita a guardare della rassegna Antropocene Now! è questo divertente e grottesco "home invasion" dove uno yuppie (interpretato nientemeno che da Peter Weller) si ritrova a dover combattere un ratto all'interno di un lussuosissimo appartamento in centro a New York. La battaglia che segue è una parabola amara su quanto l'uomo non abbia alcun controllo sulla sua vita e, soprattutto, su quanto il Dio capitalismo si basi su sistemi fragilissimi, al punto che basta un piccolo imprevisto per rivelarne per intero le falle e la pochezza. Per quanto gli effetti speciali del film siano un po' datati, è una pellicola che sconsiglio a chiunque abbia la fobia dei topi; vero è che la bestia protagonista cambia forma, specie e dimensione a seconda delle inquadrature e delle esigenze di sceneggiatura, ma il risultato complessivo è abbastanza schifosetto e l'idea di avere in casa una roba simile mi farebbe venire voglia di consegnarli le chiavi senza nemmeno impegnarmi nella disinfestazione. 


Fréwaka
(Aislinn Clarke, 2024)

Era il film su cui puntavo di più quest'anno, purtroppo è quello che mi ha lasciato di meno. Ambientato in Irlanda (Fréwaka, in gaelico, vuol dire "radici") racconta la storia di Shoo, infermiera esperta di cure palliative che viene inviata in un remoto villaggio irlandese per seguire l'anziana abitante di una sinistra magione sperduta nel bosco. Le radici del titolo affondano nel traumatico passato di Shoo, che si rivela a poco a poco allo spettatore, in quello dell'anziana e nelle oscure tradizioni del villaggio dove risiede, il che incasella Fréwaka nel genere folk horror, solitamente a me molto gradito. Purtroppo, nonostante interessanti suggestioni, splendide intuizioni visive e protagoniste molto brave, l'opera sa un po' di già visto e la sua natura di slow burn non aiuta a tenere destissima l'attenzione. Mi riservo comunque di riguardarlo (magari assieme al film precedente della regista, The Devil's Doorway) in un altro momento, forse ero un po' stanca in partenza. 


Infinite Summer
(Miguel Llansó, 2024)

Su questo non avrei puntato un euro, quando invece è stata una delle visioni più interessanti del festival. Già solo vedere scritto "Tallifornia" all'inizio mi ha messa istantaneamente di buonumore (per mera ignoranza, credevo fosse una presa in giro, ma trattasi di casa di produzione realmente esistente!), dopodiché mi sono lasciata catturare da questo mix di coming of age estivo e sci-fi che, con leggerezza e senza pretesa di offrire allo spettatore chissà quale interpretazione del mondo, introduce il tema del transumanesimo. Il regista, presente per un breve Q&A, è stato così sincero da ammettere di non aver voluto dare un significato particolare al film, voleva solo girarne uno che fosse interessante per lui, con un finale aperto all'interpretazione dello spettatore. Personalmente, l'ho trovato dolceamaro e molto gradevole, e ho apprezzato non solo lo sviluppo psicologico di una protagonista nella quale ho riconosciuto molto della me stessa ragazzina ma anche gli effetti speciali particolarissimi. Purtroppo, Infinite Summer è uno di quei film che, molto probabilmente, non avrà mai distribuzione in Italia. Nel caso fortuito in cui arrivasse anche qui, dateci un'occhiata!


Sayara
(Can Evrenol, 2024)

Dopo quella bomba di Baskin e quella mezza sòla di Housewife, avevo perso completamente di vista Can Evrenol. Il suo ritorno al ToHorror coincide con un rape and revenge brutalissimo e terribilmente realistico (o, meglio terribilmente plausibile) per quanto riguarda la violenza sessuale scatenante, la gioia di umiliare una donna, per di più immigrata, e tutto il codazzo di compiaciuta corruzione che mira a proteggere i suoi ricchi carnefici. La parte revenge, meno verosimile ma molto soddisfacente a livello di violenza e sangue, vede impegnata una ragazza davanti alla quale persino John Wick abbasserebbe lo sguardo fuggendo a gambe levate, dotata di una cazzimma tale che è difficile non mettersi ad applaudire. In sostanza, un film non originalissimo ma che si lascia guardare, anche se so che il regista potrebbe fare di più.


House of Sayuri
(Kouji Shiraishi, 2024) - Vincitore del premio del pubblico al miglior lungometraggio

In rete troverete tantissime recensioni che lo stroncano per il modo "leggero" con cui affronta una cosa tremenda come la violenza sessuale verso i minori. Ammetto io stessa che sarebbe servita un po' di delicatezza in più, ma avendo visto altri film di Shiraishi non mi ha neppure sorpresa la commistione tra horror serio, quasi tragico, e momenti di pura locura nipponica, che magari a noi occidentali sembra strana, mentre in Giappone potrebbe essere la norma. A prescindere, mi sono parecchio spaventata e, spesso, sinceramente divertita guardando House of Sayuri, anche se avrei sforbiciato un po' qui e là. Non fosse per i due film che ho visto in seguito, la nonnina protagonista sarebbe assurta ad idolo incontrastato del festival ma, anche così, è un gran bel personaggio.


Steppenwolf
(Adilkhan Yerzhanov, 2024) - Giusto vincitore del premio ufficiale come miglior lungometraggio

La bombetta del festival. Appena cominciato ho pensato "c'è dell'inquadratura in questa figaggine", poi in seguito è andato in crescendo. Graziato da una regia e una fotografia splendide, che consegnano allo spettatore un Kazakistan desolato e affascinante allo stesso tempo, Steppenwolf vive proprio di questi contrasti e contraddizioni. Sequenze grottesche lasciano posto a profonda commozione, per un sorriso strappato dal protagonista sale la voglia di prenderlo a ceffoni forti e di vederlo morto, mentre l'unica costante è la determinazione di una madre tanto spezzata nella mente e nell'eloquio quanto brillante e profonda nel cuore. A prescindere dai sentimenti che Steppenwolf saprà suscitarvi, il consiglio è di recuperarlo e godere dell'interpretazione di due attori favolosi, sperando che la vittoria al festival contribuisca a spingere qualche distributore illuminato a portarlo anche in Italia. 


Krazy House
(Steffen Haars, Flip van der Kuil, 2024)

Se Steppenwolf ha parlato, giustamente, alla mia parte più "cinefila", di testa, Krazy House ha scatenato la mia parte cazzona, de panza, e, com'è ovvio, è diventato il mio film preferito del festival. Un Nick Frost in stato di grazia (insieme a un'Alicia Silverstone ormai abbonata a horror e film strambi) ci accompagna sul set della sit com Krazy House, nella quale i Christian conducono una vita apparentemente idilliaca, pregni della Grazia del Signore. Ci vorrà poco perché l'idillio si sgretoli e due folli registi olandesi mettano alla berlina tutto ciò che vi è di più sacro, puro ed intoccabile, neonati e cani compresi. Produce Amazon, quindi la speranza è quella che Krazy House venga distribuito ovunque, perché non posso accettare che qualcuno rimanga privo di tanta, arrogante stupidera. Pregate Cristo, magari vi ascolterà, se non sarà impegnato altrove. Nel caso, cercatelo bene, forse potrebbe essere dentro di voi. Molto dentro. Pure troppo.