Trama: Elizabeth Sparkle, celebrità in declino, scopre la possibilità di creare un suo doppio, migliore e più giovane, grazie a The Substance. Dopo la prima esperienza positiva, l'esperimento condurrà all'orrore...
Sono riuscita, più o meno, ad evitare la quantità immane di spoiler su The Substance che hanno cominciato ad infestare internet già da prima che arrivassero le anteprime italiane, quindi sono arrivata quasi completamente impreparata a ciò che mi avrebbe mostrato Coralie Fargeat. Mi sarei aspettata di provare disgusto, e l'aspettativa è stata rispettata, soprattutto sul finale, ma non la seria angoscia che mi ha portata più volte a distogliere lo sguardo dallo schermo, colma di pena e tristezza. La storia di The Substance è vecchia quanto il mondo: la protagonista, Elizabeth Sparkle, è una donna inutile. In una società dominata dal male gaze (e ci tornerò su come la Fargeat renda, visivamente, questo gaze), soprattutto all'interno dello show business, i cinquant'anni equivalgono alla morte. Quello che un tempo era un viso senza rughe, adesso (per quanto ancora talmente splendido che qualsiasi donna "normale" vorrebbe averlo) mostra tutti i segni dell'età e lo stesso vale per il corpo, non importa quanto la sua proprietaria sia stata attenta alla dieta o all'esercizio fisico. In un mondo che vuole la donna sessualizzata, desiderabile e quasi aliena, non c'è modo di competere con chi ha dalla sua bellezza e giovinezza, e il risultato è sotto gli occhi di tutti, se volete vi faccio qualche nome: Nicole Kidman, Madonna, Courtney Cox. Donne splendide, che per stare al passo e non finire relegate in un angolo si sono deturpate volto e corpo al punto da diventare irriconoscibili, bambole di plastica dall'espressione perennemente sorpresa. Magari loro si vedono anche belle, poverine, chissà quale sofferenza avranno provato e proveranno nel vedersi superare da ragazze con la metà dei loro anni, pronte a vivere dei fasti che per loro forse non torneranno mai. A noi, a me per prime, sembrano stupide, perché le loro soddisfazioni se le saranno tolte di sicuro, ma cosa posso saperne, se le scintille del successo e dell'adorazione non hanno mai brillato nel mio firmamento? E quante volte io stessa mi sono ritrovata, davanti all'orrore dei 43 anni, ad invidiare ragazzine che oggi sono tutte molto più belle di quanto fossi io alla loro età, ad abbassare lo sguardo davanti allo specchio impietoso che mi ritrae ogni giorno più vecchia, grassa e brutta? A buttare abiti che magari mi andrebbero ancora "tecnicamente" bene ma che su di me risultano ridicoli, l'imbarazzante tentativo di una vecchia di sentirsi ancora giovane? Non stupitevi di leggere che, per me, la sequenza più angosciante di The Substance è stata quella in cui Elizabeth si prepara per un appuntamento a cui non andrà mai, schiacciata dalla consapevolezza di non essere all'altezza del suo io migliore, distrutta da quello che, fino alla settimana prima, sembrava un raggio di speranza in una vita ormai finita.
Forse io l'ho presa un po' troppo sul personale, ma The Substance è una parabola ben triste. In tanti hanno paragonato il film alla versione distorta di un anime majokko, ma la verità è che nell'opera della Fargeat non c'è speranza nemmeno quando le cose sembrano andare per il verso giusto. Sue è la "versione migliore" di Elizabeth ma, come specificato dall'assioma di The Substance, le due donne sono sempre la stessa persona. Il miglioramento fisico di Elizabeth non corrisponde alla sua liberazione dalle aspettative di un pubblico avido ed impietoso, perché Sue continua ad avere un disperato bisogno di essere guardata e desiderata; le majokko "cambiavano", sfruttavano l'esperienza nei panni dei loro alter ego per crescere, mentre in The Substance l'unica cosa che aumenta sono l'odio e la sofferenza verso una condizione ormai irreversibile. Più il tempo passa, più Sue prova risentimento per Elizabeth, rea di stare sprecando la propria vita e di impedirle di vivere la "sua"; allo stesso modo, Elizabeth detesta Sue in quanto "parassita" e si abbandona sempre più a un marcio, una bruttezza interiore che finalmente raggiungono anche l'esterno. Ma parliamo sempre della stessa persona, incapace di concepire qualcosa che vada oltre una pienezza raggiunta compiacendo il pubblico, due facce di una stessa, sofferente, insoddisfatta medaglia. La Fargeat è molto attenta a portare sullo schermo la natura voyeuristica e narcisista del mondo che circonda Elizabeth/Sue. Le inquadrature che usa sono al limite del pornografico, imperniate al 90% su glutei torniti, seni a malapena contenuti da costumini inesistenti e sgambature che metterebbero alla prova qualsiasi estetista, tutto ciò che è bello e glamour viene filtrato da un pesantissimo sotteso sessuale, come se bellezza e pornografia fossero equivalenti. E' il male gaze di cui parlavo prima, infatti non ci sono donne "rilevanti" all'interno del film, salvo le due protagoniste. Tutto ciò che Elizabeth e Sue vivono, o subiscono, è testimoniato dall'occhio di uomini che, alternativamente, le disprezzano o le bramano, e questo punto di vista distorce, inevitabilmente, la loro realtà. La cosa si ripercuote anche sulla regia, che fa ampio uso di grandangoli, allungando a dismisura corridoi, deformando volti visti attraverso lo spioncino di un appartamento, trasformando un pranzo di lavoro nel trionfo del disgusto. L'apice dell'orrore è il personaggio di Dennis Quaid, la summa di tutto ciò che può rendere un uomo repellente, ma la cinepresa si sostituisce all'occhio di ogni maschio presente nel film, enfatizzando così l'oggettificazione delle vittime di quello stesso sguardo.
E' talmente invadente, di fatto, questo male gaze, che arriviamo a percepire brutta una come Demi Moore. O meglio, a dimenticare che la Moore (la quale, vi ricordo, ha avuto la fortuna di essere moglie di Bruce Willis, porca puttana) non ha 50 anni come da copione di The Substance, bensì SESSANTUNO, ed è più gnocca lei di quanto lo fossi io a 20 anni. Eppure, anche prima del terrificante make-up che la renderà irriconoscibile nel corso del film, la suprema interpretazione dell'attrice, unita all'abilità della Fargeat, ce la consegna irrimediabilmente "brutta". Non vi piace questo aggettivo? Allora posso dire "superata","consumata", "sciatta", "invecchiata", che è poi come se la figura l'abietto produttore Harvey, nonché il motivo per cui decide che lui, e per estensione il mondo (non solo dello spettacolo) non ha più bisogno di lei. E' talmente invadente, questo male gaze, che arriviamo a percepire Margaret Qualley come una dea scesa in terra, la perfezione fatta a persona. Ed è indubbiamente bellissima, santa creatura, ma, tolto il fatto che il seno esposto nel film è dichiaratamente prostetico, guardatevi un paio di foto sui red carpet delle due attrici messe insieme e pensate che la Moore ha TRENT'ANNI in più, quindi Margaret, arrivaci tu a quell'età ancora così figa (e trovati un figo come Bruce ad accompagnarti. Adesso userò un po' di female gaze, ma 'sto Jack Antonoff non si può guardare, figlia mia!!). Quindi sì, Coralie Fargeat avrà anche scelto di raccontare una storia vecchia come il mondo, ma vedete quante riflessioni scatena, quante diverse sensazioni, quanti modi di interpretarla e parlarne ci sono? Ci vuole coraggio, a mio avviso, a spiattellarla in faccia al pubblico con tanta raffinatezza a livello di immagini, colori, luci e suono (non dimentichiamoci il suono, inquietante ed invasivo) e tanta brutalità per il contenuto di queste stesse immagini. La Fargeat omaggia Kubrick, Lynch e Cronenberg passando attraverso il grottesco di quel capolavoro de La morte ti fa bella, Yuzna e persino la Troma, demolendo senza pietà non solo gli ideali di bellezza odierni, ma vomitando sopra l'opprimente ipocrisia moderna tonnellate di sangue liberatorio, in una potente affermazione della natura fondamentalmente brutta ed imperfetta del genere umano. Se riuscissimo ad abbracciarla, questa nostra naturale bruttezza, forse saremmo molto più felici, sicuramente meno stressati e cattivi, ma finché ci verrà imposta la perfezione, il rischio tangibile è quello di trasformarci in mostri.
P.S. Io non lo so se The Substance è l'horror dell'anno. Sicuramente, per quanto mi riguarda, è il FILM dell'anno. Se non altro, quello che è riuscito a coinvolgermi e sconvolgermi di più durante la visione. In tempi di cinema mordi e fuggi è un risultato incredibile. Anche se non sarà la cup of tea di molti, datemi retta comunque, correte in sala a vederlo.
Della regista e sceneggiatrice Coralie Fargeat ho già parlato QUI. Demi Moore (Elizabeth Sparkle), Margaret Qualley (Sue) e Dennis Quaid (Harvey) li trovate ai rispettivi link.
Gore Abrams, che interpreta il leppegosissimo vicino di casa di Sue, era già "dei nostri", perché ha partecipato a Hell House LLC e a Hell House LLC III: Lake of Fire. Ray Liotta avrebbe invece dovuto interpretare Harvey ma purtroppo è morto prima dell'inizio delle riprese e la regista lo ha ringraziato nei credits. Se The Substance vi fosse piaciuto recuperate La mosca, Videodrome, Society, Titane, La morte ti fa bella, Revenge, Starry Eyes, The Neon Demon e anche un po' Tetsuo. ENJOY!
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