Trama: negli anni '70, dopo la morte della madre, il piccolo Ben decide di scappare di casa andando in cerca del papà mai conosciuto; in parallelo, negli anni '20, la sordomuta Rose cerca il suo posto nel mondo cominciando da New York, dove vive il fratello Albert.
Avevo molte aspettative per questo La stanza delle meraviglie, soprattutto a seguito del bellissimo trailer, affascinante e già di suo commovente. La sensazione di avere davanti un film che mantenesse le promesse del trailer è rimasta intatta più o meno fino a metà, paradossalmente fino al punto in cui la ricerca di Ben comincia a dare i suoi frutti. Fino a quel momento, lo ammetto, non mi era pesato il fatto che buona parte della pellicola si fissasse sui pellegrinaggi a vuoto di un ragazzino che a un certo punto si ritrova a "vivere" all'interno di un museo con un suo coetaneo, mettendo assieme tessere di un puzzle che diventa sempre più tirato per i capelli; soprattutto, non mi era pesata (anche perché adoro Millicent Simmonds e il suo viso dai lineamenti ottocenteschi) la parte di trama relativa ai problemi familiari ed esistenziali di Rose, ragazza sordomuta circondata da persone arrabbiate, egoiste e quasi imbarazzate dalla sua condizione disgraziata. Soprattutto, ho trovato apprezzabile il modo in cui La stanza delle meraviglie mette in scena i problemi di una persona affetta da sordità o mutismo (o entrambi), raccontando un'Odissea viziata da problemi di comunicazione in due epoche in cui la conoscenza del linguaggio dei segni non era diffusa. Ben pochi si accorgono del fatto che Rose è sorda e si limitano a strillarle addosso pensando che sia stupida o timida benché il suo sguardo spaesato palesi tutta la sua frustrazione e, ancora peggio, i suoi stessi genitori non vanno minimamente incontro ai suoi bisogni, alimentando un disagio risalente agli anni dell'infanzia; non va meglio a Ben, diventato sordo all'improvviso a causa di un incidente e conseguentemente impegnato ad affrontare non solo una città pericolosa e sconosciuta come New York ma soprattutto i disagi connaturati alla sua nuova condizione, ritrovandosi costretto a dipendere dalla sensibilità e dalla bontà altrui. A onore del vero, i pregi di La stanza delle meraviglie sono solo questi, la già citata interpretazione di Millicent Simmonds (peraltro già apprezzatissima in A Quiet Place) e la commistione tra fotografia "bruciata" tipica degli anni '70 e bianco e nero con tanto di musica ed effetti sonori che rievocano gli anni del muto, resa ancora più interessante da un ottimo montaggio. E il resto?
Il resto, almeno per quel che mi riguarda, lascia l'amaro in bocca come già accaduto ai tempi di Hugo Cabret, tratto sempre da un'opera di Brian Selznick. Entrambi i film infatti sono visivamente molto affascinanti e hanno un potenziale emotivo enorme ma inciampano per strada dilatando enormemente i tempi all'inizio e facendo una corsa incredibile per tirare tutti i fili in sospeso sul finale, lasciando lo spettatore con un palmo di naso a domandarsi... oddio, è tutto qui? Nel caso de La stanza delle meraviglie tutto si sgonfia quando la giovane Rose scompare, con un anticlimax da martellata nelle gonadi in cui tutti i segreti e i legami tra passato e presente vengono letti dalla voce di un bambino; benché rappresentata da un'interessante tecnica che unisce animazione a foto statiche, con tanto di diorami e disegni, la rivelazione finale è frettolosa e priva lo spettatore di tutte le lacrime che avrebbe dovuto versare, condensandosi in un diludendo di proporzioni epiche. Tra l'altro, sarò forse tarda io ma non comprendo molto bene il motivo di tutti i richiami allo spazio presenti a inizio film. Se l'idea era quella di unire l'immagine di astronauti, stelle cadenti e meteore alla natura di space oddities di Rose e Ben, diciamo che non è un collegamento così immediato (e sono ancora gentile), mentre se tutto ciò è stato inserito perché funzionale alla trama allora probabilmente io e Selznick abbiamo visto due film diversi, non c'è altra spiegazione. Peccato davvero perché guardando La stanza delle meraviglie mi sono sentita wonderstruck, come da titolo originale, solo per quel che riguarda la bellezza della regia di Haynes, sempre raffinato e particolare, ma tanta "meraviglia" si è trasformata in un'emozione effimera, priva di qualcosa che l'aiutasse a mantenere il ricordo di sé. Non so nemmeno se consigliare o sconsigliare questo film visto che non è per nulla brutto ma mi ha lasciata fondamentalmente insoddisfatta. Fate vobis, insomma. Per me, già vedere Millicent Simmonds all'opera vale il prezzo del biglietto!
Del regista Todd Haynes ho già parlato QUI. Julianne Moore (Lillian Mayhew/Rose), Michelle Williams (Elaine) e Tom Noonan (Walter) li trovate invece ai rispettivi link.