mercoledì 27 luglio 2011

Non lasciarmi (2010)

Nonostante la mia passione per i film più truci e beceri sono una di quelle persone che al cinema piange molto volentieri. Intendiamoci, se vedessi Scusa ma ti chiamo amore non spremerei nemmeno una lacrima, ma ho una trilogia di pellicole “maledette” che mi fanno cominciare a singhiozzare fino a star male: Edward mani di forbice, Papà ho trovato un amico e L’uomo bicentenario. Senza contare varie ed eventuali, alle quali si è aggiunto lo struggente e bellissimo Non lasciarmi (Never Let Me Go), diretto nel 2010 dal regista Mark Romanek e tratto dall’omonimo libro di Kazuo Ishiguro.



Trama: Kathy, Ruth e Tommy sono tre ragazzini che conducono una vita normale in un college severo ma apparentemente normale. In realtà, il loro destino è già segnato perché, come tutti i loro compagni, i tre sono stati creati come “banca di organi” per le altre persone, e avranno un’aspettativa di vita assai breve. Crescendo, i tre percorreranno strade separate e arriveranno a capire l’orribile realtà in cui vivono…



Non lasciarmi è un film devastante. E’ quel genere di pellicola che io adoro, perché è “piccola”, per nulla ridondante, delicata come una piuma, eppure molto più valida di tanti altri roboanti drammoni che ci vengono ogni tanto propinati; è un film che ci fa innamorare dei personaggi e ci rende così molto più partecipi della loro terribile vicenda, perché si concentra sul loro stato d’animo, sulle loro scelte, sui loro rimpianti e anche sui loro errori, attraverso la dolce e nostalgica voce narrante di Kathy, un personaggio meravigliosamente forte e allo stesso tempo fragile. Non lasciarmi colpisce lo spettatore perché mostra il dramma di tre umanissime persone create per essere solo delle “cose”, dei ricettacoli di pezzi di ricambio, che nonostante ciò conoscono e sperimentano tutto quello che fa parte di una vita “normale”: amore, speranza, delusione, tristezza, odio, amicizia, perdita. Non è un film facile né allegro, non ricerca soluzioni ad effetto oppure liete ma lascia un senso costante di rassegnazione e speranza frustrata, perché fin dall’inizio ci rendiamo conto che i tre protagonisti, crescendo, non diventeranno supereroi e non riusciranno a cambiare il mondo ma potranno solo cercare di vivere al massimo nel tempo che verrà loro concesso… che è poi quello che deve fare la maggior parte di noi.



Non lasciarmi si regge completamente sulla stupenda performance di Carey Mulligan, che infonde alla sua Kathy una dignità e una malinconia struggenti, tanto che non ci si stancherebbe mai di sentirla narrare le vicende della pellicola; a farle da contrappunto è il personaggio di Keira Knightley, più consapevole e calcolatore ma altrettanto umano, perseguitato dal terrore della solitudine e della morte. Alle immagini malinconiche della natura che circonda i protagonisti (splendida quella della spiaggia con il relitto affondato) si affiancano quelle fredde ed asettiche del college, degli appartamenti e degli ospedali, che mirano ad affermare la spersonalizzazione dei ragazzi “allevati” solo per fornire pezzi di ricambio, e tutto viene unito e reso ancora più commovente da una stupenda colonna sonora che risuona a lungo nella mente dello spettatore, anche dopo che il film è finito. Purtroppo Non lasciarmi è passato quasi in silenzio nei cinema italiani, come al solito. Se non siete riusciti a vederlo vi consiglio di cercarlo, perché merita tantissimo. Personalmente, cercherò il romanzo in libreria.



Di Keira Knightley, ovvero Ruth, ho già parlato qui.

Mark Romanek è il regista della pellicola. Tra i suoi altri (pochi film) ricordo l’interessante One Hour Photo con Robin Williams (che ha anche anche sceneggiato). Americano, anche sceneggiatore e produttore, ha 52 anni e un film in uscita.



Carey Mulligan interpreta Kathy. Inglese, la ricordo per aver partecipato a Orgoglio e pregiudizio, Wall Street: il denaro non dorme mai e alla miniserie televisiva Bleak House, oltre che ad alcuni episodi di Dr. Who. L’anno scorso è stata nominata all’Oscar come miglior attrice protagonista per un film che non conoscevo, An Education. Ha 26 anni e due film in uscita.



Andrew Garfield interpreta Tommy. Americano, ha partecipato a film come Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il Diavolo e The Social Network, nonché ad alcuni episodi di Dr. Who. Ha 28 anni e due film in uscita, tra cui l’imminente reboot di Spiderman, dove lui interpreterà proprio l’amichevole Uomo Ragno di quartiere.



Charlotte Rampling interpreta Miss Emily. Inglese, la ricordo per film come Yuppi Du (ebbene sì, quello con Celentano… mi costringevano a guardarli!!), L’orca assassina, Angel Heart – Ascensore per l’inferno e Basic Instinct 2. Ha 65 anni e cinque film in uscita, tra cui l’imminentissimo Melancholia di Lars Von Trier.



Tra gli altri interpreti, segnalo l’ormai onnipresente Domnhall Gleeson, qui nei panni di Rodney. E ora vi lascio con il trailer originale... ENJOY!!

lunedì 25 luglio 2011

Intervista col vampiro (1994)

Chi mi conosce sa che amo i film dedicati alla figura del Vampiro (con la V maiuscola, non le mezzeseghe twilightiane…) più di ogni altro horror, quindi non potevo non amare Intervista col Vampiro (Interview with the Vampire), diretto dal regista Neil Jordan nel 1994 e tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice.



Trama: Attraverso gli occhi del vampiro Louis veniamo a conoscenza della sua triste e centenaria esistenza. La “nascita” per mano del crudele Lestat, il rifiuto della propria natura, l’arrivo della piccola Claudia e il funesto incontro con altri della sua stessa razza, dalla New Orleans di fine ottocento all’America dei giorni nostri.



Intervista col vampiro è uno dei più bei film sull’argomento, secondo solo a Nosferatu e al barocco Dracula di Coppola. Purtroppo (e stranamente, almeno per me) non ho mai letto il romanzo da cui è tratto ma, a parte alcuni punti di secondaria importanza, pare gli sia fedelissimo, soprattutto nello spirito. La pellicola infatti riesce a mostrare in modo esemplare il paradosso dell’esistenza di un Vampiro, il fascino che essa esercita su chi è semplicemente umano e l’orrore di vivere un’eternità di solitudine e morte, col rischio di diventare relitti del passato mentre le epoche avanzano. Louis concede la famosa intervista al giovane David perché la sua storia venga tramandata e i suoi errori non vengano ripetuti, e lo fa quando la sua umanità e la sua scintilla di vita sono già irrimediabilmente perdute, a causa dei propri errori e della fondamentale “incapacità” del suo Maestro Lestat. Attraverso le figure dei due vampiri vediamo la Luce e la Tenebra, l’innocenza e la crudeltà, la forza e la debolezza, due opposti tenuti insieme malamente e solo grazie a quello splendido personaggio che è la piccola Claudia, eterna ed innocente bambina per Louis, degna e crudele erede per Lestat, che alla fine pagherà il prezzo del suo affetto distorto. Siamo quindi anni luce lontani sia dall’affascinante ma statica figura del Dracula di Bram Stocker e, per fortuna, anche da quell’aborto che sono i vampiri di Twilight (e pensare che all’epoca avevo la stessa età delle ragazzine odierne, ma per fortuna noi degli anni ’80 siamo cresciuti con cose nettamente migliori di quelle di ora…), un idilliaco “equilibrio” che raramente troviamo nei romanzi o nei film dedicati ai succhiasangue.



Lasciando per un attimo da parte ciò che il film racconta, è venuto il momento di dire come lo fa. La messa in scena è semplicemente perfetta, a partire dalle splendide scenografie e dai costumi di Dante Ferretti, per non parlare della colonna sonora e del trucco dei vampiri (mi ha sempre molto colpito, in special modo, quello di Brad Pitt con quello strano rigonfiamento della mascella che lo fa sembrare un cucciolo perennemente magonato, ma anche quello di Tom Cruise è splendido, soprattutto quando Lestat diventa una sorta di vecchia mummia), per finire con l’ovvia parte “horror” che, per una volta, viene utilizzata con parsimonia ed è funzionalissima alla storia. Le scene dove viene mostrato il modo in cui i vampiri si nutrono hanno lasciato il segno nell’iconografia vampirica, perché se prima il non – morto infilava le zanne solo nel collo della vittima, in Intervista col Vampiro sono i polsi la fonte principale di nutrimento, assieme ad altre zone più o meno convenzionali: Neil Jordan non indugia troppo sui particolari macabri, ma non lesina nemmeno sul gore e su immagini emblematiche (come quella ambientata nel Theatre des Vampires, con la vittima uccisa davanti a un’intera platea di spettatori) o disgustose al limite del trash (come quella dove Lestat spreme letteralmente un topo per procurare sangue a Louis).



Infine, spendiamo due parole sugli attori. Sicuramente, quello di Louis non è il ruolo migliore di Brad Pitt, che col tempo si è dimostrato in grado di interpretare personaggi assai distanti dalla solita immagine di “bello e dannato”, tuttavia in Intervista col vampiro riesce a conferire una fragilità tutta particolare al triste e anche troppo umano Louis. D’altra parte, Tom Cruise qui da decisamente il meglio di sé. Il suo Lestat è un modello di spocchiosa bastardaggine, un elegante, raffinato e aristocratico assassino, a suo modo timoroso della solitudine congenita nella sua condizione e assolutamente incapace di abbassarsi a chiedere aiuto o mostrare affetto ai suoi “figli”. Ma l’interpretazione migliore è senza dubbio quella della giovanissima Kirsten Dunst, che imprime nel cuore dello spettatore l’indimenticabile figura di Claudia: un personaggio ambivalente e difficile, in bilico tra innocenza e spietata freddezza, emblema di salvezza e dannazione nonché fulcro dell’intera esistenza vampirica di Louis (che, non a caso, davanti allo scetticismo di Armand la definisce “il suo Amore”, non la sua amante). La sua presenza, in effetti, è così fondamentale da definire il vero inizio e la vera fine di Intervista col vampiro, tanto da rendere ciò che viene prima e dopo una mera cornice. In due parole, insomma, Intervista col vampiro è un caposaldo per chiunque ami non solo il cinema horror o quello “vampirico”, ma per tutti gli amanti del cinema fatto bene, quello con la C maiuscola.



Di Brad Pitt, che interpreta Louis, ho già parlato qui, mentre Stephen Rea, qui nei panni di Santiago, lo trovate qua. Anche il bell'Antonio Banderas, che interpreta Armand, ha avuto modo di partecipare al Bollalmanacco con questo post.

Neil Jordan è il regista della pellicola. Irlandese, lo ricordo per film dei generi più disparati, come In compagnia dei lupi, High Spirits – Fantasmi da legare, Michael Collins, In Dreams e La moglie del soldato, con il quale ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura. Anche sceneggiatore e produttore, ha 61 anni e un film in uscita.



Tom Cruise (vero nome Thomas Cruise Mapother IV, manco fosse un faraone…) interpreta il vampiro Lestat. Sicuramente uno degli attori più famosi del mondo, non tra i miei preferiti (tranne quando interpreta rari ruoli comici), lo ricordo per film più o meno “storici” come Legend, Top Gun, Il colore dei soldi, Cocktail, Rain Man – L’uomo della pioggia, Nato il quattro luglio, Giorni di tuono, Cuori ribelli, Codice d’onore, Il socio, Mission: Impossible, Eyes Wide Shut, Magnolia, Vanilla Sky, Minority Report, Austin Powers in Goldmember, L’ultimo samurai e Tropic Thunder. Americano, anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 49 anni e due film in uscita, tra cui l’ennesimo seguito di Mission: Impossible.



Kirsten Dunst interpreta la piccola Claudia. A differenza di Tommaso Crociera, lei è invece una delle attrici che preferisco in assoluto, e la ricordo per film come Il falò delle vanità, il bellissimo Piccole donne, Jumanji, Small Soldiers, Spider – Man, lo splendido Se mi lasci ti cancello, Spider – Man 2, Elizabethtown, Maria Antonietta e Spider – Man 3. Ha inoltre partecipato a serie come Oltre i limiti ed E.R. e, infine, ha a doppiato Kiki nella versione inglese di Kiki Delivery Service e Anastasia in Anastasia. Americana, anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 29 anni e tre film in uscita, tra cui Melancholia, l’ultima pellicola di Lars Von Trier.



Christian Slater interpreta il giornalista Daniel. Slater è senza dubbio uno degli attori che ho avuto più modo di vedere “in azione” ed apprezzare, vista la marea di film interpretati, tra i quali ricordo Il nome della rosa, I delitti del gatto nero, Robin Hood principe dei ladri, lo splendido Una vita al massimo, Alcatraz – L’isola dell’ingiustizia, Nome in codice: Broken Arrow, Austin Powers e il geniale Cose molto cattive. Per la TV, ha partecipato ad episodi di Alias, My Name is Earl e ne ha doppiato parecchi di Robot Chicken. Americano, anche produttore e regista, ha 42 anni e dieci film in uscita.



Siccome il romanzo è stato scritto da Anne Rice nel 1973 (poi pubblicato nel ’76), l’attore che la scrittrice aveva in mente all’epoca per il ruolo di Lestat era Rutger Hauer, e si era pensato anche a John Travolta. Tuttavia la realizzazione di Intervista col vampiro è stata posticipata di vent’anni e i due attori sono diventati troppo vecchi per il ruolo, così la scelta è ricaduta, con iniziale disappunto della Rice, su Tom Cruise, anche se sarebbe stato molto più interessante vedere un Lestat interpretato da Johnny Depp. Tra le attrici in lizza invece per il ruolo della piccola Claudia (all’epoca Kirsten Dunst aveva 12 anni) c’erano la sempre validissima Christina Ricci, quella Julia Stiles che, negli anni a venire, ci avrebbe ammorbati con filmacci come Save the Last Dance o Le 10 cose che odio di te e Dominique Swain, diventata famosa qualche anno dopo per il ruolo di Lolita nell’omonimo e moscio remake del classico Kubrickiano. Scelta obbligata, invece, quella di Christian Slater, visto che Daniel avrebbe dovuto essere interpretato da River Phoenix, morto di overdose l’anno prima. Nei titoli di coda del film, infatti, si legge una dedica alla memoria del giovane attore. Di Intervista col Vampiro esiste anche un seguito del 2002, sempre tratto dai libri di Anne Rice ma nettamente inferiore, ai limiti dell’orrendo, La regina dei dannati. Dimenticatelo, e godetevi il trailer del film recensito, invece! ENJOY!

mercoledì 20 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte - parte II (2011)

Avete ripassato tutti i libri? Avete riguardato tutti i film o, perlomeno, il penultimo? Sarebbe meglio, visto che sto per imbarcarmi nella recensione di Harry Potter e i doni della morte – parte II (Harry Potter and the Deathly Hollows – part II), il finale della saga del maghetto creato da J.K.Rowling, diretto dall’ormai veterano David Yates.



Trama: avevamo lasciato Harry, Ron ed Hermione a Villa Conchiglia, salvi grazie al sacrificio dell’elfo Dobby, mentre il buon Lord Voldemort, dopo aver profanato la tomba di Silente, si appropriava dell’invincibile bacchetta di Sambuco. Ora i nostri devono penetrare alla Gringott, dove sicuramente è nascosto un altro Horcrux, e tornare a Hogwarts per la battaglia finale…



Lasciatemi subito dire una cosa: sono soddisfatta di questo ultimo capitolo, sicuramente uno dei pochi che è riuscito a mantenere un miracoloso equilibrio tra fedeltà all’opera originale ed esigenze cinematografiche. La saga di Harry Potter si è così degnamente conclusa con un film che, effettivamente e purtroppo, approfondisce poco e si distacca quasi completamente dalle spiegazioni filosofiche e morali della Rowling, ma che nel compenso ci regala delle splendide immagini e, finalmente, una battaglia conclusiva degna di questo nome, dopo le clamorose mancanze del sesto episodio.



All’ingresso del cinema, avevo “solo” tre punti fermi che regista e sceneggiatori avrebbero dovuto mantenere, a costo di partire per gli USA e fare sommaria giustizia: il duello tra Bellatrix e Molly, il tanto atteso bacio tra Ron ed Hermione e, soprattutto, una degna rappresentazione del passato di Piton. Sono stata esaudita in parte perché, se è vero che la sequenza dedicata a Severus è commovente, poetica e molto dolorosa (splendide le immagini delle foglie tramutate in mille piccoli uccellini e quella, straziante, della scoperta del cadavere di Lily, che mi ha fatto versare copiose lacrime) e il bacio tanto bramato è stato accolto in sala da un’ovazione da stadio, il duello che la Rowling è riuscita a rendere toccante ed emozionante in due parole viene invece trattato nel film come una mera postilla, quasi un riempitivo. Per il resto, sufficienza piena con qualche riserva. La trama viene sfoltita parecchio, semplificata ma non impoverita, vengono aggiunte nuove scene, trovate nuove soluzioni per descrivere quello che già ci aveva mostrato la scrittrice inglese, la figura di Silente viene quasi completamente “ripulita” (per la serie: che ci frega che, in fin dei conti, fosse un uomo di mmmm…? D’altronde, chi se l’è mai filato?!? Però magari qualche parola in più sul passato di Aberforth, Ariana e Grindelwald potevano spenderla a beneficio di chi è digiuno dai romanzi…) e il parallelo con Gandalf viene infine reso in tutta la sua ovvietà, trasformando il barbuto mago in una sorta di Yoda che elargisce al povero Harry dei consigli inutili quanto il sostegno dei defunti che lo accompagnano al confronto finale con Voldemort.



E che confronto!! Le scene della battaglia, come ho detto, sono epiche. Dopo un’introduzione da brivido, con agghiaccianti urla femminili ad accompagnare la voce di Voldemort, alla faccia dei 300 e di Hero i Mangiamorte salutano Hogwarts con una pioggia di scintille manco fosse il quattro luglio, prima di una corsa mozzafiato su un ponte in pieno stile action movie e, per tornare in tema Signore degli Anelli, arrivano anche giganti armati di falci e statue di pietra semoventi. Il ritmo del film diventa così talmente frenetico che, prima della pausa tra un attacco e l’altro, sembra siano passati solo una ventina di minuti dall’irruzione dei nostri alla Gringott, altra sequenza diretta magistralmente, con una vorticosa discesa nelle segrete della banca e un’impressionante fuga a dorso di Drago (non di Draco. A quello ci arriviamo dopo!). Dopo averci mostrato, comunque, il destino di Piton, il film giustamente e necessariamente rallenta per introdurci nella parte più “riflessiva”, per darci il tempo di piangere i defunti (punto a sfavore: la morte di Fred manca assolutamente di pathos, un altro episodio “di passaggio”, messo tanto per dare un contentino) e prepararci alla necessaria riflessione con morale annessa e inevitabile nostalgia per il tempo che fu, accompagnata alla consapevolezza che questa (a meno che la Rowling non ci ripensi) sarà l’ultima volta che vedremo Harry, Ron ed Hermione, ormai cresciuti e pronti a congedarsi dal pubblico (lacrimuccia, lacrimuccia). Rimane giusto il tempo per uno stacco temporale che ci porta in avanti di 19 anni, ma qui subentriamo nei difetti del film e nei momenti esilaranti. Apriamo quindi un altro paragrafo!



Lucius... vabbé, lo sai cosa mi necessita... :Q______


Ah, l’ironia, la sublime ironia. A volte volontaria, e questo Harry Potter e i doni della Morte – Parte II è molto più ironico del cupo libro della Rowling, ricco di momenti esilaranti affidati ad un Ron che, come sempre, è mattatore ma stavolta anche fichissimo eroe, ad un Neville che viene schernito dai Mangiamorte manco fossimo in un film dei Vanzina e si profonde in dichiarazioni amorose ad una perplessa (e meravigliosa) Luna Lovegood, ad una splendida Minerva MacGrannitt che manda a spigolare il povero Gazza (costretto a pulire fino all’ultimo) e ad un incazzosissimo Voldemort che per ogni “Mio Signore…” pigolato da uno dei suoi lacché risponde con un inequivocabile “AVADA KEDAVRA!!” che fa a pugni con la sua vocina dolce e sommessa (il doppiatore italiano in questo caso merita voto 10). Per quanto riguarda l’ironia involontaria sconfinante nel trash la palma d’oro va invece all’inutile ultimo capitolo, quel “19 anni dopo” che è commovente ed indispensabile nel libro della Rowling, ma che al cinema mette solo una gran tristezza. Colpa dei truccatori, gente. Un conto è sbattersi per rendere credibile Brad Pitt in un film come Il curioso caso di Benjamin Button, dove gli effetti speciali e il make – up per ringiovanire o invecchiare il protagonista dovevano essere al top pena la rovina dell’intera pellicola, ma qui si vede che han fatto proprio un lavoro a tirar via. Ma io mi chiedo QUALE trentottenne andrebbe in giro conciato come i protagonisti da adulti???? Gli unici che se la cavano sono Harry ed Hermione, ma Ron con la buzza che gli tende un’orrenda camicia di flanella non si può guardare, e Ginny versione Desperate Housewife con capello rosso cotonato e calza 90 denari viola è semplicemente imbarazzante, anche se il peggio conciato è lo stempiatissimo Draco Malfoy, che dimostra più o meno 90 anni (i geni di Lucius non hanno attecchito pare. Oddio, ho detto Lucius. Scusate, la bava, ehm…). Inguardabile anche il ringiovanimento al computer di Piton durante i flashback, salvato solo dall’innegabile bravura di Alan Rickman. E fu così che arrivammo a parlare degli attori…



Ovviamente, in un film così corale ci possono essere poche figure di spicco (nonostante il protagonista, Daniel Radcliffe, sia sempre espressivo come un gatto di marmo…) e tante piccole parti che invece non sviluppano appieno il loro potenziale, ma lasciatemi levare il cappello davanti alla misurata, dolce interpretazione di Evanna Lynch nei panni di Luna Lovegood, troppo poco sullo schermo, ahimé, ma abbastanza per entrare nel cuore. Sempre bravissimi Rupert Grint ed Emma Watson, che qui duettano in modo superbo nel mostrare il nuovo legame nato tra Ron ed Hermione; magistrale Alan Rickman nel suo ambiguo, profondissimo ruolo, che purtroppo perde sempre nel doppiaggio italiano (la sua vera voce è insostituibile, sorry); stupenda Helena Bonham Carter nel doppio ruolo di un’Hermione sotto effetto della pozione polisucco, impacciata sui tacchi ed imbarazzata, e in quello della solita, perfida e affascinante Bellatrix; immancabile Jason Isaacs, a confermare come non importa quanto il suo personaggio sia abbruttito, sfigato e vessato da Voldemort (un po’ deludente, per essere il villain, lo ammetto, anche se Ralph Fiennes è sempre bravo!!), perché basta il sangue puro a rendere sexy un mago, anche quando fugge a gambe levate dalla battaglia! Infine, un applauso a Matthew Lewis che, dopo sette film, ha finalmente l’occasione di mostrare tutta la bellezza del suo sottovalutato Neville Paciock, l’anima umile e sfigata di ogni spettatore che avrebbe voluto andare a Hogwarts. Compresa la sottoscritta, ovvio.



Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Julie Walters (Molly Weasley), Jason Isaacs (Lucius Malfoy), Robbie Coltrane (Hagrid), Ralph Phiennes (Voldemort), Michael Gambon (Albus Silente), Emma Thompson (la professoressa Sibilla Cooman), Gary Oldman (Sirius Black) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).

Maggie Smith (vero nome Margaret Natalie Smith) interpreta la professoressa Minerva McGrannitt. Una delle più grandi attrici inglesi viventi, vincitrice di due Oscar, la ricordo, oltre che per tutti i film della serie Harry Potter, per pellicole come Invito a cena con delitto, Camera con vista, Hook – Capitan Uncino, Sister Act – Una svitata in abito da suora (e seguito) e Gosford Park. Ha 77 anni e due film in uscita.



Kelly MacDonald interpreta il fantasma di Helena Corvonero. Scozzese, la ricordo per film come Trainspotting, Elizabeth, Gosford Park, Neverland – Un sogno per la vita e Non è un paese per vecchi, inoltre ha partecipato ad un episodio della serie Alias. Ha 35 anni e tre film in uscita.



Ciarán Hinds interpreta Aberforth Silente. Irlandese, ha partecipato a film come Excalibur, Mary Reilly, Il mistero dell’acqua, Era mio padre, Calendar Girls, Il fantasma dell’Opera e Il rito. Ha 58 anni e cinque film in uscita, tra cui il seguito dell’orrendo Ghost Rider, che uscirà nel 2012 (speriamo il mondo finisca prima!!) e che avrà per protagonista sempre Nicolas Cage. Orrore.



David Thewlis (vero nome David Wheeler) interpreta Remus Lupin. Inglese, ha partecipato a film come Poeti dall’inferno (ma poveraccio, non se lo ricorderà nessuno visto che gli occhi delle bimbeminkia dell’epoca erano tutti per Leonardo Di Caprio..), Dragonheart, Sette anni in Tibet, Il grande Lebowski, Gangster N°1 e The Omen. Anche regista e sceneggiatore, ha 48 anni e tre film in uscita.



Warwick Davis interpreta sia il professor Vitious che il folletto Unci Unci. Voi forse non lo sapete, ma ci siete cresciuti con il nanetto inglese, e lo capirete scorrendo i titoli dei film a cui ha partecipato, cose come Il ritorno dello Jedi, Labirynth dove tutto è possibile, Willow e soprattutto Leprechaun (e tutti i seguiti, gente, il Leprechaun è LUI!!). Anche sceneggiatore e produttore, ha 41 anni e due film in uscita.



E con questo si concludono sia la recensione che la serie di Harry Potter. Grazie a J.K.Rowling per avere creato un mondo così fantasioso popolato da personaggi così reali. Grazie a tutti gli attori e i registi che, tra alti e bassi, si sono adoperati per rendere immortale la saga del maghetto anche su pellicola. Per parafrasare Silente: “Certo, tutto questo è solo nelle nostre teste… ma perché diavolo dovrebbe essere meno reale?” Vi lascio con un piccolo tributo a tutti questi anni di avventure cinematografiche, se ne trovate uno migliore fatemelo sapere, provvederò a metterlo. ENJOY!!!

martedì 19 luglio 2011

Il grande inquisitore (1968)

In questo post si torna al passato, nella fattispecie a quando andavano parecchio di moda gli horror “in costume”, i cosiddetti gotici. Fa parte di questo filone Il grande inquisitore (Witchfinder General), diretto nel 1968 dal regista Michael Reeves e interpretato dal grande Vincent Price.


Trama: Inghilterra, ai tempi della guerra tra sostenitori della monarchia e seguaci di Cromwell. Come se non ci fosse già abbastanza casino per la guerra civile, si aggiunge il fatto che il grande inquisitore Matteo Hopkins, accompagnato dallo spregevole servitore Stearne, viaggia per l’isola amministrando la sua discutibile giustizia ricercando, processando ed uccidendo presunti adepti di Satana e presunte streghe…


Quarant’anni fa sapevano davvero come fare gli horror. Il grande inquisitore, pur se diretto da un ragazzetto di soli 24 anni, con tutti i suoi limiti e i suoi momenti morti è un gran bel film che riesce ad impressionare e far accapponare la pelle come potrebbe fare un torture porn odierno ma senza risultare altrettanto fastidioso. E io che mi aspettavo di vedere poco più di un banale film di cappa e spada, sviata da una lunghissima e decisamente poco ispirante introduzione che ci mostra la vita dei soldati di Cromwell e le battaglie contro i sostenitori della monarchia. Ma quando arriva Vincent Price nei panni di Hopkins… beh, tutto cambia e devo ammettere di essere rimasta parecchio stupita.


Innanzitutto, un po’ di storia. Dovete sapere che Matthew Hopkins è un personaggio storico (sicuramente poco conosciuto in Italia) realmente esistito ai tempi della guerra civile inglese. Il suo compito era quello di scovare e giustiziare streghe e adoratori del demonio, e bisogna dire che il suo lavoro lo faceva bene: infatti pare che in due anni abbia fatto impiccare per stregoneria più persone lui che i suoi “colleghi” nei precedenti 100 anni. Questo ha ovviamente alimentato la sua fama di spietato inquisitore, rendendolo una sorta di spauracchio il cui ricordo vive ancora in tempi recenti, incarnazione di una superstizione cieca e stupida, che porta ad altrettanto stupide persecuzioni. Detto questo, Il grande inquisitore calca però molto la mano sull’amoralità di questa figura: Matteo Hopkins infatti non viene rappresentato come un integerrimo (per quanto deviato) amministratore di una presunta giustizia divina, ma come uno schifoso, amorale e laido profittatore che sfrutta il suo potere, la sua fama e la crudeltà del suo servo per ottenere quel che vuole e, soprattutto, fare uccidere chi vuole. Le sue motivazioni nascono non da una sete di giustizia, ma da “un’atavica voglia di pilu”, che quest’uomo ottiene promettendo a belle e procaci fanciulle di risparmiar loro la vita in cambio di qualche servizietto assai poco religioso.


Lo scafato e scettico spettatore odierno può così ricevere in faccia lo schiaffo più grande della sua vita, assistendo a stupri neppure troppo suggeriti, torture fastidiose e ancor più fastidiosi e impressionanti roghi che ardono gente ancora viva e urlante, con un crescendo che ci porta dritti alla macellata finale a base di colpi d’accetta, follia e titoli di coda che scorrono sulle terribili urla di una donna ormai priva di senno. Immagini da brivido, soprattutto per l’abbondanza di primi piani, come se il giovane regista volesse indugiare come un voyeur sulla sofferenza delle povere vittime del grande inquisitore. Stilisticamente parlando, Il grande inquisitore offre delle gioie, soprattutto nella seconda parte (mentre la prima rischia di ammorbare lo spettatore a causa di prolungate sequenze di cavalcate in boschi e prati), dove l’immagine delle onde del mare diventa quella del fuoco di un rogo, e dove la macchina da presa azzarda delle riprese ardite da angolazioni assai particolari. Infine, ovviamente, Vincent Price è perfetto, in grado di infondere alla disgustosa figura di Hopkins l’arroganza tipica di chi è convinto di essere nel giusto, superiore a chiunque altro e, soprattutto, contento del suo essere uno schifosissimo bastardo “al servizio” del Signore. Non a caso, a detta dello stesso attore, questa è la sua interpretazione migliore (anche se il regista avrebbe voluto Donald Pleasence al posto suo). Non a caso, il film è consigliatissimo.

Michael Reeves è il regista della pellicola. Inglese, ha girato solo tre film oltre a Il grande inquisitore, ovvero Il castello dei morti vivi, Il lago di Satana e Il killer di Satana. E’ morto nel 1969 all’età di 25 anni, per un’overdose di barbiturici.


Vincent Price interpreta Matteo Hopkins. Price è indubbiamente stato una delle icone dell’horror a colori, dell’horror gotico e “storico” debitore dei romanzi di Poe, dei b – movies anni ’70, tanto da essere stato omaggiato da Tim Burton innanzitutto con il corto Vincent e, infine, con la commovente (ho le lacrime a scriverne) ultima partecipazione in Edward mani di forbice, dove interpretava l’eccentrico inventore papà di Edward. Tra gli altri film dell’attore ricordo Bernadette, I tre moschettieri, La maschera di cera, I dieci comandamenti, L’esperimento del Dottor K, La vendetta del Dottor K, Il pozzo e il pendolo, I racconti del terrore, I maghi del terrore, L’ultimo uomo della terra (altro che Io sono leggenda con Will Smith…), La maschera della morte rossa, La tomba di Ligeia, 20.000 leghe sotto la terra, Tre passi nel delirio, L’abominevole Dr. Phibes, Frustrazione e Oscar insanguinato; ha inoltre prestato la voce per Basil l’investigatopo e un episodio delle Tiny Toons Adventures, oltre ad aver partecipato ad Alfred Hitchcock presenta, allo storico e kitchissimo Batman con Adam West, Colombo, La donna bionica e Love Boat. E’ morto all’età di 82 anni a causa di un cancro ai polmoni.


Di Il grande inquisitore esistono diverse versioni, più o meno censurate a livello di nudità e violenza. Inoltre, nella versione americana, dall’azzeccatissimo titolo The Conqueror Worm (letteralmente Il verme conquistatore), si possono sentire recitare, all’inizio e alla fine, i versi dell’omonimo poema di Edgar Allan Poe, il cui testo integrale potete trovare QUI. Prima del consueto trailer vi lascio con un consiglio: se siete interessati a film che trattino la persecuzione delle streghe, non fatevi scappare lo splendido Dies Irae di Carl Theodor Dreyer, un capolavoro e una pietra miliare della cinematografia mondiale. E ora vi lascio col trailer originale de Il grande inquisitore... ENJOY!!!

giovedì 14 luglio 2011

Una notte da leoni (2009)

Folgorata dal trailer del secondo capitolo, ho deciso di guardare Una notte da leoni (The Hangover), commedia diretta nel 2009 dal regista Todd Phillips.



Trama: quattro amici, di cui uno in procinto di sposarsi, decidono di festeggiarne l’addio al celibato a Las Vegas. Dopo la serata tre di loro si risvegliano in una suite d’albergo semi- distrutta, senza ricordarsi nulla di ciò che è successo… e senza lo sposo.



Una notte da leoni è stato, indubbiamente, l’exploit comico che nessuno si aspettava. Molto probabilmente diventerà il film cult della generazione successiva a quella di American Pie, l’ultima grande commedia americana (il che è tutto dire…) degli anni ’90. Merito dell’alchimia assolutamente perfetta tra gli attori e gli standard che incarnano (il “fico” della situazione, il perfettino che nasconde un carattere completamente diverso, il folle fuori da ogni schema) e delle situazioni tragicomiche in cui incappano i protagonisti, che sono poi degli “aggiornamenti” di cliché comici vecchi come il mondo: la macchina che non si potrebbe né usare né toccare che, lo sappiamo già, finirà distrutta alla fine del film; boss malavitosi che diventano delle macchiette, insospettabili guest star infilate nella pellicola più o meno opportunamente, schiaffi alle istituzioni, scambi di persona, qualche virata nello scatologico o nel “sexy”, ecc. ecc. Nulla di troppo nuovo, insomma, e forse Una notte da leoni funziona proprio per questo, per il suo essere un ritorno al classico (che non passa mai di moda, come sappiamo).



Consapevoli di questo, non si può urlare ovviamente al miracolo e, lo ammetto, pensavo davvero di divertirmi di più guardando il film. Innanzitutto è un po’ lento ad ingranare e la presenza della “rivelazione” comica Zack Galifianakis è quasi fastidiosa da tanto il suo personaggio è irrimediabilmente scemo. Però mi è piaciuto per parecchi motivi (e non c’entra la presenza di Bradley Cooper, che comunque è sempre un bel vedere!), innanzitutto per il suo inizio in medias res con la telefonata ad una sposa ormai in ansia e per la splendida scena che segue dopo, quella della suite d’albergo irriconoscibile e piena di indizi che i nostri dovranno mettere assieme per capire che diamine è successo durante la fatidica notte. E l’idea stessa del film, appunto, quella di creare una sorta di “giallo” comico che regala nuovi, esilaranti colpi di scena ad ogni rivelazione è geniale e fa sì che lo spettatore non abbia mai un momento di noia o distrazione, nemmeno durante i titoli di coda dove, con un simpatico escamotage, ci vengono rivelati altri particolari piccanti della Notte da leoni. A parte gli sproloqui pseudointellettuali, comunque, di Una notte da leoni ho amato l’assurdo doppiaggio di Mr. Chow e le stupide canzoncine di Stu e Alan (quella che suona al piano Stu mi ha fatta ridere per un’ora…); solo queste valgono da sole la visione del film. Per quanto riguarda il seguito, non sono andata a vederlo al cinema, ma una serata casalinga in compagnia di amici a guardarselo sbellicandosi dalle risate prima o poi me la farò!



Di Bradley Cooper, che interpreta Phil, ho già parlato in questi post.

Todd Phillips (vero nome Todd Bunzl) è il regista della pellicola, nella quale fa anche un brevissimo cameo. Americano, ha diretto film come Road Trip, Starsky e Hutch, Parto col folle e Una notte da leoni 2, da poco uscito. Anche produttore e sceneggiatore (è stato nominato all’Oscar per la miglior sceneggiatura con Borat), ha 41 anni.



Ed Helms (vero nome Edward Paul Helms) interpreta Stu. Americano, lo ricordo per film come Un’impresa da Dio, Una notte al museo 2 e Una notte da leoni 2. Ha inoltre prestato la voce per film come Mostri contro alieni e serie animate come American Dad! e I Griffin. Anche sceneggiatore e produttore, ha 37 anni e tre film in uscita, tra cui  The Muppets.



Zach Galifianakis (vero nome Zacharius Knight Galifianakis) interpreta Alan. Americano, ha raggiunto il successo internazionale praticamente in questi ultimi due o tre anni, ma effettivamente io già lo conoscevo, solo che non lo avevo mai collegato al bel telefilm Tru Calling, dove interpretava uno dei personaggi principali. Lo ricordo anche per film come Heartbreakers – Vizio di famiglia, Parto col folle e Una notte da leoni 2, oltre che per aver doppiato un episodio di American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 42 anni e tre film in uscita, tra cui The Muppets.



Heather Graham interpreta la spogliarellista Jade. Americana, la ricordo per film come I gemelli, Fuoco cammina con me, il bel Boogie Nights – L’altra Hollywood, Scream 2, Austin Powers la spia che ci provava, La vera storia di Jack lo squartatore e Terapia d’urto, oltre a serie televisive come Genitori in blue jeans, I segreti di Twin Peaks, Oltre i limiti e Scrubs. Anche produttrice, ha 41 anni e cinque film in uscita.



Justin Bartha interpreta Doug. Americano, lo ricordo per film come Studio 54, Il mistero dei templari, Il mistero delle pagine perdute e Una notte da leoni 2. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 33 anni e un film in uscita.



Jeffrey Tambor interpreta Sid, il padre di Alan. Caratterista americano dalla faccia familiarissima, lo ricordo per film come Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, Il dottor Dolittle, Tutti pazzi per Mary, Vi presento Joe Black, Il Grinch, Hellboy , il recente Paul e Una notte da leoni 2, oltre a serie come Il tenente Kojak, Starsky e Hutch, MASH, Love Boat, Ai confini della realtà, La signora in giallo, CSI, Medium. Abile doppiatore, ha prestato la sua voce per Spongebob il film, Mostri contro alieni e le serie Batman, Dinosauri, Pinky and The Brain e Johnny Bravo. Ha 67 anni e quattro film in uscita.



Tra le guest star della pellicola, oltre a Mike Tyson (che nella realtà possiede SETTE tigri, non una…), segnalo Ken Jeong, qui nei panni di Mr. Chow e già villain in Mordimi, mentre la favolosa band che suona al matrimonio è la stessa che, in Starsky & Hutch, vediamo suonare al bat mizvah della figlia di Vince Vaughn. La parte di Jade sarebbe dovuta andare a Lindsay Lohan, che ha rifiutato convinta che il film sarebbe stato un flop. Brava stupida, continua ad entrare e uscire dalle cliniche, che è meglio. E su questa nota allegra, vi lascio al trailer del film... ENJOY!!

giovedì 7 luglio 2011

From Within (2008)

Ed eccomi qui a recensire l’ennesimo horror, anche se i fedeli lettori saranno ormai stufi di leggere post su pellicole praticamente sconosciute. Il film di oggi è From Within, diretto nel 2008 dal regista Phedon Papamichael.


Trama: una religiosissima cittadina americana viene sconvolta da un’ondata di suicidi. E così, mentre il fervore religioso dei pii e probi cittadini comincia ad alimentarsi in modo inquietante, Lindsay è l’unica a capire che qualcosa non quadra e che una forza misteriosa è responsabile delle morti…


Dopo averne visti ormai un buon numero, posso dire che gli horror sono più o meno tutti uguali. Non a caso, in Italia, soprattutto nelle sale cinematografiche, arrivano ormai solo quelli più “particolari”, che per un modo o nell’altro hanno avuto maggior successo nei paesi di produzione. E, non a caso, questo From Within non ha mai varcato i confini del nostro paese, perché in effetti è un film che può passare tranquillamente in secondo piano, ed essere evitato senza troppi rimpianti da chi, diversamente da me, non guarda qualsiasi horror a prescindere: c’è una maledizione che viene passata di persona in persona, spingendo i gli abitanti di un paesino a suicidarsi e c’è il solito gruppo di “outsiders” (nella fattispecie una famiglia accusata di stregoneria) che viene perseguitato, con il protagonista illuminato che cerca di salvare loro e sé stesso da qualcosa di apparentemente inarrestabile. Trama a parte, bisogna dire però che, rispetto alla media, questo From Within è fatto bene.


Innanzitutto è, come dovrebbe essere ogni buon horror, abbastanza inquietante. Siccome la maledizione si manifesta necessariamente in modo diverso per ogni persona, non sappiamo mai dove e come colpirà: angoli bui, specchi, stanze chiuse, sono tutti luoghi da dove potrebbe spuntare lo spirito che infesta il film, mentre corde, bottiglie di candeggina, lame, vetri rotti, sono tutte cose che potrebbero servire per un potenziale suicidio. Una varietà praticamente infinita di uccisioni, dunque, e uno spirito parecchio incazzato ed insistente, rendono From Within meno prevedibile di altri; inoltre, bisogna dire che a me fa sempre piacere vedere il bigottismo messo alla berlina, con la fede cieca che si trasforma in altrettanto cieca ottusità. Detto questo, ovvio che la pellicola non è esente da momenti di incredibile banalità, come la “confessione” del probo Pastore allo stupidissimo figlio o la figura del ragazzino “emo”, bello, maledetto ed esperto di stregoneria, che si immola per amore della pura e casta protagonista: fortunatamente tutto questo viene però surclassato da uno dei finali più belli degli ultimi tempi, che si prolunga nei titoli di coda e che mi consente di dare un voto più che sufficiente al film. Horror fan, dateci un’occhiata.


Di Thomas Dekker, che interpreta Aidan, ho già parlato qui.

Phedon Papamichael è il regista della pellicola. Sinceramente, non conosco gli altri pochi film che ha diretto, ma tra i suoi lavori come direttore della fotografia figurano Sideways, Quando l’amore brucia l’anima, Identità e The Million Dollar Hotel. Greco, anche produttore e aiutoregista, ha 49 anni e un film in uscita.


Elizabeth Rice interpreta Lindsay. Americana, ha partecipato a serie come E.R., Senza traccia, CSI e Medium. Ha 26 anni e un film in uscita.


Laura Allen interpreta la madre di Lindsay, Trish. Americana, ha partecipato a serie come Cold Case, Dr. House, Criminal Minds, The 4400, Grey’s Anatomy e CSI Miami. Ha 37 anni e un film in uscita.


Adam Goldberg interpreta Roy. Faccia conosciuta vista praticamente ovunque, lo ricordo per film come L’ultima profezia, Salvate il soldato Ryan, Déjà vu – Corsa contro il tempo e Zodiac, oltre che per aver partecipato a serie come E.R., NYPD, Friends, Oltre i limiti, Will & Grace, My Name is Earl, Joey, Medium e Numb3rs. Americano, anche produttore e regista, ha 41 anni e tre film in uscita.


Rumer Willis interpreta Natalie, la prima vittima. Se il nome non vi dice nulla, puntate l’attenzione sul cognome, visto che questa ragazzetta è la più grande delle tre figlie di Bruce Willis e Demi Moore. Mi spiace dire che la bellezza dei genitori ha dato come risultato un mostro sgraziato e streppone, una zamarra da paura che ha recitato in film come Striptease, FBI: Protezione testimoni e serie come CSI: NY, Medium e 90210. Ha 23 anni e un film in uscita.


Per la serie “Chi l’ha visto?”, il motivo per cui il Pastore Joe, ovvero l’attore Steven Culp, mi sembrava così familiare sta nel fatto che l’ho visto in parecchi episodi di Desperate Housewives, dove interpretava il marito di Bree, Rex. E dopo questa (probabilmente inutile!) informazione, vi lascio al trailer del film… ENJOY!

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