mercoledì 24 marzo 2010

Shutter Island (2009)

Mwahahaha mi viene già da ridere. La sfida postami dal buon Toto all’uscita del cinema è stata: “Scusa, ma come cavolo farai a recensire questo film senza rivelare nulla della trama e del finale??”. E’ una sfida che ho rimandato per qualche giorno, ma ora devo mettermi a scrivere qualcosa sull’ultimo film di Martin Scorsese, ovvero Shutter Island, tratto dal romanzo L’isola della paura, scritto nel 2003 da Dennis Lehane.


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La trama: Teddy Daniels è un agente federale, che viene mandato con il suo collega Chuck all’Ashecliff Hospital, una struttura psichiatrica specializzata nel trattamento di psicotici criminali di varia natura, sita su un’isola, Shutter Island appunto. Il motivo per cui i due sono lì è che una paziente è sparita, apparentemente senza lasciare traccia, ma il vero motivo che ha spinto Teddy ad accettare il caso è la speranza di trovare il piromane che ha ucciso sua moglie in un incendio, e che dovrebbe essere rinchiuso lì; da qui si dipana una trama fitta di complotti, allucinazioni, ambiguità e quant’altro.


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Detta così potrebbe essere semplice. In realtà in Shutter Island, sebbene avessi capito l’80% del finale già dopo due minuti di film, non c’è nulla di semplice. Poche volte infatti mi è capitato di trovarmi davanti un film così complicato, intrecciato, ambiguo, zeppo di nomi da ricordare e con mille possibili sviluppi della trama. Certo, non siamo ai livelli di Lynch, perché comunque il finale è comprensibile e “spiegato”, ci mancherebbe, ma in quanto ad attenzione richiesta allo spettatore siamo leggermente sopra alla media. Detto questo, il film rischia di perdersi un po’ troppe volte, addormentando il cervello di chi assiste alla proiezione piuttosto che attivarlo, e se non fosse per flashback, allucinazioni varie e qualche sprazzo di grottesca ironia qui e là (i dialoghi con i pazienti sono esilaranti…), il rischio sarebbe quello di provocare disinteresse, il che avrei detto che dovesse essere impossibile davanti ad un film di Scorsese.


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Ed effettivamente non sembra di vedere un film di Scorsese. A parte ovvi richiami a Cape Fear, il suo film forse visivamente più simile a questo (tanto che per un attimo ho creduto in un cameo di Robert DeNiro nei panni del piromane, quando invece avevo davanti la faccia sfregiata di Elias Koteas, CACCA su di me!!), non c’è nulla che richiami gli antichi fasti di uno dei miei registi preferiti. Se non fosse per alcune finezze registiche, in effetti, la paternità del film non sarebbe così palesemente Scorsesiana. I già citati flashback e le allucinazioni sono le uniche immagini particolari di un film altrimenti anonimo, scene di una bellezza incredibile anche se terribilmente crude: i corpi ammassati sotto la neve dei prigionieri nei campi di concentramento, di cui solo con il proseguire del film si riesce ad intuire l’orribile quantità; la morte del direttore dello stesso campo di concentramento, con Di Caprio che svetta su di lui come un novello BastErdo mentre dall’alto sembrano piovere documenti e fogli di carta, lo stesso lento movimento che viene ripreso nelle visioni in cui compare la moglie, coloratissime, vive e costellate di ceneri fluttuanti; ed altre toccanti immagini di cui non parlo per non perdere la sfida, immerse in una fotografia dai colori che richiamano quelli azzurrini dell’acqua. Scene come quelle fanno la gioia di ogni cinefilo, ma sembrano messe proprio per dare quel tocco d’autore alla pellicola, e stentano ad amalgamarsi col resto del film.


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Film che conta peraltro attori della madonna. Al di là di Leonardo di Caprio, che sembra avere sempre la stessa aria da bamboccione ben pettinato per tutto il film, “no matter what”, e al già citato Elias Koteas, ad un tratto spunta un inaspettato Jackie Earle Haley che sembra essersi portato dietro da Watchmen il personaggio di Rorshach senza maschera e poi ovviamente vedere Ben Kingsley in un personaggio assurdamente grottesco e caricaturale è sempre un piacere per gli occhi, così come è bello il cameo ambiguo di Max Von Sydow, che continua a non perdere smalto dopo millemila anni di carriera. Mark Ruffalo è una buona spalla, ma niente di troppo esaltante, e gli altri attori sono comunque buoni. E voi direte: ma che cavolo di recensione è? Eh, non posso davvero dire altro, se non che alla fine Shutter Island è un film che consiglio, magari non ai fan sfegatati di Scorsese che potrebbero rimanere delusi e piccati (come sono rimasta un po’ io in effetti…), però sicuramente agli amanti di un cinema che presuppone un po’ di sforzo mentale da parte del pubblico. Alla fine è un ottimo thriller, con un finale che consente di discuterne per parecchio, magari davanti a un gelato o a una birra.    


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Di Jackie Earle Haley ho già parlato qui, mentre per alcune notizie su Max Von Sydow potete guardare qua.


Martin Scorsese è il regista della pellicola, nonché il mio preferito dopo Tarantino e Burton, tanto che nel 2006 ho deciso di fare la tesi proprio su uno dei suoi film più belli, L’età dell’innocenza. Newyorkese ma con ovvie radici italiane, tra le sue pellicole ricordo con sommo piacere innanzitutto i meravigliosi Taxi Driver, Quei bravi ragazzi e Casino, poi a seguire le altre comunque pregevolissime opere: The Big Shave, Mean Streets, Fuori Orario, L’ultima tentazione di Cristo, Cape Fear – Il promontorio della paura, Il mio viaggio in Italia, Al di là della vita, Gangs of New York, The Aviator e The Departed (per il quale ha vinto un tardivissimo Oscar come miglior regista). Ha 68 anni e ben quattro film in uscita. 


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Leonardo Di Caprio interpreta Teddy Daniels. Attore che mi ha sempre fatto storcere il naso, da che era diventato l’idolo delle adolescenti di tutto il mondo (e quando ero adolescente anche io, intendiamoci, ma preferivo Bruce Willis!) all’epoca di Romeo & Giulietta e ovviamente Titanic, pare che ora abbia sostituito il buon De Niro come attore feticcio di Scorsese, con mio grande dispiacere. Non che non sia migliorato, in quanto a recitazione, negli ultimi anni, ma semplicemente non riesco davvero a farmelo piacere. Tra i suoi film ricordo Critters 3, La mia peggiore amica, Buon compleanno Mr. Grape, Pronti a morire, Poeti dall’inferno, La maschera di ferro, Gangs of New York, Prova a prendermi, The Aviator e The Departed. Ha partecipato anche ad alcuni telefilm a inizio carriera, come Santa Barbara, Pappa e ciccia, Genitori in blue jeans. Ha 36 anni e cinque film in uscita.


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Mark Ruffalo interpreta Chuck. Attore americano dalla faccia decisamente anonima, eppure bravo, lo ricordo in diversi film pregevoli tra cui i bellissimi Studio 54, Se mi lasci ti cancello e il meno bello Zodiac. Ha 43 anni e due film in uscita.


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Ben Kingsley interpreta il Dr. Cawley. Straordinario attore inglese, capace di immedesimarsi in un personaggio fino ad annullarsi completamente in esso (memorabile la sua interpretazione in Gandhi che non a caso gli ha fatto vincere un Oscar come miglior attore protagonista), tra i suoi film cito Schindler’s List, Specie mortale, il film tv Alice nel paese delle meraviglie (nei panni del Brucaliffo!), A.I. Intelligenza artificiale e Oliver Twist. Scopro ora che era tra i protagonisti di un film TV che ricordo ancora da bambina, Il segreto del Sahara, tra l’altro. Ha 67 anni e quattro film in uscita, tra cui quel Prince of Persia di cui ho visto già quattro o cinque volte il trailer al cinema.


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Elias Koteas ha un breve cameo nella parte del piromane Laeddis. Lo cito perché come attore mi piace molto e ho visto, a volte senza nemmeno esserne consapevole, un sacco di film interpretati da lui, tra cui Tartarughe Ninja alla riscossa, Senti chi parla 2, L’ultima profezia, Il tocco del male (due film che ho adorato), L’allievo, La sottile linea rossa, Lost Souls – La profezia, Sim0ne, Zodiac e Il curioso caso di Benjamin Button. Ha partecipato a telefilm come I Soprano, Dr. House, CSI New York e prestato la voce per alcuni episodi di American Dad. Canadese a dispetto del nome e del cognome, ha 49 anni e sei film in uscita.


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Michelle Williams interpreta Dolores, la moglie di Teddy. Comunemente denominata da me medesima “Porcellino biondo” a causa della prolungata partecipazione ad uno dei telefilm più inutili (ed inspiegabilmente di successo!) dello scorso decennio, ovvero Dawson’s Creek, del quale era una dei quattro losers protagonisti. Ha poi intrapreso una carriera cinematografica di tutto rispetto (mica perché era la compagna del defunto Heath Ledger? Noo….!) che conta titoli come Specie mortale, Halloween 20 anni dopo e I segreti di Brokeback Mountain, mentre per la TV la ritroviamo in episodi di Baywatch e Quell’uragano di papà. Ha 30 anni e due film in uscita.


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Fa ridere pensare che per il ruolo di Ruffalo erano stati fatti i nomi di Robert Downey Jr. e Josh Brolin, peccato che entrambi si sarebbero mangiati Di Caprio in quanto a bellezza e presenza scenica, nonché, ovviamente, bravura. Inoltre il progetto avrebbe dovuto essere affidato alla premiata ditta Fincher/Pitt, che già ci hanno regalato gli splendidi Seven e Fight Club. Una simile accoppiata per questo film mi avrebbe incuriosita, rabbrividisco invece all’idea che avrebbe potuto metterci le mani Wolfgang Petersen, regista di colossali idiozie come Troy oppure banalissimi action come Air Force One (nonché di un film a suo modo poetico come La storia infinita…). Comunque se vi è piaciuto il film non vi dico di gettarvi subito a “provare” un Lynch, ma magari potrebbe interessarvi qualcosa come A History of Violence di Cronenberg, altrettanto complesso e molto, molto bello. E ora vi lascio, molto banalmente, al trailer del film. ENJOY!


mercoledì 17 marzo 2010

Shining (1980)

Non paga delle condizioni di salute a dir poco pessime che mi fanno delirare e mi rendono difficile anche fare le cose più semplici, ecco che mi è punta vaghezza di recensire un capolavoro indiscusso del genere horror, anzi forse l’horror più bello che sia mai stato girato, ovvero Shining (The Shining) di Stanley Kubrick, del lontano 1980. Nonostante sia tratto dal romanzo omonimo che Stephen King ha scritto nel 1977, le differenze sono molte, e l’opera cinematografica surclassa prepotentemente un libro che è il più brutto tra quelli scritti dal “Re”.


La trama: Jack Torrance, uno scrittore fallito, ottiene un lavoro come custode invernale dello sperduto Overlook Hotel. Assieme alla moglie Wendy e al figlio Danny, dotato di un potere di chiaroveggenza chiamato “luccicanza” (The Shining, appunto), si stanzia nell’hotel e tutto parrebbe andare per il meglio, se non fosse che piano piano qualcosa comincia a fare impazzire Jack, spingendolo a ripercorrere i passi del precedente custode dell’hotel, reo di avere massacrato la moglie e le due figliolette..


Premettendo che non ho assolutamente intenzione di fornire una critica ad un film che è stato recensito, criticato e sviscerato da ogni cinefilo che si rispetti fin dalla sua uscita. Come per Arancia Meccanica e Il settimo sigillo mi limiterò a dire perché questo film dovrebbe essere guardato. Innanzitutto perché, come ho già accennato, è uno dei pochi film che supera l’opera originale da cui è tratto. Lo Shining di Stephen King è un lungo e noioso racconto che punta molto sulla classica rappresentazione della casa infestata (anche se in questo caso c’è un hotel), la cui influenza va a demolire la psiche di un uomo fondamentalmente non malvagio ma soggetto comunque ad ogni possibile sfiga, scatto d’ira e debolezza. A coronare il tutto c’è il pargoletto dotato di questa Luccicanza, guidato dal fantasma di un bambino di nome Tony, che con la sua sola presenza riesce a rendere i fantasmi dell’hotel più pericolosi e forti di quanto normalmente non siano. Il finale è diversissimo nelle due versioni, tanto che nel libro l’hotel esplode per “noncuranza”, diciamo, mentre nel film rimane ad incombere come se fosse eterno. Però è diversa anche la scelta degli elementi su cui porre l’accento: Kubrick non ci mostra un uomo debole ma fondamentalmente buono, bensì qualcuno che è già propenso a diventare un mostro e ben contento che gliene venga data la possibilità; la luccicanza non è un potere positivo che aiuta il piccolo Danny a ritrovare il padre all’interno del mostro che è diventato, bensì una maledizione che permette solo di osservare impotenti un futuro che non si riesce a cambiare e un passato che minaccia di inghiottirci; quella di Kubrick è un’analisi impietosa della follia là dove Stephen King puntava il dito contro il suo passato di drogato ed alcolista, esorcizzandolo. Nel libro l’hotel si impossessa di Jack, nel film invece parrebbe che il padre di Danny fosse già da tempo parte dell’Overlook, che si è limitato a richiamarlo a sé.


Ciò che rende lo Shining di Kubrick perfetto è l’incredibile capacità del regista di cogliere le immagini essenziali del libro, privarle di inutili orpelli e renderle ancora più inquietanti. Il regista elimina giustamente le scene più trash dal punto di vista visivo, come quella delle siepi semoventi a forma di animali, che è stata sciaguratamente ripresa nel film TV prodotto dallo stesso King, e gli elementi inutili come il fantasma di Tony (usando il ben più inquietante escamotage di Danny che fa parlare un suo dito con un’altra voce) . L’Overlook diventa il protagonista assoluto, una presenza incombente ma mai buia; la caratteristica di Shining è infatti quella di essere un horror che va controcorrente, perché ogni scena, anche la più cruenta, è girata in piena luce. E le scene memorabili sono molte, val la pena vedere il film solo per la bellezza di certe immagini e per l’inquietudine che possono trasmettere con il solo ausilio della penetrante colonna sonora. E siccome ho già detto troppo, e molti spezzoni del film sono talmente famosi che è inutile anche starli a descrivere, dico solo come la bravura del regista riesca a commuovermi ogni volta che Jack Nicholson si mette a guardare il modellino di labirinto all’interno di una sala dell’Overlook, incombendo con il suo ghigno satanico mano a mano che la telecamera zooma in avanti e mostra le piccole figure di Wendy e Danny che giocano all’interno del vero labirinto fuori dall’hotel, senza soluzione di continuità. La scena più bella dell’intero film secondo me. 


Concludo questa breve e atipica recensione magnificando la recitazione non solo di Jack Nicholson, ma anche di Shelley Duvall. Il primo è un demonio, privo di qualsivoglia residuo di umanità ed affetto paterno o coniugale che King avesse voluto infondere al personaggio; al di là dei dialoghi che sono praticamente perfetti sulla sua bocca, gli basta solo uno sguardo per raggelare il sangue e far capire che la mente di Jack Torrance è ormai oltre ogni possibilità di recupero, e se volete una prova inconfutabile della sua bravura basta solo che osserviate con attenzione la famosa scena della vecchia nella stanza: in tempo zero passa da un’espressione spiacevolmente sorpresa, ad una decisamente più sollevata, ad una definitivamente lubrica e porca, tre sguardi che svelano il suo stato d’animo meglio di qualsiasi parola. Quanto a Shelley Duvall, il fatto che il regista le abbia provocato più di una crisi di nervi durante la realizzazione di Shining è risaputo, ma ciò non toglie che la sua Wendy bruttina, vessata dal marito e spiritata sia uno spettacolo da vedere, alla faccia di qualsiasi “scream queen” venuta prima o dopo di lei. In poche parole: guardatelo. Ne vale davvero la pena.


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Del Maestro per eccellenza, ovvero Kubrick, ho già parlato qui, mentre un piccolo excursus sull’attività del divino Jack Nicholson lo trovate qui.

Shelley Duvall interpreta Wendy Torrance. Texana, e nonostante il cognome non imparentata con il grande Robert Duvall, la ricordo per film come Nashville, Io & Annie, Popeye – Braccio di ferro, Frankenweenie, Roxanne e Ritratto di signora. Ha partecipato anche a episodi di Ai confini della realtà e Frasier. Ha 61 anni.


Scatman Crothers, che interpreta il cuoco Dick Halloran (personaggio ripreso poi da Stephen King per un flashback nel suo romanzo più bello, IT), anche lui dotato della luccicanza, aveva già recitato in un film che aveva Jack Nicholson come protagonista, Qualcuno volò sul nido del cuculo, e ha anche prestato la voce allo Scat Cat de Gli Aristogatti. Il piccolo Danny Lloyd invece, meraviglioso interprete di Danny, non ha proseguito con la carriera cinematografica, preferendo dedicarsi all’insegnamento di scienza e biologia. A costo di ribadire l’ovvio, la scritta ripetuta infinite volte “il mattino ha l’oro in bocca”, cambia lingua e proverbio a seconda delle versioni del film (in inglese è “All work and no play makes Jack a dull boy). Leggenda narra che ci siano un sacco di scene eliminate e almeno un finale alternativo, che la versione italiana sia più breve di quella USA, e che Kubrick avesse pensato a De Niro o, addirittura, Robin Williams (che avrebbe poi recitato in Popeye – Braccio di Ferro proprio con Shelley Duvall) per interpretare il ruolo di Jack Torrance, e non oso immaginare cosa sarebbe uscito fuori! Al di là delle leggende, però, è palese che a Stephen King l’adattamento di Kubrick non sia mai andato troppo giù, quindi lo scrittore del Maine nel 1997 ha scritto direttamente la sceneggiatura dello scialbo film TV Stephen King’s The Shining, con Jack Torrance interpretato da un ancor più scialbo Steven Weber, habitué delle produzioni kinghiane e già reo di essersi scopato la “Jenifer” argentiana nei Masters of Horror. Da evitare come la peste!! E ora beccatevi il meraviglioso omaggio de I griffin unito a veri pezzi tratti dal film... ENJOY!!


giovedì 11 marzo 2010

Alice in Wonderland (2010)

Questa potrebbe essere davvero la recensione più attesa da molti dei miei “fedeli lettori”, e mi spiace di averci messo tanto a buttarla giù. Sto parlando ovviamente della recensione di Alice in Wonderland, l’ultimo film di uno dei miei registi preferiti in assoluto, Tim Burton. Ne esco soddisfatta, non tanto quanto avrei voluto, soprattutto a causa dell’uso di quel maledetto 3D che ormai me l’ha fatta a fette. Ma andiamo con ordine.


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La trama: Alice è cresciuta, il ricordo del Paese delle Meraviglie ormai relegato all’idea di un sogno infantile. E’ tempo per lei di fidanzarsi con un moscissimo membro dell’alta borghesia, ma i preparativi per il fidanzamento vengono interrotti dalla comparsa del Bianconiglio. Come in passato, Alice lo segue e cade in un buco, ritrovandosi in un Paese delle Meraviglie tiranneggiato dalla capocciona Regina Rossa, che grazie al suo fidato Ciciarampa ha seminato il terrore e si è assicurata il potere. Ad Alice, assieme a Cappellaio Matto, Stregatto e Regina Bianca, non rimane altro che seguire il destino e cercare di sconfiggere il Ciciarampa nel giorno Gioiglorioso.


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La storia più famosa di Lewis Carroll, un perfetto esempio di gotica follia, rimaneggiata da chi del gotico e della follia ha fatto la sua ragione di vita, era un evento da non perdere per tutti i fan di Burton e ovviamente anche di Alice nel Paese delle Meraviglie. Alice è l’ennesimo personaggio “outsider” del regista, un animo candido, sognatore, che soffre per colpa della grigia e piatta realtà in cui è immerso e in cui tutti vorrebbero rinchiuderlo. Una premessa ideale dunque, che però si perde un po’ nel corso del film, che viene ad assomigliare più ad una quest fantasy che ad un riconoscibile film di Burton. Intendiamoci, i marchi di fabbrica del regista, almeno a livello visivo, ci sono tutti, al di là degli attori – feticcio (Johnny Depp ed Helena Bonham – Carter): i personaggi grotteschi e al limite del cadaverico, gli alberi scheletrici, i pavimenti a spirale, gli abiti meravigliosamente gotici e il Ciciarampa che sembra fatto in stop – motion. Però a questo giro si è visto come tutta la pellicola fosse pervasa di un alone “disneyano” che le ha impedito di brillare come avrebbe dovuto.


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La trama recupera tutti i personaggi più o meno conosciuti dei due libri dedicati ad Alice, Alice in Wonderland e Through the Looking Glass, e li proietta qualche anno nel futuro, quando la protagonista è adolescente. In questo modo gli sceneggiatori sono riusciti a mantenere più o meno intatto il mondo tanto amato dai fan, immergendolo in un contesto nuovo che potesse creare una storia comprensibile anche da chi non fosse familiare con i mondi creati da Carroll. Il risultato è una caratterizzazione molto particolare dei personaggi, che vengono a trovarsi divisi in servi della Regina Rossa e ribelli devoti alla Regina Bianca, decisamente animati dal punto di vista “politico”, paladini della libertà di essere folli e seguire i propri sogni. Si è cercato insomma di dare un senso ad un’opera fondata sul nonsense, incanalando un po’ i personaggi verso una psicologia contorta ma più comprensibile: abbiamo così un Cappellaio Matto che al di là di qualche sproloquio potrebbe quasi essere un eroe romantico, un Ghiro combattente che cava gli occhi ai mostri a colpi di ago, uno Stregatto meno ambiguo ma più coccolone e “impegnato”. Personaggi un po’ debolucci, non a caso ad eclissare tutti gli altri è la splendida Regina Rossa, “Caledetta Mapocciona”, assolutamente folle e geniale , piena di tic e grottesca da morire, l’unica secondo me ad aver mantenuto intatto lo spirito delle opere originali di Carroll; di poco inferiore è la Regina Bianca, un incrocio tra lo Jacopo Ortis di Raul Cremona e la tipica principessa delle fiabe, aggraziata e teatrale anche quando vomita o sputa.


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Andando un momento oltre la trama e la caratterizzazione dei personaggi, questo Alice in Wonderland è comunque visivamente splendido. Premesso che il trucco e i costumi sono sempre meravigliosi (ESIGO il trucco della Regina Bianca e i guanti a righe di Alice!!), come in ogni film di Burton che si rispetti, ho però sentito qualcuno lamentarsi dell’eccesso di CG; non posso dare torto a questi detrattori, ma lo spettacolo che si offre a agli occhi dello spettatore è splendido (la mia scena preferita, oltre alla caduta di Alice nel buco sotto l’albero, è lo scontro sulla scacchiera tra l’Esercito della Regina Rossa e quello della Regina Bianca), e non immagino altro modo per creare un Paese delle Meraviglie così realistico, con tutto il suo assurdo bestiario, i paesaggi sconfinati, gli imponenti palazzi delle due Regine, il vortice in cui cade Alice all’inizio e le carte da gioco soldati della Regina rossa. Più della CG io ho detestato in questo film l’uso del 3D, che speravo potesse renderlo davvero unico. Inutile causare male di testa agli spettatori, scurire la fotografia, far pagare uno sproposito per poi mostrare l’unico effetto degno di essere chiamato 3D alla fine: una farfallina blu che esce letteralmente dallo schermo. Sì, carinissima come cosa, per carità, e molto poetica ma… anche no, please. Quest’ultima frontiera sta diventando l’ultima fregatura, e purtroppo più andremo avanti più i film realizzati in 3D saranno gli unici che passeranno nelle sale, ci manca solo che facciano Vacanze di Natale in 3D col culo peloso di De Sica che piomba sulle facce inorridite degli spettatori e siamo a posto!


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In poche parole, Alice in Wonderland mi è piaciuto. Speravo meglio, ma mi è piaciuto, e se lo avessi visto in inglese immagino me lo sarei goduta anche di più, perché la cosa bella è che Tim Burton ha mantenuto i nonsense linguistici di Carroll e li usa a piene mani per fare parlare il Cappellaio Matto, la Regina Rossa e gli ahimé poco sfruttati Pinco Panco & Panco Pinco, tanto che spesso i dialoghi risultano ostici anche in italiano; l’altro motivo per cui avrei voluto vederlo in inglese è la marea di gente che da la voce ai personaggi, come Alan Rickman col Brucaliffo (anche lui, personaggio poco valorizzato…) o l’icona Christopher Lee col Ciciarampa. Ho apprezzato tantissimo l’ironia che pervade tutta la pellicola, soprattutto quando Alice si confronta con il futuro e orrendo promesso sposo e la sua famiglia, oppure quando la Regina Rossa soffre le pene d’amore (non corrisposto) per il viscidissimo Fante e ho adorato i flashback, pochi ma buoni, che mostrano la dolcissima Alice bambina in quello che per me sarà sempre il vero Paese delle Meraviglie. E, almeno per me, il problema sta proprio qui: nella consapevolezza che nel 1951 un trio di registi ha diretto per la Disney il cartone animato forse più bello della “casa del topo”, ovvero Alice nel Paese delle Meraviglie. E io ricordo ancora come mi sentivo, e ancora mi sento, a disagio ed inquieta, ogni volta che vedevo Alice impossibilitata ad uscire da quella maledetta stanza con la porticina, o quando la strada veniva cancellata dai Palmipedoni che la lasciavano sola e perduta a piangere nel buio, presa in giro dallo Stregatto che era davvero bastardo e ambiguo. Alla fine quel maledetto Paese non era così meraviglioso, ma il frutto delle fantasie di una bimbetta preda della pazzia, e questo aspetto nel film di Burton viene scelleratamente evitato, togliendo ogni genere di inquietudine o incertezza e dividendo nettamente i buoni dai cattivi. E non basta un fiume di teste decapitate per provocare qualche brivido, purtroppo. Speriamo che, per citare il Cappellaio, Tim Burton torni a recuperare la sua “moltezza”. In compenso, voto 10 alla splendida colonna sonora di Danny Elfman.


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Di Helena Bohnam – Carter, attuale compagna del regista, ho già parlato qui, mentre Alan Rickman è una presenza praticamente fissa del Bollalmanacco: aspetto entrambi con ansia per l’ultimo Harry Potter, ovviamente. Di Johnny Depp ho già parlato qui; si favoleggia un suo ritorno come Capitan Jack Sparrow in un quarto episodio della saga dedicata ai Pirati dei Caraibi, e anche una sua partecipazione al terzo capitolo di Sin City. Sperèm!


Tim Burton è il regista del film. Assieme a Tarantino e Scorsese forma la triade dei miei preferiti in assoluto, e non avete idea di quanto stia bestemmiando all’idea di non poter andare a New York a vedere la mostra che gli ha dedicato il MOMA. Speriamo in Cannes, via. Tra i film da lui diretti, tutti meravigliosi tranne l’obbrobrioso Planet of The Apes, ricordo Beetlejuice – Spiritello porcello, Batman, il capolavoro Edward mani di forbice, Barman Returns, Ed Wood, Mars Attacks!, Il mistero di Sleepy Hollow, Big Fish, La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere e Sweeney Todd. Ha realizzato anche parecchi corti, come Vincent e Frankenweenie (che sta per diventare un lungometraggio!) e serie animate come The Adventures of Stainboy, senza dimenticare poi che la sua magica manina ha scritto e prodotto l’altro grande capolavoro che è The Nightmare Before Christmas. Ha 52 anni e un film in uscita, Frankenweenie appunto.


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Christopher Lee da la voce al Ciciarampa in originale. Icona horror vivente, sia per numero di film che per “anzianità”, dopo la morte del divino Vincent Price è diventato il feticcio nostalgico di Burton. I film da lui interpretati (quasi sempre come villain o come guest star..) spaziano dall’horror più serio a quello più becero, dalla serie dedicata a Fu Manchu a mille e più pellicole con Dracula o altri vampiri come protagonisti. Alcuni titoli: La maschera di Frankenstein, Dracula il Vampiro, La furia dei Baskerville, La mummia, Ercole al centro della Terra, 1941: allarme a Hollywood, Howling II – L’ululato, Gremlins 2 – La nuova stirpe, Scuola di polizia – Missione a Mosca, Sorellina e il principe del sogno (eh sì…!), Il mistero di Sleepy Hollow, la trilogia de Il Signore degli Anelli, La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere (doppiava il bastardissimo vescovo). Inglese, ha la veneranda età di 88 anni e la bellezza di quattro film in uscita.


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Anne Hathaway interpreta la meravigliosa Regina Bianca. La sua carriera è appena agli inizi, ma è costellata di film interessanti, come I segreti di Brokeback Mountain e Il Diavolo veste Prada. Ha prestato inoltre la voce per Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti e alcuni episodi di Simpson e Griffin. Ha 28 anni e due film in uscita.


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E per la serie “Carneade, chi era costui?”, segnalo che Crispin Glover, ovvero il Fante, è lo stesso attore che in Charlie’s Angels interpreta il Secco Orripilante e colui che ha avuto l’onore di essere seppellito dal trucco di Grendel nell’orrendo Beowulf. Matt Lucas invece è colui che si nasconde dietro il doppio ruolo di Pinco Panco e Panco Pinco, dopo anni passati a fare scompisciare le platee internazionali con Little Britain. Piccola curiosità: il Cappellaio chiede sempre ad Alice “perché un corvo è come una scrivania?”. La cosa mi ha incuriosita, e sono andata a cercare qualche notizia in merito. La domanda effettivamente è presente anche nelle opere di Carroll, che ha affermato che non esiste una risposta. Ma alcuni sostengono che la risposta sia… “perché Edgar Allan Poe ha lavorato su entrambi”. Geniale. Ma più geniale lo Stregatto della Disney, non posso fare a meno di mettere uno spezzone di Alice nel paese delle meraviglie! ENJOY!


lunedì 8 marzo 2010

Oscar 2010

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Anche quest’anno sono arrivati i tanto amati/odiati Academy Awards, banalmente detti Oscar. Giusto stanotte sono stati assegnati i premi che a rigor di logica dovrebbero insindacabilmente giudicare i film e gli attori migliori dell’anno.Come tutte le volte, mi permetto di dissentire, e quest’anno ci metto anche un po’ di quel “furiosissimo sdegno” citato dal buon Jules in Pulp Fiction. Innanzitutto sovvertiamo l’ordine logico e parliamo dell’unico premio assolutamente buono e giusto: quello come migliore attore non protagonista a Christoph Waltz per Inglorious Basterds. Se per sbaglio non glielo avessero dato credo che i giudici dell’Academy sarebbero stati scalpati da più di un fan di Tarantino, perché l’attore tedesco, di cui ho già parlato qui, e assolutamente perfetto nei panni del Colonnello Landa. Sia quindi Giorno Gioiglorioso per tutti i fan di Quentin, e complimenti al BastErdissimo Colonnello!!


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E ora mettiamo un po’ da parte la gioia e cominciamo a fare l’elenco dei caduti. Non nego il mio assoluto dispiacere per il fatto che Inglorious Basterds non abbia portato a casa nessun’altra statuetta. Avrei però scommesso oro sul fatto che Avatar avrebbe fatto man bassa di tutti i premi, e invece a sorpresa è spuntata la pur bravissima Kathryn Bigelow con il suo film The Hurt Locker, premiati rispettivamente come migliore regista e migliore film, con l’aggiunta di un premio per la miglior sceneggiatura originale. Ammetto che prima di questi ultimi giorni non avevo mai sentito nominare la pellicola (uscita in sordina in Italia già nel 2008!) che parla di un gruppo di soldati americani catapultati in Iraq agli ordini di un pazzo, costretti a sopravvivere per tutto il tempo di durata della missione, disinnescando bombe. Il film ha una trama interessante e conta la presenza di attori con le palle come Ralph Fiennes e David Morse, ed è solo per quello che non invoco l’anatema preventivo sull’Academy per avere ingiustamente snobbato i BastErdi. Quanto a Kathryn Bigelow, è una regista che mi piace molto. Il mistero dell’acqua è un film splendido, mentre Il buio si avvicina, che peraltro devo ancora vedere, è un caposaldo del cinema sui vampiri, e penso proprio che rimedierò presto. Giudizio sospeso sui premi ricevuti, dunque.


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Nonostante tifassi il sempre bravo Morgan Freeman, invece, gioia invereconda per l’aver visto Jeff Bridges strappare la statuetta all’ormai decaduto e favoritissimo Clooney. Alla faccia di chi voleva ormai finito questo grandissimo attore, eccolo vincere l’ambita statuetta con il film Crazy Heart (altra pellicola che dovrò vedere), la storia di un cantante country ormai abbruttito dalla vita e dall’alcool. Per maggiori informazioni sull’attore Californiano andate a leggervi il post dedicato a L’uomo che fissa le capre.


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CACCA, cacca e ancora cacca invece per un premio che non doveva nemmeno essere concepito, ovvero quello a Sandra Bullock (trionfatrice ai Razzies annuali con il film All About Steve) come miglior attrice. Innanzitutto, “ci piace vincere facile”, perché il film che le ha regalato la vittoria, ovvero The Blind Side, mescola sport e casi umani, una cosa che agli americani piace sempre. Seconda cosa, la fidanzatina d’America si scontrava con mostri talmente sacri (Helen Mirren e Meryl Streep su tutte) che se anche lei avesse recitato un novello Via col vento e le altre si fossero limitate a doppiare Miss Piggy nell’ennesimo film dei Muppets avrebbe dovuto accettare la sconfitta in silenzio. Ma comunque, quel che è stato è stato, le badilate di cacca arriveranno all’Academy per direttissima, e ora vi elenco un paio di film, interpretati dalla novella vincitrice, che NON dovete vedere se volete mantenervi un minimo di materia grigia: Pozione d’amore, Demolition Man, The Net, Amori & Incantesimi, Piovuta dal cielo, Miss Detective, Two Weeks Notice, Miss FBI 2 – Infiltrata speciale. Un paio di film almeno guardabili invece sono The Vanishing e Speed. Auguri.


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Perplessità invece sulla decisione di dare l’Oscar come miglior attrice non protagonista alla comica Mo’Nique. Anche qui, sospendo il giudizio su interpretazione e film, Precious, che mi sembra assai interessante e carino (ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale), però… mah. C’erano attrici del calibro di Pénelope Cruz (che ha vinto l’Oscar l’anno scorso) e Maggie Gyllenhaal a concorrere per la statuetta, anche se credo la prima sia stata penalizzata dal trash imperante di Nine e la seconda eclissata dall’interpretazione di Jeff Bridges. Nell’attesa dunque di vedere questo Precious ricordo che la gargantuesca Mo’Nique ha fatto parte per anni del cast di Le favolose Parkers e ha recitato in episodi di Nip/Tuck e Ugly Betty.


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E il tanto atteso e favorito Avatar, se n’è tornato a casa con le pive nel sacco? Assolutamente no, anche se ha ramazzato solo ovvi e meritatissimi premi “tecnici”, per così dire: migliore scenografia, migliore fotografia, migliori effetti speciali. Aggiungo inoltre che quell’Up che tanto avrei voluto vedere, e che è rimasto al palo per cause lontane dalla mia volontà, ha vinto il premio come miglior film d’animazione. Dunque, questa volta, cacca anche su di me!  E ora, a proposito di Avatar, vi lascio con la visione del geniale Ben Stiller travestito da alieno, che consegna il premio per il miglior makeup... ENJOY!!!




venerdì 5 marzo 2010

Il miglio verde (1999)

Siccome di pianti a dirotto davanti allo schermo non ne ho mai abbastanza, ecco che poco dopo Amabili Resti sono riuscita a commuovermi e piangere come un vitello ostinandomi a rivedere più o meno per la quinta volta Il miglio verde, film tratto dall’omonimo romanzo a puntate di Stephen King e diretto nel 1999 da Frank Darabont. Come avrete capito è un film che mi piace davvero molto, e ora vi spiego il perché.


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La trama: negli anni ’30 Paul Edgecomb lavora come capo delle guardie nel cosiddetto “Miglio Verde”, ovvero quel braccio del penitenziario dove i condannati a morte aspettano di venire uccisi sulla sedia elettrica. Tra i tanti prigionieri, un giorno ne arriva uno molto speciale, il gigante nero John Coffey, condannato per un crimine orribile eppure stranamente buono, remissivo… e soprattutto in grado di guarire le persone con il semplice tocco delle mani.


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Parlare de Il miglio verde è molto facile perché, a differenza di tanti altri registi, Frank Darabont ha la capacità di annullarsi completamente e mettersi semplicemente a raccontare quello che lo scrittore di turno ha messo su carta, senza alterarne né la trama né il senso. Per chi, come me, detesta gli adattamenti troppo liberi, soprattutto per quel che riguarda i libri che ha amato, un simile approccio è una manna dal cielo. Se il libro o il racconto già di per sé sono belli, Darabont è in grado di lasciarli come sono, impreziosendoli con l’ausilio di una regia semplice e classica ma non banale, sfoltendoli giusto dove è necessario ed aggiungendo piccole modifiche che non snaturano l’idea originale ma, anzi, arricchiscono l’opera. Bisogna dire che Stephen King è un grande narratore, ma come critico cinematografico e “tutore” delle sue opere è veramente una capra (e qui per fare ammenda andrò fino nel Maine in ginocchio sui ceci, con sette palmi di lingua strasciconi sul selciato…): il Re infatti da bravo americanaccio burino semplicemente adora l’idea che i registi rovinino con inutili troiate trash i suoi romanzi, come per esempio nell’orrido adattamento dello splendido romanzo L’acchiapasogni (che già aveva un inizio trash di suo…), e disconosce opere magistrali come il capolavoro Shining di Kubrick, che dev’essere stato l’unico regista al mondo in grado di migliorare quello che a parer mio è il libro di King più brutto e noioso; non a caso poi il Re ha pensato bene di crearne una versione televisiva, sulla quale non mi soffermo per pietà, più vicina all’idea originale.


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Ma tralasciando gli sproloqui, Il miglio verde è come dicevo fedelissimo al libro e cattura alla perfezione lo spirito Kingiano che inserisce da sempre persone normali in un contesto a dir poco assurdo, e ci mostra le loro reazioni. L’aspetto sovrannaturale infatti c’è ma è perfettamente inserito nella descrizione della vita quotidiana all’interno del braccio della morte di un penitenziario; il regista ci introduce all’interno di un luogo così triste attraverso la delicata voce narrante di un Paul Edgecomb ormai vecchio, che decide di raccontare la sua vita all’amica “speciale” dell’ospizio. Impossibile per lo spettatore non innamorarsi all’istante dei protagonisti, che siano guardie o condannati a morte, e non diventare partecipe delle loro vicende, intenerendosi per un topolino che arriva a portare felicità ad un convitto cajun, ridendo del cameratismo che c’è tra le guardie, arrivando ad odiare con forza i due personaggi negativi, Percy e Wild Bill Wharton, trattenendo il respiro meravigliati ogni volta che compare sullo schermo John Coffey, il gigante buono; illudendosi, fino alla fine, che la conclusione della pellicola sarà positiva, nonostante tutto.


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Fa molto il regista, che nonostante tutto cerca di non indugiare sui particolari macabri, anche se le esecuzioni sono molto realistiche, soprattutto quella di Delacroix, e anche se l’introduzione e il racconto della morte delle due bambine è da brividi con quel ralenti che rende tutto più ineluttabile; ma anche gli attori ci mettono del loro. In un film così fedele al libro, infatti, l’unico modo di arricchirlo ed invogliare lo spettatore a farsi catturare anche dopo aver letto il romanzo, è quello di rendere i personaggi ancora più vivi. E così anche Tom Hanks riesce ad essere un po’ meno bolso e ad interpretare un Paul Edgecomb praticamente perfetto, ma i migliori sono i “personaggi secondari”, che tanto secondari non sono: senza di loro infatti il film perderebbe gran parte della sua bellezza. David Morse e Barry Pepper sono due “spalle” d’eccezione, Michael Clarke Duncan riesce ad interpretare il gigante buono John Coffey senza renderlo patetico e ridicolo, nonostante sia in lacrime per i tre quarti del film, e il Wild Bill di Sam Rockwell è divinamente abietto. Ho amato davvero molto poi l’idea di fare scaturire il ricordo di tutta la vicenda dalla canzone “Cheek to cheek”, il pezzo più famoso della colonna sonora di Cappello a cilindro con Fred Astaire, mentre nel libro la storia parte dalla decisione del vecchio Paul Edgecomb di fissare i ricordi nella memoria scrivendoli in una sorta di diario. In poche parole, un film molto bello, di stampo classico, che potrebbe davvero piacere a tutti.


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Di Tom Hanks ho già parlato qui. Presto nei cinema italiani Toy Story 3, che in originale ha lui come doppiatore del cowboy Woody, e purtroppo per tutti noi stanno per cominciare le riprese del terzo film tratto dai libri di Dan Brown, ovvero The Lost Symbol, dove ancora una volta Hanks vestirà i panni del bolsissimo Robert Langdon.


Frank Darabont è il regista e sceneggiatore del film, nonché uno dei miei preferiti vista la bravura con cui ha girato uno dei film più belli della storia del cinema, Le ali della libertà, sempre tratto da un libro di King, come l’altro suo film che devo ancora vedere, The Mist. Ha diretto anche un episodio di The Shield, per la tv. Di origine francese, ha 51 anni.


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David Morse interpreta il mitico Brutal. Attore di straordinaria bravura, anche se sempre relegato in ruoli di coprotagonista, lo ricordo in L’innocenza del diavolo, nel film TV I Langolieri (sempre tratto da Stephen King), Tre giorni per la verità, l’interessante L’esercito delle 12 scimmie, The Rock, Extreme Measures, Il negoziatore, Dancer in the Dark, Cuori in Atlantide (sempre di Stephen King) e Disturbia. Ha inoltre partecipato ad episodi di Racconti di mezzanotte, Dr. House e Medium. Ha 57 anni e tre film in uscita.


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Michael Clarke Duncan interpreta il gigantesco John Coffey, interpretazione che gli è valsa la nomination all’Oscar . Attore non poi tanto gigantesco (alla fine, in realtà, è alto come David Morse!!) e rinomato doppiatore, grazie alla sua voce profonda, ha recitato in Armageddon, FBI protezione testimoni, Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie, Sin City, Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby, e in episodi dei telefilm Renegade, Willy il principe di Bel Air; Zack e Cody al Grand Hotel e Due uomini e mezzo; ha inoltre prestato la voce per Kung Fu Panda e alcuni episodi de I Griffin. Ha 53 anni e quattro film in uscita.


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Barry Pepper interpreta la guardia Dean Stanton. Negli anni in cui uscì il film non c’era film in cui non si vedesse il buon Barry, al che immaginavo una carriera sfolgorante per l’attore, che invece ultimamente s’è un po’ perso. Tra i suoi film ricordo Salvate il soldato Ryan, Nemico pubblico, il vergognoso volantino pubblicitario di Scientology ovvero Battaglia per la terra, Compagnie pericolose e La 25ma ora, mentre in tv lo si può vedere recitare nei telefilm Highlander, Oltre i limiti e Sentinel. Canadese, ha 40 anni e un film in uscita.


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Sam Rockwell interpreta il disgustoso Wild Bill Wharton. Attore assai particolare, tra i suoi film ricordo Tartarughe Ninja alla riscossa (!!), Alla ricerca di Jimmy, Sogno di una notte di mezza estate, Charlie’s Angels e Confessioni di una mante pericolosa, mentre tra i telefilm da lui interpretati cito Law and Order e NYPD. Ha 42 anni e due film in uscita tra cui Iron Man 2.


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Tra gli altri attori ci sono Bonnie Hunt (protagonista di film storici della mia infanzia come Beethoven e Jumanji) nei panni della moglie di Paul, James Cromwell (il pastore che adotta il maialino in Babe!) nei panni del capo Warden ed infine, per tutti i Lost – addicted, comunico che Doug Hutchinson, che interpreta l’odioso Percy, nel nostro telefilm preferito si è fatto crescere un bel po’ di capelli e ha rotto per parecchio le uova nel paniere a Sawyer/La Fleur durante la quinta serie, nei panni di Horace.  E ora vi lascio con la parodia dei Simpson, con una qualità che definire disgustosa è poco ma... dovevo metterlo!! Se ne trovate una versione migliore ditemelo, thanks! E... ENJOY!


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