domenica 29 aprile 2018

Bollalmanacco On Demand: I racconti della luna pallida d'agosto (1953)

Torna il Bollalmanacco On Demand con una splendida richiesta del fan facebookiano Rosario il quale, con santa pazienza, chissà quanto tempo fa ha perorato la causa de I racconti della luna pallida d'agosto (雨月物語 - Ugetsu Monogatari, letteralmente Racconti di pioggia e di luna), diretto nel 1953 dal regista Kinji Mizoguchi e ispirato all'omonima raccolta di racconti di Ueda Akinari (in particolare L'albergo di Asaji e La lubricità del serpente). Il prossimo film On Demand dovrebbe essere Picnic a Hanging Rock, oppure il vincitore della "gara" indetta in occasione della dipartita di Vittorio Taviani. ENJOY!


Trama: Giappone, fine del secolo XVI. Nel corso delle guerre civili si intrecciano le storie di un vasaio accecato dalla brama di ricchezza, del fratello che vorrebbe diventare samurai e delle rispettive mogli, costrette a sopravvivere alle brame dei soldati mentre i loro uomini seguono sogni di gloria...



Nonostante adori il Giappone e la sua cultura conosco ben poco del Cinema giapponese "di spessore", vuoi perché determinati film passavano rarissimamente in TV quando avrei avuto tempo di guardarli, vuoi perché ora c'è sempre qualcosa che distoglie la mia attenzione. Quando Rosario ha chiesto una recensione per I racconti della luna pallida d'agosto sono stata quindi molto felice ma è anche sopraggiunta un po' d'ansia, in quanto la pellicola in questione è universalmente riconosciuta come un caposaldo del cinema nipponico, in grado di influenzare le opere che sono venute dopo e di far conoscere la cinematografia giapponese al pubblico occidentale, anche in virtù del Leone d'Oro vinto a Venezia e della nomination per i Costumi agli Oscar. Mix tra dramma in costume (Jidaigeki) e racconto fantastico, I racconti della luna pallida d'agosto presenta una storia apparentemente semplice il cui pathos e le cui implicazioni "crescono" man mano che il film prosegue. Inizialmente, infatti, l'atmosfera è quasi quella di una commedia "famigliare", all'interno della quale le povere mogli dotate di cervello sono costrette a frenare le ambizioni di due sciocchi fratelli (uno più dell'altro) e sopportare le loro mattane mentre la guerra incombe. Quando i soldati raggiungono il villaggio delle due famiglie qualcosa comincia però ad incrinarsi, tra presagi di morte e violenze neppure troppo suggerite, e la fuga dei quattro protagonisti (ai quali bisogna aggiungere il figlioletto di Ohama e Genjuro) comincia ad avere un sapore non tanto di rivalsa sociale o speranza di trovare la ricchezza, quanto di corsa a capofitto verso un'inevitabile tragedia. Per perseguire i loro sogni, infatti, gli uomini de I racconti della pallida luna d'agosto, benché innamorati delle loro mogli, non esitano ad agire in maniera sconsiderata dimenticandosi, anche solo momentaneamente, della loro esistenza e condannandole quindi a soccombere all'interno di una società allo sbando, dove pirati, banditi, soldati e criminali la fanno da padroni. Genjuro, irretito dai complimenti di una splendida Signora e lieto di poter abbracciare una vita di lusso sfrenato, non riesce a vedere al di là del proprio naso e scambia un inferno spettrale per il paradiso, aprendo la via a quegli spiriti che camminano accanto agli uomini, mentre lo stupido fratello Toubei persegue ciecamente il desiderio di diventare samurai, incurante delle parole sagge della moglie nonostante la sua ambizione derivi dalla volontà di venire ammirato e rispettato innanzitutto da lei. I racconti della pallida luna d'agosto è dunque una malinconica storia di reciproche incomprensioni, leggerezze imperdonabili e desideri "mondani" che offuscano la ragione, impedendo alle persone di godere delle vere gioie della vita, quelle reali e tangibili che magari non riusciamo ad apprezzare perché troppo "banali" e distanti dai nostri sogni di gloria.


Il Giappone portato su schermo da Mizoguchi, immortalato nella bellezza del bianco e nero, è un luogo povero, inghiottito da una natura selvaggia intervallata di tanto in tanto da risaie, sporadici campi coltivati o villaggi formati da poche capanne (ma con un enorme forno per cuocere le preziose terracotte, beni di lusso che hanno un peso enorme nelle vicende narrate), zeppo di anfratti insidiosi dove può nascondersi ogni sorta di pericolo; il regista, in poco più di un'ora e mezza, riesce ad aprire gli occhi dell'Occidentale e mostrargli le stratificazioni sociali del Giappone di fine '600, dai caotici bassifondi delle città dove i Daimyo passano tra la folla che non osa alzare lo sguardo su di loro, agli eleganti ambienti delle case tradizionali dei ricchi, dove splendide "principesse" danzano con eleganti ventagli in mano, avvolte da kimono le cui sete preziose risplendono anche senza l'utilizzo del technicolor. La luce e l'ombra vengono dosate con tocchi magistrali e si caricano di particolari rivelatori, soprattutto nelle scene che coinvolgono Lady Wakasa, costantemente accompagnata da un'aura luminosa che ne sottolinea la natura eterea e punta a confondere ancor più il povero Genjuro, accecato da tanta grazia, mentre le ombre sono talmente nitide e profonde che spesso pare di vedere un quadro in movimento tratteggiato a inchiostro piuttosto che un film. Da profana, da donna "moderna", sono rimasta soprattutto meravigliata dal modo in cui la violenza (sessuale e non), pur venendo solo suggerita per ragioni di pudore e probabilmente di censura, tocchi comunque con forza la sensibilità dello spettatore, facendogli percepire chiaramente le sensazioni di disperazione, dolore e vergogna provate dai personaggi (peraltro interpretati da attori fantastici, soprattutto Kinuyo Tanaka e Masayuki Mori), mentre i momenti "rosa" sono assai più sensuali ed intensi di qualsiasi scena esplicita possa passare oggi al cinema o in TV. Insomma, avrete capito che I racconti della luna pallida d'agosto mi ha folgorata. Ancora una volta devo quindi ringraziare il giorno in cui l'idea di "creare" l'On Demand mi è balenata in testa, perché probabilmente senza essere stata spinta dalla richiesta di Rosario non avrei mai recuperato questo film splendido. Anzi, se avete altri suggerimenti simili non esistete a dimandare!!

Kenji Mizoguchi è il regista della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Le sorelle del Gion, Vita di O-Haru, donna galante, Gli amanti crocifissi, L'intendente Sanshou e La strada della vergogna. Anche sceneggiatore e produttore, è morto nel 1956 all'età di 58 anni.


Machiko Kyou (vero nome Yano Motoko) interpreta Lady Wakasa. Giapponese, ha partecipato a film come Rashomon, Genji Monogatari, La porta dell'inferno, La casa da tè alla luna d'agosto e La strada della vergogna. Ha 94 anni.


Kinuyo Tanaka interpreta Miyagi. Giapponese, ha partecipato a film come La vita di O-Haru, donna galante, Love letter, L'intendente Sansho e Brothel n.8. Anche regista, è morta nel 1977 all'età di 66 anni.


Masayuki Mori (vero nome Yukimitsu Arishima) interpreta Genjuro. Giapponese, ha partecipato a film come Gli uomini che mettono il piede sulla coda della tigre, Rashomon, L'idiota, Nubi fluttuanti e I cattivi dormono in pace. E' morto nel 1973  all'età di 62 anni.


La storia di Toubei e del suo desiderio di diventare samurai è ispirata a un racconto di Guy de Maupassant, La legione d'onore, e nelle idee di Mizoguchi avrebbe dovuto concludersi con Toubei che, nonostante avesse incontrato la moglie nel bordello, decideva comunque di perseguire la sua carriera, abbandonandola. Il finale della storia però è stato ritenuto troppo cupo dai produttori, che hanno chiesto al regista di cambiarlo nonostante quest'ultimo avesse completa libertà creativa sul film. Detto questo, se I racconti della luna pallida d'agosto vi fosse piaciuto recuperate Rashomon e magari anche Storia di fantasmi cinesi. ENJOY!

venerdì 27 aprile 2018

Jumanji - Benvenuti nella giungla (2017)

Tra una cosa e l'altra non ero riuscita ad andare al cinema a vedere Jumanji - Benvenuti nella giungla (Jumanji - Welcome to the Jungle), diretto nel 2017 dal regista Jake Kasdan e ispirato al libro Jumanji di Chris Van Allsburg, però appena si è reso disponibile (è uscito la settimana scorsa in DVD e Blu-Ray) l'ho recuperato, spinta dai giudizi positivi di tutti quelli che lo avevano visto!


Trama: quattro adolescenti vengono risucchiati nel videogame Jumanji e bloccati nel corpo di avatar ben diversi da loro. Per tornare alla realtà dovranno finire il gioco ma non sarà facile...



E' sempre facile parlare di come i remake/reboot odierni rovinino l'infanzia di chi, come la sottoscritta, ha vissuto quella fase della vita negli anni '80 o '90, però prima o poi bisogna scendere a patti con l'innegabile fatto che non tutti i prodotti che all'epoca ci sembravano meravigliosi sono riusciti a resistere all'usura del tempo e, insomma, visti oggi risultano davvero poca cosa. Dal mio umile punto di vista nell'elenco dei film da ridimensionare c'è il Jumanji del 1995, ancora oggi molto gradevole per la storia, per gli effetti speciali all'epoca eccelsi e ovviamente per la presenza dell'indimenticabile Robin Williams, ma non una di quelle pellicole che definirei "intoccabili" o impossibili da migliorare e rinfrescare a beneficio delle nuove generazioni. Lo dimostra il fatto che Jumanji - Benvenuti nella giungla, film al quale non avrei dato un euro non tanto per amore dell'originale ma proprio perché mi sembrava una cretinata fatta e finita, è invece un'opera divertentissima ed esaltante dall'inizio alla fine, un bel film D'AVVENTURA come non se ne realizzano più, popolato da personaggi ben definiti e ancor meglio assortiti. Vero è che in questa "versione" della storia si perde un po' il caos portato da un gioco in scatola in grado di modificare la realtà preferendo un videogame che risucchia le persone all'interno di sé stesso (come accadeva, se non ricordo male, nel cartone animato), però questo escamotage narrativo consente di avere per protagonisti dei ragazzi completamente distanti dall'immagine e dai pregi dei loro avatar, con risultati esilaranti, e di sfruttare i cliché dei videogame per creare situazioni estreme che nell'altro film avrebbero sicuramente decretato la morte dei personaggi, raggiungendo così un risultato ancora più spettacolare. L'unico difetto riscontrabile in fase di sceneggiatura è a mio parere la presenza di un villain schifido quanto si vuole ma poco presente e, ancor peggio, poco carismatico, ma se si guarda alla sua natura come a quella di un cattivo, per l'appunto, "da videogame", la cosa avrebbe anche senso, così come ha senso la palese suddivisione in livelli con prove da superare sempre più ardue, enigmi, insidie nascoste ed easter egg come nella miglior tradizione dei videogiochi d'avventura anni '80/'90.


Detto questo, al di là della trama simpatica e degli effetti speciali bellissimi, soprattutto quando sono implicati gli animali (qui ci sono elefanti, ippopotami, rinoceronti, ghepardi, serpenti ed insetti assortiti) e i modi rocamboleschi in cui i nostri devono cercare di fuggire dalla loro minaccia, ciò che ho amato di questo Jumanji sono gli attori. Mai avrei creduto di dover tessere l'elogio di Dwayne Johnson su questo blog ma il vecchio "The Rock" ha trovato il modo perfetto di mettere al servizio del divertimento dello spettatore il suo fisico prendendosi in giro in maniera deliziosa, una cosa che era riuscita bene solo allo Schwarzenegger dei tempi d'oro: vedere il personaggio di Smolder Bravestone "smolderare" per davvero (se qualcuno sa com'è stato reso il gioco di parole in italiano me lo fa sapere, per cortesia? Thanks!) oppure strillare come una pazza alla vista di uno scoiattolo mi ha aperto gli occhi su quanto Dwayne Johnson sia un attore molto onesto e versatile anche se non arriverà mai a vincere l'Oscar e per questo non posso che volergli bene. Il migliore, neanche a dirlo, resta però sempre Jack Black negli inediti panni di ragazzina piena di sé intrappolata nel corpo di un ciccione, ruolo che molti comici avrebbero caricato fino a renderlo ridicolo mentre invece l'ottimo Jack scava nella psiche di Bethany, facendola maturare man mano che l'avventura in Jumanji prosegue, al punto che sinceramente sul finale mi si è spezzato il cuore per un motivo che non vi spoilero. Bravissimi anche l'atletica Karen Gillan (strepitosa nelle coreografie "danzerecce") e l'esilarante Kevin Hart, ognuno alle prese con personaggi difficili da delineare tenendo conto sia della loro natura umana che di quella videoludica e per questo ancora più apprezzabili. Jumanji - Benvenuti nella giungla non sarà il film dell'anno ma mette tranquillamente a tacere tutti i criticoni malcontenti dell'internet senza devastare l'infanzia a chicchessia e, soprattutto, fa venire voglia di veder tornare Smolder Bravestone e i suoi compari (senza dimenticare l'adorabile e britannico Nigel) per una nuova avventura scandita dal suono dei terribili tamburi di Jumanji!


Di Dwayne Johnson (Spencer), Kevin Hart (Fridge), Jack Black (Bethany), Karen Gillan (Martha), Rhys Darby (Nigel), Bobby Cannavale (Van Pelt), Missi Pyle (Coach Web) e Tim Matheson (Vecchio Vreeke), ho parlato già ai rispettivi link.

Jake Kasdan è il regista della pellicola. Americano, figlio di Lawrence Kasdan, ha diretto film come Orange County e Bad Teacher - Una cattiva maestra. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 44 anni.


Alex Wolff interpreta il giovane Spencer. Fratello ancor più brutto ma decisamente più simpatico di Nat Wolff, ha partecipato a film come Lo spaventapassere, Il mio grosso grasso matrimonio greco 2, My Friend Dahmer e a serie quali Monk, inoltre ha lavorato come doppiatore per l'edizione USA de La collina dei papaveri. Americano, ha 21 anni e tre film in uscita.


Colin Hanks interpreta Alex da adulto. Americano, figlio di Tom Hanks, ha partecipato a film come Music Graffiti, Orange County, King Kong, Tenacious D e il destino del rock, Parkland e a serie quali Roswell, Band of Brothers, The O.C., Numb3rs, Dexter e Fargo, inoltre ha lavorato come doppiatore in serie come Robot Chicken. Anche regista e produttore, ha 41 anni.


Nick Jonas, che interpreta Alex, oltre ad essere un membro di quei Jonas Brothers di cui fortunatamente oggi non dovrebbe ricordarsi nessuno era anche il mitico Boone della prima serie di Scream Queens; il fanciullo ha funto da ripiego per Tom Holland, scelto per il ruolo ma impegnato sul set di Spider-Man: Homecoming. Ovviamente, se Jumanji - Benvenuti nella giungla vi fosse piaciuto dovete recuperare il suo "prequel" Jumanji e aspettare un terzo capitolo della saga, visto che pochi mesi fa sono stati riconfermati sceneggiatori e cast al gran completo! ENJOY!

giovedì 26 aprile 2018

(Gio)WE, Bolla! del 26/4/2018

Buon giovedì a tutti e saluti da Trieste! Sto scrivendo questo post il giorno prima della partenza quindi speriamo davvero di essere nella città della Bora oggi, ché qui la sfiga è sempre dietro l'angolo. Prevedo di andare al cinema anche qui per un paio di sere, visto anche i titoloni in uscita oggi, intanto vediamo quello che è arrivato a Savona. ENJOY!

Avengers: Infinity War
Reazione a caldo: Hyyyype!!
Bolla, rifletti!: Lo so, ormai i cinepanettoni a fumetti dovrebbero avermi stufata ma... ooooh, al diavolo, chi sto prendendo in giro?? Potrebbe essere l'ultima volta che vedrò Robert Downey Jr. nei panni di Iron Man quindi correrò al cinema con un misto di ansia e voglia di piangere forte, sperando che il baraccone messo in piedi in anni di film non crolli sulla testa di tutti i coinvolti come un castello di carte.

Loro 1
Reazione a caldo: Ho preventivamente paura.
Bolla, rifletti!: Temo l'effetto "Nymphomaniac" con questo film sul Silvione nazionale diviso in due parti ma Sorrentino è Sorrentino, su. Il 10 maggio uscirà la seconda parte quindi ho tutto il tempo di recuperarlo anche la settimana prossima direi. Così intanto si saranno spente tutte le voci di blogger, facebook, anteprime che sicuramente avranno intasato il web già da martedì.

Tu mi nascondi qualcosa
Reazione a caldo: Sì, che non ho voglia di andare a vedere questo film...
Bolla, rifletti!: Tre storie d'amore "strane", tra investigatori privati, uomini senza memoria e pornodive. Andrei a vederlo solo per Battiston ma credo aspetterò dei passaggi televisivi, ché questa settimana c'è già troppa ciccia.


Il Bollodromo #47: Lupin III - Parte 5 - Episodio 4


Incredibile, ammisci!! Mai avrei detto che una puntata interamente dedicata al vecchio Zazà sarebbe stata così interessante, tra cosette appena accennate, sviluppi dei personaggi, approfondimenti vari e... un cliffhanger letteralmente mortale. Bando alle ciance e andiamo a parlare del quarto episodio di Lupin III - Parte 5, intitolato L'orgoglio di Zenigata e la polvere del deserto (銭形の誇りと砂漠の埃 - Zenigata no hokori to sabaku no hokori - a quanto pare orgoglio e polvere in giapponese si pronunciano allo stesso modo ma si scrivono con kanji diversi, come gioco di parole non è male!). ENJOY!


Dunque, nel corso dell'ultima puntata avevamo lasciato Lupin alla mercé della pistola di Fujiko. Nei quattro/cinque anni trascorsi dalla fine de L'avventura italiana devono essere successe cose poco piacevoli tra i due, anche perché la bella Fujiko non è mai stata così determinata a far la pelle all'ex amante. Lupin (assieme ad Ami) viene però salvato in corner da Zenigata, che cerca di portarlo via dall'onnisciente "occhio" di droni e utenti di Lupin Game, gioco tutt'altro che concluso visto che in Bwanda continuano ad arrivare killer e persino la polizia del luogo, corrotta come poche, cerca di accaparrarsi la taglia sulla testa del ladro. Appiedati dopo una fuga rocambolesca, i membri dell'improbabile trio si ritrovano dapprima nel bush bwandese, dove la tecnologia di Ami si fa beffe delle vetuste conoscenze da Giovane Marmotta di Zazà, quindi nel deserto del titolo originale, dove i tre rischiano di soccombere alla faccia dei manuali scaricati dalla ragazzina attraverso l'Underworld. 

E tu, e noi, e lei un'altra volta fra noi...
L'intera puntata è atta a ricollegare a una parvenza di realtà il personaggio di Ami, non più solo haker hikikomori e probabile fonte di ogni rumor relativo all'omosessualità degli amici di Lupin (dopo Jigen, mi spiace ma è la volta di Zazà. La ragazzina ha una tara mentale, è evidente) ma teenager in carne e ossa, in grado di provare paura, gioia e preoccupazione per il prossimo. La strada secondo me è ancora lunghina, povera Ami, ma ho fiducia in te. L'altro obiettivo dell'episodio è di sviscerare ulteriormente il complesso rapporto che lega Lupin a Zenigata, quest'ultimo finalmente lontano dalla figura di idiota isterico consolidata in anni di anime impietosi; il vecchio ispettore risulta uomo integerrimo e di buon cuore, onesto e onorevole al punto da aiutare il nemico di sempre a non soccombere ad un'indegna morte, benché Lupin ovviamente non abbia voglia neppure di farsi arrestare, sia ben chiaro. Quindi, anche stavolta, gli sceneggiatori hanno dosato alla perfezione l'umorismo dato dalle scaramucce alla Tom & Jerry dei due e la serietà di discorsi un po' più approfonditi, calando il tutto nell'ottima cornice del Lupin Game, al momento fil rouge (assieme all'internetmania) dell'intera serie. Il gioco, è bene dirlo, si è concluso in diretta streaming davanti agli occhi atterriti di Zenigata ed Ami... con la morte di Lupin. Un bell'headshot sanguinolento in perfetto stile Takeshi Koike e se tanto mi da tanto il cecchino che ha sparato il colpo è proprio l'adorato Jigen. Non tanto per un'improbabile alleanza con Fujiko (rimasta alla mercé di Jigen e Goemon incazzati come bisce ma mostrata nelle anticipazioni del prossimo episodio a farsi massaggiare in una SPA. Non dai due ometti, che andate a pensare?!?) quanto per un possibile barbatrucco atto a levarsi dalle scatole tutti i giocatori del Lupin Game. Avrò ragione io? Sarà solo una ilusion en mi pensamiento? Staremo a vedere! Al prossimo episodio! 


mercoledì 25 aprile 2018

Un nuovo Widget: isnotTV!!

Qualche settimana fa sono stata contattata dal team di isnotTV con una mail che mi proponeva di testare gratuitamente un widget sul Bollalmanacco.

Innanzitutto, cos'è isnotTV?
Una community internazionale il cui motto è "Save the world from watching crap". In pratica l'utente sceglie quali persone iscritte seguire e, in base ai propri gusti e a quelli di coloro di cui si fida maggiormente, il sito gli scodella bella pronta una serie di consigli per passare la serata con un bel film (o una serie). La cosa bella è che è tutto totalmente gratuito e che la scheda di ogni film/serie è corredata da un link che rimanda l'utente ai vari servizi streaming legali  dove recuperarlo.

Cosa c'entra il Bollalmanacco con tutto questo?
Beh, mi è stato proposto di inserire un widget all'interno degli articoli che scrivo. Attraverso questo piccolo ma utile strumentino ai lettori del blog viene data la possibilità di vedere il trailer del film recensito (in italiano, se c'è, altrimenti quello internazionale), leggere la trama con tutti i dettagli come cast, regista, ecc., trovare i siti dove vederlo in streaming legale e scoprire quali altre opere simili recuperare in caso di alto gradimento!
Ecco un esempio di come funziona il widget, usando come modello proprio un film recensito in questi giorni (dove non avete lasciato nemmeno un commento, cattivussi!!), ovvero Cell Block 99: Nessuno può fermarmi:


E' molto carino e anche funzionale, nevvero? La mia idea era quella di metterlo alla fine di ogni post, dopo il mio solito infoporn/sproloquio finale, ma si accettano suggerimenti.

Dove sta la fregatura?
Da nessuna parte, per una volta! Io ho ottenuto uno strumento per arricchire il blog e la possibilità di aggiungere i link alle mie recensioni sul sito, in cambio aiuterò i ragazzi di isnotTV a tenere in ordine il loro database, magari correggendo trame sbagliate o poco precise, traducendole dalle altre lingue così che anche gli utenti nostrani possano leggerle senza problemi, aggiungendo titoli in italiano (come nel caso di Cell Block 99: Nessuno può fermarmi) e così via. Mi pare un do ut des equo!

Quindi, riassumendo: oggi partirò per Trieste e per almeno una settimana ho post programmati ma al mio ritorno conto di utilizzare questo widget per ogni recensione, sperando di fare cosa utile e gradita per gli sparuti lettori del blog! Buon ponte lunghissimo del 25 aprile se lo fate e... ENJOY!

martedì 24 aprile 2018

Free Fire (2016)

Uno sfortunato incidente accorso nel periodo Natalizio è coinciso con la possibilità di passare del tempo bloccata in casa a guardare film... quindi, per cominciare, ho deciso di recuperare Free Fire, uscito in Italia (ma non a Savona) a inizio dicembre e diretto nel 2016 dal regista Ben Wheatley, anche co-sceneggiatore.


Trama: uno scambio di armi e denaro non va per il verso giusto e i coinvolti cominciano a spararsi, diffidenti l'uno dell'altro...



Immagino che tutti ricorderete il finale de Le Iene, uno stallo in cui i protagonisti, alla fine, si ritrovano l'uno contro l'altro e si sparano a vicenda. Fine. Ecco, Free Fire prende la sparatoria, l'allunga per un'ora e mezza e la trasforma in un film divertente, movimentato, angosciante e bellissimo. Merito di Ben Wheatley (e della moglie alla sceneggiatura), regista col quale ho un rapporto controverso ma che non si può dire abbia mai sbagliato un film o, meglio, che non sforni qualcosa di particolare e zeppo di personalità ogni volta. Free Fire, per esempio, poteva essere una tamarrata unica, perché la base è quanto di più action e banale ci sia al mondo: ci sono due gruppi di malviventi, un gruppo vuole i fucili, l'altro vuole i soldi, una persona fa l'intermediario. La fiducia reciproca è poca, già di partenza, e ovviamente succede qualcosa che innesca la miccia della tensione e trasforma una fabbrica abbandonata in un terreno di guerra dove tutti i protagonisti hanno come obiettivo la sopravvivenza e la morte di qualcun altro, vuoi per vendetta, vuoi per antipatia, vuoi per puro e semplice interesse personale. In un film banale (leggi: in un action USA) probabilmente la fabbrica ad un certo punto esploderebbe oppure ci sarebbe il macho man della situazione che, rimediando giusto una ferita sul finale, si ergerebbe su tutti i coinvolti scrollandosi di dosso le pallottole come acqua, qui la situazione è invece un po' diversa. Tanto per cominciare, i protagonisti di Free Fire sono uno più cretino dell'altro. Vanesi, innamorati della propria voce e al 90% ignoranti delle regole base di convivenza criminale se non addirittura pesci piccoli dal carattere rissoso, sembrano dei bambini impegnati in un gioco da adulti. Quando cominciano a volare le prime pallottole, una bellissima sequenza ce li mostra sconvolti, con un ralenti impietoso ad inquadrare corpi non tanto pronti ad armarsi a loro volta bensì desiderosi di allontanarsi dalla prima persona colpita, diretti verso qualunque riparo in grado di offrire salvezza perché consapevoli che la situazione sta per buttare molto, molto male. Da lì comincia un'ininterrotta sinfonia di pistole che sparano, gente che urla (di dolore ma anche per minacciare, chiamare i compagni, manifestare la propria disperazione o semplicemente rompere le palle al prossimo) e John Denver che canta, qualcosa che non solo non da tregua ai personaggi ma nemmeno allo spettatore.


Se l'idea di ambientare il tutto negli anni '70 è un raffinato tocco di classe che delizia gli occhi con costumi e pettinature a tema (e soprattutto impedisce ai protagonisti di avere un cellulare!), quella di utilizzare una fabbrica abbandonata è funzionale alla trama stessa. La scenografia, oltre a essere molto evocativa, è piena di nascondigli di fortuna ma anche di piccole cose in grado di far male e vedere i personaggi costretti a strisciare in mezzo ai vetri, le schegge di legno o i cocci di cemento crea un immediato senso di fastidio; ovviamente, la cinepresa di Ben Wheatley indugia su ogni espressione di dolore, su ogni ferita e persino sulle pallottole ma di tanto in tanto si allarga a mostrarci per intero il "campo da gioco" e le posizioni dei vari giocatori, rannicchiati dietro protezioni di fortuna, mentre un montaggio serratissimo porta quasi a voler chinare la testa per paura che una pallottola possa raggiungere persino noi spettatori. Gli attori, poi, sono perfetti. Assieme ad alcuni caratteristi che si imprimono a fuoco nella memoria pur senza avere un nome di richiamo, ci sono attori più conosciuti come Cillian Murphy, Armie Hammer e Brie Larson che interpretano alla perfezione i loro personaggi e soprattutto c'è Sharlto Copley. Ora, voi forse non avete idea di quanto fossi arrivata non sopportare Copley ma qui è decisamente il migliore del mazzo con quei baffoni assurdi e quell'accento caricatissimo (dal mio umile punto di vista Free Fire perde almeno cinque punti doppiato in italiano. Poi, fate voi) che lo rendono un personaggio esilarante ma, ovviamente, da non sottovalutare. L'inglesotto Ben Wheatley si riconferma dunque Autore a tutto tondo da tenere sottocchio. Magari non facile (anche se in questo caso fortunatamente non mi è esploso il cervello come con High Rise o Kill List) ma comunque originalissimo e pronto a sperimentare, oltre che dannatamente bravo. Di questi tempi è quasi un miracolo!


Del regista e co-sceneggiatore Ben Wheatley ho già parlato QUI. Sam Riley (Stevo), Michael Smiley (Frank), Brie Larson (Justine), Cillian Murphy (Chris), Armie Hammer (Ord), Sharlto Copley (Vernon), Noah Taylor (Gordon) e Jack Reynor (Harry) li trovate invece ai rispettivi link.

Enzo Cilenti interpreta Bernie. Inglese, ha partecipato a film come e a serie quali Kick-Ass 2, Guardiani della galassia, La teoria del tutto, Sopravvissuto - The Martian, High Rise e a serie come Il trono di spade. Anche produtore, ha 44 anni.



Babou Ceesay, che interpreta Martin, ha esordito al cinema con l'esilarante Tagli al personale. A Luke Evans era stato offerto il ruolo di Vernon ma l'attore ha dovuto rinunciare in quanto impegnato sul set de La bella e la bestia e anche Olivia Wilde ha declinato l'invito a partecipare al film. Se Free Fire vi fosse piaciuto recuperate Le iene, The Departed e Green Room. ENJOY!

domenica 22 aprile 2018

Cell Block 99: Nessuno può fermarmi (2017)

Scuotendo la testa per l'orrendo titolo italiota che gli hanno appioppato, in questi giorni ho recuperato Cell Block 99: Nessuno può fermarmi (Brawl in Cell Block 99), diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista S. Craig Zahler.


Trama: un ex pugile ed ex alcolista cerca di rifarsi una vita con la moglie e per racimolare denaro comincia a lavorare come corriere della droga. Quando una consegna finisce malissimo l'uomo viene condannato a sette anni di prigione ma è solo l'inizio di un incubo ben più terribile...


Da mesi tutti i blogger parlano benissimo di Cell Block 99 e siccome in questi giorni dovrebbe essere uscito straight to video anche nel nostro "bel" Paese arrivo anch'io a scrivere due righe per consigliarvi di assecondare la distribuzione italiana miope ed irrispettosa (per la cronaca, anche l'altro, bellissimo film di Zahler, Bone Tomahawk, qui è arrivato solo sul mercato dell'home video) e procurarvelo senza indugio. Come già accadeva con l'opera precedente di Zahler, Cell Block 99 è un film lento a carburare, che stuzzica lo spettatore con un preambolo atto a presentare al meglio il protagonista della pellicola, Bradley (mai Brad!) Thomas, e la sua situazione familiare, senza sprecare troppi dialoghi ma concentrandosi sui dettagli "ambientali" e sulla fisicità del personaggio. Fondamentalmente, Bradley è un mostro a malapena tenuto a bada da alcuni punti fermi quali onore, patriottismo e famiglia, un uomo che, per quanto ci provi, non è comunque in grado di condurre una vita normale e per tentare di averne una deve lo stesso scendere a compromessi col mondo criminale nella figura dell'amico Gil; quando quest'ultimo si mette in affari con dei messicani rissosi, Bradley finisce in carcere proprio per colpa del proprio codice morale e da lì comincia la letterale discesa all'inferno di un uomo che farebbe di tutto per proteggere le pochissime cose ancora pure ed importanti della sua vita. A un certo punto, quindi, Cell Block 99 diventerebbe uno dei più classici prison movie col protagonista non necessariamente "cattivo" nel senso stretto del termine, costretto a sopportare soprusi di carcerieri antipatici e di compagni di cella infingardi, se non fosse che, come da titolo, Bradley viene spinto (non vi dico come né perché) a raggiungere il blocco 99 e da lì la pellicola si contamina pesantemente con l'horror, come già accadeva in Bone Tomahawk, e diventa un omaggio ai grindhouse anni '70. Anche nelle sue fasi più concitate, tuttavia, Cell Block 99 è un film "ragionato", costruito alla perfezione, che non perde mai di vista la centralità del protagonista e tutto ciò che rende condivisibile al pubblico ogni sua azione o ogni suo momento riflessivo, che contribuisce non solo ad aumentare la tensione di una trama che ad un certo punto sfiora l'immorale, ma soprattutto a rendere più umano il personaggio di Bradley all'interno di un parterre di caratteri ad alto rischio cliché.


Bradley, tra l'altro, è interpretato da un Vince Vaughn quasi irriconoscibile che regge sulle spalle tutto il peso del film. Abituati come siamo all'azione frenetica e coreografata in maniera quasi surreale dei combattimenti action non solo dei cinecomics ma di qualsiasi film a base di violenza, vedere Vince Vaughn boxare con movimenti ragionati e "trattenuti" (ma non meno efficaci, Cristo) senza ausilio di controfigure, è affascinante e trasmette tutto il dolore di un pugno chiuso che impatta contro la carne e le ossa di chi è tanto sfortunato da subirne la furia. Diciamo che è un po' come succedeva in Profondo Rosso, dove tutte le morti erano causate da oggetti o elementi "comuni", veicolanti sensazioni che qualsiasi spettatore ha provato almeno una volta in misura minore: qui abbiamo un energumeno intelligente, incazzato e infaticabile che mena pugni veri, non un folletto orientale che spacca gli avversari a calci volanti, ed ogni osso spezzato, dente che salta, scheggia di vetro, nonaggiungoaltroomisiaccapponalapellesantoDdio, soprattutto se ripreso nel dettaglio o grazie a raffinati piani sequenza, entra secco nelle ossa e nei muscoli dello spettatore, alla faccia degli effetti speciali volutamente grezzi sul finale. Oltre a questo modo maschio e realistico di rappresentare la violenza, di Cell Block 99 ho apprezzato molto le scenografie del carcere di massima sicurezza, un emblema perfetto di "cura medievale per il tuo c**o" (cit.) che fa perdere ogni speranza sia al pubblico che ai carcerati, e poi ovviamente la comparsa di due caratteristi adorati come Don Johnson e Udo Kier. Quest'ultimo, in particolare, sarà anche "placid" e dotato di poco minutaggio ma come mette paura lui, con quelle due parole in croce cariche di terrificanti minacce, nessuno mai. Quindi Zahler ha lanciato nel mondo del cinema un'altra bella bombetta e ciò lo rende uno dei registi da tenere d'occhio nell'imminente futuro: quest'anno dovrebbe uscire Dragged Across the Concrete, che già dal titolo promette non bene, di più, e io lo attendo con gioia!


Del regista S. Craig Zahler ho già parlato QUI. Vince Vaughn (Bradley Thomas), Jennifer Carpenter (Lauren Thomas), Don Johnson (Guardia Tuggs) e Udo Kier (Uomo tranquillo) li trovate invece ai rispettivi link.

Marc Blucas interpreta Gil. Americano, indimenticato Riley di Buffy l'ammazzavampiri, lo ricordo per film come Pleasantville, Jay & Silent Bob... fermate Hollywood!, They - Incubi dal mondo delle ombre, Innocenti bugie e Red State, inoltre ha partecipato ad altre serie quali Dr. House e CSI - Scena del crimine. Anche produttore, ha 46 anni.


Se Cell Block 99: Nessuno può fermarmi vi fosse piaciuto recuperate La fratellanza e Bone Tomahawk. ENJOY!

venerdì 20 aprile 2018

Molly's Game (2017)

Esce questa settimana in tutta italia Molly's Game, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Aaron Sorkin e nominato agli ultimi Oscar per la sceneggiatura non originale (il film è tratto dall'autobiografia di Molly Bloom, ovvero Molly's Game: From Hollywood's Elite to Wall Street's Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker).


Trama: dopo un disastroso incidente che ha terminato la sua carriera di sportiva, la giovane Molly Bloom si ritrova indagata dall'FBI per essere diventata la regina del poker clandestino...


Il 2018 cinematografico probabilmente verrà ricordato come quello in cui le sportive a un passo dalle Olimpiadi escono di testa e abbracciano l'illegalità. Prima c'è stata la Tonya di Margot Robbie, ora arriva la Molly Bloom di Jessica Chastain, raffinata organizzatrice di bische clandestine che per qualche anno è riuscita a vivere alle spalle di potenti ricchi ed annoiati pronti a lasciare ingenti somme di denaro sui tavoli da poker. Le differenze tra le due donne non potrebbero essere più evidenti: mentre il retaggio di Tonya Harding è quello della white trash proletaria e la sua natura quella di "macchina da pattinaggio", Molly Bloom viene da una famiglia di atleti e, oltre ad essere incredibilmente acculturata, ha come unico obiettivo nella vita quello di vincere, non importa in quale campo. Donna fatta letteralmente d'acciaio, Molly ha subito sconfitte fin dalla più tenera età ma si è sempre rialzata e non solo a causa dello sprone di un padre severo ma ipocrita, bensì grazie soprattutto al nocciolo fondamentalmente duro del suo carattere indomito, quello stesso nocciolo che le impedisce di abbracciare appieno una carriera "criminale". A differenza di ciò che accade in molti film imperniati sul mondo delle scommesse, il personaggio di Molly ha infatti una morale e un rigido codice d'onore che le impediscono non solo di accettare compromessi ma anche di cercare facili vie di fuga quando la situazione si fa critica, inoltre l'inevitabile spirale discendente che cattura questo genere di protagonisti non è incontrollata come spesso succede, neppure quando Molly comincia a prendere delle droghe "per rimanere sveglia". Il destino di Molly assomiglia ad una sorta di caos ragionato e il film mostra una protagonista sempre e comunque lucida, calcolatrice ma non malvagia, come arriverà a scoprire l'avvocato Charlie Jaffey, incaricato di difenderla e affascinato suo malgrado dalla personalità della donna. La stessa fascinazione, nonostante la consapevolezza di una storia romanzata e sicuramente filtrata dal punto di vista soggettivo della vera Molly, autrice della biografia da cui il film è tratto, la subisce lo spettatore che non può fare altro che parteggiare per questa signora sfortunata che, in fin dei conti, non faceva altro che sfruttare i soldi di chi poteva permettersi di perderli a poker, senza depredare poveracci o simili.


D'altronde, sottrarsi al fascino carismatico di Jessica Chastain è un po' impossibile. La favolosa attrice, ingiustamente snobbata agli Oscar, mette tutta sé stessa nell'interpretazione di un personaggio difficile, a tratti talmente intelligente e capace da essere fuori dal mondo eppure lo stesso incredibilmente umano e fragile, con quello sguardo testardo capace di bucare lo schermo e la parlantina devastante che probabilmente metterà in ginocchio adattatori e doppiatori italiani. Di fatto, è soltanto la presenza di Jessica Chastain a rendere memorabile un film che soffre di qualche lungaggine a livello di sceneggiatura pur essendo strutturato in modo dinamico ed intrigante anche per chi non è avvezzo al mondo del poker. La prima parte, che vede tra le figure chiave un Michael Cera particolarmente ambiguo, scorre veloce concentrandosi sulla scalata di Molly verso i più alti livelli del gioco d'azzardo clandestino, la seconda si impantana in qualche cliché di troppo (la mafia italiana, quella russa, i problemi familiari corollati dal mega spiegone finale del padre...) ed è interessante soprattutto per quel che riguarda la parte giuridica della questione, con Idris Elba che si fa avanti per dare man forte alla protagonista dimostrando tutte le sue doti di attore carismatico e, se posso dire, anche di ometto dalla bella presenza, alla faccia delle inguardabili parrucche di Thor: Ragnarok. La chimica tra i due interpreti c'è e fa funzionare bene il film, sicuramente più di quanto non faccia la regia di Aaron Sorkin, alla sua prima prova dietro la macchina da presa e non particolarmente degno di infamia o lode, per quanto il suo modo di gestire le scene mi abbia ricordato a tratti il David O. Russel di American Hustle (ma forse era solo per l'argomento trattato, chissà. Ormai ho visto quel film talmente tanto tempo fa!). Detto questo, Molly's Game è una pellicola che merita una visione, soprattutto se vi interessa questo genere di storie che hanno per protagonisti figure ambigue al limite della legalità e se siete fan della Chastain. In quest'ultimo caso, però, meglio cercare un cinema che lo proietti in lingua originale.


Di Jessica Chastain (Molly Bloom), Idris Elba (Charlie Jaffey), Kevin Costner (Larry Bloom), Michael Cera (Giocatore X), Jeremy Strong (Dean Ketih), Chris O'Dowd (Douglas Downey) e Graham Greene (Giudice Foxman) ho già parlato ai rispettivi link.

Aaron Sorkin è il regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima prova dietro la macchina da presa. Americano, come sceneggiatore ha firmato film come Codice d'onore, Malice - Il sospetto, Il presidente - Una storia d'amore, The Social Network, che nel 2011 gli è valso un Oscar, e Steve Jobs. Anche produttore e attore, ha 57 anni.


Bill Camp interpreta Harlan Eustice. Americano, ha partecipato a film come In & Out, Lincoln, 12 anni schiavo, Birdman, Black Mass - L'ultimo gangster, Loving e The Killing of a Sacred Deer.


Tra le guest star della pellicola spunta a un certo punto il mitico Steve di Stranger Things, alias l'attore Joe Keery, nei panni dello sprovveduto Cole. Se Molly's Game vi fosse piaciuto recuperate anche Casino, Ocean's Eleven e Tonya. ENJOY!

giovedì 19 aprile 2018

(Gio)WE, Bolla! del 19/4/2018

Buon giovedì a tutti! Dico, ma almeno il giorno del mio compleanno potevano far uscire qualcosa di decente al cinema? No! Il regalo che aspettavo con ansia, Ghost Stories, non è arrivato e ha lasciato spazio a fuffa. ENJ... ma anche no!

Il tuttofare
Reazione a caldo: Uff.
Bolla, rifletti!: Lo sceneggiatore è lo stesso di Smetto quando voglio, in questo caso anche regista, ma manca il tocco Sibiliano e non vorrei che Castellitto giganteggiasse fino a mangiarsi tutto il film lasciando, di fatto, ben poca "ciccia". Come al solito, lascio che altri blogger si immolino!

Escobar - Il fascino del male
Reazione a caldo: Mah.
Bolla, rifletti!: Spulciando qui e là delle recensioni straniere mi par di capire che l'unico pregio di avere questo film in Italia è che il doppiaggio ci metterà una pezza visto che gli attori parlano un terrificante inglese inficiato da un accento spagnolo pesantissimo. Detto questo, potrebbe anche essere una storia intrigante ma temo il polpettone e, ancor peggio, temo Pénelope Cruz...

Al cinema d'élite si va sull'autoriale, too much for me.

Doppio amore
Reazione a caldo: Hm.
Bolla, rifletti!: Dato il periodo un po' sconfortante ho bisogno di allegria, non di raffinati giochi di doppi e sensualità. Sono certa però che questo film sia bellissimo, quindi fatemi sapere, voi che siete più colti di me!

Il Bollodromo #46: Lupin III - Parte 5 - Episodio 3


Incredibile aMMisci! Alla terza puntata Lupin III - Parte 5 non molla il colpo e continua a confermarsi una delle serie migliori tra quelle dedicate al Ladro Gentiluomo. Nella speranza che continui su questa strada vediamo un po' che è successo questa settimana: ecco a voi il commento a 殺し屋は荒野に集う - Koroshiya ha Kouya ni Tsudou (Gli assassini si radunano nel deserto)... ENJOY!

Questa settimana, per la cronaca, si mangia Ramen istantaneo.
Avevamo lasciato Lupin e compagnia in Bwanda (??), alle prese con il terribile gioco Happy Death Day, che ha riunito tutte le nemesi cartacee create da Monkey Punch e le ha scagliate in massa contro i nostri eroi. Ora, prima di continuare faccio ammenda per la mia memoria del cavolo: avevo sentore di aver già visto buona parte dei killer coinvolti nel gioco ma solo con la puntata uscita martedì sono riuscita a ricordare di averli visti tra le pagine dei manga Lupin e Shin Lupin e a riconoscerli quasi tutti. Purtroppo il "tratto" nervosetto del Maestro rende davvero poco con il character design moderno e personaggi come Mamma, il capo del Clan dei Ratti (finalmente!), Shinpei e Chishio Akaki perdono un buon 90% di personalità in versione cartone animato. Ma chi sono io per giudicare? Vergogna su di me (e sulla mia mucca)! Dicevamo, dopo aver fatto impazzire per un po' i vari killer, soprattutto grazie alle capacità da hacker di Ami, Lupin riesce a scappare ma il capo del Clan dei Ratti colpisce comunque la ragazza con un proiettile, ferendola. Mentre viene curata, la poveretta racconta la sua triste infanzia: rapita da bambina da un branco di pedofili che facevano foto porno a lei e ad altri pargoletti per rivenderle (Auguri, adattatori italiani!!), è riuscita a "salire" nella loro scala di valori dimostrando di essere una programmatrice coi fiocchi per poi scappare e rifugiarsi nelle Twin Tower dove è stata trovata da Lupin. Quest'ultimo, nel frattempo, ha capito (grazie alla mossa scellerata del capo del Clan dei Ratti) che l'unico modo per sconfiggere i killer è metterli uno contro l'altro sfruttando una piccolissima falla nel gioco Happy Death Day. Se lo scopo del gioco è azzeccare la data di morte della vittima, è normale pensare che non tutti i partecipanti vogliano Lupin morto subito e che l'obiettivo di buona parte di essi sia rapirlo per poi ucciderlo il giorno stabilito onde incassare i proventi della scommessa. Grazie all'ausilio di un selfie stick e del superpotere del web, Lupin invita quindi tutti i partecipanti a raggiungerlo in un bel luogo isolato dove Jigen e Goemon fanno la festa ai killer che non si sono ammazzati già a vicenda, mentre il Capo del Clan dei Ratti viene ucciso da un Lupin particolarmente infuriato.

Mamma e Chishio Akaki, manga vs anime. Quanto è più stiloso Monkey Punch?
Volendo trovare un difetto all'episodio, nonostante lo scontro finale con gli assassini promettesse scintille, c'è sì stata molta azione ma anche poca viulenza. Sì, Goemon mozza le mani a Shinpei, Jigen spara, Lupin idem, tuttavia si tratta di scene innanzitutto non animate benissimo (a un certo punto il nostro samurai sembra uno spaventapasseri) e poi sono tre gocce in un mare di inseguimenti e inquadrature di chat (simpatica scelta all'inizio, ora ha un po' rotto le scatole anche perché le sequenze sono talmente rapide che leggere i tweet in giapponese è praticamente impossibile). Fortunatamente, i dialoghi e le atmosfere della serie sono quanto di più adulto si potesse sperare di avere dopo la disfatta de L'avventura italiana. A parte Ami che, probabilmente traumatizzata dall'esperienza coi pedofili, propone a Lupin di rubarle la verginità senza troppi giri di parole (ce ne sarebbe con Goemon secondo me ma la fanciulla a un certo punto chiede a Lupin se lui e Jigen non siano in realtà due donne travestite maOOOOH UN PO' DI RISPETTO, SVERGOGNATA!!! - E un po' di rispetto anche per Mer*aset, ché qui si parla di S.E.S.S.O. Chi pensa ai bambini??, cit. - ), la puntata mostra chiaramente i nostri eroi soddisfatti all'idea di essersi sfogati in battaglia e orgogliosi di essere ladri e assassini. Inoltre, i dialoghi tra Lupin e Ami sono infarciti di una malinconia tutta particolare, legata allo scorrere del tempo che pare aver intaccato in qualche modo il carattere indomito del protagonista; a quanto pare, tra lui e Fujiko non c'è più il legame di un tempo e l'incontro (finalmente!) tra i due è nostalgico, dolceamaro. Non tanto perché Fujiko tira fuori una pistola e la punta contro il povero Lupin (non sarebbe la prima volta...) candidandosi come "unica in grado di farlo fuori" quanto per  un atteggiamento di rassegnato rimpianto che richiama prepotentemente le atmosfere della sigla finale. Chissà nella prossima puntata verrà chiarito ciò che è successo tra i due dopo il matrimonio di Lupin con Rebecca Rossellini? Quel che è certo è che Fujiko in questa serie è tornata ad essere la sensuale e seria professionista degli esordi... e anche che la settimana prossima arriverà il vecchio Zazà a rompere le uova nel paniere, con una puntata dedicata interamente a lui, fin dal titolo. Speriamo che l'ispettore non finisca per buttare tutto in caciara!

Altrimenti ti sparo, Zazà. Sallo.

Ecco le altre puntate di Lupin III - Parte 5:

Episodio 1
Episodio 2

mercoledì 18 aprile 2018

Il segreto del mio successo (1987)

Questo mese la Koch Media distribuisce in home video uno dei film che più ho amato da bambina, Il segreto del mio successo (The Secret of my Success), diretto nel 1987 dal regista Herbert Ross.


Trama: Brantley Foster, neolaureato di belle speranze proveniente dal Kansas, decide di trasferirsi a New York e diventare un manager di successo. Riesce a farsi assumere come fattorino nella multinazionale del ricco zio ma per una serie di circostanze fortuite diventa, all'insaputa di tutti, uno dei dirigenti più intraprendenti e capaci della ditta...


Erano almeno vent'anni, forse anche di più, che non riguardavo Il segreto del mio successo, eppure durante la visione mi sono accorta con gioia che il film si era sedimentato tenacemente nei recessi della mia memoria, al punto che dopo pochi minuti qualcosa mi ha cominciato a sussurrare nomi, battute, melodie in sincrono col DVD. E non avete idea di quanto mi abbia fatto piacere vedere Mirco, che ovviamente non aveva mai neppure sentito nominare il film in questione, divertirsi assieme a me davanti alle mirabolanti, assurde avventure di un ragazzo del Kansas che vorrebbe diventare un grande manager newyorchese in virtù di una laurea e tanto entusiasmo. Ovvio, ci sono stati anche momenti in cui la lacrima compulsiva è scesa da sola, ché non è un mistero quanto io adori e abbia sempre adorato Michael J. Fox, con la sua faccia pulita da bravo ragazzo ammeregano, l'innata capacità di uscire con incredibile abilità dai casini più grandi e, ovviamente, quella di coronare i suoi sogni d'amore, non importa quanto impossibili; anche Il segreto del mio successo è un film cucito apposta sulla fisicità dell'attore ed è un rigurgito di ottimismo tipicamente anni '80, l'elogio del self made man in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo grazie fondamentalmente all'enorme forza di volontà e ad una giusta dose di intraprendenza sconfinante nella simpatica sfacciataggine (diverso dal secondo personaggio di yuppie interpretato da Michael J. Fox in Le mille luci di New York, decisamente più drammatico). In effetti, a pensarci bene Brantley Foster non ha un difetto che sia uno, salvo forse l'ingenuità e la "sfortuna" di essere nato in Kansas, e tutti i personaggi positivi arrivano a volergli bene fin da subito, offrendo il beneficio del dubbio a questo novellino dalle grandi capacità, capace di portare freschezza e idee nuove nello stantio mondo dello yuppismo rampante. Brantley è così perfetto che il suo personaggio non segue nemmeno il solito percorso  in tre atti "ascesa-caduta-redenzione" tipico della commedia USA, in quanto quella del protagonista è un'ascesa rocambolesca ma costante e la sua caduta sul finale è talmente insignificante da non potersi nemmeno definire tale, giusto una piccola frenata che lo proietterà subito dopo nell'empireo dell'alta società di Manhattan, in un finale a tarallucci e vino che normalmente risulterebbe più che odioso se non fosse che lo spettatore viene spinto fin da subito ad adorare Brantley e augurargli il meglio.


Davanti a "un'amore così grande" diventa credibile anche una sceneggiatura che non solo consente al protagonista di impossessarsi di un ufficio vacante per condurre una vita da colletto bianco in parallelo con quella da corriere (evento, si dice, ispirato a un episodio della vita di Steven Spielberg!) ma di infiltrarsi impunemente anche nelle riunioni dei dirigenti, diventando tale pur senza essere mai stato visto da nessuno, men che meno dal presidente della multinazionale. Oltre a questo, Il segreto del mio successo avrebbe rischiato di impantanarsi in una sottotrama rosa anche troppo tirata per le lunghe ma fortunatamente agli sceneggiatori è venuto in mente di inserire un elemento di disturbo incarnato dalla procace e sensualissima ZILF Vera, moglie ricca ed annoiata del presidente che non perde occasione di saltare addosso al povero Brantley rendendosi protagonista delle due scene cult che non ho mai dimenticato dall'infanzia, entrambe scandite dall'iconica Oh Yeah della band svizzera Yello: quella della seduzione in Limousine e quella, esilarante, dello scambio di camere nella magione di Prescott, un trionfo di umorismo "guardone" degno delle migliori gag di Benny Hill. L'attrice Margaret Whitton non è l'unico membro del cast capace di far brillare ancor più la stella di Michael J. Fox, anche il resto dei co-protagonisti è perfetto, a partire dalla bella Helen Slater con una capigliatura incredibilmente anni '80 per arrivare all'affascinante ma laido Howard Prescott di Richard Jordan, senza dimenticare tutti i caratteristi che godono di almeno un paio di scene topiche ed indimenticabili come il simpatico John Pankow, "Chiamami Dio" Christopher Murney o Gerry Bamman (lo zio Frank di Mamma ho perso l'aereo, per intenderci). Il timore di arrivare a detestare un film amato come Il segreto del mio successo era tanto ma per fortuna la pellicola di Herbert Ross tiene botta anche dopo 30 anni quindi il mio consiglio è quello di immergervi nella New York zeppa di yuppies e "criminalità" dei mitici 80ies e godervi uno dei film migliori di Michael J. Fox!


Di Michael J. Fox, che interpreta Brantley Foster/Carlton Whitfield, ho già parlato QUI mentre John Pankow, che interpreta Fred Melrose, lo trovate QUA.

Herbert Ross è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Goodbye, Mr. Chips, Provaci ancora Sam, Due vite una svolta, Footloose, Fiori d'acciaio e Il testimone più pazzo del mondo. Anche produttore, è morto nel 2001 all'età di 74 anni.


Helen Slater interpreta Christy Wills. Americana, la ricordo per film come Supergirl - La ragazza d'acciaio e Scappo dalla città - La vita, l'amore e le vacche, inoltre ha partecipato a serie quali Will & Grace, Grey's Anatomy, Supernatural, CSI: NY, Smallville e Supergirl. Come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Batman. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 55 anni e due film in uscita.


Richard Jordan interpreta Howard Prescott. Americano, ha partecipato a film come Torna El Grinta, La fuga di Logan, Dune, Caccia a Ottobre Rosso e a serie quali Il tenente Kojak e I racconti della cripta. Anche produttore, è morto nel 1993 all'età di 56 anni.


Fred Gwynne interpreta Donald Davenport. Americano, lo ricordo per film come Cotton Club, Attrazione fatale, Cimitero vivente, Ombre e nebbia e Mio cugino Vincenzo inoltre ha partecipato a serie quali I Mostri. Anche sceneggiatore, è morto nel 1993 all'età di 66 anni.

Lo riconoscete...? XD
Nella sceneggiatura originale il protagonista avrebbe dovuto innamorarsi di una prostituta ingaggiata dallo zio ma la Universal ha preteso una riscrittura e Christy è diventata una dirigente d'azienda, inoltre il film avrebbe dovuto avere un sequel ma alla fine non se n'è fatto nulla. Detto questo, se Il segreto del mio successo vi fosse piaciuto recuperate Amore con interessi, Doc Hollywood - Dottore in carriera, Una donna in carriera, Mister Hula Hoop e Voglia di vincere. ENJOY!

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