martedì 30 aprile 2019

Bollalmanacco On Demand: La signora della porta accanto (1981)

Dopo un periodo di assenza da queste parti torna il Bollalmanacco On Demand, a dimostrazione che, coi miei tempi biblici, prima o poi esaudirò tutte le vostre richieste. Oggi tocca ad Arwen Lynch del blog La fabbrica dei sogni, che mi ha chiesto di guardare La signora della porta accanto (La femme d'à côté), diretto e co-sceneggiato da François Truffaut nel 1981. Il prossimo film On Demand sarà Parla con lei! ENJOY!



Trama: nella casa sfitta accanto a quella di Bernard e della sua famiglia arriva ad insediarsi una coppia di sposi. La donna, Mathilde, un tempo ha avuto una storia d'amore proprio con Bernard e i due ricominciano una relazione clandestina.


Di questo film conoscevo giusto il titolo prima di guardarlo, quindi non sapevo cosa aspettarmi, visto che da anni ho smesso di leggere le trame per non togliermi nemmeno la minima sorpresa. Lì per lì, lo ammetto, nel corso della visione mi sono messa le mani nei capelli, ché La signora della porta accanto è lo stereotipo del film francese a base di amanti e fuitine, femme fatale tanto affascinanti quanto fragili e uomini che non si limitano ad amare ma fanno del sentimento qualcosa di totalizzante e folle, che li spinge ad andare contro qualsiasi convenzione o necessità di mantenere le apparenze. In realtà, se si riesce ad andare oltre la superficie, La signora della porta accanto è un'ottima riflessione sull'impossibilità di comunicare e sulla necessità umana di concentrarsi su "aria fritta" piuttosto che affrontare problemi reali e tangibili; nella fattispecie, Bernard e Mathilde sono due ex amanti, la cui storia è finita bruscamente per motivi non meglio specificati, che si ritrovano ad essere vicini di casa e, a poco a poco, cominciano a riallacciare il loro rapporto senza cambiarlo di una virgola, finendo così per venire sopraffatti dagli stessi problemi del passato. Questo perché, quando Bernard e Mathilde si incontrano, lo fanno solo per sfogare la loro passione, come due adolescenti, dopo essersi evitati reciprocamente per giorni, solo per poi rinfacciarsi di non aver mai tempo per parlare seriamente e confrontarsi, cosa che porta entrambi, inevitabilmente, a un punto di rottura. Il sentimento che lega i due è altalenante nella misura in cui a volte sembra sia Bernard quello più coinvolto (alla faccia di una moglie comprensiva e dei due bambini, di cui uno in arrivo), altre volte invece tocca a Mathilde attraversare momenti di pura follia, alla quale la donna arriverà ad aggrapparsi per non lasciarla più andare, confusa dai sentimenti, dal rimpianto e dall'incertezza; in questo rimpiattino costante sembra quasi che l'amore (o il senso di possesso) dell'uno si riaccenda quando l'altra cerca di allontanarsi e viceversa, così che nessuno dei due riesce realmente a lasciare andare l'altro o a liberarsi dalla rete di menzogne che hanno costruito nonostante l'affetto per i rispettivi coniugi.


In parallelo, c'è la storia della signora Jouve, voce narrante del film che all'inizio rompe la quarta parete rivolgendosi direttamente al pubblico, come se gli spettatori fossero dei vecchi amici ai quali confidare un segreto e, perché no, impartire anche un insegnamento, anche se "nessuno chiederà il suo parere". La donna è l'esempio di ciò che l'amore può fare alle persone, ne porta i segni addosso in forma di una protesi alla gamba destra, un terribile segreto legato a una delusione passata il cui ricordo cerca di evitare a tutti i costi, consapevole forse del fatto che non potrebbe sottrarsi ad eventuali ritorni di fiamma; testimone silenziosa della passione tra Bernard e Mathilde, della quale si fa nume tutelare cercando di richiamare all'ordine il primo nel momento di maggior pericolo, la signora Jouve non può tuttavia far altro che guardare senza poter intervenire, lasciando alla moglie di Bernard (giovane, fiduciosa e totalmente ingenua) e al marito di Mathilde (più anziano di lei, ragionevole ma fondamentalmente incapace di dissipare la confusione nell'animo della compagna) il compito di infondere nuovamente un po' di senno nei due amanti bugiardi, persi in un vortice di autodistruzione. Nonostante questo, in tutta onestà non ho trovato La signora della porta accanto all'altezza di altri film di Truffaut che invece mi hanno colpita come un maglio. Ciò che rimane impresso più di tutto il resto è il fascino innegabile della Ardant, impegnata in un personaggio difficile e spesso incomprensibile nella sua irragionevolezza di donna disperatamente innamorata, e la "semplicità" quasi lineare con la quale il caos della passione viene riportato sullo schermo, reale e senza fronzoli (talvolta anche squallido e violento), con l'unica concessione di quei dialoghi che sono l'ennesima riprova dell'amore di Truffaut per il cinema. Non che sia un film da sconsigliare, al contrario, e lo dimostra il fatto che solitamente rifuggo questo genere di pellicole come la peste mentre questa, impregnata com'è di un'inquietudine e un pessimismo sempre presenti, mi ha catturata dall'inizio alla fine.


Del regista e co-sceneggiatore François Truffaut ho già parlato QUI. Gérard Depardieu (Bernard Coudray) e Fanny Ardant (Mathilde Bauchard) li trovate invece ai rispettivi link.


domenica 28 aprile 2019

La Llorona - Le lacrime del male (2019)

Lo so che tutti stanno parlando di Avengers: Endgame ma io lo guarderò probabilmente il trenta sera e comunque potevo perdermi, prima di partire, l'ennesimo horror prodotto da James Wan? Assolutamente no! Giovedì scorso sono corsa a vedere La Llorona - Le lacrime del male (The Curse of La Llorona), diretto dal regista Michael Chaves.


Trama: un'assistente sociale rimasta vedova si ritrova a dover salvare i figli dallo spirito de La Llorona, decisa ad ucciderli.


Avrei dovuto capirlo fin dal trailer ma ormai questi film mi paiono tutti uguali e sinceramente a Tony Amendola associo solo il personaggio di Geppetto. Invece, La Llorona è l'ennesimo tassello del MCU horror targato James Wan e il personaggio dello spettro bianco che piange è strettamente legato alla saga The Conjuring e a tutti i suoi spin-off, e anche per questo dico che visti uno, visti tutti. La Llorona non fa eccezione. Scritto da una coppia di esordienti con all'attivo giusto il recente A un metro da te e diretto dal futuro regista di The Conjuring 3, il film ha una trama che si snoda prevedibile dall'inizio alla fine pur affondando le radici nel folklore messicano e persino il sembiante dello spettro ricorda moltissimo la faccetta bianca di The Nun e i suoi abiti fluttuanti. Abbiamo dunque una famiglia un po' disfunzionale ma comunque felice, che vede la sua gioia distrutta da una presenza che decide di accozzarsi in casa, prendendo di mira i bambini; ora, la particolarità de La Llorona è che morire che i bambini in pericolo si confidino con la madre, una persona squisita e molto dolce, non la classica stronza, quindi ce ne vuole prima che costei si accorga della presenza maligna. Ovviamente, ciò succede e dopo una serie di "contatti" sempre più inquietanti e violenti viene tirato in mezzo uno dei tanti guru/santoni/sacerdoti/massimiesperti che popolano questo genere di pellicola e che spaziano dal vagamente utile al terribilmente dannoso. Ecco, quello de La Llorona sta nel mezzo, nel senso che non fa cose totalmente inutili però non è nemmeno così fondamentale, complice la stupidità sua e di chi lo circonda, alla quale si aggiunge una dose di cattiveria altrui. Una trama esiletta e stravista, nevvero? Ovvio, poiché deve servire giusto da scheletro per la marea di jump scare presenti nel film.


E sono tanti questi jump scare, per la maggior parte anche assai efficaci. Un paio, i migliori, sono stati spoilerati nel trailer ma ciò che rende infida la Llorona è il suo riflettersi solo sugli specchi o sulle superfici trasparenti, per poi riapparire brutalmente a distanza più che ravvicinata; completano il tutto porte che si spalancano da sole, cigolii assortiti ed urla assordanti, ché la Llorona strilla come una banshee ed è quasi più incazzata della Nun, oltre ad essere più teatrale di Annabelle. A tal proposito, già che si parla di The Nun, è bene sottolineare come l'unico pregio del film dedicato alla suora, oltre che uno dei punti di forza, in generale, della saga The Conjuring, fossero le ambientazioni gotiche nel caso della suora e un certo gusto vintaggio per quanto riguardava le avventure dei coniugi Warren, mentre ne La Llorona l'ambientazione anni '70 rimane fine a se stessa e non spiccano né le scenografie, né i costumi né, tanto meno, la regia, affidata ad un signor nessuno in grado di conformarsi perfettamente ai desideri di Wan e compagnia. Se non altro, almeno, anche La Llorona può vantare una brava attrice principale, ché la Cardellini non sarà elegante come la Farmiga o pazza come la Collette, ma non è nemmeno anonima e soprattutto ha il physique du role per interpretare una working class mom capace di combattere come una leonessa per il bene dei propri bimbi. Insomma, al solito ci troviamo di fronte a un horror senza infamia né lode, perfettamente in linea con tutte le produzioni recenti a base di fantasmi o maledizioni... e a proposito di maledizioni. Il film è vietato ai minori di 14 anni (vai a sapere perché) ma ciò non mi ha impedito di finire in sala con a) tre deficienti probabilmente appunto di 14 anni che hanno commentato OGNI FOTTUTA SEQUENZA dall'inizio alla fine del film e b) un gruppo di peones entrati dopo 15/20 minuti dall'inizio urlando "Ah ma è già iniziato????", che hanno riso poi per tutto il resto del tempo. Cristo, gente, esiste Netflix, tutti quelli della vostra età scaricano illegalmente i film, perché voi no? Se vi becco durante Pet Sematary o It - Parte 2 divento come la Llorona e vi urlo in faccia, giuro. Per il resto, peace and love (?).


Di Linda Cardellini (Anna Tate-Garcia) e Tony Amendola (Padre Perez) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Chaves è il regista della pellicola. Americano, al suo primo lungometraggio, è anche sceneggiatore, produttore e tecnico degli effetti speciali.


Raymond Cruz  interpreta Rafael Olvera. Americano, è una faccia conosciuta che ricordo per film come Gremlins 2 la nuova stirpe, The Rock, Alien - La clonazione e Dal tramonto all'alba 2, inoltre ha partecipato a serie quali Freddy's Nightmare, Walker Texas Ranger, X-Files, 24, Nip/Tuck, CSI, My Name is Earl, Breaking Bad e CSI: Miami. Ha 58 anni.


Sean Patrick Thomas interpreta il detective Cooper. Americano, ha partecipato a film come Giovani pazzi e svitati, Cruel Intentions, Halloween - La resurrezione e a serie quali Ringer, American Horror Story, Bones e Criminal Minds. Anche produttore, ha 49 anni.


Patricia Velasquez, che interpreta la Llorona, è stata la Anck-Su-Namun de La mummia e La mummia - Il ritorno. Se La Llorona - Le lacrime del male vi fosse piaciuto recuperate La Llorona di René Cardona e aggiungete L'evocazione - The Conjuring, The Conjuring - Il caso Enfield, AnnabelleAnnabelle: Creation e The Nun - La vocazione del male. ENJOY!

mercoledì 24 aprile 2019

Il (Gio) WE, Bolla! che vorrei (24/4/2019)

Siccome oggi sarò nel pieno del viaggio viennese, posso solo immaginare cosa daranno al cinema qui a Savona... e ammetto che mi sto mordendo le mani! ENJOY!


Avengers: Endgame
Il prezzo da pagare per questo viaggio a Vienna è stare lontana da ogni tipo di social per più o meno una settimana, pena spoilerarmi la fine della Fase 1 del MCU. Prevedo lacrime a fiumi e un pezzo di cuore lasciato in fondo a questo percorso, non so se sono pronta a dire addio a personaggi e volti che mi accompagnano ormai da 11 anni. Ancora una volta... #TeamStark!

martedì 23 aprile 2019

Bollamanacco On the Road: Vienna

Oggi, se tutto va bene, col Bolluomo dovremmo partire per un viaggetto di una settimana a Vienna e dintorni. Per questo lasso di tempo, dunque, il Bollalmanacco entrerà in pausa, vuoi per il viaggio vuoi per le varie festività pasquali, 25 aprile, 1 maggio ecc. e dovrebbe tornare ad avere una programmazione umana a partire dal 3 maggio. Nel frattempo, non dimenticatemi, godetevi le immagini cinefile di un paio dei posti dove andrò e... ENJOY!


Cominciamo coi mega classici: Il terzo uomo compie 70 anni e il museo dedicato al film è a tre minuti a piedi dall'ostello quindi credo proprio che ci farò un salto. Lì e dalla ruota gigante, ovviamente!


Obbligatorio, neanche a dirlo, un giro sulle orme di Sissi...


... e uno sguardo alla Wiener Staatsoper. Magari senza gli stunt in cui si è profuso Tom Cruise durante Mission: Impossible - Rogue Nation.


Vienna è anche la città dei musei! Imperdibile, almeno per me, il Castello del Belvedere con opere di Klimt annesse, fulcro del film The Woman in Gold.


E una visita al museo Sigmund Freud non vogliamo farla? Magari mi toglie dalla mente il ricordo di quanto fosse "meh" A Dangerous Method.


E a proposito di film "meh": Prima dell'alba è quasi interamente ambientato a Vienna. Non ho mai apprezzato il film e non sono così romantica ma è un film cult che, parlando di Vienna, è bene citare.


Basta solo non salire in metropolitana o rischiamo di fare brutti incontri come succede alla protagonista di Cold Hell - Brucerai all'inferno!!




venerdì 19 aprile 2019

Che Brutto Affare: Fuga dal mondo dei sogni (1992)


Da mesi non partecipavo più alle operazioni del F.I.C.A. causa mancanza cronica di tempo ed organizzazione ma oggi si parla di trash anni '90, potevo forse mancare? A dire il vero il trash è una diretta conseguenza del fatto che il gruppo di film che andremo a trattare col gruppetto di colleghi blogger rientra in quel novero di pellicole anni '90 finanziate da produttori folli, gonfiate con un numero spropositato di nomi eccellenti e brutte, brutte come il peccato. Top of the flop, insomma. A mio avviso, uno degli esponenti migliori del genere è Fuga dal mondo dei sogni (Cool World), diretto nel 1992 dal regista Ralph Bakshi. E con questo post festeggiamo anche il compleanno mio e di Alessandra! Auguri, splendida donna!


Trama: un militare in congedo si ritrova catapultato dentro Mondo Furbo, una sorta di universo parallelo a cartoni animati creato dal fumettista Jack Deebs, diventando così l'unico poliziotto "carnoso" del luogo. Il suo lavoro si fa decisamente più complesso quando Holli Wood, procace bambolotta animata, decide di sconfinare nel mondo reale sfruttando l'infatuazione che Jack Deebs ha per lei.



Per capire quanto possa fare schifo Fuga dal mondo dei sogni (e complimenti ai titolisti italiani, ché io lì non ci vivrei nemmeno se mi pagassero, e agli adattatori che hanno trasformato Cool World in "mondo furbo"), bisognerebbe essere a conoscenza innanzitutto del fatto che il film, nelle intenzioni di Ralph Bakshi, avrebbe dovuto essere una sorta di soft core con  pesanti elementi horror ed hard boiled alla Sin City. Ora, immaginate la reazione dei produttori e della Basinger una volta che l'attrice si è messa a disposizione del progetto (lei a un certo punto avrebbe voluto proiettare il film negli ospedali per i bambini malati, tanto per dirne una): una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere e il risultato, tra una limata, una censura e una riscrittura del copione quasi completa, è questa blasfema, orribile parodia di Chi ha incastrato Roger Rabbit, talmente brutta che Bakshi stesso ha rischiato di venire licenziato per aver preso a pugni, in un giusto momento di scazzo, il produttore Frank Mancuso Jr. Comprendo Baskhi e comprendo il bisogno di soldi ma personalmente avrei fatto togliere il nome dai titoli di questo orrore fatto a film, il cui unico pregio è quello di avere, chissà perché, una colonna sonora di tutto rispetto, in quanto Fuga dal mondo dei sogni è brutto a più livelli. Partiamo dalla trama. Fuga dal mondo dei sogni rende "reali" le fantasie pruriginose e mai concretizzate di Marvin Acme ed Eddie Valiant in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, facendo del sesso tra cartoni animati ed esseri umani il punto focale della storia; proibito in quanto "pericoloso", costringe il povero detective Harris a rigettare le avance di una procace camerierina pin-up e trasforma la bionda emula di Jessica Rabbit dall'evocativo nome di Holli Would in una cagnetta perennemente in calore, vogliosa di farsi sbattere da chiunque e in primis dal fumettista Jack Deebs, tanto affascinante quanto cretino. Il potere del sesso tra cartoni e carnosi è tale da trasformare i primi in esseri reali ma, ovviamente, il prezzo da pagare è l'annullamento delle barriere che dividono i due universi, con loro conseguente distruzione. Questo è lo scheletro portante della trama, già imbarazzante di suo. A ciò dovete però aggiungere inutili siparietti di follia animata, personaggi che sembrerebbero importanti ma in realtà sono lì giusto per fare da tappezzeria, buchi logici devastanti e protagonisti talmente stupidi da fare il giro (questi due ultimi difetti, tra l'altro, si uniscono convenientemente, così che lo spettatore non arrivi a porsi nemmeno un perché, tranne forse "perché hanno girato staMMerda?").


Se la trama fa pena già di per sé, la realizzazione non aiuta. Qui, lo ammetto, parto svantaggiata in quanto cacaca**i di proporzioni epiche per quanto riguarda l'animazione; se avverto un minimo di deformità, un mancato rispetto delle prospettive anatomiche, l'accenno di un lavoro fatto a tirar via, mi si serra lo stomaco, e a corollario di tutto ciò devo ammettere che fumetti e cartoni animati underground fanno urlare il Walt Disney che è in me. Quindi, guardare Fuga dal mondo dei sogni è stata una fatica perché le uniche cose interessanti e degne di nota sono le scenografie, che costringono i protagonisti a muoversi sugli ingrandimenti delle allucinanti illustrazioni dell'artista Barry Jackson, mentre ogni maledetta scena è infarcita di micro animazioni caotiche e disegnate malissimo in cui succede la qualunque, solitamente episodi di violenza animata, per non parlare degli spettri di volti deformi che ogni tanto vagano per Mondo Furbo, senza un perché; il quartetto di minion di Holli ha un character design orripilante, lo stesso vale per la trasformazione di Frank Harris sul finale, e per quel che riguarda le interazioni tra attori reali e cartoni stenderei proprio un velo pietoso. Ci sarebbe da ragionare sul perché queste interazioni siano orrende e surreali, se per limiti di budget con conseguenti problemi in fase di post produzione ed effetti speciali (siamo tutti d'accordo che il budget di Chi ha incastrato Roger Rabbit era praticamente il doppio di quello di Fuga dal mondo dei sogni) o proprio perché gli attori non ci credevano nemmeno loro. Brad Pitt non era ancora lanciatissimo, è stato piazzato lì giusto per la sua bella faccia impostasi sugli schermi l'anno prima con Thelma & Louise e si vede, perché la sua interpretazione è degna di un cane maledetto e spazia dal totalmente inespressivo nei momenti clou (per esempio quando gli muore la madre. Non ci si può credere quanto sia cane) allo spaesato; meno peggio Gabriel Byrne, che almeno ha la scusa di essere costretto in un ruolo troppo stupido per impegnarcisi davvero, quanto a Kim Basinger le hanno appioppato, a ragione, un Razzie Award ma anche lì non si può cavare un ragno dal buco quando ti ritrovi ad interpretare una sciacquetta scema con una voglia di cippa che scansati, senza contare che nonostante la bellezza della Basinger il paragone tra umano e cartone è impietoso. Fa specie che un film simile esista e sia stato distribuito, eppure porca miseria è così. Posso solo augurarvi di fare come me, che l'ho evitato per più di 20 anni nonostante fosse stato molto pubblicizzato e passasse spesso in TV!


Di Kim Basinger (Holli Would), Gabriel Byrne (Jack Deebs) e Brad Pitt (Detective Frank Harris) ho già parlato ai rispettivi link.

Ralph Bakshi è il regista della pellicola. Israeliano, ha diretto film come Fritz il gatto, Il signore degli anelli ed episodi di serie quali Spider-Man e Supermouse. Anche animatore, sceneggiatore, doppiatore e produttore, ha 81 anni.


Ralph Bakshi avrebbe voluto Brad Pitt nel ruolo di Jack Deebs, Drew Barrymore in quello di Holli e Willem Dafoe in quello di Jack Deebs ma la Paramount ha deciso altrimenti. Traci Lords era invece in pole position per la parte di Holli Would ma alla fine i produttori hanno puntato sulla ben più conosciuta Kim Basinger. Detto questo se il film vi fosse piaciuto, oltre a farvi gli auguri, direi di recuperare subito Chi ha incastrato Roger Rabbit per sciacquarvi gli occhi. ENJOY!

Di seguito, l'elenco delle torture alle quali si sono sottoposti i miei esimi colleghi, con le date di pubblicazione:

18/04 - Corsari by La bara volante
19/04 - Sliver by Director's cult
20/04 - L'uomo del giorno dopo  by Solaris
21/04 - Stargate by La stanza di Gordie
23/04 - Striptease by Non c'è paragone



giovedì 18 aprile 2019

(Gio)WE, Bolla! del 18/4/2019

Buon giovedì a tutti! Manca una settimana all'evento cinematografico dell'anno e questo giovedì, almeno a Savona, dobbiamo accontentarci di quel che passa al convento... ENJOY!

La Llorona - Le lacrime del male
Reazione a caldo: Wah!
Bolla, rifletti!: Temo sarà la sagra del jump scare prevedibile ma cosa fai, lo danno a Savona, non vai a vederlo? Eh no.
Ma cosa ci dice il cervello
Reazione a caldo: *sospiro*
Bolla, rifletti!: Allora, la Cortellesi e Stefano Fresi mi hanno già fregata con La befana vien di notte, dubito ridarò loro una chance quest'anno. Ma chi vuole una commedia in grado di fare critica sociale è il benvenuto, gli lascio il mio posto in sala.

Il campione
Reazione a caldo: Manco per il c...ampione.
Bolla, rifletti!: Pellicola che mi ha fatto schifo sin dal trailer, dove tra l'altro si offende la splendida Special Needs dei Placebo mettendola al servizio della storia di un calciatore giovane e imbecille (ma uuh sicuramente con taaaanti problemi) aiutato da un professore di belle speranze con la faccia di *ugh* Stefano Accorsi. Anche no, vi prego. A sentire parlare il giovane protagonista, per inciso, hanno cominciato a sanguinarmi le orecchie.

Il ragazzo che diventerà re
Reazione a caldo: Yay!
Bolla, rifletti!: Dal regista di Attack the Block, la rivisitazione del mito di Re Artù in chiave avventurosa e adolescenziale. Se ne dice assai bene in giro, quindi correrò a vederlo!

Il cinema d'élite apre le porte ai colori della Colombia...

Oro verde - C'era una volta in Colombia
Reazione a caldo: Hmm!
Bolla, rifletti!: Saga familiare ambientata tra le tribù colombiane, una delle quali attirata dalla ricchezza promessa dalla coltivazione e dalla vendita di marijuana. Le immagini, così come la trama, mi ispirano parecchio; purtroppo, le festività e il viaggio imminente mi costringeranno a rinunciare. 

mercoledì 17 aprile 2019

Monkey Punch (1937-2019)


Sapete che per me Lupin III è un pezzo di cuore. L'11 aprile l'origine di quel pezzetto di cuore si è spenta per una polmonite. A me viene da piangere ma anche da dire "grazie, sensei". Grazie per i personaggi meravigliosi che hai creato, uno in particolare. Che la terra ti sia lieve e il paradiso pieno di sise e donnine procaci.

Il terzo uomo (1949)

Siccome il 23 aprile partirò per Vienna, ho deciso di recuperare un film talmente famoso che la città gli ha dedicato persino un museo, ovvero Il terzo uomo (The Third Man), diretto nel 1949 dal regista Carol Reed.


Trama: uno scrittore di romanzi pulp va a Vienna su invito del suo migliore amico Harry ma arriva giusto in tempo per sapere che quest'ultimo è stato investito da una macchina ed è morto. L'incidente però nasconde molti punti oscuri e lo scrittore decide di indagare...



Il terzo uomo è un film famosissimo. Un film cult, di quelli inseriti in ogni classifica cinematografica che si rispetti. Era ovvio quindi che non l'avessi mai visto, ci mancherebbe. Ma, come si dice, meglio tardi che mai e l'importante è stato riuscire finalmente a guardare ed apprezzare questo noir (anche se forse definirlo così è improprio) sceneggiato nientemeno che da Graham Greene ed ambientato in una Vienna divisa in quattro dalle conseguenze della seconda guerra mondiale, terra di tutti e di nessuno dove le forze dell'ordine americane, russe, inglesi e francesi un po' collaborano e un po' si mettono i bastoni tra le ruote, in perfetto clima pre-Guerra Fredda. In questo scenario confuso e ovviamente pericoloso compare l'ingenuo Holly (in italiano Alga) Martins, scrittore pulp americano giunto a Vienna su invito del vecchio amico Harry Lime, il quale muore nel momento esatto in cui Alga mette piede nella città. Una serie di circostanze, che non vi dirò per non togliervi il gusto di seguire le indagini del protagonista, lo spinge a credere che Harry non abbia avuto un semplice incidente mortale, e comincia così ad indagare scoprendo a poco a poco la natura oscura di quello che credeva essere uno dei suoi migliori amici. Tra donne bellissime e tormentate, militari dei quali non è proprio saggio fidarsi, misteriosi assassini e vari personaggi dall'inquietante ambiguità, Alga comincia a giocare un gioco pericolosissimo, finendo per diventare la figura chiave di un caso ben più grosso di quanto non sembrasse all'inizio e, suo malgrado, finendo per ritrovarsi a fare la figura della pedina messa su una scacchiera difficile da comprendere, anche per chi è abituato, come lui, ad inventare storie pulp. In tutto questo, comunque, Alga non perde mai il suo sfrenato ottimismo e la convinzione di essere nel giusto, di fare parte del novero dei "buoni", e questa sua "leggerezza" si trasmette ad ogni aspetto del film che diventa così un noir dalla doppia, particolarissima atmosfera.


Se infatti il sembiante pacioso e un po' malinconico di Joseph Cotten, i suoi tentativi di diventar cavalier servente della bella Anna (un'elegantissima Alida Valli) e il delizioso tema portante composto da Anton Karas sollevano, in qualche modo, l'animo dello spettatore, così non è per lo stile ancora "espressionista" con cui Carol Reed ha diretto Il terzo uomo. Fotografato con un bianco e nero splendido e nitidissimo, all'interno del quale le ombre sembrano voler inghiottire i protagonisti, ambientato in una Vienna irriconoscibile, crogiolo di povertà, macerie e dotata di un impianto fognario labirintico, teatro del tesissimo inseguimento finale, Il terzo uomo fa ampio uso del cosiddetto Piano Olandese, quello per cui moltissime inquadrature, persino i primi piani, sono sghembi, così da trasmettere un immediato senso di inquietudine e spaesamento, lo stesso che prova indubbiamente Alga ad ogni ulteriore rivelazione su Harry e i suoi loschi traffici, ad ogni omicidio, ad ogni sguardo che lo spia da quel nero impenetrabile. Sono molte le scene indimenticabili del film, quelle che si fissano indelebili nella mente dello spettatore, in primis la già citata sequenza girata all'interno delle fogne viennesi e secondariamente quella ambientata sulla ruota panoramica, assurta a simbolo della Città, ma in generale Il terzo uomo nella sua interezza è un mirabile esempio di perizia cinematografica, sostenuta dalle performance di validi attori, sia per quel che riguarda i protagonisti (quanto è affascinante ed imponente Orson Welles, con quei primi piani ombreggiati nelle fogne? E quel discorso agghiacciante sui puntini, o quello ironico sugli orologi a cucù?) sia per quel che riguarda i personaggi secondari, perché vi sfido a dimenticare il custode tedesco o il bimbetto dalla faccia tonda che accusa Alga di omicidio. Recuperate quindi Il terzo uomo senza remore, a prescindere che abbiate o meno in previsione un viaggio a Vienna, in lingua originale o godendovi il validissimo, vecchio doppiaggio italiano.


Di Joseph Cotten (Holly Martins), Alida Valli (Anna Schmidt) e Orson Welles (Harry Lime) ho parlato ai rispettivi link.

Carol Reed è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come E le stelle stanno a guardare, Idolo infranto, Il nostro agente all'Avana, Il tormento e l'estasi e Oliver! (che gli è valso l'Oscar per la miglior regia). Anche produttore, sceneggiatore e attore, è morto nel 1976 all'età di 69 anni.


Bernard Lee, che interpreta il Sergente Paine, è famoso per essere stato M in molti film di James Bond. Il regista Carol Reed avrebbe voluto James Stewart nei panni di Alga, ma il produttore David O. Selznick è stato irremovibile e Joseph Cotten è stato scelto nel momento in cui Robert Mitchum è diventato indisponibile perché arrestato per possesso di marijuana. Detto questo, se Il terzo uomo vi fosse piaciuto recuperate L'infernale Quinlan. ENJOY!


martedì 16 aprile 2019

Stuff - Il gelato che uccide (1985)

In occasione della morte di Larry Cohen ho riguardato un altro dei suoi film cult, Stuff - Il gelato che uccide (The Stuff), da lui diretto e sceneggiato nel 1985.


Trama: quando viene immesso sul mercato lo Stuff, un bianco gelato dal sapore divino, la gente non ne può più fare a meno... ma sono loro che mangiano il gelato o è il gelato a mangiare loro?



The Stuff, ovvero "la roba", visto che cosa diamine sia di preciso questo Stuff non lo sa nessuno, almeno fino alla fine del film, però lo si compra lo stesso perché dicono sia buono. Ma anche "to stuff", perché la gente si rimpinza di questo gelato cremoso fino a scoppiare, diventando dei pupazzi vuoti ripieni di densa rumenta bianca, privi di qualsivoglia volontà che non sia mangiare, mangiare e ancora mangiare. E così Larry Cohen offre al pubblico la sua opera di critica contro il consumismo imperante, contro il desiderio di avere l'oggetto più di moda al momento senza nemmeno capire cosa sia, al ritmo di pubblicità accattivanti e di "can't get enough of this wonderful Stuff", facendosi mangiare via il cervello conformandosi alla massa di automi assimilabili agli zombie romeriani che tornavano ad affollare il centro commerciale. Meno raffinato di Romero, ça va sans dire, quello di Larry Cohen è il Metaforone con la M maiuscola, che punta il dito innanzitutto contro chi adora fare soldi sulla pelle dei poveri cristi ignoranti (qui non si parla di misteriose associazioni a delinquere ma di capitani d'industria, FDA e funzionari compiacenti che chiudono parecchi occhi pur di salire sul carro del prodotto di punta) e poi sullo scarso senso critico degli americani in generale, in quanto popolo di bibini bisognoso di pubblicitari che dicano loro cosa, chi e quanto amare. Soldati come il colonnello Spears si isolano pronti a combattere i comunisti ma non si rendono conto che il nemico peggiore per la società americana è ben più insidioso e dal sembiante gradevole, un ultracorpo contenuto in un'accattivante confezione di gelato che è il trionfo del design anni '80, con quei colori squillanti ed evocativi che fan venire voglia di comprarlo prima di subito, nemmeno fosse appena uscito dalla fabbrica di Willy Wonka.


The Stuff è quindi un film che carica la metafora sociale appesantendola e lanciandola contro il pubblico come uno schiacciasassi ma non è scemo come si è arrivati a credere, tanto che il DVD inglese che ho in casa fa parte di una collana chiamata "cult B-Movie". E' vero, The Stuff è un B-Movie ma ha una sua dignità, alla faccia dei personaggi borderline (Michael Moriarty recita costantemente sopra le righe e si rotola una patata in bocca dall'inizio alla fine del film, a Paul Sorvino spettano i dialoghi più deficienti della sua intera carriera) e dell'effetto speciale cheesy come un puff al formaggio, soprattutto nei momenti in cui lo Stuff deve dimostrare la sua natura di viscido blob senziente in quantità maggiori di un barattolo (lì i poveri attori fanno fatica ad interagire), mentre alcuni esseri umani "corrotti" fanno genuinamente schifo, anche per un film girato con budget ridotto. Doveste mai recuperare The Stuff, non aspettatevi quindi un horror tout court, quanto piuttosto una nerissima commedia satirica, perfettamente radicata nell'epoca reaganiana in cui è stata girata; si ride parecchio in The Stuff ma siccome dagli anni '80 ad oggi non è praticamente cambiato nulla e il concetto di obey, consume and conform è tristemente attuale, è una risata amara e non farei fatica a immaginare un remake aggiornato del film di Cohen con orde di instagrammer, influencer e youtuber a diffondere lo Stuff non solo nelle piccole province americane, quelle più permeabili, ma in tutto il mondo e in tempo zero. Perché enough is never enough, purtroppo.


Del regista e sceneggiatore Larry Cohen ho già parlato QUI. Paul Sorvino (Colonnello Malcom Grommett Spears) e Danny Aiello (Vickers) li trovate invece ai rispettivi link.

Michael Moriarty interpreta David "Mo" Rutherford. Americano, ha partecipato a film come Baby Killer III, I vampiri di Salem's Lot e a serie quali Ai confini della realtà, Psi Factor, Oltre i limiti, La zona morta, Taken, The 4400 e Masters of Horror. Anche sceneggiatore, ha 78 anni.


James Dixon, che interpreta il postino, è stato il Detective Perkins della trilogia iniziata con Baby Killer ma scorrendo la lista degli interpreti su Imdb si scopre che persino nomi eccellenti come Patrick Dempsey e Mira Sorvino hanno fatto delle piccolissime comparsateDetto questo, se Stuff - Il gelato che uccide vi fosse piaciuto recuperate Terrore dallo spazio profondo, Brain Damage - La maledizione di Elmer, La cosa e Slither. ENJOY!


domenica 14 aprile 2019

Nosferatu - Il principe della notte (1979)

Tant'è, ce l'ha fatta. Mirco è riuscito nell'intento di guardare e farmi vedere Nosferatu - Il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht), diretto e sceneggiato da Werner Herzog nel 1979.


Trama: l'agente immobiliare Jonathan Harker viene mandato nel castello del conte Dracula per l'acquisto di un maniero. Lì scopre la natura mostruosa del conte e viene dallo stesso imprigionato, mentre Dracula salpa alla volta di Wismar, portando con sé morte e pestilenza.



Ho visto il Nosferatu di Murnau un paio di volte ai tempi dell'università ma quello di Herzog, per una sorta di follia di cui non mi sento di dover rendere conto in quanto, appunto, follia, l'ho sempre relegato inconsciamente nel novero di b-movie immeritevoli di una visione. Lo so, secondo me il motivo è da ricercarsi nella presenza di Kinski e nell'esistenza di Nosferatu a Venezia ma per fortuna i due film non sono nemmeno lontanamente paragonabili e Nosferatu - Il principe della notte si è rivelato ai miei occhi come l'opera pregevole che è. Herzog, anche in veste di sceneggiatore, restituisce ai personaggi di Bram Stoker i loro nomi e reinterpreta la versione malata, terrorizzata e pessimista del Nosferatu di Murnau, costringendo i personaggi ad affrontare non già un vampiro carismatico ed affascinante ma una specie di ratto mutante, l'incarnazione stessa della morte e della peste nera, privo di quella sensualità che già non era appannaggio del povero Max Schreck. Desideroso di amore ma costretto a piegarsi alla sua brama di sangue e morte, Nosferatu (o Dracula) è una figura tragica per la quale è comunque difficile provare pietà, infatti la povera Lucy, moglie dell'altrettanto sfortunato Jonathan, non ne mostrerà e lo stesso vale per Herzog; se, infatti, Nosferatu prevedeva un lieto fine dopo lo sterminio di un'intera popolazione, con la luce che sconfiggeva letteralmente le tenebre, nella versione del 1979 il sacrificio della luce viene vanificato dall'ineluttabilità del male, dal morbo che si diffonde senza possibilità di venire fermato e si manifesta in forme sempre nuove e differenti, forse addirittura più rassicuranti, il che è molto angosciante.

Tipica accoglienza ligure
Mai angosciante, ovviamente, quanto le immagini di desolazione mostrate da Herzog, quella sfilata inquietante di bare preceduta dall'invasione di ratti disgustosi, per non parlare degli ambienti asettici e squallidi del castello di Dracula o del mare sterminato che reca ben poco conforto ai personaggi positivi. Mai angosciante, neanche a dirlo, quanto il vecchio Klaus. Ora, passando a cose più facete, il povero Mirco c'è rimasto male. Già ha intrapreso la visione del film plagiato da QUESTO video che il fidanzato conosce a menadito, in più si aspettava qualche mattana di Kinski ma niente: terrificante, inusualmente compassato e calmo, misuratissimo sotto un makeup che lo rende un mostro fuori da ogni umana concezione, il Dracula di Kinski si impone col suo mero carisma, buca lo schermo attraverso la sua silenziosa disumanità e tuttavia, per una volta, non inghiotte il film facendo scomparire tutto il resto. Merito di un Herzog che, a quanto pare, lo spingeva a inenarrabili sfuriate prima di entrare in scena, così che Klaus fosse bello spompato e quasi trasognato ma non meno efficace. Altro punto a favore del film, un Renfield mai così matto, interpretato da Roland Topor che, lungi dall'aggiungere un comic relief alla trama (nonostante gli scherzi ai danni della guardia), infonde nello spettatore ancora più angoscia in quanto si fa testimone dell'ineluttabilità della malattia, della follia e del male in generale. Insomma, ce ne ho messo di tempo a vederlo, pensavo non mi sarebbe piaciuto e invece ecco che Nosferatu - Il principe della notte mi ha riconciliata con un attore che sono arrivata ad associare solo a gran ciofeche. Recuperatelo, se non lo avete mai visto.


Del regista e sceneggiatore Werner Herzog (che compare nel film come l'uomo che infila un piede in una bara e viene morso da un ratto) ho già parlato QUI. Klaus Kinski (Nosferatu), Isabelle Adjani (Lucy Harker) e Bruno Ganz (Jonathan Harker) li trovate invece ai rispettivi link.


Nei panni di Renfield compare l'artista Roland Topor, scrittore de L'inquilino del terzo piano e creatore del Mouvement panique assieme ad Alejandro Jodorowski e Fernando Arrabal. Il film ha un seguito non ufficiale sempre con Klaus Kinski, l'orripilante Nosferatu a Venezia. Meglio recuperare il Nosferatu originale e magari anche Dracula e Dracula di Bram Stoker. ENJOY!

venerdì 12 aprile 2019

Il BollOspite: Hellboy (2019)

Oggi il Bollalmanacco ha un'ospite d'eccezione: Lucia Patrizi de Il giorno degli zombi. Per chi non lo sapesse Lucia, oltre a sapere praticamente tutto sull'horror, è anche una scrittrice talentuosissima e, se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di leggere le sue opere: My Little Moray Eel, Il posto delle onde e Nightbird. Li trovate tutti su Amazon, sono bellissimi, non avete scuse. E ora, lascio la parola a Lucia la quale, dopo averlo visto all'anteprima romana, mi ha regalato la recensione di Hellboy, diretto da Neil Marshall e uscito proprio ieri in Italia (ma non a Savona). ENJOY!




Prima di tutto, volevo ringraziare la Bolla, sia per avermi spacciato l’anteprima romana di
Hellboy sia per l’ospitalità qui nella sua dimora. È stata un tesoro.
Tanto per sgombrare subito il campo da sgradevoli equivoci, eviterò qualunque paragone
tra questo film e i due diretti da del Toro nel 2004 e nel 2008, un po’ perché dopo tanti
anni uno si stanca di combattere coi fan imbizzarriti (ma lo erano anche all’epoca, perché
del Toro si allontanò moltissimo dal fumetto), un po’ perché non si possono paragonare
Guillermo del Toro e Neil Marshall: il primo è un poeta, il secondo un picchiatore, e
queste rozze ed estremamente semplicistiche definizioni non vogliono andare a detrimento
di nessuno dei due. Marshall picchia come un fabbro dall’inizio della sua carriera, è un
dato di fatto, è una cosa bellissima da dire del suo cinema, da cui di solito si esce pesti
come dopo essere stati sottoposti a una scarica di calci in bocca.
In questo caso, l’attitudine da picchiatore di Marshall è tutta al servizio di un blockbuster,
o di un film che aspira a essere tale. Anche qui, non c’è niente di male e la parola
blockbuster non intende implicare un giudizio di valore, quanto stabilire in anticipo un
patto con il lettore, che dovrebbe conoscere le regole in base alle quali un blockbuster
viene confezionato.
Non fatevi ingannare dalla R di restricted applicata al film: togliendo le tonnellate di
sangue, quasi sempre in CGI, che per fortuna si riversano a ondate sullo spettatore,
Hellboy è un blockbuster come ce ne sono tanti, e quindi azzera la personalità del regista
in partenza.


Marshall non ha né la forza né il potere di fare di testa sua o di volgere le regole a proprio
vantaggio, e quindi accetta di buon grado questo primo lavoro ad alto budget e porta a casa
due ore tiratissime, mai noiose, violente e (questo dovrebbe fare la gioia dei pochi che i
fumetti di Mignola li conoscono) fedelissime al testo di riferimento.
In questo stanno sia i punti di forza che quelli deboli del nuovo Hellboy: in certi frangenti,
sembra di vedere un cinecomic come se ne trovano tanti, poi qualcuno viene scuoiato vivo
o impalato e allora ci si ricorda di non essere nel MCU, ma in un universo narrativo molto
più cupo e dalle componenti decisamente horror; gli effetti digitali regnano indisturbati,
anche nelle sequenze dove forse non erano del tutto necessari, anche quando forse una
bella dose di splatter artigianale poteva avere un’efficacia maggiore; in compenso, volano
certi schiaffi che vi alzerete dalla poltrona rintronati, perché l’Hellboy di Marshall è
esattamente come il suo regista: un picchiatore forsennato.
Ecco, dovete dimenticare lo stile barocco di del Toro, la sua ode alla diversità, dovete
dimenticare la poetica di del Toro applicata a Hellboy e per una ragione molto semplice:
era tutta roba di del Toro, riversata nel mondo del demone dalle corna limate. E basterebbe
questo per capire la differenza che passa tra un grandissimo autore e un ottimo regista che
si piega al servizio della produzione.
Non poteva succedere altrimenti: Marshall non fa un film per il cinema dal 2010 e non
credo sia motivo di vanto, per uno che ha, di fatto, cambiato la faccia del cinema horror
con The Descent, avere il proprio nome legato a Game of Thrones. Logica da parte sua una
certa docilità nell’adattarsi a far quello di cui la produzione ha bisogno.


Ora, il problema è se anche il pubblico ha, in un’ epoca dove esce un film tratto da un
fumetto ogni due o tre mesi, bisogno di questo Hellboy, che pare voler essere troppe cose
tutte insieme, voler rincorrere tipi di spettatori troppo diversi tra loro, quelli legati alla
creatura di Mignola, quelli tipici di un blockbuster estivo e quelli avidi di teste spappolate
e occhi strappati. Se i primi possono trovare un punto d’incontro coi terzi, è difficile che i
secondi vogliano le stesse cose.
Paga quindi la sua natura ibrida, l’indecisione su a chi vuole davvero rivolgersi e su dove
vuole davvero andare, come paga la scelta di aver preso spunto non da una sola storia di
Hellboy, ma addirittura da tre: La Caccia Selvaggia, Il Richiamo delle Tenebre e La
Tempesta e la Furia.
Intendiamoci, vedere Baba Yaga e i giganti è un piacere enorme; soprattutto la vecchia
strega mangiatrice di bambini, protagonista dell’unica sequenza puramente horror di tutto
Hellboy, è la creatura più riuscita e interessante del film, anche perché è stata realizzata
con un limitato ammontare di CGI e se ne percepisce la presenza reale sul set.
È una gioia anche respirare l’atmosfera del BPRD, avere a che fare con una versione molto
più cinica e stronza del professor Broom (Ian McShane) e vedere alcuni personaggi che
pensavamo non avremmo mai visto su grande schermo. Sono tutte cose che scaldano il cuore
del fan di Mignola e rendono Hellboy una visione apprezzabile.


E tuttavia, poteva essere qualcosa di più: così com’è, non credo che arriverà neanche a
incassare la cifra necessaria per un eventuale seguito, annunciato nelle scene dopo i titoli
di coda, come in ogni cinecomic che si rispetti, ovviamente.
Di suo, Marshall ci mette la messa in scena piena di adrenalina, una certa sporcizia del
montaggio che gli è sempre stata propria, e l’occhio di un regista esperto, ma ormai al
guinzaglio.
Una delusione, quindi?
No, un prodotto discreto, che intrattiene a dovere e si dimentica una volta finito. Come il
90% dei blockbuster moderni.


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