venerdì 30 giugno 2023

Elemental (2023)

In settimana sono riuscita ad andare a vedere Elemental, l'ultimo film della Pixar, diretto e co-sceneggiato dal regista Peter Sohn.


Trama: Amber è una fiammella che vive in un quartiere di Element City assieme ai suoi anziani genitori, coi quali manda avanti un negozio. L'incontro con Wade, fatto d'acqua, la costringerà a mettere in discussione se stessa e la sua vita...


Non so se lo avete notato ma ultimamente va di moda dire che i prodotti Disney fanno schifo. Cioè, ultimamente va di moda dire che qualunque cosa fa schifo, di solito senza nemmeno avere visto/provato la cosa in questione, ma spalare merda sulla Disney sembra diventato uno sport nazionale. C'è un fondo di motivazioni corrette in questa "moda", non sarò io a negarlo: la necessità di creare prodotti di rapido consumo per lo streaming o franchise remunerativi, di cavalcare la terrificante onda nostalgica analizzata ottimamente dal Doc QUI, ha creato una sovrabbondanza di prodotti scadenti, banali, tecnicamente discutibili, buoni per una serata e poi condannati all'oblio quando va bene, oppure orribili quando va male. Oltre a questo, la Pixar ci ha abituati anche troppo bene con le sue opere storiche, di conseguenza ogni prodotto sottostante l'asticella del capolavoro non viene considerato come un bel film, ma direttamente una cacca fumante. Onestamente, questo atteggiamento mi ha un po' stufato ed è uno dei motivi per cui non leggo quasi nulla prima di andare a vedere un film, ché a me il bianco e nero tranchant non sono mai piaciuti e preferisco il grigio, o l'arcobaleno, come nel caso di questa meravigliosa esplosione di colori che è Elemental. A me l'ultima opera della Pixar è piaciuta parecchio e il sentimento che non mi abbandona dalla sera della visione è innanzitutto un'ammirazione spropositata per chi si è ingegnato a progettare ed animare un mondo complesso che tenesse conto dell'interazione fisica tra i quattro elementi, costretti a convivere all'interno di Element City; in una città dominata dall'acqua (l'elemento principale, la "classe ricca") gli animatori hanno dovuto trovare il modo di inserire l'aria in forma di buffe nuvolette, la terra come piante semoventi, e ovviamente il fuoco, l'elemento di disturbo costretto a venire confinato all'interno di un quartiere apposito, pena l'estinzione delle fiammelle o l'incenerimento degli alberi. Ogni edificio, oggetto, cibo, luogo, sport è declinato in chiave "elementale" e ci sarebbero tante di quelle possibilità da esplorare che non basterebbe un film di due ore, oltre al fatto che sarebbe difficile anche mantenere non solo la qualità dell'animazione eccelsa di cui si può godere in Elemental ma anche i capolavori cromatici nati dall'interazione tra acqua e fuoco (per non parlare della sequenza che vede protagonisti i coloratissimi fiori di Vivisteria) che mi hanno lasciata letteralmente a bocca aperta.


Un po' più "semplice", ma non meno valida, è la trama di Elemental. Questa volta la Pixar gioca la carta della storia d'amore tra due persone completamente diverse, incompatibili come il fuoco rappresentato da Ember e l'acqua rappresentata da Wade; l'appartenenza dei due a classi sociali che più distanti non si può da' il la ad un discorso sull'immigrazione, la ghettizzazione e tutto il carico di aspettative e paure che si portano sulle spalle i figli di chi ha lasciato tutto per raggiungere un mondo (presumibilmente) migliore. Questo, assieme a una minaccia incombente atta a fomentare ancora più i sentimenti di inadeguatezza provati da chi, dopo decenni, si sente ancora straniero e giudicato, concorrono a rendere più dinamico e profondo un canovaccio abbastanza tradizionale per il genere "love story". Inoltre, i due personaggi principali vengono arricchiti proprio dalle peculiarità tipiche della loro natura, con Wade che è trasparente e puro come l'acqua, dotato di un'empatia fuori dal comune, mentre Amber è passionale e fumina, oltre che smossa dal "fuoco" dell'arte, ed è anche per questo che diventa un piacere seguire la coinvolgente e tenera evoluzione del loro rapporto. Non pensiate adesso che Elemental sia un film cupo o sdolcinato, anzi. I momenti ironici e dinamici sono moltissimi, con gag simpatiche (ma mai invasive) legate all'interazione tra elementi o ad alcune peculiarità delle famiglie dei protagonisti, ma ci sono anche quei momenti di riflessione e commozione "adulte" a cui la Pixar ci ha abituati e che rendono i film di questa casa di produzione perfetti sia per i genitori che per i figli. A patto, ovviamente, che i primi siano intelligenti: mammina cara, se il tuo pargolo si lamenta perché il corto che precede Elemental (il commovente Carl's Date, che riprende i personaggi di Up) NON E' Elemental e quindi non gli interessa, la risposta adeguata è "Fregancazzo, stai zitto comunque per rispetto degli altri" non che lo ignori fino all'inizio del film per poi premiarlo con un "Hai ragione, ma adesso è cominciato il film VERO, quindi bisogna stare seri", perché la prossima cosa vera e seria che ti arriverà in faccia sarà una mia cinquina. E viva i buoni sentimenti!!   


Del regista e co-sceneggiatore Peter Sohn ho già parlato QUIMamoudou Athie (Wade Ripple), Ronnie Del Carmen (Bernie) e Catherine O'Hara (Brooke) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Elemental vi fosse piaciuto recuperate Zootropolis e Inside Out. ENJOY!

mercoledì 28 giugno 2023

Operation Fortune (2023)

Potevo perdermi l'ultimo lavoro da regista e co-sceneggiatore di Guy Ritchie, Operation Fortune (Operation Fortune: Ruse de guerre)?


Trama: il governo britannico ingaggia un'agenzia investigativa per recuperare un misterioso oggetto rubato da un gruppo di criminali. L'agente di punta, Orson Fortune, dovrà ricorrere a metodi poco ortodossi per scoprire la natura dell'oggetto e l'identità del committente del furto...


Guy Ritchie è uno di quei registi ai quali do sempre fiducia a prescindere, vuoi perché da bambina ero fan di Madonna, vuoi perché i sui primi film mi sono piaciuti da morire. Non è uno dei miei autori preferiti, perché anche lui, soprattutto ultimamente, ha realizzato le sue ciofeche, però quando leggo il suo nome nei trailer mi scatta sempre la molla, anche se l'ultima volta non ci eravamo lasciati granché bene con Wrath of Man, per me un po' noiosino. Il cast corale di Operation Fortune mi ha subito richiamato alla mente quella divertente goduria di The Gentlemen, e onestamente un po' speravo in un ritorno a un certo tipo di malavita rozza che desse un po' di pepe ai manigoldi inamidati, invece stavolta Ritchie è tornato ai giochi di spie in stile Operazione U.N.C.L.E., dandosi agli ambienti di lusso e alle location fighette, confezionando un film derivativo e poco memorabile. La storia è quella di Orson Fortune, super agente segreto infallibile salvo per un paio di punti deboli (ha il senso dell'orientamento di Zoro, adora il vino, è agorafobico e non ricordo cos'altro), che viene richiamato in servizio dal suo capo per recuperare un macguffin misterioso che, nel corso del film, fa talmente tanti giri da essermici un po' persa. La cosa non è importante, anche perché l'atmosfera da spy movie lascia dopo poco spazio a quello che, credeteci o no, è praticamente il remake de Il talento di Mr. C, quando Orson decide di ingaggiare un attore vero per avvicinarsi a un criminale, suo grandissimo fan, con tutti gli imprevisti che ne conseguono (c'è persino il "villain" che si scopre un simpaticone meno pericoloso di altri, come già succedeva nel film con Nicolas Cage); l'unica differenza è che Jason Statham è ancora un grande nome di richiamo per il genere action, quindi il gioco si fa un po' più violento e meno cartoonesco, oltre al fatto che il protagonista è per l'appunto Statham, non Josh Hartnett, il che riduce sensibilmente lo screentime di quest'ultimo. Per il resto, almeno a livello di trama, Operation Fortune è prevedibile dall'inizio alla fine e, dovessi dire, anche un po' moscerello, questo a causa di problemi di ritmo dovuti non solo a una struttura "a microepisodi" ma anche ad attori non granché in parte.


La più spaesata, mi duole dirlo, è Aubrey Plaza, che tra l'altro è il secondo motivo che mi ha spinta a vedere il film. L'attrice mi aveva fatta letteralmente innamorare durante le prime due stagioni di Legion, interpretando un personaggio folle ed intrigante che era uno dei maggiori pregi di una serie già di per sé splendida; ritrovarla qui nel ruolo di donna "forte" ma comunque dipendente dal catzo (il corteggiamento, se così si può chiamare, che porta avanti con Orson è imbarazzante), fatalona con la parlantina di un portuale e sexy solo in virtù dell'omaggio a I guerrieri della notte, insomma una sorta di mostro di Frankestein incerto su quale direzione fare prendere al personaggio, mi ha sconcertata a più livelli. Molto meglio Hugh Grant, il quale con Guy Ritchie sembra aver trovato una seconda giovinezza fatta di personaggi caricaturali e laidi, amorali eppure in qualche modo adorabili, come già accadeva nel più riuscito The Gentlemen. Al confronto di quest'ultimo film, Operation Fortune sembra un anonimo prodotto girato da un signor nessuno dotato di soldi ma privo di personalità: avrebbe tutte le carte per osare e sorprendere e, in effetti, è ben realizzato sotto ogni aspetto, però risulta lo stesso un compitino laccato perfetto per le piattaforme e il maledetto "algoritmo", una di quelle pellicole buone per passare una sera a rilassarsi sul divano (magari anche divertendosi anche se, come ho detto, qualche attimo di noia l'ho patito più del dovuto) ma dimenticabile già dal giorno dopo. Certo, ormai da Ritchie il capolavoro non me lo aspetto più, ma questi svogliati prodotti di caratura medio-alta, che non sviluppano appieno il loro potenziale, forse mi fanno ancora più tristezza.


Del regista e co-sceneggiatore Guy Ritchie ho già parlato QUI. Jason Statham (Orson), Aubrey Plaza (Sarah), Cary Elwes (Nathan), Hugh Grant (Greg), Josh Hartnett (Danny) e Eddie Marsan (Knighton) li trovate invece ai rispettivi link.


Bugzy Malone, che interpreta JJ, aveva già lavorato con Guy Ritchie in The Gentlemen, film che vi consiglio di recuperare (lo trovate su Prime Video) se Operation Fortune: Ruse de guerre vi fosse piaciuto, magari assieme a Operazione U.N.C.L.E., Il talento di Mr. C e The Nice Guys (anche questo disponibile su Prime Video). ENJOY!

martedì 27 giugno 2023

Sisu (2022)

Uno dei film più chiacchierati dell'ultimo periodo e per il quale, come sempre, la distribuzione italiana ha già perso il treno, è Sisu, diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Jalmari Helander.


Trama: alla fine della Seconda Guerra Mondiale, un ex soldato finlandese trova una ricca vena d'oro. Deciso a portare le pepite in città, trova sul cammino dei nazisti decisi a derubarlo, purtroppo per loro...


Sisu è il grado zero dell'action a base di gente che muore giustamente malissimo. Con questo intendo che la trama è semplicissima e si scrive da sola (non che è realizzato coi piedi, intendiamoci) ma non per questo è meno goduriosa. D'altronde, come potrebbe non esserlo visto che parla di nazisti ammazzati nei modi più efficaci e fantasiosi? Sisu racconta la storia di un ex soldato che vorrebbe solo ricominciare a vivere un'esistenza solitaria, accompagnato dal fedele cagnolino, e davanti a cui si spalancano le porte di un'insperata prosperità quando trova una ricca vena d'oro; il soldato in questione però non ha fatto i conti con la fine della Seconda Guerra Mondiale e con la presenza, in territorio finlandese, di nazisti costretti a tornare in patria con le pive nel sacco e il terribile presagio di un tribunale pronto a condannarli per crimini di guerra, quindi ancora più stronzi ed incattiviti. Detti nazi si incapricciano dell'oro del vecchio veterano e mal gliene incoglie, perché l'anziano minatore è una leggenda di guerra, uno sterminatore di russi che i più chiamano, con terrore, l'Immortale, in quanto si rifiuta di morire. Dai russi ai nazi il passo è breve, all'Immortale non devi spaccare i marroni a prescindere dalla provenienza geografica, e questa importantissima lezione verrà inculcata nel cervello dei mangiapatate nel modo più sanguinoso (e soddisfacente per lo spettatore) possibile, con parecchi momenti epici che non vi sto a spoilerare e che non derivano unicamente dal giusto scazzo del veterano.


Come ho scritto all'inizio, Sisu non è un film realizzato coi piedi, anzi. Jalmari Helander, un nome già ben conosciuto agli amanti dell'horror, confeziona un'opera dalla durata perfetta, un concentrato di momenti al cardiopalma suddiviso in capitoli che, nonostante il ritmo sostenuto, non risulta affatto frettoloso e offre ad ogni personaggio ed ogni situazione il tempo necessario per evolversi in maniera soddisfacente. Il regista ha gran gusto sia per le splatterate goderecce sia per gli ambienti in cui si svolge la vicenda, rendendo il paesaggio lappone protagonista fondamentale delle vicende narrate, con la sua natura brulla ed inospitale, perfettamente fotografata, una terra di nessuno che conferisce a Sisu eleganti sfumature western, riprese anche da moltissime inquadrature tipiche del genere. Anche gli attori danno enormi soddisfazioni. La faccia di Jorma Tommila, che non spiccica parola se non alla fine, è la perfetta incarnazione di questa misteriosa parola, sisu, ovvero una caratteristica tipica del popolo finlandese che include stoica determinazione, tenacia, coraggio, resilienza e durezza (caratteristiche che si ritrovano non solo sul volto e nello sguardo di Tommila ma anche nel già citato paesaggio che lo circonda), e il suo Aatami non ha nulla da invidiare a "eroi" moderni come John Wick o Becky. Nei panni del nazista capo, poi, c'è Aksel Hennie, già apprezzato tantissimo in The Trip, ennesima faccia interessante all'interno di un cast ricco di caratteristi affatto anonimi. Quindi, non vi resta altro che sperare che la Sony Pictures faccia arrivare presto Sisu anche in Italia, magari non quando in programmazione ci sono blockbuster annunciati, o il rischio è quello che venga distribuito in tre sale in tutta la penisola, quando invece meriterebbe i più grandi schermi possibili!

Jalmari Helander è il regista e sceneggiatore della pellicola. Finlandese, ha diretto film come Trasporto eccezionale - Un racconto di Natale. Anche scenografo, produttore e costumista, ha 47 anni e film in uscita.


Aksel Hennie interpreta Bruno, il capo nazi. Norvegese, ha partecipato a film come Sopravvissuto - The Martian e The Trip; come doppiatore, ha lavorato al film Terkel in Trouble. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 48 anni e un film in uscita.


Jorma Tommila, che interpreta Aatami, collabora con Helander fin dalle sue prime opere ed è anche cognato del regista; Onni Tommila (il giovane nazista dai tratti quasi asiatici) è il figlio dell'attore e anche lui ha lavorato in quasi tutti i film dello zio mentre Mimosa Willamo, la "capa" delle prigioniere, era tra i protagonisti di Lake Bodom. Ciò detto, se Sisu vi fosse piaciuto recuperate Becky, Rambo, Bastardi senza gloria e la saga di John Wick. ENJOY!

venerdì 23 giugno 2023

Lightyear - La vera storia di Buzz (2022)

Avendolo perso al cinema ho approfittato della sua uscita su Disney + per recuperare Lightyear - La vera storia di Buzz (Lightyear), diretto e co-sceneggiato dal regista Angus MacLane.


Trama: dopo essere rimasto bloccato su un pianeta sconosciuto e ostile, il ranger spaziale Buzz Lightyear cerca un modo di riportare la sua gente sul pianeta natale, ma invano. La situazione precipita quando la colonia viene aggredita da un orda di robot capitanati dal misterioso Zurg...


Lightyear, come chiarito dal testo in sovrimpressione che si può leggere all'inizio, è il film da cui sono stati tratti i personaggi tanto amati da Andy nel primo Toy Story, quindi il "gioco" che ha dato il la all'operazione è l'idea che lo spettatore si mettesse nei panni del piccolo Andy e vedesse coi suoi occhi, finalmente, cosa lo avesse entusiasmato tanto da mettere da parte il suo cowboy Woody per il moderno ranger spaziale Buzz Lightyear. Ho cercato un po' di notizie in rete e l'età di Andy nel primo Toy Story non è proprio chiarissima. Chi dice sette anni, chi dice dieci, comunque si parla di un bambino delle elementari, massimo delle medie, e onestamente, ricordando cosa piaceva a me da piccola, mi risulta un po' difficile credere che a quell'età ci si possa entusiasmare tanto per un film del genere. Visto con gli occhi di un bambino degli anni '90, Lightyear risulta interessante per l'ambientazione spaziale, l'abbondanza di robot e navicelle, per il piglio combattivo del protagonista e la presenza di comprimari abbastanza simpatici e, soprattutto, "inesperti", perfetti perché un ragazzino ci si possa identificare e sognare di essere al loro posto accanto al suo eroe; d'altra parte, ho trovato il protagonista anche troppo antipatico e supponente per essere apprezzabile da un bambino (mi viene in mente, uno su tutti, Han Solo oppure anche Luke Skywalker, se vogliamo rimanere in tema spaziale, molto più carismatici e umani di Buzz) e la trama è cupa da morire oltre che molto complicata, soprattutto da un certo punto in poi. Quella di Buzz è la storia di un uomo che ha fallito, che non riesce a creare dei legami perché per lui la cosa essenziale è concludere con successo una missione che, per forza di cose, lo porta ad alienarsi non solo dalle persone ma anche dalla realtà, e il suo percorso di "redenzione" verso una visione più umana ed altruista del mondo non è particolarmente vivace, quindi non riesco davvero ad immaginare come un bambino possa sentirsi totalmente coinvolto. 


Dal punto di vista di un adulto del 2022, Lightyear risulta invece un film non necessario e neppure memorabile. La storia stenta un po' ad ingranare, anche se le cose più interessanti e coinvolgenti succedono proprio nel primo atto, dopodiché il piglio umoristico dei personaggi secondari, soprattutto del gatto SOX che merita di entrare nell'Olimpo dei preferiti di chiunque, la rende leggermente più scorrevole, almeno fino al pre-finale, durante il quale ammetto che il mio livello di interesse è drasticamente calato, al punto che il mega twist con spiegone annesso mi ha lasciata abbastanza fredda. Considerato ciò, la fortuna di Lightyear è la sua relativamente breve durata, ma riuscire ad annoiarsi a tratti davanti ad un cartone animato di un'ora e mezza o poco più è qualcosa che dovrebbe fare vergognare la Pixar. Nulla da eccepire, invece, per quanto riguarda la qualità visiva, sempre eccelsa. I passi avanti fatti nel campo dell'animazione al computer (provate a non spaventarvi quando Disney +, alla fine di Lightyear, vi schiafferà in home page un fotogramma del primo Toy Story!) sono tangibili e alcune sequenze del film, molte delle quali omaggiano film di fantascienza ormai cult, sono belle da mozzare il fiato, non hanno nulla da invidiare alle grandi produzioni riservate a franchise come Star Wars (anzi, a volte le superano) e funzionano bene anche su uno schermo piccolo, quindi figuriamoci al cinema. Un peccato, dunque, che questi passi avanti dell'animazione vengano accompagnati da un passo indietro della complessiva qualità dei prodotti Pixar, che ci aveva abituati ad exploit ben più grandi e, soprattutto, ben più dotati di cuore ed anima; Lightyear risulta una specie di riempitivo, un tentativo di mungere una mucca prosciugatasi già nel 2010, un film carino ma nulla più che, probabilmente, avrà lasciato freddi anche i fan di Toy Story e che non fa venire la voglia di guardarlo e riguardarlo. Che peccato! 


Del regista e co-sceneggiatore Angus MacLane ho già parlato QUI. Chris Evans (voce originale di Buzz Lightyear), Keke Palmer (Izzy Hawthorne), Peter Sohn (SOX/Vecchio SOX), Taika Waititi (Mo Morrison), James Brolin (Zurg) e Bill Hader (Featheringhamstan) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film è uno spin-off di Toy Story - Il mondo dei giocattoli, quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate anche Toy Story 2 - Woody & Buzz alla riscossa, Toy Story 3 - La grande fuga  e Toy Story 4. ENJOY!


martedì 20 giugno 2023

The Wrath of Becky (2023)

Lo aspettavo con trepidazione e finalmente The Wrath of Becky, diretto e co-sceneggiato dai registi Matt Angel e Suzanne Coote, è arrivato!


Trama: due anni dopo la morte del padre per mano di un gruppo di Neo-Nazisti, Becky cerca di rifarsi una vita con l'amato cane Diego. L'incontro con i suprematisti Noble Men scatenerà nuovamente la sua furia...


Nell'anno domini del Covid, tra i molti film interessanti usciti "di straforo", uno di quelli a cui mi sono affezionata di più è stato Becky. Questo perché, a differenza di altri thriller horror che spingevano forte il pedale sull'angoscia già alimentata dalla reclusione pandemica, Becky era una boccata d'aria fresca in cui una ragazzina " si limitava" a macellare un quartetto di stronzi Neo-Nazisti rei di averle rotto le palle in una situazione già non felice, e voi sapete bene quanto sia rilassante la sana ultraviolenza praticata su qualunque tipo di nazi o fascio. Questo, in realtà, era solamente l'aspetto superficiale di Becky, che privava di un vero e proprio happy ending la ragazzina protagonista, dipinta come una sociopatica pericolosa in barba a tutte le sue buone ragioni e per questo destinata a una vita poco felice; questo aspetto Matt Angel e Suzanne Coote sembrano esserselo dimenticati perché il tono di The Wrath of Becky è molto più scanzonato di quello del suo predecessore e non si percepisce alcun disagio sotteso nella messa in scena delle pur giuste vendette di Becky. Vero, sono passati due anni e la ragazzina è riuscita a rimanere fuori dal sistema e ai margini della società, eppure la sua vita è quella "allegra" di un John Wick in incognito, di una piccola Rambo pronta ad affrontare qualsiasi stronzo decida di giocarle un tiro mancino, alla faccia della PTSD. La protagonista non prova né dubbi né disagio per ciò che è stata costretta a fare in passato e anche i suoi trucidissimi sogni ad occhi aperti a base di morti ammazzati vengono presentati allo spettatore come un tocco di originalità pop, niente di cui preoccuparsi, perché tanto poi a rimetterci saranno dei mostri peggiori di Becky. In questo caso, la fastidiosa nemesi dell'adorabile biondina è un altro cancro della società attuale, un gruppo di terroristi misogini guidati da un ex militare, gente pronta a far saltare le istituzioni americane mentre vomita insulti contro le donne (incel, anyone?) in un mix spaventoso di ignoranza, fanatismo, autoindulgenza, bigottismo e ipocrisia. Fino a pochi anni fa, pensare che un gruppo di elementi simili esistesse davvero sarebbe stato più assurdo dell'esistenza della stessa Becky, purtroppo 'ste creature strisciano in mezzo a noi e meriterebbero seriamente tutte le "cure medievali" propinate loro dalla protagonista.


Dal canto suo, Lulu Wilson ormai è calatissima nel ruolo. Dimenticate l'aspetto fanciullesco della Becky di due anni fa, ancora "trasportata" dagli eventi e legata al ricordo della mamma (molto bella la scena del berrettino che la ragazza indossava nel primo film, messo temporaneamente nel cassetto) perché qui subentrano il coming of age e la consapevolezza della protagonista delle proprie identità e capacità, con conseguente trasformazione dell'adorabile attrice in una giovane donna che proprio non conviene sottovalutare né, men che meno, chiamare "dolcezza". La Wilson abbraccia in toto ogni aspetto del carattere di Becky, folle sete di sangue compresa, ed è uno spasso vederla interagire col resto del validissimo, inaspettato cast. Come già accadeva infatti con Kevin James, anche l'ex Stiffler di American Pie, Seann William Scott, è bravissimo nell'inedito ruolo di ex-Marine stronzo fino al midollo e abituato a minacciare gli altri con la sua sola presenza, ma ci sono un paio di guest appearence che rischiano di fare strillare di gioia i fan dell'horror e che non vi spoilero qui (attenti solo al solito elenco di attori a fine post se non volete rovinarvi la sorpresa). Come ho scritto sopra, Matt Angel e Suzanne Coote hanno scelto di dare a The Wrath of Becky un taglio più pop ed esagerato rispetto al precedente film (cosa che si evince fin dai bellissimi titoli di testa, in perfetto stile fumettoso), col risultato di una violenza ancora più sopra le righe e picchi di splatter davvero notevoli, intervallati da sfondamenti della terza parete, flashback e persino what if...? che concorrono a rendere ancora più movimentato il ritmo della pellicola, perfetta da "bersi" tutta d'un sorso in queste calde serate estive. La conclusione, inoltre, mi fa ben sperare per il ritorno di Becky in un terzo capitolo della serie anche se, per il momento, non ci sono news certe all'orizzonte. Per quanto mi riguarda, aspetto fiduciosa, non vedo l'ora!


Dei registi e co-sceneggiatori Matt Angel (che interpreta anche Sean) e Suzanne Coote ho già parlato QUI. Lulu Wilson (Becky), Seann William Scott (Darryl) e Kate Siegel (Agente Kate Montana) li trovate invece ai rispettivi link.


Jill Larson, che interpreta Darryl Sr., è stata l'iconica Deborah Logan di The Taking mentre Courtney Gains, che interpreta il viscido Twig, è lo storico Malachia di Grano Rosso Sangue. Ovviamente, se The Wrath of Becky vi fosse piaciuto recuperate il primo capitolo della saga, Becky (lo trovate facilmente su Prime Video) e incrociate le dita perché il terzo si faccia! ENJOY!


venerdì 16 giugno 2023

Weird: The Al Yankovic Story (2022)

Pur non sapendo nulla dell'oggetto della biografia, ho deciso comunque di guardare Weird: The Al Yankovic Story, diretto e co-sceneggiato dal regista Eric Appel.


Trama: il piccolo Alfred Yankovic cresce per diventare il famosissimo compositore di parodie Weird Al, nonostante il disprezzo del padre. Ma la strada del successo, anche per un artista affermato, è zeppa di insidie...


Ciò che mi ha spinta, senza possibilità di ripensamento, a recuperare Weird: The Al Yankovic Story, sono state le foto di scena che mostravano un Daniel Radcliffe impegnato nell'ennesimo ruolo assurdo, con tanto di baffo, ricci e camicia hawaiiana di ordinanza. Di Al Yankovic, infatti, sapevo praticamente quelle due cose che compongono il trafiletto iniziale di Wikipedia, e non erano sicuramente abbastanza da destare il mio interesse, ché sapete come la comicità americana non sia proprio la mia passione (salvo eccezioni meritevoli), eppure il film di Appel è diventato comunque uno dei miei preferiti dello scorso anno. Seguendo il fil rouge della carriera di Al Yankovic, anche il suo biopic è un'esilarante parodia di ogni biografia mai dedicata a dei musicisti rock, in perfetto contrasto con la vita reale di Yankovic, la quale, per quanto straordinaria, pare non sia stata costellata di eccessi legati a donne, droga, alcool o crimine. Ecco dunque che il film comincia con il disappunto dei genitori verso le passioni del piccolo Al (anche se i genitori di quello vero lo hanno incoraggiato fin dall'inizio), la parabola ascendente di questo genere di storie viene estremizzata a livelli inauditi finché il "divino" Al non inciampa nientemeno che in Madonna, malvagia artefice della sua ovvia parabola discendente con autodistruzione annessa, e a un certo punto la trama sbraga, raggiungendo apici di assurdità demenziali che mi hanno lasciata stesa sul divano, incredula e col mal di pancia dal ridere. A differenza di ciò che mi succede solitamente, alla fine di Weird: The Al Yankovic Story non ho avuto bisogno di documentarmi su internet riguardo alla vita del protagonista, perché questa "fantasia" è tutto ciò che mi serve sapere, nella misura in cui rispetta alla perfezione l'allegra follia, infantile quanto volete ma deliziosamente giocosa, del vero Weird Al.


Il punto di forza di Weird: The Al Yankovic Story è dunque il modo in cui la prevedibilità del soggetto si contrappone all'imprevedibilità dell'esecuzione dei vari cliché, con rimandi mai troppo smaccati, e comunque assai originali, ad eventi reali (accorsi però ad altri, vedi per esempio Jim Morrison), biografie musicali, film di formazione e persino pellicole d'azione e horror, alternati alle canzoni che hanno reso Yankovic una stella in patria, tra le quali ho preferito My Bologna e Another One Rides the Bus, probabilmente per il modo geniale con cui sono state introdotte nel film, e Like a Surgeon, commovente parodia del punto più trash raggiunto dal Blonde Ambition Tour di Madonna (sì, questo punto è un po' anacronistico ma, ehi, Weird Al magari aveva predetto il futuro, che ne sapete!). Altro aspetto che ho adorato di Weird: The Al Yankovic Story è la presenza di tantissimi attori che si sono prestati a comparire come guest star, degno accompagnamento alla performance di un Daniel Radcliffe che, patato, cerca in ogni modo di cancellare dalla mente dello spettatore il ricordo di Harry Potter, riuscendoci senza troppi problemi. E' una vera fortuna che il buon Radcliffe sia rinsavito, dopo aver tentato la carta degli horror/fantasy per ragazzine sospiranti che ancora non ne avevano abbastanza del maghetto e vedevano in lui un eroe romanticamente depresso alla Edward Cullen, e abbia deciso di buttarsi nei film e nei personaggi assurdi, perché il suo Weird Al, con gli occhi stralunati da bambino e il fisico scolpito, è una bestia ancora più strana dell'originale ed è l'ennesimo elemento inaspettato capace di far ricordare per lungo tempo quella che rischiava di essere una banale biografia. Purtroppo, nonostante l'appello finale all'Academy, dubito che Weird: The Al Yankovic Story finirà mai nel novero dei biopic degni di essere candidati, quando invece Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di film simili per rinfrescare un genere che nel giro di un paio di mesi mi uscirà letteralmente dalle orecchie!
 

Di Daniel Radcliffe (Weird Al), Lin-Manuel Miranda (Dottore), Rainn Wilson (Dr. Demento), Julianne Nicholson (Mary), Spencer Treat Clark (Steve), Patton Oswalt (Heckler), Jack Black (Wolfman Jack), David Dastmalchian (John Deacon), Evan Rachel Wood (Madonna) e Seth Green (Radio DJ) ho già parlato ai rispettivi link. 

Eric Appel è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto episodi di serie come The Office, The Michael J. Fox Show e Son of Zorn. Anche produttore e attore, ha 42 anni. 


Toby Huss interpreta Nick. Americano, ha partecipato a film come Ritorno dal nulla, Giù le mani dal mio periscopio, Jerry Maguire, Indiavolato, Cowboys & Aliens, Bad Milo!, The Invitation, Ghostbusters, Halloween, The Rental, Blonde e serie quali Hercules, The Office, 30 Rock, Criminal Minds, CSI - Scena del crimine, Feud e Outcast; come doppiatore ha lavorato in R.I.P.D. - Poliziotti dall'aldilà, Beavis & Butt-Head alla conquista dell'America, Capitol Critters, King of the Hill, Adventure Time, The Cleveland Show e Beavis and Butt-Head. Anche sceneggiatore e produttore, ha 57 anni e due film in uscita. 


"Weird Al" Yankovic interpreta Tony Scotti. Americano, ha partecipato a film come Una pallottola spuntata, Una pallottola spuntata 2½ - L'odore della paura, Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale, Spia e lascia spiare, Halloween II e a serie quali How I Met Your Mother; come doppiatore ha lavorato in Sabrina, Johnny Bravo, I Simpson, Uncle Grandpa, Adventure Time, Robot Chicken, Teen Titans Go!, My Little Pony: L'amicizia è magica, Bojack Horseman e American Dad!. Anche produttore, cantante, compositore, sceneggiatore, regista e animatore, ha 63 anni e un film in uscita.

Conan O'Brien compare nei panni di Andy Warhol. Se Daniel Radcliffe, la prima scelta di Weird Al per il ruolo di se stesso, non fosse stato disponibile, gli autori avrebbero provato con Adam Driver. Se Weird: The Al Yankovich Story vi fosse piaciuto recuperate Ed Wood, The Anchorman e Morto Stalin se ne fa un altro. ENJOY!

mercoledì 14 giugno 2023

Malum (2023)

Siccome avevo apprezzato molto Last Shift, ho deciso di recuperare di corsa il recentissimo Malum, diretto e co-sceneggiato dal regista Anthony DiBlasi.


Trama: una poliziotta al primo giorno di lavoro chiede di fare l'ultimo turno all'interno della vecchia stazione di polizia, prima della demolizione. L'edificio però non è innocuo come sembra...


Last Shift
era un horror molto efficace in quanto, nonostante fosse stato realizzato con pochi spiccioli, sfruttava alla perfezione la presenza di un unico ambiente (una stazione di polizia prossima alla demolizione) per enfatizzare la sensazione di claustrofobia ed inquietudine provata da una poliziotta alle prime armi, costretta ad affrontare eventi sempre più inspiegabili e sanguinosi. Proprio perché la trama dava parecchie cose per scontate, gli eventi mostrati nel film avevano il sapore di un'allucinazione confusa, la crudele gratuità di qualcosa che si abbatte senza motivo su chi cerca solo di fare del bene rendeva tutto ancora più coinvolgente, inoltre il regista faceva un ottimo uso delle luci, con il bianco abbacinante di corridoi deserti a offrire una falsa sensazione di sicurezza. Dopo nove anni, chissà perché, DiBlasi e Scott Poiley hanno deciso di "reimmaginare" Last Shift, ampliandone i temi e cambiando un po' le carte in tavola, senza rinunciare a rendere omaggio al film da cui tutto è partito. E' una strana scelta, in quanto Malum non è un remake né un reboot, ma prende il canovaccio di partenza di Last Shift (la recluta inesperta che sceglie di passare la notte all'interno della stazione di polizia dove anni prima è accaduto un orribile fatto di sangue) e ci ricama sopra aggiungendo elementi che danno un background alla protagonista, di fatto eliminando la gratuità cui accennavo prima, e puntando ad uno scopo che non vi spoilererò. Gli sceneggiatori hanno anche scelto di ampliare i confini di ciò che viene mostrato sullo schermo, non solo aumentando parecchio la metratura della stazione di polizia, ma anche inserendola all'interno di un contesto urbano ben definito; ciò, da una parte, aggiunge al film delle interessanti implicazioni quasi apocalittiche, dall'altra sottrae alla stazione quell'allure di luogo fuori dal tempo e dello spazio, come fosse un Safarà o un luogo oscuro Lovecraftiano, che era un altro dei punti di forza di Last Shift.


Da un punto di vista imparziale, da semplice amante dell'horror, devo dire che mi sono goduta parecchio il film. Nonostante molte scene clou vengano mantenute e riaggiornate senza grossi mutamenti, le aggiunte e le modifiche si rifanno a una tradizione horror ben precisa che trovo sempre affascinante, anche quando si adagia su cliché vecchi come il mondo, e sangue e jump scare sono stati pompati all'ennesima potenza, il che è cosa buona e giusta (anche se, per quanto mi riguarda, continuo ad avere più paura guardando Last Shift). Budget più grande significa anche effetti speciali più elaborati. Malum ripropone i fan favourites del film precedente, in primis le creature senza volto che perseguitano Jessica poco prima del finale, ma sul finale sbulacca con incubi di sfacciataggine estrema e momenti di schifo atroce che superano i livelli dell'originale tanto che, forse, potrebbe anche non essere così peregrino parlare di reboot, nel caso ai coinvolti venisse voglia di realizzare un secondo capitolo. Ipotesi fantasiose a parte, c'è da dire che Jessica Sula fa un ottimo lavoro nei panni della protagonista e conferisce al personaggio un che di infantile che rende ancora più triste vederla soccombere agli orribili eventi del suo ultimo turno, e ha un fascino completamente diverso da quello di Juliana Harkavy, oltre a una minore "responsabilità". Il suo personaggio è infatti sostenuto da diversi elementi che lo renderebbero interessante anche se gli mancasse il carisma, là dove la Harkavy  doveva invece caricarsi l'interpretazione di una donna forte e caparbia che, a poco a poco, perde il lume della ragione diventando l'ombra di se stessa (con l'incertezza di capire se è stata la situazione di stress a farla crollare o se effettivamente l'edificio è infestato). Insomma, a ragionarci sopra Malum e Last Shift sono due film diversi anche se molto simili e, nonostante continui a non capire bene il senso dell'operazione e a preferire Last Shift, ritengo che gli appassionati di horror potrebbero avere pane per i loro denti durante la visione di Malum, quindi ve lo consiglio senza remore, sperando che la canzone del Low God non vi rimanga inchiodata in testa come sta succedendo a me!


Del regista e co-sceneggiatore Anthony DiBlasi ho già parlato QUI

Jessica Sula interpreta Jessica Loren. Inglese, ha partecipato a film come Split e a serie come Scream. Ha 29 anni. 


A tornare da Last Shift, nel ruolo della prostituta Marigold, è solo l'attrice Natalie Victoria. Ovviamente, se vi è piaciuto Malum, recuperate Last Shift. EJOY!

martedì 13 giugno 2023

Decision to Leave (2023)

Finalmente sono riuscita a recuperare un film che volevo vedere da parecchio, Decision to Leave (He-eojil gyeolsim), diretto e co-sceneggiato nel 2022 dal regista Park Chan-wook.


Trama: un detective affetto da insonnia e una donna sospettata dell'omicidio del marito si innamorano durante le indagini...


Uno non sa mai cosa aspettarsi da Park Chan-wook. Per carità, non mi ritengo un'esperta del regista, anche perché non mi sono procurata tutta la sua filmografia, ma ciò che ho visto rientra in generi e stili completamente diversi e, spesso, non può neppure essere definito da una singola categoria. Con Decision to Leave vale lo stesso. Il film è una crime story, un noir, un thriller hitchcockiano, un film d'amore e persino una commedia, tutto cucito insieme in maniera talmente raffinata che i punti di raccordo non si vedono nemmeno e, all'interno di questo mix di generi, i riflettori sono sempre puntati su Jang Hae-joon e Song Seo-rae. Il primo è un detective sposato, che vede la moglie una volta alla settimana nel corso di incontri insoddisfacenti e soffre d'insonnia, la seconda è un'immigrata cinese che incontra il detective in occasione della morte del marito, caduto dalla cima di una montagna dopo una scalata solitaria; Song Seo-rae, per vari motivi, diventa la principale sospettata di un possibile omicidio e Jang Hae-joon, indagando su di lei, comincia a rimanere affascinato dalla donna al punto da dedicarle attenzioni particolari e consacrarle ogni momento di veglia notturna. Non è tanto l'aspetto crime ad essere importante in Decision to Leave. Il mistero della morte del marito di Song Seo-rae viene svelato dopo una mezz'oretta e, per quanto le indagini di Jang Hae-joon siano interessanti, così come tutto ciò che ruota attorno al caso, ciò che davvero importa è l'attrazione che fin da subito condividono i due protagonisti. Diversi come la montagna e il mare, e come tali impossibilitati ad avere un futuro felice, detective e vedova si guardano, si cercano, si spiano, condividono piccoli momenti giocosi e altri di triste sfiducia, arrivando a sfiorarsi e capirsi meglio di chiunque altro nonostante un'altra enorme barriera a separarli, quella linguistica. Il cliché di partenza è quello della femme fatale che condanna il ligio uomo di legge a un misero destino, ma anche qui Park Chan-wook ci mette del suo e rifugge la banalità, conferendo alla sua "dark lady" una dolcezza e un'amara autoconsapevolezza che stringono il cuore quanto la disperazione di Jang Hae-joon, incapace di "guardare oltre" nonostante le abbondanti dosi di collirio che usa per vedere meglio.


A proposito di "vedere", Decision to Leave è un capolavoro. Per quanto, a livello di trama, abbia preferito altri film del regista, l'ultimo lavoro di Park Chan-wook non ha una sola immagine o sequenza meno che perfetta e ogni fotogramma viene ulteriormente arricchito da una fotografia meravigliosa che conferisce chiarezza e profondità ad ogni ambiente mostrato, rende vividi i colori degli abiti e trasforma mare e montagna in luoghi incantati e poetici, allo stesso tempo superiori alle misere vicende umane e profondamente legati ad esse. Incredibile è anche l'uso del montaggio, perfetto complemento di una regia ardita che ci trasporta, senza soluzione di continuità, dalle percezioni oggettive di un detective in azione alle soggettive di ipotesi che prendono vita in una dimensione passata, oppure ci consente di metterci nei panni di cadaveri e oggetti inanimati, per meglio comprendere il senso di "ultima cosa vista prima di morire". La perfezione formale di Decision to Leave è completata dalle intense performance di Park Hae-il e Tang Wei, la cui alchimia arricchisce ancora più le singole interpretazioni dei due personaggi, e da una colonna sonora interessante, a tratti malinconica e a tratti allegra, con una canzone portante (quella ascoltata più volte dalla nonnina) dal sapore Almodovariano che racchiude tutta la sensazione di una "nebbia" che non cessa di avvolgere i due innamorati. Decision to Leave non diventerà mai il mio film preferito di Park Chan-wook ma spero venga riproposto in qualche arena estiva per godermelo sul grande schermo come avrebbe meritato, e ve lo consiglio spassionatamente, perché questo è Cinema con tutti i crismi, realizzato da un Autore che ancora lo vede come alta forma d'arte ed espressività. 


Del regista Park Chan-wook ho già parlato QUI.

Park Hae-il interpreta Jang Hae-joon. Nato in Corea del Sud, ha partecipato a film come Memorie di un assassino e The Host. Ha 46 anni.



Se Decision to Leave vi fosse piaciuto recuperate La donna che visse due volte (lo trovate a noleggio su varie piattaforme) e Mademoiselle. ENJOY!

venerdì 9 giugno 2023

The Boogeyman (2023)

Siccome è miracolosamente giunto anche a Savona, potevo forse perdermi The Boogeyman, diretto dal regista Rob Savage e tratto dal racconto Il baubau di Stephen King?


Trama: dopo la morte della madre, due sorelle devono affrontare una terribile entità omicida che predilige i luoghi bui per nascondersi...


Con la visione di The Boogeyman partivo molto prevenuta. Il baubau è uno dei racconti kinghiani che preferisco, nonché uno di quelli che mi terrorizzano di più, mentre Rob Savage, dopo il bell'exploit di Host (horror girato con due lire in pandemia, sfruttando le limitazioni da lockdown), ha rischiato che andassi a prenderlo a sberle per aver realizzato quella fonte di nervoso a propulsione atomica di Dashcam (horror girato con due lire in pandemia, sfruttando una vlogger realmente esistente e assai discutibile a livello di "idee") e, di base, non aveva mai messo la cinepresa al servizio di una sceneggiatura che prevedesse un impianto visivo classico. A tal proposito, la sceneggiatura che è arrivata dalle mani di Scott Beck e Bryan Woods, autori di A Quiet Place, e Mark Heyman, che ci aveva deliziati con Il cigno nero, è il bignami di ogni horror a misura di teenager girato negli ultimi 23 anni, quindi alla faccia dell'impianto classico. Il racconto di King (lungo una decina di pagine) viene utilizzato come "causa scatenante" di tutto ciò che accade alle sorelle Sadie e Sawyer e, sul finale, diventa una strizzata d'occhio a chi lo ha letto prima di vedere il film, per il resto tutto è stato inventato di sana pianta. L'intento degli sceneggiatori è stato quello di omaggiare comunque il Re ricreando le atmosfere a lui tanto care, fatte di famiglie distrutte non solo da eventi luttuosi o avversi, ma anche dalla mancanza di comunicazione tra i membri delle stesse, e di ragazzi costretti a crescere in fretta e, spesso, in totale solitudine o quasi; il risultato è una storia prevedibile dall'inizio alla fine ma ugualmente gradevole, con due giovani protagoniste per le quali è facile empatizzare, scritte con in mente adolescenti e bambini "veri", non dei semplici cliché (altra storia sono le amiche di Sadie, che toglierebbero fiducia verso l'umanità persino a un santo, se esistessero davvero).


In tutto questo, Savage fa il suo mestiere e sfrutta ogni elemento a sua disposizione per inquietare lo spettatore, a partire dalle peculiari caratteristiche di questo baubau, il quale non solo si acquatta nel buio (quindi, virtualmente, in ogni anfratto dell'enorme casa di Sadie e Sawyer) ma sfrutta anche il dolore delle sue vittime, attirandole allo scoperto nei modi più bastardi. Il risultato è una corsa sulle montagne russe di tensione perenne, non solo quando il mostro titolare, ancora senza volto, si limita a terrorizzare i malcapitati annunciandosi come mera "presenza" più mentale che fisica, ma anche quando si manifesta in tutta la sua eccelsa bruttezza, con una CGI che, per una volta, non fa grandi disastri. Ho molto apprezzato anche l'uso delle luci, con la furbissima lampada rotolante ahimé ampiamente spoilerata nel trailer, e un paio di sequenze in cui le fonti di illuminazione più fioche ed inusuali diventano indispensabili baluardi di salvezza, per quanto precaria, mentre un montaggio intelligente contribuisce a rendere ancora più efficaci ed inaspettati i jump scare. Su tutto, però, ho apprezzato l'utilizzo (in un cast di attori comunque molto bravi, protagoniste in primis) della splendida faccia di David Dastmalchian per interpretare Lester Billings, il protagonista originale del racconto, pur epurato di tutte le caratteristiche sgradevoli; nel giro di 5 minuti la sinergia tra attore e regista crea un pregevolissimo omaggio a Il baubau, capace di lasciare lo spettatore col fiato sospeso, soprattutto per quanto riguarda chi ha avuto la fortuna di fare la conoscenza della versione cartacea. Quindi bravo Savage, che ha realizzato un gradevole horror "commerciale", perfetto per quest'estate appena cominciata!


Del regista Rob Savage ho già parlato QUI. Chris Messina (Will Harper), David Dastmalchian (Lester Billings), Marin Ireland (Rita Billings) e LisaGay Hamilton (Dr. Weller) li trovate invece ai rispettivi link.


Sophie Thatcher
, che interpreta Sadie, è nel cast di Yellowjackets (serie che piace a tutti e che io non sono ancora riuscita a recuperare), mentre la piccola Vivien Lyra Blair, che interpreta Sawyer, è la Leila bambina della serie Obi-Wan Kenobi. La medium che si vede nel video che Sadie guarda su Youtube è quella del film Host, non a caso la interpreta la stessa attrice. Immagino che lo sappiate se siete lettori di questo blog, ma The Boogeyman non ha niente a che spartire con la trilogia iniziata nel 2005 col mediocre Boogeyman - L'uomo nero; nel caso vogliate vedere altri film come quello di Savage, vi consiglio quindi di recuperare The Babadook, Antlers - Spirito insaziabile e Lights Out (li trovate tutti a noleggio su Prime altrimenti, se avete un abbonamento, il primo è sul canale Midnight Factory e il secondo su Disney +). ENJOY!

martedì 6 giugno 2023

Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (2023)

Attirata non so nemmeno io da cosa, mercoledì scorso sono andata a vedere Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (Sanctuary), diretto dal regista Zachary Wigon.


Trama: l'erede di una catena di hotel e la sua dominatrix, chiusi all'interno di una camera d'albergo, si affrontano in una lotta senza esclusione di colpi quando lui decide di licenziarla.


Non riuscivo a capacitarmi del perché su Facebook, dove tutti fanno a gara per recensire le nuovissime uscite, soprattutto thriller o horror, non si parlasse di Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (da qui in poi solo Sanctuary, per piacere. Che razza di titolo logorroico), anche perché su Letterboxd, uno dei miei "aggregatori" di riferimento, il film in questione ha una media di voti piuttosto alta. Questo, ora che mi viene in mente, è il motivo che mi ha spinta ad accettare la proposta di andarlo a vedere, ma le cose sono due: o gli utenti di Letterboxd si sono rincoglioniti o mi sono rincoglionita io.  C'è solo un motivo, infatti, per andare al cinema e vedere Sanctuary, ed è Margaret Qualley. Considerato, tuttavia, che noi ce la becchiamo doppiata, vi dico fin da ora che converrebbe aspettare l'uscita di Sanctuary in streaming, se siete fan dell'attrice. Se, come me, non bazzicate le serie televisive, il nome Margaret Qualley probabilmente non vi dirà nulla, anche perché spero abbiate dimenticato tutto dell'orribile Death Note di Netflix e magari siete stati colpiti da altro guardando C'era una volta a Hollywood e The Nice Guys, ma sappiate che la fanciulla è una delle giovani attrici più quotate attualmente (ha cinque film in uscita); in Sanctuary, la Qualley regge da sola l'intero film con un'interpretazione che trasuda carisma e fascino in ogni fotogramma, senza mai scadere nel ridicolo involontario che un personaggio come Rebecca richiama a gran voce e rimanendo sempre in elegante equilibrio sul limite sottilissimo che separa la testarda, disperata tenacia dall'isteria incomprensibile. Probabilmente la ragazza ha avuto gioco facile, considerato che il resto del film è fuffa della peggior specie, giusto un pelino meno fastidioso di Piccoli crimini coniugali. 


Senza fare troppi spoiler, nonostante il film si concluda nel modo più banale possibile, Sanctuary è lo scontro tra due personalità diversissime, ovvero un belino mollo (in ogni senso, letterale e figurato) schiacciato dall'enorme personalità di una figura paterna che gli ha lasciato in eredità una fortuna in alberghi e denaro, e la donna che detto belino mollo ha assunto come dominatrix. Non fatevi ingannare da quest'ultima parola: Sanctuary è il film sessualmente meno eccitante che vedrete quest'anno (a meno che non vi titilli l'idea di vedere gente che si masturba a comando fuori dall'inquadratura), perché Rebecca esercita il suo potere su Hal soltanto attraverso le parole. Ciò rende Sanctuary il trionfo della logorrea e dei concetti sempre uguali rigirati su loro stessi in loop, fatto di dialoghi che si possono riassumere con "tu sei una pippa e hai bisogno che io ti ricordi di esserlo" e "non sono una pippa, non ti permettere, tu non mi servi, ti credi importante perché ti pago" e il risultato è che anche i pochi elementi interessanti della sceneggiatura, in primis l'affermazione del potere femminile in una società che tende a schiacciarlo o ad etichettarlo secondo un'ottica prevalentemente maschile, si perdono in un mare di sciocchezze inutili. Lo stesso rapporto tra Rebecca e Hal, per com'è stato scritto, è profondo quanto un litigio tra scimmie e più volte i due personaggi fanno mostra di una stupidità rara, altro che "battle of wits", come si legge sui siti stranieri, mentre il giovane regista sembra più impegnato a vantarsi della sua capacità di indulgere in virtuosismi fine a se stessi e non riesce a comunicare allo spettatore neppure la minima tensione, thriller o erotica che sia. Finito il film, non ho potuto fare a meno di pensare a quale perla perversa avrebbero potuto tirare fuori i giovani Almodóvar e Polanski da un soggetto simile, e mi sono intristita. Non intristitevi anche voi, datemi retta.


Di Margaret Qualley, che interpreta Rebecca, ho già parlato QUI mentre Christopher Abbott, che interpreta Hal, lo trovate QUA.

Zachary Wigon è il regista della pellicola. Americano, ha diretto un altro lungometraggio, The Heart Machine. Anche sceneggiatore, ha 37 anni. 



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