mercoledì 29 aprile 2020

Porco Rosso (1992)

In occasione del 25 aprile ho guardato Porco Rosso (紅の豚 - Kurenai no Buta), diretto e sceneggiato nel 1992 dal regista Hayao Miyazaki.


Trama: Il pilota d'idrovolante Porco Rosso è costretto ad uscire dal suo "esilio" nel momento in cui un altro pilota, in combutta coi pirati del cielo, prima gli distrugge l'idrovolante, poi lo sfida a un duello aereo.


"Meglio porco che fascista". Alzi la mano chi non ha mai sentito questa frase o chi non l'ha mai sentita pronunciare all'interno di un piccolo spezzone di anime più volte riproposto su Facebook, modulata nella voce rude di un maiale antropomorfo mentre è seduto sulla poltrona di un cinema. Il maiale in questione è il pilota Porco Rosso, protagonista dell'omonimo anime, al secolo Marco Pagot (dai creatori di Grisù, Calimero e, ovviamente, dallo studio che ha collaborato alla creazione del meraviglioso Il fiuto di Sherlock Holmes), uomo trasformato in maiale non si sa per quale motivo e spinto, proprio per questo motivo, a tenersi fuori dalle beghe umane dopo anni passati a combattere nei cieli in guerra della penisola italiana. Porco Rosso è diventato, col tempo, un cacciatore di taglie e di questo vive, inseguito dalla polizia di regime di un Paese che in guerra continua ad esserlo e che non accetta la libertà di un asso dell'aviazione, molto più utile inquadrato all'interno di strutture militari piuttosto che animo solitario che si muove solo per soldi, senza mai uccidere. Porco Rosso la sua fetta di guerra l'ha vissuta, ha visto amici e nemici morire, persone care piangere davanti alla perdita dei loro affetti, e ha deciso scientemente di chiamarsi fuori da tutto, sia dal bene che dal male, forse per questo è diventato un maiale, chissà; quel che è certo è che all'inizio dell'anime Porco Rosso è una creatura distaccata e fredda, distante da ogni legame, e sta andando a pezzi come il suo vecchio idrovolante. Lo riporta alla realtà, come spesso accade nei film di Miyazaki, e conseguentemente alla vita (almeno si spera) la giovane Fio Piccolo, entusiasta progettista di aeroplani che con i suoi modi allegri, i suoi epici discorsi motivazionali e, perché no, anche con l'amore, riuscirà a far capire a Porco Rosso che qualcosa per cui combattere e vivere esiste ancora, all'interno di questa misteriosa vita dolceamara.


Miyazaki ha definito il suo Porco Rosso un film sciocco, non nel senso di stupido, quanto più di "progetto sbagliato": un anime apparentemente per bambini, che tuttavia non parla ai piccoli spettatori se non per il suo aspetto più superficiale. Penso per esempio ai buffi pirati del cielo, i Mammaiuto, alle spericolate evoluzioni aeree e al duello finale tra Porco e l'aviatore americano, molto declinato su toni umoristici, tutte cose che, assieme alla vivacità di Fio e alla sua giovane età, delizieranno i pargoli seduti davanti allo schermo. Eppure, Porco Rosso è molto più che un anime avventuroso su un maialino aviatore, ed è per questo che mi sento, per una volta, di andare contro al parere del sensei, troppo duro con sé stesso. Quest'anime ha in sé i semi di Casablanca e del legame malinconico tra Rick e Ilsa, la poesia di un racconto di Roald Dahl (Loro non diventeranno mai vecchi. Lo trovate nella recente raccolta Odio volare, per inciso, leggetelo e vedete un po' se non vi ricorda qualcosa), la triste realtà delle due guerre mondiali, della crisi economica, del regime e delle annessioni di parte dell'attuale Croazia all'Italia fascista, elementi adulti e complessi che si concretizzano in un finale non felice né risolutivo, raccontato dalla voce fuoricampo di uno dei protagonisti; uno di quei finali in grado di ridurmi in lacrime, grazie anche alle melodie struggenti del favoloso Joe Hisaishi (che, per inciso, ha dato il bianco anche questa volta), di farmi pensare a quanto splendidi e unici siano i film dello Studio Ghibli, anche quando il suo stesso creatore li definisce "sciocchi". Se non avete mai visto Porco Rosso, magari tenuti lontano dal titolo un po' cretino o da chissà quale associazione mentale con ideologie particolari, fatevi un favore e recuperatelo su Netflix alla faccia delle "cannarsianate" di cui è infarcito, non ve ne pentirete.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato QUI.

A margine: Maledetto Cannarsi, sempre e comunque.

Se Porco Rosso vi fosse piaciuto recuperate Si alza il vento. ENJOY!

martedì 28 aprile 2020

Emma. (2020)

Su Chili, che è diventata la piattaforma privilegiata per quei film che sarebbero dovuto uscire nelle sale e non ce l'hanno fatta, trovate Emma., diretto dalla regista Autumn de Wilde e tratto dall'omonimo romanzo di Jane Austin.


Trama: Emma Woodhouse è una ricca fanciulla di buona famiglia il cui passatempo è "creare" coppie in base alle sue spesso erronee convinzioni. Quando l'amore arriverà a bussare anche alla sua porta, la giovane si troverà impreparata...


Faccio pubblica ammenda: non ho mai letto Emma ma ho intenzione di rimediare in questi giorni (ho già acquistato l'ebook) e non ho mai guardato altri film tratti dal romanzo anche se, a ripensarci ora, Ragazze a Beverly Hills è MOLTO simile alla trama generale di Emma.. Ho deciso di fiondarmi sulla pellicola di Autumn de Wilde perché aveva un trailer spettacolare e due attrici che adoro, Anya Taylor-Joy e Mia Goth, e non sono assolutamente rimasta delusa dalla mia scelta perché Emma. è un film delizioso, nonostante la sua antipatica protagonista. La definisco antipatica ma la verità è che, a prescindere dalla "sua faccia da figa di legno" (Bolluomo dixit), è impossibile odiare Emma, coi suoi aristocratici e piccati modi di fare inglesi che stridono con le sue buone intenzioni, spesso rese contorte dal suo carattere volitivo ed orgoglioso, dalla consapevolezza erronea di essere migliore di tutti quelli che la circondano. E' impossibile odiarla perché Emma a modo suo è estremamente naif, clueless come da titolo originale di Ragazze a Beverly Hills e, per dirla alla Game of Thrones, non sa niente peggio di John Snow; inoltre è fondamentalmente di buon cuore, adora il suo ipocondriaco papà e alla fine vorrebbe il bene di Harriett nonostante l'egoistico desiderio di tenerla tutta per sé. Questo è quanto mi sento di scrivere relativamente alla trama, perché Emma. non è un film particolarmente innovativo da questo punto di vista, in quanto non rilegge la storia narrata da Jane Austen in chiave moderna o altro, magari fornendo spunti di riflessione alle ragazze moderne. Certo, Emma non ha intenzione di sposarsi e per l'epoca è molto testarda e indipendente, tuttavia, passati equivoci e momenti di malinconico scazzo, la risoluzione dell'intreccio è molto "tradizionale" e non gode di una zampata à la Gerwig come accadeva nel più particolare e profondo Piccole donne.


Detto questo, anche un po' chi se ne frega. Emma., come si evince dal punto messo alla fine del titolo, è un period drama ed è semplicemente una gioia per gli occhi di chi, come me, adora le scenografie "d'epoca" e, soprattutto, la bellezza dei costumi ravvivati da colori sgargianti; in questo caso, le mise di Emma sono tutte una più bella dell'altra, ulteriormente impreziosite da una finissima attenzione a dettagli come gioielli ed accessori, e il mio cuore ha sobbalzato più volte davanti a quello stuolo di cappottini rossi che sfilano rapidi in alcune sequenze, per non parlare della stupefacente casa/museo di Mr. Knightley, tutti elementi enfatizzati da una regia elegantissima e geometrica (a tratti debitrice dello stile di Wes Anderson, comunque molto stilosa ma mai fredda; vedere la scena del ballo "rivelatore" per credere) e una fotografia pulita e limpida. Poi, ovvio, ci sono le attrici. Anzi, prima parliamo degli attori. I giovanotti hanno tutti una bellezza poco convenzionale che aiuta a concentrarsi su quello che sono più che su quello che appaiono, e il vecchio leone Bill Nighy nei panni di Mr. Woodhouse è esilarante ma anche tenero, degnamente supportato dalla famiglia della figlia maggiore, che compare pochissimo ma strappa sonore risate (soprattutto grazie al rassegnato genero). Anya Taylor-Joy come protagonista è semplicemente perfetta. Quel viso dai tratti particolari, sempre un po' tra il malinconico e il fastidiato, calza benissimo al personaggio di Emma, per non parlare della delicatezza aristocratica che sembra accompagnare l'attrice in ogni film, e l'accoppiata tra lei e Mia Goth, altra bellezza particolarissima che qui viene resa in modo da avere un'apparenza dimessa (quando solitamente è sensuale da morire), frivola ed ingenua, è una delle cose migliori di un film che farà la felicità di quanti, come me, adorano questo genere di pellicole letterarie in costume.


Di Anya Taylor-Joy (Emma Woodhouse), Bill Nighy (Mr. Woodhouse) e Mia Goth (Harriett Smith) ho parlato ai rispettivi link.

Autumn de Wilde è la regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americana, ha 50 anni ed è anche sceneggiatrice.


Callum Turner interpreta Frank Churchill. Inglese, ha partecipato a film come Green Room, Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein e Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald. Anche regista e sceneggiatore, ha 30 anni e un film in uscita.


Di Emma esiste un altro film con lo stesso titolo e Gwyneth Paltrow nei panni della protagonista e Toni Collette in quelli di Harriett; se il film di Autumn de Wilde vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete il già citato Ragazze a Beverly Hills. ENJOY!

domenica 26 aprile 2020

Bollalmanacco On Demand: Brivido nella notte (1971)

Torna il Bollalmanacco On Demand! Oggi si parla di un film richiesto da Rosario, l'esordio di Clint Eastwood alla regia, ovvero Brivido nella notte (Play Misty for Me), da lui diretto nel 1971. Il prossimo film On Demand sarà Legami!. ENJOY!


Trama: dopo una notte passata con Evelyn, il DJ Dave è convinto di poter tornare alla sua vita normale ma la donna non è dello stesso avviso e comincia a perseguitarlo.



L'esordio alla regia di Clint Eastwood è un thriller a base di deejay donnaioli e donne che di questi uomini non ne hanno abbastanza, tanto da fare carte false per averli. Scherzi a parte, il disturbo di Evelyn è serio e non è imputabile a meri capricci, ma ovviamente parliamo di un thriller, quindi viene tutto portato all'estremo e girato in modo da far passare Dave, il protagonista, per povera vittima. La realtà, almeno vista con gli occhi consapevoli di una donna del 2020, è che Dave è uno stronzo matricolato e non è facile empatizzare con lui, uomo privo di nerbo guidato da un egoismo fuori scala, che prima accetta le avances di Evelyn poi, quando la donna dimostra di essere un po' troppo pretenziosa ed invadente, la manderebbe anche al diavolo, se non fosse che non è da uomo non favorire quando la tavola è imbandita. Nel frattempo, il buon Dave decide anche di riconquistare la donna di cui è davvero innamorato, biondina "libera" mollata perché rea di avere una casa piena di distrazioni (leggi: coinquiline che cambiano ogni due giorni) e tornata all'ovile dopo messi passati a guarire il cuore spezzato in una cittadina lontana, e quando Evelyn si mette in mezzo per rovinare il rinnovato idillio Dave sbrocca. Sbrocca nella misura in cui, a dimostrazione di quanto sia un pirla egoista, decide di non dire a nessuno di Evelyn, neppure quando cominciano a scapparci feriti gravi e morti, non si sa bene per quale motivo, forse giusto per non sputtanarsi la carriera ma, andiamo, se non fossi consapevole di essere un pirla egoista capiresti che la carriera non ti verrebbe sputtanata solo perché sei perseguitato da una matta stalker. E sì, sto scrivendo in un momento di nervoso e si vede, perché sto trattando male un film che non lo merita, in quanto opera prima giustamente piena di ingenuità ma anche di elementi positivi.


Clint Eastwood ci mette la faccia ed è divertente vedere come il regista granitico ed impegnato di oggi abbia cominciato impegnandosi per fare le cose in grande e dimostrare di avere "occhio". Il film è infatti un susseguirsi di panoramiche dei paesaggi di Carmel-by-the-Sea (di cui peraltro Clint è poi diventato sindaco), con l'elegantissima macchina di Dave che viaggia sulle strade a ridosso del mare, passando per scogliere e altri scorci bellissimi, ma non solo; c'è un'intera, lunga sequenza da romanzo Harmony in cui Dave e la bionda fidanzata amoreggiano in mezzo a boschi lussureggianti e cascatelle per poi concludere l'appuntamento davanti al tramonto più perfetto che abbiate mai visto, e anche un momento da documentario musicale, ambientato durante un festival Jazz che si stava tenendo proprio durante le riprese. A queste panoramiche "ambientali" d'effetto ci sono molte sequenze in cui Clint si appropria degli stilemi del thriller dell'epoca, con primi piani di lame che scintillano nel buio, occhi stravolti dalla follia e momenti di sanguinosa violenza, che paiono quasi stridere con la colonna sonora Jazz che percorre tutto il film, a cominciare dalla Misty del titolo originale. Tra gli attori, spicca ovviamente Jessica Walter, il cui fascino dimesso e quasi timido dell'inizio cede il posto alla follia di una scaricatrice di porto innamorata, mentre il povero Clint, ammettiamolo, sarà anche molto affascinante ma ha una fissità di sguardo che non lo rende granché adatto al ruolo di Dave. Ma come ho detto prima, sto scrivendo il post in un momento di nervoso e non vorrei che pensaste che Brivido nella notte non mi sia piaciuto, quando invece è un thriller interessante e una chicca per tutti i fan del duro e puro Eastwood, da guardare ovviamente con occhio indulgente!


Del regista Clint Eastwood, che interpreta anche Dave, ho già parlato QUI mentre Don Siegel, che compare nel ruolo di Murph il barista, lo trovate QUA.



Se Brivido nella notte vi fosse piaciuto recuperate Attrazione fatale e Misery non deve morire. ENJOY!

venerdì 24 aprile 2020

Jallikattu (2019)

Capita che scorrendo la pagina FB mi imbatta in un pezzo di Cinefatti che parla di Jallikattu, film indiano diretto nel 2019 dal regista Lijo Jose Pellissery e disponibile su Amazon Prime. E mi dico che dovrei guardare più film indiani...


Trama: alla vigilia di un banchetto di fidanzamento, il bufalo che avrebbe dovuto fungere da portata principale fugge e comincia a devastare il villaggio.


Fausto di Cinefatti è una persona raffinata e vi ha regalato la più bella recensione su Jallikattu che potrete trovare online. Io sono una persona rozza, lo sapete, e vi parlerò di questo assurdo film indiano per come riesco, innanzitutto partendo dal fatto che su Amazon Prime troverete solo i sottotitoli inglesi (e in altre lingue non occidentali ma parto dal presupposto che i più non le conoscano), quindi pensateci bene prima di guardarlo se non siete ferrati con l'idioma d'Albione; io che credevo, io che speravo Jallikattu fosse privo di dialoghi o quasi, una visione continua di bufali incazzati che devastano villaggi senza un perché, mi sono dovuta ricredere, in quanto molti degli aspetti sociali del villaggio vengono espressi proprio attraverso scambi verbali che toccano religione, politica, economia, caste, passato e presente. In breve, dopo dieci minuti il Bolluomo ne aveva già le palle piene e non posso dargli torto, poverino, se ha concluso l'ora e mezza di visione con un "ma che film maffo". Ma maffo non è, Jallikattu, io ve lo dico. Ritmato, lo definirei. Ad accumulo graduale, con un finale (anzi, un pre-finale, ché effettivamente l'ultima sequenza "di chiosa" l'avrei evitata) da slogarsi la mascella. Curioso, certo, per ciò che mostra allo spettatore occidentale ignorante, eppure anche abbastanza universale nel suo smontare la tranquillità di un villaggio apparentemente pacifico con l'iradiddio incarnata da un bufalo eletto per essere la portata principale de L'Evento sociale per eccellenza, la festa di fidanzamento del riccone del paesello, in una regione dove la natura è stata stuprata più volte dall'essere umano che ha distrutto la foresta per far spazio alle colture di tapioca, a uomini sudaticci che picchiano le donne, a gente davvero brutta il cui unico interesse è mangiare e bere, a un branco di scimmie che vogliono solo seguire il "più forte" e soprattutto salvare il proprio culo asciugamanomunito.


Ma lasciamo perdere la trama, perché è la realizzazione di Jallikattu a renderlo un film che è in qualche modo un peccato guardare su un piccolo schermo. Tra montaggio e regia c'è infatti da farsi venire la tachicardia, a cominciare dalla prima sequenza modulata sul ticchettare delle lancette di una sveglia mescolato ai respiri degli abitanti del paesello, pronti a cominciare una nuova giornata; un momento ipnotico, che cattura l'attenzione dello spettatore fin dal primo istante. Quando poi subentra il bufalo le sequenze sorprendenti (ma anche quelle da far torcere le budella persino a chi non è vegetariano o vegano, io vi avviso) si moltiplicano, sia quelle in cui l'animale spunta inaspettato a portare il caos sia quando lunghi e rapidissimi piani sequenza lo seguono tra le piantagioni e la foresta, per arrivare ai momenti più allucinanti di un film che mescola senza soluzione di continuità presente e passato e, soprattutto, che sottolinea la mostruosità dell'uomo. Personalmente, infatti, sono rimasta sconvolta più da quelle immagini in cui gli abitanti del paese sembrano diventare una legione infinita di demoni armati di torce, dalla violenza irrazionale che precede la fine del film (una delle sequenze più belle viste quest'anno e, dimmi te, l'ho dovuta trovare in una pellicola indiana che probabilmente non guarderà nessuno anche se è lì, non pubblicizzata, persa nel catalogo Prime), da quelle urla bramanti sangue, umano o animale non importa più, SE è mai importato. Concludo dicendo che la parola Jallikattu indica una sorta di festa di San Firmino, una cerimonia in cui si libera il bufalo e i giovani aitanti del paese devono riuscire a non farsi incornare ma, onestamente, non ho visto niente di cerimoniale o festoso in questo film, che posso solo consigliarvi di vedere.

Lijo Jose Pellissery è il regista della pellicola. Indiano, ha diretto film ovviamente a me sconosciuti come Angamaly Diaries e Ee. Ma. Yau.. Anche attore, produttore e sceneggiatore, ha 40 anni.


mercoledì 22 aprile 2020

The Vault - Nessuno è al sicuro (2017)

E' un film che aveva già attirato la mia attenzione con un trailer su Imdb e quando ho visto che The Vault - Nessuno è al sicuro (The Vault), diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Dan Bush, era disponibile su Prime non me lo sono fatto scappare.


Trama: una rapina in banca prende una piega inquietante quando i rapinatori decidono di forzare un vecchio caveau...


The Vault è uno di quegli esempi di come i trailer escano spesso meglio dei film. Non che sia incredibilmente brutto, ho visto molto di peggio, ma è vero che la pellicola in questione manca un po' di mordente, il che è strano vista la sua natura duplice di heist movie contaminato con l'horror. Ci sarebbe molto da fare e dire con una trama così, legata ad un caveau misterioso e strani avvenimenti che accorrono periodicamente in banca (un'informazione, tra l'altro, lasciata cadere en passant nel corso di un furbo colloquio di lavoro), col paranormale che si scatena proprio durante una rapina, invece tutto scivola nel comodo territorio del già visto. A tratti, guardando The Vault, mi è venuto in mente Deathwatch - La trincea del male, che però era molto più sporco e visionario (nonché sanguinoso) nel suo tentativo di mescolare film di guerra a horror; qui invece gli sceneggiatori e il regista non riescono a sfruttare l'atmosfera da assedio che si viene a creare e ricorrono blandamente ad una serie di jump scare non particolarmente inventivi, con giusto una o due sequenze interessanti e un twist finale diviso in due, che se da un lato risulta perfetto per chiudere il cerchio, dall'altro invece la fa un po' (tanto) fuori dal vaso.


D'altronde, quando un film ricorre al trucco scorretto di piazzare all'interno della locandina, in primo piano, l'attore più famoso del cast e quest'ultimo compare per pochi minuti in un ruolo perplimente, c'è già qualcosa in partenza che non va. Nella fattispecie, James Franco (che peraltro non amo particolarmente) è sprecato in un ruolo sommesso e defilato che non gli si confà per nulla, esempio di un altro personaggio scritto un po' coi piedi, appena abbozzato, cosa che del resto vale per tutti gli altri protagonisti. Anche Clifton Collins Jr. è sprecato, con l'aggravante di avere un ruolo totalmente inutile, e la povera Francesca Eastwood, che avevo apprezzato molto in M.F.A., fa del suo meglio per infondere profondità a una ladra ancora meno psicologicamente delineata di qualsiasi damsel in distress all'interno degli special TV di Lupin, ma non basta il suo innegabile fascino per renderla memorabile o anche solo particolare. The Vault mi dava l'idea di una pellicola frizzante, ispirata allo stile tarantiniano, impreziosita da attori validi e da una punta di horror che non guasta mai, ma con tutti questi punti di forza i realizzatori non sono riusciti ad ottenere altro che una robetta dimenticabile e persino noiosa. Su Prime c'è molto meglio, quindi non vi consiglio di sprecare il tempo con questo film.


Di James Franco (Ed Maas), Francesca Eastwood (Leah Dillon) e Clifton Collins Jr. (Detective Tom Iger) ho parlato ai rispettivi link.

Dan Bush è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, anche produttore e attore, ha diretto film come Signal e La ricostruzione di William Zero.


martedì 21 aprile 2020

House (1977)

Giorni fa è venuto a mancare il regista Nobuhiko Obayashi e siccome, vergognosamente, non avevo mai visto nemmeno uno dei suoi film, ho optato per House (ハウス-Hausu), già inserito da Lucia nella decina di horror più interessanti del 1977.


Trama: La giovane Gorgeous e le sue compagne di classe vanno a trovare la zia di lei in una casa sperduta in un paesino di campagna. Una alla volta, le poverette cominceranno a scomparire perché la casa è infestata...



Guardare House è un'esperienza tra il kitsch e il meraviglioso, che a tratti mi ha ricordato i "bei tempi" in cui andavo a cercare titoli assurdi come Lupin e la strana strategia psicocinetica o The Happiness of the Katakuris. House non sarà psicocinetico, qualunque cosa voglia dire, ma è comunque psichedelico, talvolta audace, spesso visionario da morire, in un modo che forse Sam Raimi in La casa avrebbe solo potuto sognare perché, al netto dei molti momenti ridicoli, sta di fatto che la magione della zia di Gorgeous è un girone infernale dei peggiori, dove l'imprevisto è letteralmente dietro l'angolo e dove non c'è scampo per le povere fanciulle che speravano di passare una vacanza di gioioso divertimento. Chi è cresciuto a pane e maho shojo come me non può fare a meno di applaudire davanti alle caratteristiche che definiscono ognuna delle protagoniste, più o meno importanti a seconda dell'utilità all'interno del gruppo o del grado di "figaggine" che dette caratteristiche comportano e si vede che alla sceneggiatura c'è lo zampino delle idee di una ragazzina, la figlia del regista: abbiamo infatti Gorgeous (anche se "oshare" sarebbe più "Fashion"), la bellissima e ricca "principessa" del gruppo, la mascolina Kung Fu, l'ingenua sognatrice Fantasy (Fanta), la razionale ed occhialuta Prof (Gari, da "gariben", fondamentalmente "secchiona", l'antenata di tutte le Ami Tsukino del mondo), la musicista Melody, l'ordinata e servizievole Sweet e la ciccionetta Mac, perennemente affamata. Questo gruppo di allegre sgallettate, dicevamo, va a trovare la zia di Gorgeous, signora elegantissima dotata di un gatto persiano bianco (sì, non nero. In Giappone il colore della morte è il bianco) e di un passato triste, legato a promesse non mantenute e amori infranti, il che spesso in terra Nipponica si traduce in maledizioni come se piovessero. Infatti, nell'attesa dell'insegnante Mr. Togo, di cui Fanta è innamorata benché sia molto meno virile di Kung Fu, le fanciulle si ritrovano vittime di morti inaspettate, terrori spettrali e maledizioni, attraverso i quali Obayashi da sfogo a tutta la sua fantasia.


House è spettacolare per l'inventiva mostrata dal regista (peraltro alla sua prima opera!) e per le soluzioni trovate per realizzare sequenze che avrebbero richiesto un budget ben più alto, anche quando queste ultime sembrerebbero dilettantesche o ridicole, perché è l'idea che sta alla base che deve stupire. In House abbiamo infatti pianoforti affamati di carne umana, stanze allagate di sangue, materassi violenti, scheletri semoventi, gatti malvagi, teste volanti, occhi che spuntano dalla bocca di arzille ed affascinanti vecchiette, persino visioni dell'aldilà e tutte queste cose, assieme ad altre che vi lascio scoprire, vanno meravigliosamente a braccetto con momenti davanti ai quali i nostri musicarelli potrebbero andarsi a nascondere, tanto sono colorati e realizzati con miriadi di tecniche diverse, tra le quali persino l'animazione. Quasi tutti i momenti incentrati su Gorgeous sono realizzati e fotografati nemmeno avessimo a che fare con degli sceneggiati televisivi a base di bellezza e aMMore, mentre le sequenze in cui le fanciulle si godono la vacanza hanno il sapore di antichi dorama a base di gioventù e freschezza, con quel tocco di giappalaidismo che non guasta mai, e non vorrei dimenticare quegli sprazzi di tamarreide popolati da uomini troppo brutti e conciati "alla moda" per poterci anche solo credere, a dimostrazione di come, purtroppo, gente come Mirko/Go e i Beehive siano esistiti davvero, con gli stessi colori, gli stessi accessori, le stesse, terrificanti mise. E se tutto quello che ho scritto ancora non vi invoglia a cercare e guardare House, siete davvero delle persone Male. Da par mio, ho trovato un altro adorabile cult giapponotto!

Nobuhiko Obayashi è il regista della pellicola. Giapponese, ha diretto film come I Are You, You Am Me, The Girl Who Leapt Through Time, Lonely Heart, Chizuko's Younger Sister, The Discarnates, Sada, Casting Blossoms to the Sky, Seven Weeks, Hanagatami e Labyrinth of Cinema. Anche sceneggiatore, attore e produttore, è morto pochi giorni fa, all'età di 82 anni.


domenica 19 aprile 2020

Gretel e Hansel (2020)

Gretel e Hansel (Gretel & Hansel), diretto dal regista Oz Perkins, era uno degli horror che più aspettavo quest'anno. Avrebbe dovuto uscire il 2 aprile in Italia ma, ovviamente, si è perso causa Covid e così mi sono fatta il regalo di compleanno, che cade oggi, e l'ho guardato comunque.


Trama: cacciati dalla madre, Gretel e Hansel si perdono nel bosco. Affamati, arrivano alle porte di una strana casa, all'interno della quale vive una vecchia misteriosa.


Immagino conosciate tutti la favola di Hansel e Gretel. Due gemelli vengono cacciati via dai genitori estremamente poveri e abbandonati nel bosco, dove incontrano una strega che abita in una casa fatta di marzapane e dolci. I due bimbi rischiano di finire nel forno della strega ma riescono ad ucciderla e tornano dai genitori col suo tesoro, vivendo da quel momento felici per sempre. Ci sono parecchie versioni cinematografiche di questa favola, che si presta perfettamente per venire trasposta in chiave horror, ma è la prima volta che alle atmosfere inquietanti e sovrannaturali si unisce il racconto di formazione che sposta inevitabilmente il focus dalla coppia di gemelli alla sola Gretel, non più bambina ma nemmeno donna, costretta a trascinarsi appresso il fratellino più piccolo. Ho scritto racconto di formazione, ma Gretel e Hansel è più un coming of age dalle tinte fosche, con nessuna pretesa Disneyana di instradare la protagonista verso un cammino che possa recare un messaggio positivo al pubblico, salvo forse per una presa di coscienza come individuo e come donna invece che come oggetto sessuale, servetta, figlia o guardiana del fratellino; in particolare su quest'ultimo punto la sceneggiatura di Rob Hayes sottolinea la necessità di svicolarsi dai legami percepiti come zavorre per riuscire a trovare il proprio cammino, senza ovviamente svilire l'amore o il rispetto, lasciandoli "liberi" prima che possano mutare in odio e disprezzo. Gretel, lontana dall'essere oggetto dell'appetito della Strega, diventa così un animo affine, un'allieva con la quale condividere conoscenze, potere e indipendenza, alla faccia di tutti i cavalieri dall'armatura scintillante che potrebbero salvare la povera donzella in pericolo e che qui si limitano ad offrire buoni consigli, passabili di venir seguiti o meno.


La sceneggiatura di Gretel e Hansel lo rende un film impossibile da cogliere in toto solo con una prima visione, bisognerebbe infatti riguardarlo col senno di poi per comprendere molte cose, in primis la valenza delle parole della madre e della fiaba della "Bella bambina col cappuccio rosa", magari tenendo a mente le altre favole dei Grimm (Il ginepro viene citato in una filastrocca), e magari dopo aver riguardato The VVitch di Eggers, assai simile per le inquietanti atmosfere boschive e per il modo in cui il male si insinua nel cuore di una ragazza alla quale le convenzioni cominciano a stare molto strette. Quel che è certo è che le immagini girate da Oz Perkins sono splendide (l'"occhio divino" e le macchie di colore che spezzano l'oscurità all'interno della sala da pranzo della strega mi hanno particolarmente colpita), così come meravigliosa è la fotografia in cui sono immerse: premesso che la più terrificante sequenza allucinatoria all'interno di una selva rimane ancora quella de L'orso di Annaud, Perkins mette i brividi attraverso ombre dall'aspetto umanoide che sembrerebbero manichini irreali, geometrie oscure che danno vita a edifici inquietanti, incubi ad occhi aperti che allo stesso tempo affascinano per la cura con cui sono realizzati e disgustano per le loro implicazioni. In tutto questo, la bellezza particolare di Sophia Lillis e l'interpretazione misurata di Alice Krige contribuiscono ad arricchire ulteriormente un film già molto bello di suo, che ovviamente esige dallo spettatore un minimo di attenzione in più e concede poco sia in termini di jump scare che di "azione", preferendo concentrarsi sulla crescita interiore dell'affascinante protagonista. A mio avviso, Gretel e Hansel è un altro splendido horror di cui godere in quarantena, nell'attesa che possa venire riproposto al cinema come meriterebbe.


Di Alice Krige, che interpreta la strega, ho già parlato QUI.

Oz Perkins è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come February: L'innocenza del male e Sono la bella creatura che vive in quella casa ed è anche attore e sceneggiatore. Ha 46 anni.


Sophia Lillis interpreta Gretel. Americana, la ricordo per film come It e It - Capitolo 2, inoltre ha partecipato a serie quali Sharp Objects e I Am Not Okay With This. Ha 18 anni.


Se Gretel e Hansel vi fosse piaciuto recuperate The VVitch. ENJOY!

venerdì 17 aprile 2020

Occhio per occhio (2019)

Qualcuno su Facebook ne aveva parlato molto bene, quindi approfittando di un po' di tempo in più ho recuperato Occhio per occhio (Quien a hierro mata), diretto nel 2019 dal regista Paco Plaza. So che non è un film a tema ma colgo l'occasione del post per augurare buona Pasqua a tutti!


Trama: Mario lavora in una casa di riposo dove, un giorno, viene ricoverato il boss della droga Padín, ormai anziano e molto malato. Tra i due si sviluppa un rapporto assai stretto ma non tutto è come sembra...


Quien a hierro mata è l'incipit di un proverbio spagnolo equivalente al nostro "chi di qualcosa ferisce, di qualcosa perisce", ma effettivamente anche "occhio per occhio" rende l'idea. La pellicola racconta infatti una storia di sottile e lenta vendetta, maturata nei recessi di una follia latente, legata a doppio filo al doloroso passato di Mario, infermiere all'interno di una casa di riposo. L'aspetto placido dell'uomo nasconde un animo tormentato che trova il suo sfogo nel vecchio Padín, anziano boss della droga afflitto non solo da una malattia incurabile ma anche da due figli inqualificabili, nella fattispecie uno zamarro e un cretino; in quanto boss della droga, Padín incarna la fonte di tutti i mali che hanno reso orribile il passato di Mario, il quale, per l'appunto, decide di ripagare il vecchio con la stessa stupefacente moneta. Non importa che Mario ora sia sposato e in procinto di diventare padre, perché il desiderio di venire risarcito e di vendicarsi diventa molto più forte rispetto a quello di rifarsi una vita, con tutto quello che ne consegue. Onestamente, non posso dire che Occhio per occhio non sia un film ansiogeno, soprattutto nei momenti legati alla centellinata vendetta di Mario, un lento domino che porta ad un finale devastante che merita da solo la visione dell'intero film, peccato che vi sia tutta la sottotrama "crime" dedicata ai figli di Padín, certo necessaria per raggiungere detto finale ma terrificante dal punto di vista della messinscena e del cast, tanto che ad un certo punto mi è parso di guardare una fiction Rai o Mediaset, e nemmeno una delle migliori.


Per fortuna, a nobilitare l'intera operazione c'è un signor attore come Luis Tosar. La sua è una faccia che non mi stancherei mai di guardare anche se, ora come ora, avrei paura a trovarmela davanti. Il suo Mario è un'acqua cheta da manuale, affidabile e persino piacevole come persona e professionista, ma quel lampo di follia in fondo agli occhi e il modo calmo di parlare anche davanti all'uomo da lui più odiato mettono i brividi. Se l'intero film fosse stato una sorta di torture porn con Tosar e Xan Cejudo come protagonisti,  probabilmente avrei avuto gli incubi per una settimana, invece tocca sopportare la presenza di Ismael Martínez ed Enric Auquer, figli degeneri del vecchio, oltremodo fastidiosi. Certo, potrebbe anche essere il doppiaggio italiano ad avermi indisposta, ma non me la sentivo di costringere il Bolluomo a una sessione di spagnolo in tarda serata, non dopo una giornata di lavoro. Detto questo, è indubbio che Paco Plaza con Netflix stia avendo una sorta di rinascita, e dopo l'ottimo Verónica ha sfornato un thriller piccolo e non privo di difetti, sia a livello di regia (i flashback fatti a videoclip non hanno incontrato il mio gusto) che di sceneggiatura, a tratti parecchio tirata per i capelli, ma comunque perfetto per una serata ad alto tasso di adrenalina.


Del regista Paco Plaza ho già parlato QUI mentre di Luis Tosar, che interpreta Mario, ho parlato QUA.

mercoledì 15 aprile 2020

Bolle di Ignoranza: L'albero degli zoccoli (1978)

Questo sarà il post definitivo, quello che spingerà la gente a darmi della cialtrona e i pochi lettori ancora presenti sul blog a depennarlo da qualsiasi elenco di segnalibri. Fortunatamente, un post simile rientra di diritto nella mai defunta rubrica Bolle di Ignoranza, anche se solo grazie al consiglio dell'amico Toto: giustamente, come ha detto lui, poiché mi sono addormentata per una ventina di minuti buoni, non posso scrivere una "recensione" con cognizione di causa, ma tanto chissenfrega. Siccome non ho guardato L'albero degli zoccoli, diretto e sceneggiato nel 1978 dal regista Ermanno Olmi, con cognizione di causa, non aveva senso nascondersi dietro il dito di una reale critica e tanto vale buttare tutto in supercazzola!


La mia triste storia con L'albero degli zoccoli comincia alle superiori, nella buia e deprimente "saletta multimediale", dove io e altri compagni siamo stati costretti a subire il capolavoro di Olmi su uno schermo ancora più piccolo di quello che sto usando ora per scrivere al PC. E' interessante vedere come, quando si è giovani e stupidi (avrò avuto 17 o 18 anni?), non ci si sbatte neppure a capire quello che si sta guardando o ciò che gli altri stanno dicendo; ricordavo, infatti, di non aver inteso una singola battuta di dialogo, mentre invece le parole pronunciate dai protagonisti sono tutte abbastanza comprensibili, salvo alcuni momenti in cui il dialetto la fa da padrone. Ciò non ha reso la recente visione de L'albero degli zoccoli meno pesante, ovviamente. Ci ho riflettuto e mi dispiace confermare a Sauro che la mia è proprio ignoranza, non stanchezza post-lavorativa aggravata dal passaggio televisivo. Anzi, più che ignoranza, mi duole ammettere che l'affettuosa rivisitazione storica di Olmi, i suoi dolci ricordi d'infanzia e il suo omaggio ai contadini bergamaschi non hanno penetrato la scorza del mio durissimo cuore ormai plagiato da emozioni pre-confezionate dal sapore Disneyano e, per dirla in maniera prosaica, mi sono fatta due palle cubiche. Ma prima che mi aggrediate in massa lasciatemi dire che UN solo personaggio mi ha emozionata all'interno di questa storia di infinita, tristissima eppur dignitosissima povertà, ed è il Nonno. Quel nonno meraviglioso, che racconta filastrocche ai nipotini o macabre leggende dove il Diavolo esiste ma non si permetterebbe mai di nuocere ai bimbi buoni, che insegna alla nipotina il modo migliore di piantare i pomodori, là dove il terreno "fa la pelle" per difendersi dal freddo dell'inverno bergamasco; quel carinissimo vecchino mi ha toccata nel profondo ed è la cosa più deliziosa vista all'interno del film. In realtà ci sarebbe anche il piccolo protagonista che racconta al babbo di come esistano tanti animalini nell'acqua, che noi non riusciamo a vedere, quel criaturo costretto a vagare per le fredde steppe dell'Italia del nord in zoccoletti... ma qui tocca ricollegarsi ai commenti fatti col mio compare (a distanza) di visione e al nostro barbaro cinismo di persone abiette, ormai vinte dai divieti contiani.


Ma Batistì. Caro, "simpatico" Batistì che hai mandato al diavolo Olmi per recitare nell'Albero delle zoccole pur col tuo sembiante mostruoso, ma cosa ti è venuto in mente di buttare giù una betulla intera per confezionare UNO (nemmeno due!) zoccolo di 15 cm al tuo pargoletto? O non potevi tu, povera bestia, tagliare un ramo grosso evitandoti così di far adirare il signorotto locale e di venir mandato via con la moglie e i tuoi ventordici figli al seguito? Lumato, è proprio il caso di dirlo, da vicini di casa che solo una cosa hanno saputo fare per te: pregare, menandoti una sfiga disumana. Gente, non è che a tutti va bene come alla povera vedova, la padrona della "vaca" guarita con l'acqua santa nemmeno fosse stata posseduta da Pazuzu, e ha un bel dire il prete, a quel terrificante matrimonio/funerale dove tutti sono vestiti di nero, che bisogna pregare, pregare sempre, ed essere comunque gioiosi nella povertà perché l'importante è essere col Signore. Prete, e al povero Batistì non ci pensi? Che appresso alle tue prediche ha messo incinta la moglie per l'ennesima volta ed è stato costretto ad accogliere con la morte nel cuore l'ultimogenito ("Ah. Un'altra boca da sfamar" E me n'imbelino, Batistì! Pensaci prima!). E vogliamo parlare dei poveri Stefano e Maddalena (a onor del vero, un'altra cosa che ho trovato deliziosa è il loro corteggiamento, finalmente ho capito il significato del "si parlano" al posto di "escono insieme"), costretti a un viaggio di nozze in mezzo alle nutrie, a passare la prima notte da sposati in un convento di suore rompicoglioni e ficcanaso e, alla fine, pure a prendersi in casa uno dei bimbi indesiderati da loro custoditi? E come se lo mantengono 'sto poverello, che mi pare Stefano fosse anche inoccupato? Ma più che altro: questo meraviglioso viaggio nelle radici bucoliche di Olmi, non potevamo farlo un po' più breve? Che io alla quindicesima preghiera, al dodicesimo minuto di viaggio di nozze in mezzo alle nutrie, alla quarta riunione di contadini con annesso incomprensibile aneddoto dove tutti ridono tranne chi è nato a sud di Voghera (e mi sono tenuta ampia nei confini, eh) mi sarei anche un po' rotta le balle. Anche perché, diciamolo: se L'albero degli zoccoli parla di contadini bergamaschi dove sono le bestemmie e i mazzi di carte, eh? A un certo punto un povero cristo picchia un cavallo, reo di avergli smarrito un soldo, e lì sì che sarebbero dovute volare le bestemmie, per amor di realismo, invece niente. Non ci siamo, signori miei, non ci siamo.


Disclaimer: L'albero degli zoccoli è stato insignito di una marea di premi, giudicato di interesse culturale, inserito nell'elenco dei 100 film italiani da salvare, è un'eredità importante non solo per il popolo bergamasco ma per l'Italia tutta, è amato tuttora da tantissimi spettatori in tutto il mondo, mia cugina Roberta in primis. Il mio post è solo lo sfogo sincero e autoironico di una persona che non l'ha apprezzato ma lungi da me convincervi che L'albero degli zoccoli fa schifo e merita di non venire guardato perché non è assolutamente vero. Provate, fatevi un'idea e magari ritentate di nuovo tra una ventina d'anni. L'importante è che non recuperiate L'albero delle zoccole, per carità di Batistì.

martedì 14 aprile 2020

Slaughterhouse Rulez (2018)

Su Netflix trovate un altro horror divertente con un sacco di cosette interessanti all'interno, Slaughterhouse Rulez, diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Crispian Mills.


Trama: Don viene ammesso alla Slaughterhouse, un esclusivo college inglese, proprio nel momento in cui, a causa di una scellerata attività di fracking, dal sottosuolo qualcosa comincia a strisciare nei boschi e nelle aule...


Slaughterhouse Rulez è una simpatica horror comedy, genere che come ben sapete piace tantissimo agli inglesi, che per più di metà della sua durata concede davvero poco all'orrore, salvo qualche leggenda misteriosa e un paio di indizi che rischiano di perdersi all'interno di quella che è, fondamentalmente, una critica sociale al sistema classista britannico frullata a un po' di ecologismo. Il film è ambientato in uno di quei college assurdi che paiono esistere solo nella vecchia albione, all'interno del quale gli alunni sono divisi in divinità e scarti, con ragazzi e ragazze rigorosamente separati e gli studenti di sesso maschile ulteriormente suddivisi in diverse fazioni; gli sfigati, nella fattispecie, sono gli Spartani e il protagonista di Slaughterhouse Rulez, costretto da mammà ad andare alla prestigiosa scuola in virtù del desiderio del defunto padre, si ritrova ovviamente in questa categoria, assieme ad una serie di altri personaggi più o meno interessanti tra i quali spicca Willoughby, l'unico dotato di un background un po' più elaborato. Oltre ad essere vessati dagli Dei e gestiti da un branco di insegnanti buffi e variamente incompetenti, i giovani virgulti sono anche costretti a subire gli effetti del fracking praticato da una compagnia che gestisce lo sfruttamento del gas ed è ovviamente in combutta col preside, il che ci porta alla parte prettamente horror del film, durante la quale vediamo materializzarsi leggende mostruose celate nel sottosuolo, pronte a fare scempio di studenti impegnati in "orge" latineggianti e quant'altro.


Slaughterhouse Rulez è tutto qui, un filmetto disimpegnato che a tratti è molto divertente, con una parte finale che accelera per non fermarsi più e una lunghissima introduzione fatta di momenti esilaranti ed altri un po' più mosci, soprattutto quando si concentra sul protagonista (effettivamente poco carismatico ed impegnato giusto a sbavare sulla biondina di turno, chissà perché a sua volta attratta dal tizio, con tutti gli altri studenti presenti nel college). Onestamente, ho guardato il film "solo" per la presenza degli adorati Simon Pegg e Nick Frost e non sono rimasta delusa: il primo ha un ruolo abbastanza importante ed è sempre adorabilmente sfigato anche quando si carica sulle spalle delle fisime che sarebbero state perfette per l'odioso Pete di Shaun of the Dead (I've got a splitting headache!), il secondo è invece sempre adorabilmente fattone e quel suo accento incomprensibile mi ha fatto venire voglia di abbracciarlo ancora di più. Se degli attori non ve ne frega nulla e siete qui solo per l'horror, sappiate che la parte finale del film è una simpatica macellata a base di schizzi di sangue, arti mozzati e gente pirla che ci rimette la ghirba nei modi più splatter possibili ed il design delle mordaci creature non è per nulla male anche se per la maggior parte del tempo possiamo soltanto intuirne la forma completa visto che il regista preferisce concentrarsi su muso e zanne. Quindi, se la pandemia vi è venuta a noia e vi sentite un po' giù, Slaughterhouse Rulez è un'ottima panacea, magari poco conosciuta e pompata da Netflix, il che è male. Fidatevi e guardatelo!


Di Margot Robbie (Audrey), Asa Butterfield (Willoughby Blake), Michael Sheen (Il Pipistrello), Simon Pegg (Meredith Houseman) e Nick Frost (Woody Chapman) ho già parlato ai rispettivi link.

Crispian Mills è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al secondo film dopo A Fantastic Fear of Everything. Inglese, leader del gruppo Kula Shaker, ha 47 anni.


Se Slaughterhouse Rulez vi fosse piaciuto recuperate Attack the Block. ENJOY!

domenica 12 aprile 2020

Buona Pasqua!


Ho trovato questa meravigliosa immagine pasqualizia e ho deciso di usarla per fare gli auguri a quei pochi che ancora seguono il blog.
Auguroni a tutti voi, sperando di poter trovare nell'uomo periodo più felici e meno di clausura!

venerdì 10 aprile 2020

Vivarium (2019)

Qualcuno su Facebook aveva messo in guardia da Vivarium, film diretto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Lorcan Finnegan, in quanto non adatto alla situazione di clausura che stiamo vivendo. Ma qualcuno mi ha persino mandato una mail per consigliarmi di recuperarlo e come potevo esimermi ancora a lungo?


Trama: a una giovane coppia in cerca di un alloggio viene mostrata una casa nei sobborghi della città, in un quartiere nuovissimo. Purtroppo, l'abitazione da sogno diventa ben presto un incubo da cui è impossibile uscire...


Se credevate che l'angoscia di non poter uscire di casa fosse insostenibile, che ne dite di un bel film che vi ricorda, se ce ne fosse bisogno, che è la vita moderna stessa ad esserlo, talmente logorante che nemmeno il Cynar può aiutarci a superarla? Gemma e Tom sono due giovani fidanzati da poco, lei insegnante di scuola, lui giardiniere precario che non può permettersi nemmeno una macchina sua. Stanno insieme da poco, per l'appunto, ma è già abbastanza per mettere il primo punto fermo alla relazione, "altrimenti che coppia siete se non andate nemmeno a vivere assieme?". E così i due pensano già a mettere su casa, step indispensabile e prodromo di una vita regolata, magari in un quartiere tranquillo, una casetta con giardino e tutti i comfort, cameretta per bambino in primis che, anche lì, "che coppia siete se non mettete al mondo nemmeno un bambino?", e con questi buoni propositi in testa finiscono a Yonder, un quartiere appena costruito. Yonder è perfetto e già ansiogeno di suo, con quelle casette tutte uguali, verdine, il cielo fatto di nuvole regolarissime e bianche, su un cielo azzurro primavera, col sole perennemente a splendere... è tutto talmente uguale e regolare e perfetto, in effetti, che Gemma e Tom a un certo punto non riescono più ad uscire dall'intrico di stradine tutte identiche e l'unica nota stonata che rimane all'interno di Yonder è la vecchia Volkswagen di lei, ormai senza benzina, ultimo baluardo di una vita in cui ci si può permettere di ascoltare musica da sballoni come A Message to You Rudy (mai così profetica visto che Rudy dovrebbe "smettere di cazzeggiare, darsi una regolata e pensare al futuro"). Volkswagen che diventa l'unico luogo dove rifugiarsi e respirare qualcosa che non sia l'aria asettica di Yonder, quartiere meraviglioso in cui persino il cibo non sa di nulla e quello che viene comunemente propagandato come il momento più alto della vita di coppia viene imposto come un incubo senza fine.


Premesso che non vi dirò nulla di più relativamente alla trama, è davvero difficile non empatizzare con Gemma e Tom, non soffrire assieme a questi due ragazzi, costretti non solo a subire una vita imposta da altri, ma anche a vedere progressivamente sfaldarsi il sentimento d'amore che li unisce nel momento esatto in cui ai due vengono appioppati determinati "ruoli". Tom, l'uomo, si ritrova così a sfogare nel sudore e nel lavoro le frustrazioni, perdendosi in un'attività spersonalizzante da eseguire da mattina a sera senza ottenere risultati concreti (alzi la mano chi non si è mai sentito così almeno una volta nella vita) mentre Gemma, la donna, vinta dalla propria sensibilità e dal retaggio lavorativo della sua vecchia vita, si ritrova a diventare "custode" della casa, delle abitudini regolari, del dono più prezioso che possa venire concesso ad una coppia, spersonalizzandosi a sua volta e privandosi di qualsiasi scopo nell'esatto momento in cui detto "dono" raggiunge l'indipendenza. La metafora di Vivarium è un po' esagerata, ed è comprensibile se si pensa alla natura sci-fi/horror dell'opera, ma poiché lascia addosso un senso di angoscia fuori scala e una depressione che fa il paio, significa che riesce a farsi portavoce di un disagio presente e condiviso, spesso universale, e lo fa non solo attraverso gli aspetti più horror (deformità assortite, sequenze allucinate e strilli orripilanti) ma soprattutto esasperando gli elementi perfetti e "normali", un po' come già accadeva in Pleasantville, ma senza la stessa garbata ironia. Non c'è nulla di ironico, infatti, in Vivarium, e i due attori principali colpiscono al cuore per il modo in cui la sofferenza, l'esasperazione, il dolore e la paura vengono resi manifesti in ogni gesto; vi sfido a non versare una lacrima davanti al volto stravolto di Imogen Poots, che in pratica si carica sulle spalle la carica emotiva dell'intero film, e a non ripensare a quante volte vi siete guardati allo specchio e avete ritrovato nel riflesso quello stesso desiderio di urlare e piangere per il senso impotente di prigionia che minacciava di farvi esplodere. E magari parlassi solo del momento contingente di pandemia globale. Se sapete di cosa parlo, vi consiglio di guardare Vivarium, anche se a vostro rischio e pericolo.


Di Imogen Poots, che interpreta Gemma, ho già parlato QUI mentre Jesse Eisenberg, che interpreta Tom, lo trovate QUA.

Lorcan Finnegan è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Irlandese, ha diretto un altro lungometraggio, Without Name. Anche produttore, ha 40 anni.


Jonathan Aris interpreta Martin. Inglese, ha partecipato a film come The Jackal, Killer in viaggio, La fine del mondo, Sopravvissuto - The Martian, Rogue One: A Star Wars Story, Morto Stalin se ne fa un altro, Tutti i soldi del mondo e a serie quali Sherlock, The End of the F***ing World e Dracula. Ha 49 anni e un film in uscita.


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