martedì 29 dicembre 2009

Sherlock Holmes (2009)

L'avevo atteso per più di una ragione. Quel fico di Robert Downey Jr. in primis. Un trailer della madonna. Il ritorno di Guy Ritchie dopo il divorzio con un'altra Madonna, indice sicuro della rinascita di uno dei migliori registi dei nostri tempi. Non sono rimasta delusa affatto, soprattutto perché, ammetto l'ignoranza, non ho mai letto nulla di Arthur Conan Doyle e della sua più famosa creatura, ovvero Sherlock Holmes, quindi non ho potuto storcere il naso per l'interpretazione assolutamente trendy e fanfarona del personaggio in questione. Avviso: questa non sarà una critica obiettiva, sto ancora sbavando. Sorry.


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Trama: mentre Watson è in procinto di sposarsi, lasciando Holmes nella disperazione più nera, Lord Blackwood apparentemente risorge dopo essere stato impiccato proprio per merito dei due detective, che si ritroveranno invischiati in una storia che mescola indagini razionali a misteri esoterici, il tutto nel tentativo di impedire le tre morti annunciate dal redivivo criminale.


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Che dire, come film è davvero particolare. Innanzitutto non aspettatevi uno Sherlock Holmes noiosetto e compassato ma uno scoppiato allucinante dotato di un intelletto fuori dal comune. Guy Ritchie non ci da nemmeno un secondo di respiro nelle due ore di pellicola: fin dall'inizio, dove persino i loghi delle case di produzione sono composti dai sanpietrini che formano le strade di Londra, ci catapulta nell'azione con un Sherlock Holmes che corre, analizza al ralenti e con la razionalità di un dottore ogni mossa che compirà in seguito per stendere i nemici (e questa secondo me è l'invenzione più geniale del film) e ci introduce in una trama senza nemmeno una falla, dove ogni cosa, anche la più illogica, viene dedotta, spiegata e sviscerata attraverso particolari che solo lo spettatore più attento potrebbe cogliere. Un esempio eclatante è quello della ladra infatuata del buon dottore. Un secondo prima la vediamo camminare per Londra senza nulla tra le mani, un secondo dopo... pam! eccola con un bel mazzo di rose: le aveva anche prima o se le è procurate nel tragitto? Aspettate e vedrete; ogni cosa, anche la più banale ha una storia nascosta che prima o poi verrà rivelata, o comunque tornerà utile in seguito.


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Tecnicamente il film è ineccepibile. Bello a vedersi, senza troppi effetti speciali, scene mutuate da videoclip o virtuosismi fini a se stessi e molto molto dinamico. Le scene delle scazzottate sono esaltantissime e molto ironiche, i momenti di serio pericolo vengono resi in modo ineccepibile come nei momenti (mozzafiato per chi soffre di vertigini come me) ripresi su un London Bridge ancora in costruzione, oppure durante le esplosioni al mattatoio. I costumi e le scenografie sono leggermente modernizzati a mio avviso ma non in modo eccessivo, stupende soprattutto le mise di Holmes che riesce ad essere sciatto, trendy e vittoriano nello stesso tempo.


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Ovviamente un simile film non sarebbe altrettanto bello se non ci fossero dei degni attori. Robert Downey Jr. ci regala un Holmes affascinante, innanzitutto, pieno di tic, imperturbabile e cialtrone (che pure suona il violino e fuma la pipa, come da tradizione...). L'alchimia con il compassato e giovanile Watson interpretato da Jude Law è perfetta; i due attori riescono a compensarsi l'un con l'altro, dando via ad una serie di battute e sguardi esilaranti, come raramente si vedono, di questi tempi. Anche il cast di supporto è ottimo, a partire dall'esilarante ispettore Lestrade; l'unica pecca è Lord Blackwood, interpretato da una sorta di pesce lesso che non riesce mai ad essere né inquietante né tantomeno minaccioso o demoniaco. Visto che gli assomiglia leggermente sarebbe stato meglio metterci un Peter Stormare, che avrebbe creato indubbiamente un villain migliore.


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Il finale "aperto" e soprattutto il singolare uso che viene fatto del Professor Moriarty, nemesi storica del buon Holmes lasciano ben sperare per un seguito. Se e come verrà realizzato è un mistero, ma se cambierà anche solo uno degli attori o, peggio, il regista, temo proprio che l'operazione non riuscirà bene come in questo caso. E' un film che consiglio spassionatamente, se non si fosse capito, il modo migliore per chiudere il 2009 cinematografico.


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Di Robert Downey Jr. ho già parlato qui. La fidanzatina di Watson, Mary, è la bella Kelly Reilly, già citata nel Bollalmanacco durante la recensione di Eden Lake.


Guy Ritchie è il regista della pellicola. Enfant prodige inglese, negli ultimi anni sembrava aver appeso la cinepresa al chiodo, rassegnato ad essere solo il marito di Madonna. Per fortuna, com'è già successo con Sean Penn, la cara cantante decide poi di lasciare i mariti, che praticamente rinascono, toccando nuovi, positivi traguardi. Tra i film del nostro ricordo gli splendidi Lock & Stock e The Snatch, e l'immonda ciofeca Travolti dal destino. Ultimamente è uscito anche Rocknrolla. Ha 41 anni e un film in uscita.


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Jude Law interpreta Watson. Altro ottimo attore inglese, tra i suoi film ricordo Wilde, Gattaca, lo splendido Mezzanotte nel giardino del bene e del male, il particolare eXistenZ, Il talento di mr. Ripley, A.I. Intelligenza artificiale, Era mio padre, Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi, The Aviator e Parnassus. Ha 37 anni e un film in uscita.


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Siccome ieri sera mi sono ritrovata a desiderare Moriarty con tutta me stessa, e a ripensare al geniale Professore, doppiato con accento piemontese nella versione a cartoni animati giapponese intitolata Il fiuto di Sherlock Holmes, beccatevi uno spezzone proprio dell'anime in questione. ENJOY!!!!


domenica 20 dicembre 2009

The Room (2006)

L'esperienza insegna. In questo caso, insegna a non farsi attirare dai tre DVD horror che periodicamente escono in edicola all'irrisoria cifra di 9,90 euro. Se costano così poco ci sarà un perché. Rientra di diritto nel novero delle ciofeche da edicola un pretenzioso filmetto belga, girato nel 2006 da un certo Giles Daoust, dal titolo The Room.


La trama: all'interno di una casa, abitata da una famiglia composta da figlio affetto da sindrome di Down, figlia incinta, figlioletto stronzo, padre pazzo e madre disperata, compare un giorno, dal nulla, una porta sulla quale sono incise lettere per tutta la sua lunghezza. Mentre i membri di detta famiglia cominciano a scomparirci dentro, cominciamo a venire a conoscenza degli oscuri segreti del loro passato..


Questo film è essenzialmente una palla assurda. Non succede nulla per tutta la sua durata, visto che la stanza in questione si limita a fare entrare gente e solo una volta si riesce a vedere cosa c'è al suo interno, visione abbastanza deludente peraltro. Più che un horror è un drammone familiare con risvolti psicanalitici e disgustosi, visto che l'incestuoso colpo di scena, se così si può chiamare visto che dopo dieci minuti di film avevo già immaginato tutto sperando di essermi sbagliata, è francamente ributtante. Lì per lì all'inizio potrebbe sembrare un emulo di Shining , visto che il figlio ritardato ne guarda una versione a cartone animati e ad un certo punto si vede il padre, pazzo quanto Jack Torrance, brandire un'accetta, senza contare che la frase d'introduzione all'intera pellicola è "All Work and No Play Makes Jack a Dull Boy", ovvero la frase che il protagonista della pellicola di Kubrick scrive ossessivamente su fogli e fogli di carta. Peccato che la storia non è neppure lontanamente simile. Senza contare che il finale è di una banalità sconcertante.


L'unica cosa positiva del film è la realizzazione oggettivamente bella. A partire dalla scena iniziale, che è un'unica, lunga ed ininterrotta ripresa della casa che mostra all'interno delle diverse stanze cosa stanno facendo in contemporanea i vari personaggi, fino ad arrivare ai flashback in bianco e nero, dove l'unico colore che si può vedere è il rosso dei fiori che il ragazzo down ama regalare alla sorella. Molto bella è anche l'immagine della casa piena di quegli stessi fiori, anticipata dalla vista di una serie di macchie di sangue su fondo bianco. Tuttavia al di là di questi esercizi di stile non c'è niente altro. Gli attori sono insopportabili e quasi ridicoli; l'interprete del padre gigioneggia in modo fastidioso muovendosi a scatti come un pazzo, la madre e la sorella non mutano espressioni nemmeno a pagarle e in tutto questo l'interprete migliore è il ragazzo down, il che è tutto dire, poverino. interessante poi come quello che viene mostrato all'interno della stanza non c'entri niente con tutto il resto del film e, dato il finale, ci si chiede pure l'utilità o la coerenza di immagini simili. Per carità, la tematica del senso di colpa è trattata egregiamente, ma la cosa finisce lì. Avanti un altro film, insomma, sperando in meglio. Sebbene abbia vinto diversi premi in parecchi festival a me davvero non è piaciuto, anche se spero il ragazzino protagonista possa presto andare a C'è posta per te ed infilare Maria DeFilippi nella Room del titolo.

Giles Daoust è il regista della pellicola. Belga, ha all'attivo tre film come regista, di cui è anche produttore e sceneggiatore. Ha 30 anni.


Gli attori sono per la maggior parte esordienti, neppure troppo famosi nella loro patria natia, pertanto non ritengo vitale parlarne. E ora, invece di lasciarvi con il trailer del film, vi mostro il geniale cartone guardato dal protagonista... Shining versione conigliesca! ENJOY!

venerdì 18 dicembre 2009

Il corpo di Jennifer (2009)

La sequela di capolavori è finita, torniamo quindi a parlare di film più terra terra ma non necessariamente brutti. Anzi, il bello è quando si va al cinema convintissimi di star per buttare sei euro e alla fine si esce soddisfatti, che è ciò che è successo lunedì quando sono andata a vedere Il corpo di Jennifer (Jennifer’s Body) pellicola del 2009 diretta da Karyn Kusama. Diciamo che il film partiva penalizzato in partenza soprattutto per le critiche negative che ho letto in giro, probabilmente scritte da maschietti intristiti per la mancata visione di quello stesso “corpo” del titolo, ma come al solito è bene diffidare di quello che si legge e toccare con mano.


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La trama: Jennifer è la ragazza più bella del liceo, tutti la bramano, tutti pendono dalle sue labbra, soprattutto la sua sfigatissima migliore amica, Needy. Una sera decidono di andare a vedere un concerto e le loro esistenze cambiano per sempre; dopo un disastroso incendio, infatti, Jennifer scompare per un po’ assieme al gruppo rock e torna decisamente cambiata, indemoniata e mangiauomini nel vero senso della parola, mentre a Needy tocca l’ingrato compito di fermarla prima che metta le mani addosso anche al suo fidanzato Chip.


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Come ho detto sopra, se siete maschietti e sperate di andare a vedere un film dove questo benedetto Corpo di Jennifer venga mostrato, e bene, in ogni fotogramma, smettete pure di leggere il post. Nonostante l’assurdo divieto rivolto ai minori di 18 anni la bella Megan Fox rimane coperta per tutto il film, c’è giusto qualche stacco di coscia ogni tanto, il resto viene lasciato all’immaginazione più o meno pervertita degli spettatori adolescenti. Certo, ci sono 5 minuti di inutile bacio saffico tra le protagoniste, ma se basta questo ad ingrifare l’utenza e a scatenare divieti, siamo messi proprio male. Proprio per il fatto che a me queste “pecche” non toccano, sono riuscita a guardarmi il film e a godermelo senza troppi problemi, nonostante come horror, in effetti, non sia tra i migliori. L’aspetto gore, infatti, è limitato come le nudità di Megana.


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Come mai allora questo Corpo di Jennifer mi è piaciuto? Beh, perché fa ridere e, nonostante la banalità della trama, vista e rivista in più di un film, è molto ben scritto. E poi perché adoro le pellicole che descrivono con cattivissima ironia il mondo delle primedonne liceali americane, come Ragazze a Beverly Hills oppure Mean Girls. La possessione di Jennifer viene usata per esacerbare lo stereotipo della reginetta del liceo, perfida, (in)sicura di sé, egoista e zoccoletta. La protagonista infatti non è vittima di una possessione nella quale la sua volontà viene annullata, anzi: è ben consapevole di essere cambiata, di essere diventata una specie di dea. Ed è anche consapevolissima del fatto che questo cambiamento ha bisogno di essere mantenuto cibandosi di sangue umano, altrimenti i suoi capelli, la sua pelle, il suo corpo diventeranno imperfetti come quelli di qualsiasi altra normale adolescente (divertenti ed emblematiche in tal senso le scene in cui si vede Jennifer “sfatta”, come potrebbe esserlo una modella dopo una notte brava ovviamente, che cerca di restaurarsi con fondotinta e quant’altro). Altra cosa portata all’eccesso è il morboso rapporto tra la protagonista e la sua amica sfigata, Needy. Già il soprannome di quest’ultima dice tutto: bisognosa. Sarei pronta a scommettere che nella sceneggiatura originale è specificato come il soprannome glielo abbia dato Jennifer, giusto per ribadire la propria supremazia tra le due “super best friends” anche se alla fine l’elemento “forte” tra le due è proprio la bruttina Needy, nonostante la sua ingenuità. Infatti lo sfigato, come ci mostra il film, è necessario all’esistenza stessa del suo opposto. Al di fuori del suo mondo provinciale Jennifer è una sciacquetta di campagna, quindi le serve circondarsi di persone molto meno appariscenti, che ne sia consapevole o meno. Quello che traspare dal film è che alla fine Jennifer vuole bene a Needy solo a patto però che non oltrepassi “i confini” che lei stessa ha delimitato, invidiosa della felicità che la piccola sfigata riesce comunque ad ottenere senza sforzo eccessivo, tanto da arrivare a puntare sia il suo ragazzo Chip sia l’emo che le piace solo per dimostrare la propria supremazia. D’altro canto Needy sopporta finché la migliore amica non passa il segno, cosa che la porta a reagire con forza e a ribellarsi rinfacciandole ogni cosa (sconvolgendo così Jennifer tanto da indebolirla più che con qualsiasi ferita fisica), ma anche così i nerd rimangono sostanzialmente buoni e sinceri e la ragazza non può fare a meno di accogliere l’eredità dell’amica e a cercare vendetta per la sua vita distrutta. Esagerato, certo, ma più o meno è quello che accade quotidianamente in tutto il mondo o quasi.


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Passando all’aspetto più “tecnico” della pellicola, ho apprezzato moltissimo la scelta di cominciare a narrare gli eventi dalla fine, rendendo il film un lungo flashback raccontato da Needy che rimanda la spiegazione di quello che è successo a Jennifer solo a metà film. Una fine che in realtà non è tale, visto che la storia prosegue inaspettatamente e si conclude nei bei titoli di coda, altro tocco geniale del film assieme a quello delle figure dei ridicoli e decerebrati rocchettari di città che fanno un patto col diavolo per avere successo. E il bello è proprio come riescono a diventare famosi, cosa che da il la ad una bella critica dei media televisivi e soprattutto del pubblico boccalone e affamato di tragedie. A proposito di rock band la colonna sonora è molto azzeccata, così come la ruffianissima canzone del gruppo, che diventa il tormentone ossessivo di Needy e l’inno della città. Ovviamente, un film simile vive anche di effetti speciali, che per fortuna sono molto validi e non sfruttano troppo la computer graphic, che li renderebbe ridicoli. Inoltre, menzione speciale agli attori, che sono tutti in parte e molto bravi; seppur limitati dagli stereotipi del caso, infatti, riescono ad infondere abbastanza anima nei personaggi da renderli vivi e simpatici.


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Per finire, qualche piccola curiosità. Del film esiste anche una graphic novel scritta da Rick Spears e disegnata a quattro mani, che racconta con quattro storie alcuni retroscena del film e si può trovare anche in Italia. Se invece il titolo vi richiama qualcosa, avete ragione ma non confondetevi: Jennifer è uno dei nomi che si trova più di frequente nei titoli di film horror, in tutte le sue varianti, come la Jenifer di Dario Argento, Non violentate Jennifer (I spit on Your Grave) di Meir Zarchi e Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?, giallo all’italiana di Giuliano Carnimeo.


Karyn Kusama è la regista della pellicola. Americana, nel 2005 ha già diretto Aeon Flux, tratto dallo stilosissimo anime che davano tempo addietro su MTV. Ha 41 anni.


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Megan Fox interpreta Jennifer. Ascesa nell'Olimpo delle bellezze cinematografiche universali grazie al blockbuster Transformers e al suo seguito, l'attrice americana ha all'attivo anche partecipazioni in Bad Boys II e nel telefilm Two and a Half Men. Ha 23 anni e tre film in uscita.


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Amanda Seyfried interpreta Needy. Americana, la ricordo in film come il già citato Mean Girls e il già recensito Mamma Mia!. Per la TV ha partecipato a CSI, Dottor House, Veronica Mars e ha prestato la voce ad un episodio di American Dad. Ha 23 anni e tre film in uscita.


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Vi lascio ora con il bel trailer originale... ENJOY!


domenica 13 dicembre 2009

Genova (2008)

Perso nei meandri della distribuzione inglese, perso in quelli della distribuzione italiana, e io per due anni a chiedermi perché. Il motivo l'ho scoperto ieri sera, andando al Film Studio di savona dove, con la "modica" cifra di 16 euro (tessera ARCI più costo del biglietto del cinema), ho finalmente visto quella leggenda metropolitana che era diventato Genova, girato nel 2008 da Michael Winterbottom. Il motivo per cui mi sono tanto fissata su questo film era essenzialmente la comparsata della mia migliore amica, che durante le riprese si era ritrovata per caso a passare davanti alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova (uno dei tanti set) ed era stata coinvolta con sommo piacere. Cara Noruzza, visto che sei riuscita a vederti solo tu, solo di spalle, e solo per 1 secondo, che non è valso l'ammorbo che ha colto me e il tuo ragazzo durante la visione, la prossima volta ti chiederei di capitare "per caso" sul set di un film della Troma, piuttosto. Grazie.


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La trama è semplice e inutile. Un professore universitario e le sue due figlie decidono di trasferirsi a Genova per un anno, onde superare il trauma della morte della madre e moglie. Lì la figlia più piccola cerca di superare il senso di colpa per essere stata la causa dell'incidente mortale e continua a vedere (o crede di poterlo fare..) il fantasma della madre, mentre la figlia più grande si da al troieggio gratuito. In tutto questo il padre cerca di andare avanti nonostante il dolore.


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Premettiamo una cosa: Genova non è una ghost story, come pensavo. Non è un horror, neppure blando, è un film che parla dell'elaborazione del lutto e del senso di colpa. Con un titolo come Genova, si sarebbe portati a pensare che i personaggi sarebbero stati aiutati od ostacolati in questo dalla città in questione, ma la verità è che "la Superba" non è assolutamente indispensabile. il film si sarebbe potuto chiamare Napoli, Poggibonsi, Ellera: non sarebbe cambiato di una virgola. Il titolo più calzante sarebbe stato "Storia di una bambina idiota", visto che tutto ruota sull'assoluta scemenza della figlia minore.


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Infatti, a cominciare dal principio, la mocciosa imbrocca una cagata dopo l'altra: tappa gli occhi della mamma alla guida, che poveraccia non vede più e si va a schiantare. Costringe il padre a farsela a piedi da uno sperduto posto con un Monastero fino a Santa Margherita Ligure solo per cercarla. Alla fine riesce pure a causare un incidente stradale solo per non farsi schiacciare mentre attraversa la strada per inseguire l'immagine della madre. Ora, quello che mi chiedo è perché mai la madre, dopo essere morta in un modo così idiota, non abbia deciso di consacrare la propria non vita a rendere quella della figlia superstite un inferno sulla terra. Sarebbe stato meglio, anche perché i tre episodi da me citati, assieme alle scappatelle della figlia maggiore con cinque o sei dei più brutti ragazzi mai comparsi sul grande schermo, sono gli unici momenti "d'azione" di tutto il film, che per il resto è un lungo , banale e triste documentario su Genova.


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Prendete tutti i luoghi comuni che possiate conoscere sulla città e avrete un'idea dell'operazione portata avanti da Winterbottom. Il regista comincia bene, mostrandoci l'aereoporto, la Sopraelevata, Palazzo San Giorgio, il Porto antico, Via del Campo, Via Balbi, Via Pre, la Via Nuova, Palazzo Ducale, ecc. ecc., ma poi scade nelle banalità più atroci. Il protagonista, appena arrivato, si compra un mortaio da 40 kg per fare il pesto a mano: nanni, nemmeno mia madre lo fa così, e arrivi tu dall'Inghilterra a fare il fico? Ma per favore. Si continua poi con vecchietti rincoglioniti che parlano come il Gabibbo, tossici e maniaci ad ogni angolo di strada, topi morti nei vicoli, le più brutte prostitute che si possano immaginare (roba da far rabbrividire De André), persino muratori che fanno cadere finestre e vetri sulle teste delle persone, Madonne in ogni angolo di strada, e ovviamente l'essenziale ed immancabile preconcetto sul maschio italiano visto come uno stronzo latin lover, possibilmente volgare come uno scaricatore di porto. Il tutto è condito da pregevole musica classica, eseguita per lo più a pianoforte, e dalla più deprimente scelta di canzoni italiane che si possa immaginare: Neffa e Jovanotti. Mettere De André in un film ambientato a Genova no, eh?


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Winterbottom sceglie un taglio molto documentaristico ed amatoriale; la telecamera non sta mai ferma, le angolazioni di ripresa sono particolari, come se ogni cosa fosse filtrata dagli occhi di un turista ansioso di vedere tutto, di fare propria la città. Ma è l'unico vezzo del film, che sviluppa male il tema dell'elaborazione del lutto, facendo passare quasi in secondo piano la morte della madre, e sceglie di farla tornare alla mente, di tanto in tanto, con l'inutile presenza di questo fantasma che potrebbe anche non esistere, sebbene un paio di scene facciano pensare il contrario. In definitiva un film lento, inutile, francamente bruttino e per nulla commovente, anche a causa degli antipatici personaggi (il che è un peccato, perché gli attori sono tutti molto bravi, anche se penalizzati da un doppiaggio che non mi è piaciuto). Se cercate un bel film che parla di bambini messi di fronte alla morte di persone care, buttatevi a capofitto sullo splendido Papà ho trovato un amico. Se cercate una commovente storia di fantasmi, guardate The Orphanage o, piuttosto, Ghost. Ma evitate questo Genova, vi prego.


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Del bravo e bello Colin Firth, che interpreta il protagonista, ho già parlato qui. Attualmente, è sugli schermi italiani anche con il film Dorian Gray.


Michael Winterbottom è il regista e anche produttore della pellicola. Ammetto che questo è l'unico suo film che abbia mai visto, e gli altri che ha girato non li conosco. Ha 48 anni e quattro film in uscita.


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Hope Davis interpreta Marianna, la defunta moglie. Americana, la ricordo in film pregevoli come Mamma ho perso l'aereo, Il bacio della morte, Arlington Road - L'inganno, lo splendido Mumford, Cuori in Atlantide e A proposito di Schmidt. Ha 45 anni e due film in uscita.


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Catherine Keener interpreta l'amica italiana del papà, Barbara. Sfatta ed invecchiata com'è, ho fatto fatica a riconoscerla come la sensuale Maxine dello splendido Essere John Malkovich. Tra gli altri suoi film segnalo Out of Sight, 8MM delitto a luci rosse e Simone. Ha 50 anni e cinque film in uscita.


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Vi lascio ora con il trailer del film.... ENJOY? Ma anche no!


venerdì 11 dicembre 2009

Arancia Meccanica (1971)

Periodo questo in cui mi diletto a recensire capolavori, pare. E se per Il settimo sigillo è stato difficile, per Arancia Meccanica sarà praticamente impossibile. Perché la pellicola di Stanley Kubrick che, pur essendo stata girata nel 1971, è ancora attualissima, è il mio film preferito in assoluto assieme ad un altro splendido film dello stesso regista, Shining. Come per Il settimo sigillo, proverò, senza nessuna pretesa. Cominciamo a parlare della trama (nel caso ci fosse al mondo qualcuno che non la conoscesse), basata sul romanzo omonimo di Anthony Burgess che consiglio tanto quanto il film.


Alex è un giovane votato all’ultraviolenza, allo stupro e alla musica classica, in particolare Beethoven. Assieme ai suoi tre drughi passa le notti seviziando le sue vittime, inermi o meno, finché un giorno i suoi compagni decidono di tradirlo. Alex finisce in prigione e lì viene a conoscenza della “Cura Ludovico”, un metodo apparentemente infallibile atto ad eliminare per sempre il desiderio di violenza dalle persone. Per tornare libero, decide di offrirsi come cavia, andando incontro a conseguenze decisamente impreviste…


Come convincere la gente a vedere un film simile, a mio avviso imprescindibile, senza essere considerata una maniaca psicopatica è una sfida che sostengo dalla prima volta in cui ho avuto la fortuna di vederlo al cinema, nella riedizione di fine anni ’90. Immaginatevi una ragazza del liceo, che aveva giusto una vaga idea della trama del film, trovarsi davanti i titoli decisamente scarni che scandiscono l’inizio della pellicola, accompagnati dallo sguardo fisso, gelido, da brividi, di Malcom McDowell, e dall’inquietante e solenne musica al sintetizzatore che è poi la firma di tutto il film. Impossibile, fin dall’inizio, distogliere lo sguardo dalle immagini, ignorare quella musica che ti entra nella mente, la voce dell’”umile narratore” Alex, che racconta la sua terribile storia in prima persona. E infatti, nonostante la violenza delle immagini e la follia di una simile trama, mi sono letteralmente innamorata di ogni singolo fotogramma: perché non se ne può fare a meno, perché ogni nota della colonna sonora è perfetta, come ogni attore, ogni gesto, ogni parola, ogni abito e ogni colore, e fusi assieme creano un’opera indelebile e di fortissimo impatto, ancora oggi. Tralasciando un attimo il tipo di immagini e concetti che vengono mostrati, chiunque abbia un minimo di senso estetico dovrebbe inchinarsi davanti ad un film simile.


Passando alla trama, e a ciò che viene effettivamente mostrato, posso accettare il fatto che Arancia Meccanica non sia un film per tutti. Il compiacimento con il quale Alex e i suoi Drughi stuprano e picchiano è fastidioso e fin troppo attuale, ma è anche vero che non c’è il realismo che troviamo in film come The Strangers oppure Eden Lake, perché il tutto è portato all’esasperazione quasi grottesca, basti solo pensare alle “divise” dei Drughi, al loro linguaggio a tratti incomprensibile, alla costante musica che rende le loro bravate quasi dei “balletti”, per quanto violenti e terribili. Superando lo shock di quello che viene mostrato, però, cerchiamo di arrivare a quello che è il cuore e il dilemma del film ( e del romanzo), per nulla banale: è meglio vivere in un mondo imperfetto e pericoloso, ma popolato da uomini in grado di scegliere liberamente come agire, oppure è meglio un mondo dove la mente delle persone è condizionata a fare del “bene”, senza possibilità di scelta? L’inizio del film, una celebrazione dell’ultraviolenza e della lucida follia di Alex, ci porterebbe a propendere per la seconda ipotesi, quella del mondo perfetto e condizionato. Però il trucco del film è proprio quello di farci entrare, entro certi ovvi limiti, nella mente del protagonista, e di rendercelo quasi simpatico; tanto che dal momento in cui, come dice il prete, “cessa di essere umano” perché privo della possibilità di scelta, il film prende una piega triste e drammatica, dove lo spettatore è portato a provare pietà per il ragazzo e disgusto per i suoi aguzzini, qualunque siano i loro motivi. Alla fine quello che suggeriscono regista e scrittore è che, nonostante la depravazione di Alex, la sua è comunque una scelta libera, che quindi lo rende uomo e non bestia (non a caso lo mostrano come molto acculturato); diversamente, la società che cerca di renderlo inoffensivo prima e di sfruttarlo poi è vista come il vero mostro, un meccanismo che depersonalizza e rende l’uomo miserevole. Il finale è una sorta di happy ending, dove si può dire che il protagonista finalmente impara a sfruttare le sue pulsioni distruttive per far fessa la società e al contempo ottenere qualcosa di duraturo e tangibile.


Come ho già avuto modo di dire, il film vive di scene memorabili, messe in piedi da quel genio della cinepresa che era Kubrick, un artista più che un regista. Le mie preferite sono le assurde inquadrature del Korova Milk Bar con i manichini da cui i Drughi prendono il latte, l’attacco alla gang di Billy Boy quello, al ralenti, che vede Alex contro i suoi Drughi, la tortura della Cura Lodovico, tutte scandite da una commistione di musica classica e partiture elettroniche che rendono la colonna sonora di Arancia Meccanica unica nel suo genere. A proposito di suoni, anche i dialoghi hanno segnato un’epoca, soprattutto per il modo di parlare del protagonista e dei suoi compagni, un mix di inglese antico, russo, italiano, parole inventate e quant’altro, reso benissimo anche nel nostro doppiaggio. E ovviamente il film non esisterebbe senza l’interpretazione di un Malcom McDowell, allora ventottenne, che mise anima e corpo nel personaggio di Alex ma anche nella realizzazione stessa della pellicola: sua, dice la leggenda, l’idea di intonare Singin’in The Rain nella famosa scena dello stupro a casa dello scrittore, così come sue le lesioni alle cornee che gli ha procurato la Cura Lodovico e altre contusioni in diverse scene. A mio avviso, se esistesse un Oscar per le migliori interpretazioni di sempre, dovrebbe andare a lui. Menzione d'onore va anche agli splendidi costumi e alle scenografie, per l'epoca futuristici, e allucinanti e stilosissimi ancora ai nostri giorni. Imperdibile, semplicemente.

Stanley Kubrick è uno dei registi più famosi al mondo, se non il più famoso. Nonostante in quarant’anni di carriera abbia fatto pochi film se paragonato ad altri registi più prolifici, ognuno o quasi di essi è stata una pietra miliare, sia per la particolarità dei temi trattati, che per l’azzeccata scelta di attori e musiche, oltre che ovviamente per la messinscena spettacolare, che li ha resi universalmente conosciuti e citati. Tra i suoi film che ho avuto l’onore di vedere, cito Il bacio dell’assassino, Lolita, il geniale Il Dr. Stranamore: ovvero, come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, l’ahimé tediosissimo 2001: Odissea nello spazio, Barry Lindon, i meravigliosi Shining e Full Metal Jacket, e l’ultimo capolavoro Eyes Wide Shut. E stato nominato all’Oscar come regista per quattro volte, ma l’unica statuetta l’ha portata a casa 2001: Odissea nello spazio e solo per gli effetti speciali. E’ morto nel 1999, a 71 anni, per cause naturali.


Malcom McDowell interpreta Alex DeLarge. Attore inglese dalla faccia particolarissima e dai penetranti occhi azzurri, è uno dei miei preferiti, anche se la sua carriera ha contato anche film improponibili. Ha partecipato a Caligola, Il bacio della pantera, Star Trek: Generazioni, Tank Girl, Mr Magoo, il bellissimo Gangster N.1, Evilenko, Halloween: The Beginning, Halloween 2, e Bolt, come doppiatore. Per la TV ha lavorato in Racconti di mezzanotte, Frasier, Monk, Law and Order, Heroes ed ha doppiato episodi di Batman, Spiderman, Biker Mice da Marte (Dio, quanto lo amo!!), South Park, Robot Chicken. Ha 66 anni e nove film in uscita.


Vi lascio ora con il trailer originale, se non erro lo stesso che mi spinse ad andare al cinema a vederlo, tanto tanto tempo fa... ENJOY!!



mercoledì 25 novembre 2009

Il settimo sigillo (1957)

Visto che il mio è fondamentalmente un blog stupido e senza alcuna pretesa (i più attenti lettori vedranno che tra le mie righe non si usa quasi mai un linguaggio riservato agli addetti ai lavori, né tantomeno cerco di lanciarmi in dissertazioni filosofico – cinematografiche…) mi vergogno da matti quando arriva il momento di parlare di qualche caposaldo. Con The Addiction di Abel Ferrara avevo fatto quello che potevo, ma uno degli ultimi film che ho visto è davvero un capolavoro: Il settimo sigillo (Det sjude inseglet), diretto nel 1957 dal grande regista svedese Ingmar Bergman. Visto che è già stato detto il dicibile su questo film, vediamo di essere assai semplici e dire semplicemente perché mi è piaciuto!


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Partiamo con la trama: di ritorno dalle Crociate il cavaliere Antonius Block viene raggiunto dalla Morte. Desideroso di continuare a vivere, almeno per un po’, la sfida ad una partita a scacchi: se riuscirà a batterla, rimarrà in vita, altrimenti dovrà necessariamente seguirla. Nel tempo che gli rimane, tra una mossa e l’altra, il Cavaliere vaga per un mondo afflitto dalla peste assieme al suo cinico scudiero Jons, incontrando molti altri strani personaggi…


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Come ho promesso, la farò più breve e semplice possibile, perché il mio scopo è convincere la gente a vederlo questo film. Non tanto perché è un caposaldo. Questa è la bufala dietro alla quale si nascondono quelli che si fanno del male per vedere cose tipo La corazzata Potiemkin magnificandone le lodi quando magari avrebbero interrotto la visione alla seconda scena. Bugia bugia bugia. Il settimo sigillo, invece, è davvero bello. In primis, anche se la formula  “film in bianco e nero + film di Bergman = orchite” è assurdamente radicata nella mente dei più, la pellicola in questione è godibilissima, scorrevole e per nulla pesante. La storia è semplice ed universale, che più non si può: in un’epoca buia e dominata dalla Fede, un Cavaliere che dovrebbe combattere per essa la perde, e vuole cercare risposte prima di sprecare quel po’ di vita che gli rimane. La Morte incombe, in ogni fotogramma, incarnata da superstizione, violenza, ignoranza, peste, ognuna, a modo loro, una piaga, una malattia sociale. In mezzo a tutta questa bruttura, ci si appiglia a quel che si può per fuggire alla Morte, e se quello a cui credevamo viene meno rimane solo il vuoto, che dobbiamo riempire per non impazzire: E’ quello che fa il Cavaliere, privo di Fede, che ritrova una ragione per andare avanti prima nella paura di morire per nulla, e poi nel desiderio di combattere non per un Dio che potrebbe anche non esserci, ma per la felicità di una semplice Famiglia di attori, che vivono alla giornata, nutrendosi dell’amore reciproco, qualcosa che al Cavaliere da troppo tempo manca.


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Sembrano concetti “pesanti”, per così dire, ma sono messi in scena con molta leggerezza, creando anche siparietti divertenti. La Morte è molto seria, è vero, ma non disdegna qualche scherzo macabro. La figura del cinico scudiero è meravigliosa, ed eclissa di molto quella del Cavaliere, triste e cupo, perso nei suoi cogitabondi pensieri. La famiglia di attori è deliziosa ma non stucchevole, e le scenette tra il Capocomico, il Fabbro e la moglie di quest’ultimo sono esilaranti, decisamente non ciò che ci si aspetterebbe da un film di Bergman. Anche i dialoghi sono facilmente comprensibili e colmi di un’ironia che a volte è amara, altre è sentita, ma che comunque rimane sempre molto attuale, anche se il film è ambientato nel Medioevo. Alla bellezza del film concorrono ovviamente la bravura degli attori, su cui svettano Gunnar Bjornstrand e Bibi Andersson, e l’abilità del regista, che riesce a creare immagini macabre ed affascinanti come quella dei flagellanti che invadono la piazza, della strega bruciata sul rogo, e della Totentanz finale, che è entrata di diritto nella Storia del Cinema, quello con la C maiuscola. Guardatelo, e non ve ne pentirete. Io l’ho fatto per ben due volte e lo rifarò molte altre, spero.


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Ingmar Bergman è il regista del film, universalmente conosciuto come uno dei più bravi e profondi autori in assoluto. Grazie ad un monografico per l’esame di Storia del Cinema ho avuto l’opportunità di vedere parecchi suoi film, e anche se alcuni sono davvero degli orridi mattoni, come Come in uno specchio, Luci d’inverno, Sussurri e grida e L’uovo del serpente, altri sono splendidi e gradevolissimi, come Sorrisi di una notte d’estate, Il posto delle fragole e Fanny & Alexander. Basta provare senza pregiudizi. L’autore svedese è morto nel 2007, all’età di 89 anni e, scandalosamente, pur essendo stato nominato per ben 9 volte agli Oscar, non ne ha mai vinto uno.


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Max von Sydow interpreta il Cavaliere Antonius Block. Versatilissimo attore svedese, stretto collaboratore di Bergman, è diventato universalmente conosciuto, tanto da venire utilizzato anche in conosciutissime produzioni USA come l’Esorcista, dove interpreta padre Merrin, ed italiane. Tra i suoi film ricordo Il posto delle fragole, Il volto, La fontana della vergine, Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il deserto dei tartari, L’Esorcista II: l’eretico, Flash Gordon, Conan il barbaro, Agente 007 Mai dire mai, Dune, Risvegli, il kingiano Cose Preziose, Dredd – La legge sono io, Al di là dei sogni, l’orrendo ed argentiano Non ho sonno, Minority Report, Rush Hour: missione Parigi. Scopro ora che in originale dava anche la voce al geniale Vigo il Carpatico apparso in Ghostbusters II. Basta questo per renderlo un mito. Per la TV ha partecipato ad episodi de Il giovane Indiana Jones e alla megasaga I Tudors. Ha 80 anni e tre film in uscita.


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Gunnar Bjornstrand interpreta lo Scudiero Jons. L’attore svedese è diventato il mito mio e di Toto durante la partecipazione al suddetto monografico di Storia del Cinema, visto che compariva praticamente in ogni film di Bergman, tra cui Come in uno specchio, Luci d’inverno, Sussurri e grida, Sorrisi di una notte d’estate, Il posto delle fragole e Fanny & Alexander. E’ morto nel 1986, all’età di 77 anni.


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Ora, probabilmente Bergman si rivolterà nella tomba... ma io non posso farne a meno, AMO questi del Nido del Cuculo!! Beccatevi il doppiaggio di una scena clù! ENJOY!!




lunedì 23 novembre 2009

L'uomo che fissa le capre (2009)

Siccome l’ultimo film che sono andata a vedere al cinema è stato il meraviglioso Inglorious Basterds di Tarantino, mi sono impuntata questo weekend e mi ci sono fatta portare. Poche le alternative, ammorbate anche dall’orrido New Moon, e così siamo finiti a vedere L’uomo che fissa le capre (The Men Who Stare at Goats), commedia diretta da Grant Heslov. Che dire, al solito, di questi tempi, il trailer è meglio del film.


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La trama: il giornalista di provincia Bob Wilton, dopo essere stato mollato dalla moglie, decide di partire per l’Iraq e fare un reportage della guerra in corso. Lì incontra Lynn Cassady, un “supersoldato” americano, reduce di un programma atto a sviluppare i poteri psichici per combattere guerre alternative e pacifiche, senza spargimento di sangue. Uno Jedi, insomma. Provato dal lato oscuro della forza, e richiamato per una missione segreta che gli possa consentire di espiare l’omicidio di una… capra.


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L’uomo che fissa le capre è un film atipico. Viene presentato come una commedia demenziale, virata su toni grotteschi. E’ quello che è, in effetti, ma c’è di più. Non si può ascrivere ad un genere, vista la vena nostalgica e un po’ malinconica che lo pervade, e i troppi momenti di serietà realistica. Potrebbe essere paragonato a M.A.S.H. di Altman, ma un film come quello è inarrivabile e comunque mantiene la sua coerenza dall’inizio alla fine. Potrebbe essere paragonato ad un film dei Coen, ma anche lì manca l’impronta dei due fratellini, quel “non so che” in grado di rendere ogni loro pellicola una piccola perla, che sia un capolavoro come Fargo o un divertissement come Burn After Reading. In definitiva, mancano un po’ troppe cose, ed il film lascia il tempo che trova, scivolando come acqua sullo spettatore.


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Secondo me, la debolezza del film sta nel distacco netto tra la storia narrata al presente ed i flashback che la costellano. Il viaggio di Lynn e Bob è una sorta di percorso iniziatico per quest’ultimo, e se l’inizio, con trovate come Clooney che cerca di disintegrare le nuvole con lo sguardo, e l’insegnamento delle tecniche “jedi” al povero giornalista, è godibile e cattura l’interesse, alla lunga stanca, e si trascina in un finale decisamente abusato, con generose dosi di LSD a fare da paciere tra depressioni e uomini sconfitti ed abbruttiti dai fallimenti passati. I flashback invece sono molto divertenti, ed è esilarante vedere come si è costituito e com’è morto il gruppo delle forze speciali psichiche USA: la scena che da il titolo al film, quella in cui Clooney uccide una capra fissandola, è geniale, ma anche le lezioni di ballo o l’esperimento fallito del bieco personaggio interpretato da Kevin Spacey sono carine. Però, è questo il problema. Il film è semplicemente “carino”, piacevole, nulla più. Tra l’altro anche la satira è poco graffiante, l’unico episodio degno di nota è quello della sparatoria che viene iniziata da guerrafondai americani solo per una marmitta che scoppia; “Abbiamo risposto ai colpi di pistola sparati da sconosciuti”, titoleranno i giornali. Non molto distante dalla realtà.


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Al di là di una meravigliosa colonna sonora, veramente poco è degno di essere ricordato. Anche gli interpreti sono davvero sottotono. Clooney è abbruttito al massimo (tié, becchete questa, Canalis!) e sembra abbia fatto il film giusto per amicizia, senza divertirsi; Ewan McGregor sembra spaesato, anche se ci mette tutta la sua buona volontà e, per questo, spicca tra gli altri interpreti; due vecchi leoni come Jeff Bridges e Kevin Spacey sono decisamente sprecati, anche se i loro personaggi, un Obi Wan e un Darth Vader dell’esercito, sono sicuramente i migliori del film. Che dire, in definitiva non mi sento di non consigliarlo, perché è comunque meglio di altra fuffa che sta invadendo i nostri cinema (ogni riferimento a New Moon è puramente casuale…), e anche perché secondo me porterebbe a molte interessanti disquisizioni tra amici. Però non aspettatevi troppo.


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Di George Clooney ho già parlato qui; Ewan McGregor lo trovate qui, a fare il Camerlèngo.
 
Grant Heslov è il regista del film. L’artista americano è diventato famoso come sceneggiatore del film Good Night and Good Luck, nominato all’Oscar nel 2005 proprio per la sceneggiatura. Ha 46 anni.


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Kevin Spacey interpreta il seguace del lato oscuro della forza, Larry Hooper. Uno dei miei attori preferiti senza alcun dubbio, anche se negli ultimi tempi pare essere un po’ scomparso dalle scene, sepolto in indegni filmetti come  Superman Returns, l’attore americano ha vinto ben due Oscar: uno come migliore attore non protagonista per lo splendido I soliti sospetti, e uno come protagonista per l’altrettanto meraviglioso American Beauty. Tra le altre pellicole ricordo Affari di cuore, Una donna in carriera, Non guardarmi: non ti sento, Americani, Virus letale, Se7en, gli splendidi L.A. Confidential e Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Il negoziatore, Bugie, baci, bambole e bastardi, The Big Kahuna, il tristissimo Un sogno per il domani, The Shipping News, Austin Powers in Goldmember (come Dottor Male!!!). Come doppiatore, ha lavorato in A Bug’s Life – Megaminimondo. Ha 50 anni e due film in uscita.


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Jeff Bridges interpreta il guru Bill Django. Altro ottimo attore, nominato più volte per il premio Oscar, lo ricordo per film come  King Kong (il remake del 1976, ovviamente), I cancelli del cielo, Starman, La leggenda del re pescatore, The Vanishing – Scomparsa, Il grande Lebowski, Arlington Road – L’inganno, l’orrido Seabiscuit ed infine Iron Man. Ha 60 anni e due film in uscita.


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Una curiosità per i Lost addicted: la moglie di Ewan McGregor è interpretata dalla rossa e sfortunata Charlotte dell’ultima stagione di Lost. Ecco dove l’avevo già vista e stravista. E ora vi lascio con il trailer originale… ENJOY!!
 




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