lunedì 30 settembre 2013

Roma, città aperta (1945)

Ogni tanto anche la TV passa qualche film degno di essere visto, quindi in occasione dell'anniversario della morte di Anna Magnani giovedì scorso ho guardato per l'ennesima volta Roma, città aperta, diretto nel 1945 da Roberto Rossellini.


Trama: nella Roma ancora invasa dai tedeschi si intrecciano le vite di Pina, vedova incinta e in procinto di risposarsi, di Manfredi, ricercato dalla Gestapo per i suoi contatti con i badogliani, e di Don Pietro, mite prete deciso ad aiutare chiunque glielo chieda...


Aiuto. Recensire il primo esempio di neorealismo e un capolavoro del cinema italiano nonché uno dei film che adoro in assoluto, considerato quanto ne hanno già scritto e parlato menti ben più auliche della mia (uno su tutti: Scorsese con il suo Viaggio in Italia) sarà un dramma e un'impresa impossibile. Proviamoci partendo dall'apprezzare innanzitutto l'innegabile valore storico di Roma, città aperta. Pur facendo delle concessioni al melodramma e alla commedia, la pellicola di Rossellini è innanzitutto lo spaccato di una società ancora immersa negli orrori della guerra, di un'epoca in cui gli alleati erano sbarcati ma ancora non erano arrivati a Roma ("Ma esisteranno davvero 'sti Americani?") e si concentra essenzialmente sulle condizioni delle classi disagiate, sulle loro speranze di libertà e riscatto, su un paesaggio urbano profondamente ferito e mutato e ripreso dal vero senza l'utilizzo di ricostruzioni in studio, anche perché gli studi di Cinecittà all'epoca erano stati trasformati in rifugio per gli sfollati. A tratti, Roma, città aperta sembra quasi un documentario sul quale è stata cucita una sceneggiatura (che è stata nominata all'Oscar e vede coinvolto anche Federico Fellini) per coinvolgere il pubblico ed invogliarlo a guardarlo perché, bene o male, tocca tutti gli ambienti popolari e mostra soprattutto il modo di vivere dei proletari o disoccupati dell'epoca: famiglie che erano costrette a condividere appartamenti piccolissimi, gli assalti ai forni causati dalla fame, il lavoro subordinato alla fedeltà al regime, l'importanza della Chiesa nella vita quotidiana e nei momenti particolari come matrimoni, funerali o l'educazione dei bambini, la costante ingerenza dell'esercito tedesco e degli italiani "traditori", costretti dalla disperazione a vendersi per privilegi minimi.


Ad arricchire poi l'innegabile bellezza di questo interessante sguardo sulla Storia del nostro paese si aggiungono una storia coinvolgente e la bravura di tutti gli attori coinvolti, in particolare, ma sembra quasi superfluo dirlo, di Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Non è un caso se le sequenze che li riguardano sono passate alla storia e sono quelle che rimangono più impresse nella mente dello spettatore. Anna Magnani è la sora Pina, una donna forte che dalla vita e dalla guerra ha ricevuto già una buona parte di dolore, una donna "del popolo" nel senso migliore del termine perché è pratica, combattiva e orgogliosa; l'attrice romana, dotata non di grande bellezza ma di grande fascino e di due occhi profondi e tristi è semplicemente perfetta per il ruolo e spezza il cuore non solo nella famosa, tragica scena della sua morte ma anche durante il dialogo assieme a Francesco, il futuro marito, un dialogo dove la sora Pina ascolta le parole speranzose dell'uomo e si commuove, osando sperare in un futuro migliore per entrambi e per i loro figli. Aldo Fabrizi, invece, incarna la splendida e tragica figura di Don Pietro, all'inizio protagonista di alcune simpatiche scene debitrici di un certo tipo di commedia popolare e in seguito uno dei personaggi più profondi e complessi dell'intera pellicola; la scena che lo vede maledire i responsabili della morte di Manfredi per poi pentirsene amaramente mi ha sempre emozionata molto più della sequenza più famosa e d'impatto, quella della fucilazione al cospetto dei bambini che fischiano per manifestare la propria vicinanza allo sfortunato e coraggioso prelato. E non è questo l'unico momento genuinamente commovente di un film che strazia il cuore a più riprese, fa sorridere, riflettere e prendere coscienza di chi fossero i veri italiani, quelli con le palle, quelli generosi, quelli che combattevano, quelli che nonostante venissero schiacciati a più riprese conservavano sempre un incredibile orgoglio. In tempi deprimenti come questi, in cui la situazione economica, politica e soprattutto sociale del nostro Paese è poco superiore a quella di un paese del quarto mondo, un film come Roma, città aperta non è solo un capolavoro, ma un'incredibile lezione di vita. Da recuperare, assolutamente.

Roberto Rossellini è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come Paisà, Germania, anno zero, Stromboli, Francesco giullare di Dio e Ro.Go.Pa.G. Anche produttore e attore, è morto nel 1977 all’età di 71 anni. 


Aldo Fabrizi interpreta Don Pietro. Nato a Roma, lo ricordo per film come Francesco, giullare di Dio, Guardie e ladri, Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi, C’eravamo tanto amati e Il ginecologo della mutua. Anche sceneggiatore, regista e produttore, è morto nel 1990 all’età di 84 anni.


Anna Magnani interpreta Pina. Nata a Roma, la ricordo per film come Bellissima, La rosa tatuata (che le è valso l’Oscar come migliore attrice protagonista), Selvaggio è il vento e Mamma Roma. Anche sceneggiatrice, è morta nel 1973 all’età di 65 anni.


Una piccola curiosità prima dei soliti consigli: nonostante l'incredibile interpretazione di Nannarella, la Magnani non era stata la prima scelta di Rossellini per il personaggio di Pina, bensì la viscontiana Clara Calamai. Infine, se Roma, città aperta vi fosse piaciuto, recuperate gli altri due "pezzi" della Trilogia della guerra, ovvero Paisà e Germania, anno zero. ENJOY!!

domenica 29 settembre 2013

You're Next (2011)

Anche se la recensione è slittata a causa della divinità di The World's End, martedì sono andata a vedere l'horror sulla bocca di tutti: You're Next, diretto nel 2011 dal regista Adam Wingard.


Trama: i membri di una famiglia si riuniscono per festeggiare l'anniversario di matrimonio dei genitori ma non sanno che, nei pressi della villa, si aggirano degli psicopatici mascherati che trasformeranno la festa in una mattanza...


Col tempo ho sviluppato una passione per i cialtroni (cosa che si evince anche dalle mie scelte in fatto di uomini, tra l'altro) o, per meglio dire, per quei registi che fanno un horror peso ma anche dannatamente divertente. Il mio amore per Eli Roth ormai è risaputo, Nicholas Lopéz mi ha conquistata col suo stupidissimo Aftershock e adesso spunta anche questo Adam Wingard che, assieme al collega sceneggiatore Simon Barret, aveva attirato la mia attenzione già con l'esilarante e beffardo Q is for Quack in The ABCs of Death. You're Next è un valido rappresentante di cotanta cialtroneria che, beninteso, non coincide con una manifesta incapacità o sciatteria registica, au contraire: più Severance che The Strangers, più Hatchet che La notte del giudizio, il film di Wingard non aggiunge assolutamente nulla di nuovo al genere horror e non vuole sicuramente fare critica sociale su nulla ma è reso vivace da personaggi grotteschi e stupidi (i dialoghi dei coinvolti fanno cadere le braccia e ridere per ore!), da un paio di twist inaspettati, da una colonna sonora che, da metà pellicola in poi, assomiglia tantissimo a quella dei film fulciani e da parecchie belle sequenze ed inquadrature che dimostrano come il regista ci sappia decisamente fare dietro la macchina da presa anche se, la prossima volta che deciderà di usare i flash di una macchina fotografica come effetto speciale, andrò personalmente a tagliargli le manine.


Ovviamente, a tutti i pregi di cui sopra, si aggiunge anche una buona dose di gore. You're Next afferma fin dall'inizio la sua natura di thriller/horror dove abbondano sangue e morti violente e riesce a sviare gli spettatori per parecchio tempo spacciandosi per banale slasher a base di tette e mortiammazzati; col prosieguo della storia la pellicola si evolve in modo inaspettato ma le scene d'impatto e gli effetti splatter (tra l'altro abbastanza realistici) non diminuiscono e acquistano anzi una valenza ancora maggiore. Gli omicidi più efferati vengono infatti compiuti da un personaggio... peculiare. Che, per la cronaca, ha popolato i miei incubi martedì notte, tanto che al mattino mi sono risvegliata letteralmente distrutta per il gran correre/uccidere/nascondersi onirico. E considerato quanti film simili vedo all'anno, impressionarmi in questo modo non è sicuramente cosa facile. Dunque, nonostante sicuramente You're Next non abbia le carte in regola per diventare l'horror che cambierà la vita degli appassionati, ho di che dichiararmi ampiamente soddisfatta del lavoro del mio nuovo amichetto Adam Wingard e sorridere davanti all'ennesima, bella sorpresa di quest'anno stranamente ricco di gioiellini sanguinolenti.


Di Ti West, che interpreta Tariq, ho già parlato qui.

Adam Wingard è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come A Horrible Way to Die, V/H/S, The ABCs of Death e V/H/S 2. Anche attore, sceneggiatore, produttore e compositore, ha 30 anni e un film in uscita.


Sharni Vinson interpreta Erin. Australiana, ha partecipato a film come Shark 3D, alla soap Home & Away e alle serie CSI: NY e Cold Case. Ha 30 anni.


AJ Bowen (vero nome Alfred C. Bowen Jr.) interpreta Crispian. Americano, ha partecipato a film come Creepshow III, Signal, The House of the Devil, Hatchet II e A Horrible Way to Die. Anche produttore, ha 36 anni e un film in uscita. 


Joe Swanberg interpreta Drake. Americano, ha partecipato a film come Cabin Fever 2: Spring Fever, A Horrible Way to Die e V/H/S. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 32 anni e tre film in uscita.


Sotto la maschera della tigre troviamo lo sceneggiatore Simon Barrett, mentre mamma Aubrey è interpretata da Barbara Crampton, veterana di horror/thriller anni '80 come Omicidio a luci rosse, Re-Animator o Terrore dall'ignoto. Se, infine, You're Next vi fosse piaciuto, recuperate La notte del giudizio, The Strangers e Funny Games. ENJOY!

venerdì 27 settembre 2013

The World's End (2013)

Finalmente è arrivato il momento di vedere conclusa una delle trilogie “non ufficiali” più amate del mondo! La Blood and Cornetto Trilogy si congeda dai suoi fan con The World’s End, sempre diretto e co-sceneggiato, come i suoi fratellini, dal regista Edgar Wright. Segue recensione SENZA SPOILER, giuro.


Trama: il disadattato Gary riunisce, dopo 20 anni, lo storico gruppo di amici con i quali era quasi riuscito a fare il giro completo dei pub nel loro sonnolento paesino natale. Le cose però, dopo 20 anni, sono molto cambiate e quella che comincia come una serata normale diventa presto una corsa per la sopravvivenza…


I film che prevedono la collaborazione tra Wright, Pegg e Frost sono un po' l'antitesi del diludendo: ci può essere magari quello un pochino meno bello degli altri, ma in generale si sa che saranno delle pellicole favolose e The World's End non fa eccezione, collocandosi nella scala del Cornettometro appena sotto Shaun of the Dead e sopra Hot Fuzz. D'altronde, ormai la sinergia del trio è tale che sono loro i primi a divertirsi girando i film e, di conseguenza, lo spettatore non può fare a meno di rimanerne influenzato e apprezzare ogni gag, ogni riferimento agli altri due episodi della trilogia (ormai un marchio di fabbrica, assieme al Cornetto, il salto degli steccati), ogni battuta e ogni momento commovente, senza dimenticare di avere comunque davanti un film a sé stante. Che, in questo caso, pesca a piene mani dalla fantascienza maccartista e la mescola con quei film apocalittici che stanno andando tanto per la maggiore in questi ultimi anni, risultando però nettamente migliore nel descrivere la fine del mondo del titolo italiano. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Pegg e Wright, è infatti un cerchio perfetto dove ogni avvenimento o particolare insignificante non è messo a caso: The World's End andrebbe guardato almeno due volte solo per riuscire ad apprezzare appieno come, per esempio, tutto ciò che viene detto e fatto all'inizio prefiguri in qualche modo l'intero film, così come i nomi dei dodici pub dove il protagonista, Gary King (il Re affiancato da Cavaliere, Ciambellano, Paggio, Ministro e Principe), decide di prendersi l'epica sbronza e rinverdire i fasti di gioventù. The World's End è un film "di congedo", un'amara e malinconica riflessione sul tempo che passa impietoso, sul diventare adulti e sulle speranze infrante e, di conseguenza, un'ulteriore evoluzione dei due fancazzisti di Shaun of the Dead: lì Shaun ed Ed avevano una trentina d'anni (appena a inizio carriera?) ed erano ancora "recuperabili" mentre Gary è un triste e squallido quarantenne che ha deciso di non crescere e di rimanere ancorato all'ultimo giorno in cui si è sentito giovane, vivo ed invincibile.


Simon e Nick questa volta si scambiano quindi i ruoli e quello che un tempo era lo streppone Ed si ritrova oggi nei panni di un personaggio "antipatico" e precisino come il vecchio Pete, almeno per i primi 20 minuti. Il risultato è esilarante, Pegg con la tinta nera, i vestiti GGiovani e il viso pieno di rughe dell'adulto sfatto è divertentissimo ma allo stesso tempo triste e pietoso e tutti i comprimari che compongono il gruppo dei "cinque moschettieri" interagiscono tra loro in maniera divina. Tolti "i soliti due" (anche Nick Frost da il bianco e mi chiedo come abbia fatto a non farsi venire un infarto visto che corre di lungo!!), ho apprezzato molto la deliziosa, malinconica faccetta di un Eddie Marsan sempre più ubriaco e svampito mano a mano che il film prosegue e a tal proposito, prima di passare agli aspetti tecnici, vorrei spendere due parole sul doppiaggio. Mi rendo conto che in Italia le sale che proiettano i film in lingua originale sono mosche bianche (da me non è nemmeno arrivato doppiato...), tuttavia questo è il motivo per cui mi sarei comunque rifiutata di andare a vedere The World's End al cinema: ho conosciuto Pegg e Frost in Australia, non ho mai visto un loro film "di coppia" in italiano e questo vale soprattutto per quelli della Trilogia, quindi non riuscirei a sopportare la mancanza delle loro voci e il modo in cui si accompagnano alle loro espressioni (una su tutte: Simon Pegg spara una cazzata qualsiasi davanti alla ragazza e fa quell'incredibile smorfia da cagnetto bastonato, con la bocca piegata all'ingiù)... ma a maggior ragione in The World's End più i protagonisti si ubriacano più la loro parlata diventa biascicata, rapida, sincopata ed esilarante, per non parlare poi dei giochi di parole come "He was new! Like a baby! Like a man baby!" "Like a maybe". Quindi, ci siamo capiti, recuperatelo in lingua appena potete e preparatevi a ridere di più.


Delirio linguistico a parte, come gli altri due film della Trilogia anche The World's End è curatissimo per quel che riguarda regia ed effetti speciali. Devo ammettere che questi ultimi all'inizio mi hanno lasciata perplessa (non ricordo se nel trailer si vedevano, però il primo impatto è scioccante...) ma concorrono a dare al film un piglio più grottesco che risulta ancora più divertente a fronte di scene da combattimento veramente serie e ben fatte. Le entità contro cui devono combattere i nostri cinque moschettieri a tratti mettono davvero paura soprattutto per gli urlacci accompagnati da fasci di luce che ricordano tanto L'invasione degli ultracorpi e il finale, teso e mozzafiato, ha proprio poco da invidiare ai "veri" film di fantascienza. E detto questo, siccome ho promesso di non fare spoiler, conviene chiudere qui la recensione prima che il delirio e l'amore mi travolgano e vi racconti tutto questo spazialissimo, adorabile The World's End come avrei voglia di fare finché l'onda dell'entusiasmo, che dura ormai da due giorni e mi accompagnerà per mesi (lo riguarderei già ora!!!), è ancora lì a travolgermi. Correte in sala e ringraziate l'Inghilterra per averci dato questi tre geni e il loro assurdo modo di fare cinema!


Del regista e co-sceneggiatore della pellicola Edgar Wright ho già parlato qui. Simon Pegg (co-sceneggiatore, Gary King), Nick Frost (Andy Knightley), Martin Freeman (Oliver Chamberlain), Eddie Marsan (Peter Page), Pierce Brosnan (Guy Shephard) e Bill Nighy (in originale presta la voce al Network) ho già parlato nei rispettivi link. 

Paddy Considine interpreta Steven Prince. Inglese, ha partecipato a film come Cinderella Man, Hot Fuzz e The Bourne Ulimatum – Il ritorno dello sciacallo. Anche sceneggiatore e regista, ha 39 anni e due film in uscita.


Rosamund Pike interpreta Sam Chamberlain. Inglese, ha partecipato a film come La morte può attendere, The Libertine, Orgoglio e pregiudizio, La versione di Barney, Johnny English - La rinascita e Jack Reacher - La prova decisiva. Ha 34 anni e cinque film in uscita.


Tra gli altri attori, segnalo la presenza di David Bradley, ovvero l’uomo che ogni fan di Harry Potter conosce come Gazza, lo scorbutico custode di Hogwarts, qui nei panni del folle Basil. Anche Rafe Spall e i due protagonisti di Killer in viaggio compaiono come guest star, il primo ed Alice Lowe come avventori di un pub, mentre Steve Oram è riconoscibilissimo nei panni del poliziotto in moto. Infine, se il film vi fosse piaciuto (e non vedo come non potrebbe!!) consiglio il recupero di Shaun of the Dead e Hot Fuzz. ENJOY!!

giovedì 26 settembre 2013

(Gio)WE, Bolla! del 26/9/2013

Buon giovedì a tutti!! Oggi è giorno di nuove uscite e indovinate un po’? Il film che la Bolla attendeva da eoni, ovvero La fine del mondo – The World’s End, nel multisala Savonese non s’è visto nemmeno per sbaglio. Siccome ormai conosco i miei polli e prevenire è meglio che curare, domani vi beccate lo stesso la recensione SPOILER FREE dell’ultimo capolavoro della premiata ditta Wright/Pegg/Frost. Ora invece vediamo con cosa ci ha “graziati” la fallace ed empia distribuzione… E se poi siete ancora indecisi su quale film andare a vedere, potete sempre scaricare l'app di Muze, i cui consigli sono sempre aggiornati con le ultime uscite. ENJOY!! 

Sotto assedio
Reazione a caldo: no, grazie.
Bolla, rifletti!: del film in questione ho già parlato QUI. Da allora i miei pensieri non sono cambiati, è una pellicola di cui faccio volentieri a meno.

Universitari – Molto più che amici
Reazione a caldo: un’altra mocciata, ma basta!!
Bolla, rifletti!: tutte le mattine e i pomeriggi, su Radio Deejay, prima fanno la pubblicità del CEPU, poi quella del nuovo film di Moccia. La cosa, almeno per me, è indicativa. Il fatto che nel multisala diano questa incredibile p*ttanata invece di The World’s End lo è altrettanto.

Bling Ring
Reazione a caldo: finalmente un film guardabile…
Bolla, rifletti!: ne avevo già parlato QUI e, da allora, tutti quelli che hanno avuto la possibilità di vedere l’ultimo film della Coppola lo hanno massacrato senza pietà. Sarà che a me lo stile della regista non dispiace e non lo trovo affatto noioso, sarà che adoro la Watson e la Farmiga ma una chance gliela devo dare.

Ha riaperto anche il cinema d’élite quindi andiamo un po’ a vedere che fanno di bello questa settimana!

Sacro GRA
Reazione a caldo: sperare che sia un film su Ciurga sarebbe troppo, vero…?
Bolla, rifletti!: nella mia immensa, CRASSA ignoranza i documentari sono proprio un genere che non apprezzo. E nonostante questo Sacro GRA esplori una parte d’Italia peculiare e sicuramente interessante come i suoi abitanti, nonostante abbia vinto il Leone d’oro a Venezia… beh, avrete già capito che non mi precipiterò a vederlo, sorry.

mercoledì 25 settembre 2013

Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo (2012)

Gran parte dei miei lettori stasera saranno con le terga posate su comode poltroncine a guardare, durante il solito spettacolo unico sparso in tutta Italia tranne a Savona, il penultimo capitolo della tetralogia Rebuild of Evangelion, ovvero Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo (ヱヴァンゲリヲン新劇場版:Q - Evangerion Shin Gekijōban: Kyū) del regista Hideaki Anno. Ovviamente, giusto per non passare la serata rosicando, l'avevo già visto prima e mo' ve lo recensisco in diretta!


Trama: dopo gli eventi del secondo film Shinji si risveglia in un mondo che non conosce, sull'orlo della catastrofe e profondamente mutato. Di chi fidarsi dunque quando anche i suoi amici sembrano molto diversi da quelli che conosceva...?


Comincerò la recensione di Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo con un piccolo sfogo, concedetemelo, perché questa volta il problema è diventato talmente grande da inficiare, in parte ma pesantemente, il lavoro di Anno: Shinji Ikari non è solo baka (stupido) ma è anche e soprattutto mollo, pittima, caca*azzo, inutile, piagnone, ignorante come una capra di Biella, pesantemente abbulicciato e stronzo. Ma non nel senso di cattivo, proprio nel senso di "povero stronzo" idiota. Se Jon Snow "knows nothing", in confronto a Shinji Ikari la creatura di Martin è un pozzo di conoscenza; nel dizionario Ligure/italiano - Italiano/ligure sotto la definizione di "belino mollo" c'è la faccetta sfranta di Shinji; quando Candy Candy, Lovely Sara, Bun Bun e persino Remi incontrano Shinji Ikari per strada, prima si toccano poi lo ricoprono di sputi e insulti. Seguire le vicende di un protagonista così deficiente, scusate, è diventato non difficile: di più. E' come avere un incattivito Freddy Krueger appeso ai marroni. I pochi momenti in cui arrivano Asuka e Mari a ravvivare la situazione, desiderose di pigliare per il chiulo l'inetto bamboccio o frantumargli il coccige a calci, non bastano a risollevare l'atmosfera ammorbata da una ridda di comprimari che, se già nei primi due capitoli erano simpatici e angosciosi come una cacca nel letto, a 'sto giro battono ogni record: Gendo è inqualificabile come sempre, la povera Rei, la cui natura viene finalmente rivelata, ha la stessa vitalità di un bradipo morto, il nuovo arrivato Kaworu Nagisa sarebbe da prendere a schiaffi con un EVA e persino Misato si è arresa (e dalle torto!!) al clima di distesa serenità che avvolge tutti i personaggi diventando una bitch da primato. Lo spettatore afflitto da cotanta simpatia ha un bel daffare a seguire i pochi combattimenti e sviluppi che corollano la progressiva mutazione di Shinji da inutile stronzo a stronzo inutile, dannoso E catatonico.


Dopo questo sfogo, vi chiederete se Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo mi sia piaciuto. La risposta è nì. Un po’ per i motivi di cui sopra, un po’ perché la storia raccontata, completamente inedita, sembra una sorta di riempitivo o, se preferite, di preparazione a quello che dovrebbe essere un deflagrante finale ma, in definitiva, mette un sacco di carne al fuoco e chiarisce davvero poco. Il personaggio principale, come avrete capito, se nel secondo capitolo della saga aveva fatto qualche passo avanti verso la saggezza in questo terzo episodio retrocede invece come i gamberi e tutti i pipponi adolescenzial-divini del precisino Nagisa lasciano il tempo che trovano e si limitano a regalare solo una simpatica orchite allo spettatore. Per quanto riguarda il reparto tecnico invece, come al solito, chapeau. L’aspetto grafico di Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo, già pregevolissimo nella serie degli anni ’90, fa un ulteriore salto di qualità rinnovando il character design di alcuni personaggi (anche con pochi dettagli ma comunque molto azzeccati) e introducendo un paio di nuovi veicoli a dir poco mozzafiato per quanto sono dettagliati. Le sequenze clou sono ovviamente un trionfo e riescono a mettere i brividi, soprattutto quelle che vedono impegnate in combattimento le tostissime Mari e Asuka o quella che in Giappone costituiva il trailer del film, accompagnata dalle note de L’inno alla gioia del Ludovico Van e, come al solito, sono arricchite da quel tocco horror che non guasta mai. Resta ora da attendere il capitolo finale della saga dunque, sperando che Anno si decida finalmente a venire incontro anche agli spettatori ottusi come me… o ad uccidere Shinji una volta per tutte, a me andrebbe bene anche quello!!


Del regista e sceneggiatore Hideaki Anno ho già parlato qui.

Il film è ovviamente il seguito di Evangelion: You are (not) alone ed Evangelion: You can (not) advance; per completare la Rebuild of Evangelion i fan dovranno aspettare Evangelion: Final (titolo ovviamente temporaneo), che dovrebbe uscire in Giappone l’anno prossimo. Nell'attesa, recuperate queste prime parti della tetralogia e... ENJOY!!


martedì 24 settembre 2013

Lupin III - La pietra della saggezza (1978)

Uno dei miei grandi, grandissimi amori è sempre stato Lupin III, fin dall'età della ragione. Purtroppo, Strana strategia psicocinetica a parte, non ho mai recensito nulla che riguardasse i personaggi creati da Monkey Punch ma ho intenzione di rimediare e parlare di tutti i lungometraggi partendo proprio dal primo, La pietra della saggezza (ルパン三世 ルパンVS複製人間 - Rupan Sansei - Rupan vs Kuroon) diretto nel 1978 dal regista Soji Yoshikawa.


Trama: Lupin e soci, su richiesta di Fujiko, rubano la pietra filosofale (che conferisce tutto meno la saggezza, però vallo a spiegare ai titolisti italiani...) ma non sanno che il mitico oggetto serve in realtà al misterioso Mamo, un essere apparentemente onnipotente...


Chi segue da tempo immemorabile Lupin, come la sottoscritta, sa che col tempo i film, gli OAV e gli speciali televisivi si sono fatti sempre più banali (tranne rarissime eccezioni) e popolati da comprimari creati alla bisogna con il solo scopo di "ravvivare" trame che, se solo gli autori si concentrassero sui protagonisti e soprattutto sulle atmosfere create da Monkey Punch come successo con la meravigliosa serie Fujiko Mine To Iu Onna, sarebbero semplicemente perfette. Per fortuna invece questo La pietra della saggezza risente ancora delle positive influenze della prima e della seconda serie dell'anime ed offre allo spettatore una trama abbastanza intricata, zeppa di avventure e misteri, sottilmente inquietante. All'inizio assistiamo alla morte di Lupin e ci viene specificato come il cadavere sia innegabilmente quello del vero ladro gentiluomo: l'evento viene ricordato spesso nel corso del film e il mistero non verrà risolto con facilità, piuttosto anzi contribuirà ad alimentare incertezze, tensioni e dubbi che minacceranno di sciogliere il gruppetto di ladri. La figura di Mamo è disturbante sia per il suo aspetto che per la sua natura manipolatrice e, nonostante la pellicola sia zeppa di momenti ironici e "porcelli", il villain fa del suo meglio per mantenere costante un'atmosfera di pericolo imminente tra killer senza volto, voci fluttuanti nell'aria, visioni e deliri di ogni tipo.


Anche la realizzazione grafica rende La pietra della saggezza superiore a gran parte dei film seguenti. Il character design dei personaggi principali è quello classico, più vicino alla seconda serie dell'anime che alla prima (la giacca di Lupin è rossa, non verde), ma quello che più colpisce  durante la visione sono i palesi omaggi a film come Duel, Il fantasma del palcoscenico (Mamo è identico a Swan) o ai capolavori dell'arte occidentale di cui Mamo è custode, cosa che da il la ad un surreale inseguimento tra quadri di Mirò, Botticelli eccetera. Molto apprezzabile anche il prefinale, totalmente privo di suono e in grado di mettere più di un brivido. Poi, ovviamente, oltre a tutto il resto io misuro la qualità di ogni film dedicato a Lupin con un personalissimo "Jigenometro": in La pietra della saggezza il fascinoso pistolero mostra assai poco le sue abilità ma, in compenso, durante un inseguimento particolarmente concitato riesce a non mollare fino alla fine il bicchiere di vino francese che tiene in mano, particolare che compensa la caratterizzazione da pittima lamentosa che purtroppo gli è stata appioppata dagli sceneggiatori (assieme all'atroce dubbio, instillato nientemeno che da Goemon, che sotto il cappello di Jigen si nasconda un principio di calvizie! ARGH!). Detto questo, non posso fare altro che consigliare La pietra della saggezza ad ogni fan della creatura di Monkey Punch e a tutti gli amanti dell'animazione giapponese al suo meglio!

Soji Yoshikawa è il regista della pellicola. Giapponese, ha diretto anime come Tommy la stella dei Giants e Alla ricerca del cristallo arcobaleno. Anche sceneggiatore, produttore e animatore, ha 64 anni.


La pietra della saggezza è il primo lungometraggio dedicato a Lupin uscito al cinema, in Italia ne sono arrivate almeno quattro versioni con altrettanti doppiaggi. Personalmente, tendo a diffidare di tutte quelle che passano in TV, al 90% censurate come la serie; mi si dice tuttavia che l’anno scorso su Italia 2 sia passata l’edizione integrale per la prima volta, quindi forse c’è ancora speranza. Infine, se avete visto e apprezzato La pietra della saggezza, vi consiglio di recuperare Il castello di Cagliostro. ENJOY!! 

lunedì 23 settembre 2013

Get Babol! #79

Buon lunedì! Settimana pregiata questa per le uscite USA consigliate dal sito GetGlue: l'esordio alla regia di Joseph Gordon-Levitt e un remake horror che, per una volta, non mi infastidisce... ENJOY!!

Don Jon
Di Joseph Gordon-Levitt
Con Joseph Gordon-Levitt, Scarlett Johansson, Julianne Moore
Trama (da Imdb): Un ragazzo del New Jersey, devoto alla famiglia, agli amici e alla chiesa, sviluppa delle aspettative irreali guardando film porno e si impegna per trovare felicità (e intimità) con la ragazza che potrebbe essere il suo vero amore.

Il sito me lo consiglia perché mi sono piaciuti Alta fedeltà e Napoleon Dynamite. Adoro Joseph Gordon-Levitt fin dai tempi in cui faceva il vecchio nel corpo di ragazzino nella serie Una famiglia del terzo tipo e mi fa molto piacere che sia cresciuto per diventare un bravissimo attore e adesso anche regista e sceneggiatore. Il trailer del film, nonostante la presenza dell'antipatica ma bellissima Scarlett Johansson e dell'antipatica e basta Julianne Moore mi sembra (paradossalmente!) simpatico, molto carino e particolare, con lo scontro tra il pornomane e la fanciulla amante dei film romantici... ma lui pompato non si può vedere, è inguardabile!! L'importante, comunque, è che il film arrivi in Italia, anche se bisognerà aspettare fino al 24 ottobre... e voglio vedere in quante sale verrà distribuito!

We Are What We Are
Di Jim Mickle
Con Bill Sage, Ambyr Childers, Julia Garner
Trama (da Imdb): L'esistenza segreta dei Parker, una famiglia schiva e devota ad antichi rituali, viene minacciata dall'arrivo di una tempesta torrenziale, che costringe le figlie Iris e Rose ad assumersi responsabilità che vanno oltre quelle di una banale famiglia.

Il sito me lo consiglia perché mi è piaciuto La notte dei morti viventi. Remake del messicano Somos lo que hay di Jorge Grau (che devo ancora vedere), la storia di questa famigliola di cannibali sembrerebbe promettere bene, almeno da quel che si evince dall'inquietantissimo e stiloso trailer. Jim Mickle mi ha conquistata con il particolarissimo Mulberry Street, dove già dimostrava di saperci fare con la macchina da presa, e We are what we are ha raccolto consensi sia al Sundance che a Cannes, dimostrando di essere pregevole come un altro remake horror, il bellissimo Blood Story. Inutile dire che lo aspetto con ansia, inutile come dire che non si hanno nuove di un'eventuale data di uscita italiana.

domenica 22 settembre 2013

Alan, il conte nero (1951)

Mettiamo ora un po’ da parte le novità cinematografiche e concentriamoci su qualche recupero del passato. Ogni tanto mi punge vaghezza di guardare qualche vecchissimo horror e stavolta la scelta è caduta su Alan, il conte nero (The Strange Door), diretto nel 1951 dal regista Joseph Pevney e tratto dal racconto The Sire of Maletroit’s Door di Robert Louis Stevenson.


Trama: il malvagio conte Alan costringe un poco di buono a rimanere prigioniero nel suo maniero e a sposare la candida nipote. I motivi del gesto, apparentemente imperscrutabili, sono da ricercare nel passato del conte…


Alan, il conte nero è uno degli horror minori in bianco e nero prodotti dalla Universal ma è più un melodramma in costume con sfumature gotiche che un horror tout court. Durante la visione, infatti, si possono ritrovare facilmente i temi e i cliché del romanzo gotico settecentesco, come la presenza di un eroe negativo e tormentato, di una vergine oppressa dalle violenze psicologiche del malvagio, di passaggi segreti che conducono a misteri sepolti, di persone che non sono quello che sembrano, ecc. ecc. Ho parlato di “sfumature” gotiche perché la vicenda ruota principalmente su matrimoni, storie d’amore e sulla solita damsel in distress che è finita nelle grinfie del villain di turno perché è rimasta orfana (un po’ come accadeva anche in Candy Candy o Lovely Sara, tra l’altro…), quindi l’atmosfera horror risulta molto più all’acqua di rose rispetto ad altri film simili e si riduce ad un paio di delitti all’arma bianca, a qualche urlo misterioso, alla blanda follia del Conte del titolo… e ovviamente alla presenza di Boris Karloff, che poi è il motivo che mi ha spinta a vedere Alan, il conte nero.


Il vecchio Boris interpreta Voltan (che tutte le volte mi veniva da chiamare Zoltan. Oh, chi era Zoltan??), l’ambiguo servo del castello che si rivelerà la chiave fondamentale per svelarne i segreti, un ruolo che non gli rende giustizia perché lo relega ad essere una spalla troppo spesso messa da parte per seguire le vicende dei due sciapi protagonisti. Lui comunque porta a casa un’interpretazione dignitosa, cosa che non accade invece per Charles Laughton, il Conte Alan in persona. Ora, nella mia Crassa ignoranza non avevo mai visto un film interpretato dal famosissimo attore inglese, forse giusto Spartacus o Gli ammutinati del Bounty da piccola ma chi se li ricorda, e devo dire che ci sono rimasta malissimo. Probabilmente è il personaggio che lo richiede ma Laughton si profonde in un’interpretazione terribile, caricaturale, dove la follia scompare davanti ad un ciccione vanesio, logorroico e abbulicciato. Yeew. Mi rendo conto che forse la sua carriera era alle ultime battute ma Sir Laughton non ci fa proprio una bella figura. E in generale anche Alan, il conte nero  non è un film abbastanza curioso o seminale da meritare di essere consigliato, nemmeno a chi adora Boris Karloff. 

Joseph Pevney è il regista della pellicola. Americano, ha diretto L’uomo dai mille volti ed episodi delle serie Vita da strega, Missione impossibile, Star Trek, Bonanza, Fantasilandia e L’incredibile Hulk. Anche attore e produttore, è morto nel 2008 all’età di 96 anni.


Charles Laughton interpreta Alain De Maletroit. Inglese, lo ricordo per film come L’isola delle anime perdute, Le sei mogli di Enrico VIII (per il quale ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista), Gli ammutinati del Bounty, Notre Dame, Lo spettro di Canterville, Capitan Kidd, Testimone d’accusa e Spartacus. Anche sceneggiatore, produttore e regista, è morto nel 1962 all’età di 63 anni.


Boris Karloff (vero nome William Henry Pratt) interpreta Voltan. Inglese, una delle icone horror per eccellenza, lo ricordo per film come Frankenstein, La mummia, La moglie di Frankenstein, Il figlio di Frankenstein, La iena, Manicomio, I maghi del terrore, La vergine di cera, I tre volti della paura e Il clan del terrore. E’ morto nel 1969 all’età di 81 anni.


Tra gli altri attori segnalo la presenza di Alan Napier, ovvero l’Alfred della storica e campissima serie Batman, nei panni del Conte Grassin. Non essendo molto esperta di questo genere di film gotici non saprei davvero cosa consigliarvi di guardare nel caso vi fosse piaciuto Alan, il conte nero, quindi dico solo.. ENJOY!

sabato 21 settembre 2013

Bill Murray Day: I Tenenbaum (2001)

Oggi è il giorno glorioso in cui si festeggia un mito della mia infanzia. Ma che dico, mito? Ammettiamolo, qui si parla tranquillamente di primo amore, dell’uomo più bello del mondo per una bimba di 8/9 anni, di un acchiappafantasmi che riusciva a conquistare la bella Dana con battute pronte e tanta faccia tosta. Sto ovviamente parlando di William James Murray, per gli amici Bill Murray, che oggi compie 63 anni e viene giustamente festeggiato dal solito gruppo di folli blogger. La scelta del film per il Bill Murray Day è caduta così su I Tenenbaum (The Royal Tenenbaums), co-sceneggiato e diretto dal geniale Wes Anderson nel 2001.


Trama: i Tenenbaum sono una benestante famiglia di disadattati dove sono cresciuti tre ex-bambini prodigio. Quando il padre, Royal, annuncia di avere una malattia terminale, i membri della famiglia, pur se riluttanti, sono costretti a riunirsi…


Ormai erano passati più di dieci anni da quando avevo visto I Tenenbaum e, francamente, credo non lo avrei scelto per il Bill Murray Day se avessi ricordato che il festeggiato, povirazzo, si vede davvero poco. Nonostante questo, come al solito, il nostro spicca anche in mezzo ai geniali freaks che popolano i film di Anderson (giovane regista che lo ha eletto, per fortuna di tutti gli spettatori e fan, ad attore feticcio), e ci riesce in virtù di quella faccetta un po’ così, quell’espressione tipica dell’uomo sconfitto dalla vita ma, allo stesso tempo, talmente stralunato ed immerso nell’ennui che forse, di quello che gli accade, gli importa meno di zero. Ne I Tenenbaum Bill interpreta Raleigh St. Clair, marito “anziano” della bella e depressa Margot Tenenbaum nonché scrittore e studioso di disturbi comportamentali. Nella fattispecie, il nostro trascura palesemente la moglie (della quale è comunque innamorato) perché totalmente preso dalle stranezze di un ragazzetto daltonico, chiuso in un mondo tutto suo e dotato di un udito quasi sovraumano. Vederlo affrontare lo studio di questo mostriciattolo con piglio accademico e distaccato, lo stesso che riserva comunque ai propri problemi coniugali (Margot non lo ama, lo tradisce e fondamentalmente è una zoccola della peggior specie ma lui ci rimane male perché in anni di matrimonio non si era mai accorto che la donna fumava), risulta tragicomico e quasi disturbante, come d'altronde tutto il resto della pellicola e dei personaggi che descrive.


I Tenenbaum infatti, oltre a contenere un abbozzo di quello che poi verrà sviluppato nel delizioso Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (vedi appunto la fuga dei due ragazzini raccontata all’inizio), è forse il film di Anderson dove lo spettatore riesce maggiormente ad empatizzare per gli strani protagonisti e a provare pena per il triste destino che si sono creati con le loro mani. Il mondo della famiglia Tenenbaum è un universo a sé stante che cozza costantemente contro la realtà che circonda i membri della "tribù"; la gente che guarda da fuori la loro vita vede o un branco di pazzoidi da evitare/ incanalare in binari più comprensibili oppure degli eccentrici ricconi da invidiare e solo il personaggio interpretato da Danny Glover cerca, per amore, di comprendere ed accettare tutti i problemi, le stranezze e le fisime dei Tenenbaum e dei loro amici più stretti. Privati delle loro eccentricità, i membri della famiglia del titolo non sono altro che persone disilluse, egoiste, tristi e disagiate, un'accozzaglia di individui incapaci di parlarsi o di capirsi che, paradossalmente, incominceranno il cammino verso la "normalità" proprio a partire da una tragedia... o presunta tale. Al di là della storia, comunque gradevolissima e persino nominata all'Oscar per la miglior sceneggiatura, è però lo stile di Anderson ad essere meraviglioso ed inconfondibile: la storia viene suddivisa in capitoli come se fosse un libro e ognuno di essi è introdotto dal suo corrispettivo cartaceo, ogni personaggio, soprattutto i tre figli, indossano delle mise che riescono sia a caratterizzarli che ad essere stilosissime, il regista introduce qua e là dei tocchi surreali e ipnotizza lo spettatore con una colonna sonora strepitosa e gli attori assecondano in modo perfetto (soprattutto Gene Hackman e Ben Stiller) l'atmosfera vintage e nevrotica della pellicola. In due parole, un capolavoro e un'altra prestigiosa tacca nella filmografia del festeggiato... che è spesso stato ospite graditissimo del Bollalmanacco!


Ghostbusters - Acchiappafantasmi (1984), per la prima volta nei panni di Peter Wenkman, ideale capo carismatico (e cialtrone) del folle gruppetto di acchiappafantasmi!

La piccola bottega degli orrori (1986): sotto le grinfie di un ispirato Steve Martin nei panni del dentista sadico arriva nientemeno che un paziente masochista!!

Ghostbusters II - Acchiappafantasmi II (1989) il ritorno di Peter Wenkman, sempre più affascinante!

Ed Wood (1994) dove Murray interpreta un gaYo collaboratore del regista peggiore del mondo.

Benvenuti a Zombieland (2009): meritato cameo nei panni di se stesso, anche se c'è gente che ANCORA non conosce Bill Murray!!

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (2012) dove interpreta un marito e padre ormai sconfitto dalla vita e dalla noia...

A Royal Weekend (2012) dove interpreta nientemeno che Roosevelt, in una performance forse un po' sottotono ma comunque sempre valida!

Ed ecco ora l'elenco degli altri blogger che festeggiano oggi il Bill Murray Day:

Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
In Central Perk
Montecristo
Pensieri Cannibali
Recensioni ribelli
Scrivenny 2.0
White Russian

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