domenica 31 marzo 2019

Border - Creature di confine (2018)

Nominato agli Oscar di quest'anno per il make up, non ero riuscita a recuperarlo per tempo ma questa settimana è uscito in Italia, quindi è giusto parlare di Border - Creature di confine (Gräns), diretto nel 2018 dal regista Ali Abbasi e da lui sceneggiato a partire dal racconto omonimo di John Ajvide Lindqvist, contenuto nella raccolta Muri di carta.


Trama: Tina è una poliziotta dotata di un sesto senso infallibile, con caratteristiche somatiche che la rendono palesemente "diversa". Un giorno incontra Vore, misterioso uomo assai simile a lei, e la sua vita viene completamente stravolta.


L'inquietante poesia di  John Ajvide Lindqvist torna a fare capolino sugli schermi internazionali con un film particolare il cui tema fondamentale è quello della diversità e del desiderio di trovare le proprie radici e sentirsi integrati, normali. Cosa non facile per la povera Tina, poliziotta di buon cuore dotata di un fiuto talmente infallibile da consentirle di avvertire persino le emozioni negative altrui e tuttavia incapace di relazionarsi agli altri in quanto afflitta da un aspetto effettivamente mostruoso, che la fa somigliare più a una bestia che a un uomo. E come una bestia, difatti, Tina predilige il contatto con la natura, il rapporto privilegiato con animali che (salvo i cani) tendono ad avvicinarsi a lei, piuttosto che legarsi ad esseri umani che comunque la guardano con sospetto, se non con disgusto. Tutto cambia quando nella sua vita arriva Vore, così simile a lei da far scattare subito un'attrazione particolare nonostante l'aura di pericoloso mistero di cui è circondato; attraverso il rapporto con Vore, dapprima di titubante amicizia, poi di travolgente passione, Tina arriverà a scoprire inquietanti verità su se stessa e sulla sua famiglia, trovandosi ad un crocevia inaspettato che rischierà di portarle via l'innocenza e la capacità di provare sentimenti di bontà. La vicenda di Tina è inserita all'interno di un mondo dove la realtà è stata permeata dal folklore delle terre del nord, distrutto da esseri umani ignoranti o disperati coi loro tentativi di razionalizzare le cose inspiegabili, e ci mostra due personaggi agli antipodi, benché entrambi vittime di un mondo al quale non appartengono. Tina ha cercato di integrarsi, sopportando bullismo e prese in giro, mettendo i suoi talenti al servizio della società mentre Vore ha visto i suoi genitori morire e verso le persone nutre un odio smisurato che lo porta a macchiarsi di uno dei crimini più abietti che ci siano solo per vendicarsi; lo scontro e l'attrazione tra i due ha il suo fulcro nell'incapacità di Tina di accettare se stessa, frutto di una mancata comprensione della sua natura, che la porta a faticare per integrarsi in un mondo che evidentemente non le appartiene, mentre Vore è totalmente consapevole di ciò che è e che può fare e per questo ha scelto di vivere ai margini della società, mescolandosi agli altri solo quando necessario.


E' bene tenere a mente che Border è una sorta di favola moderna, altrimenti la suspension of disbelief che ci consente di accettare il fatto che Tina e Vore vadano tranquillamente in giro venendo considerati giusto un po' bruttini e "strani" andrebbe a farsi friggere ma, una volta accettato questo, ci si fa coinvolgere dalla loro malinconica storia d'amore inserita all'interno di una trama che aggiunge pizzichi di thriller, horror e manciate di piaghe sociali angoscianti. Le fredde, squallide città svedesi fungono da perfetto contraltare per la natura rigogliosa e selvaggia che ospita le sequenze più felici del film, tra animali boschivi e creature che corrono nude e libere beandosi del verde, dell'acqua e della terra umida, vivendo di quello che il bosco offre loro in perfetta comunione con se stessi e la realtà. Il make up perfetto che cela i lineamenti di Eva Melander e Eero Milonoff è talmente naturale, ben amalgamato con i loro tratti reali, che talvolta si ha l'illusione che i due attori siano nati proprio così, un mix di uomo e bestia incredibilmente ferino ma anche molto, troppo umano, ed obiettivamente questa è una delle caratteristiche che rendono Border una pellicola così peculiare. Fantasy ma profondamente radicato nella realtà, coming of age (anche sessuale) ma anche thriller, psicologico e "fisico" in egual misura, fatto di paure antichissime, che risalgono persino ai miti norvegesi, e moderne, Border è probabilmente il film più particolare che potrete vedere quest'anno e non è un caso se una mente eclettica come quella di Aubrey Plaza se ne sia innamorata così tanto da voler organizzare una proiezione straordinaria. Se avete la fortuna di vederlo proiettato nelle vostre zone, non perdetelo!

Ali Abbasi è il regista e co-sceneggiatore del film. Iraniano, ha diretto film come Shelley. Ha 38 anni.


venerdì 29 marzo 2019

What Keeps You Alive (2018)

Finita la febbre degli Oscar, torno a recuperare quello che mi ero persa nel 2018, sempre grazie all'agile post riassuntivo di Lucia. Oggi tocca a What Keeps You Alive, diretto e sceneggiato dal regista Colin Minihan nel 2018. Occhio agli INEVITABILI SPOILER.


Trama: Jackie e Jules decidono di festeggiare il primo anniversario di matrimonio nella vecchia casa paterna di Jackie. Lì però l'oscuro passato della ragazza riemergerà...



La regola aurea della caccia, almeno nei selvaggi boschi del Canada, è quella di uccidere solo "quel tanto che basta per mantenersi in vita". Ovvero, come spiegato da Jackie, solo quel che serve per mangiare e stare bene, senza sprechi di sorta. Ma come si coniuga questa regola con una natura di psicopatico, di predatore seriale? E, in senso più ampio, cos'è che riesce a tenere in vita una persona dopo che tutto, attorno a lei, è andato in frantumi senza possibilità di venire ricomposto? Questi sono gli interrogativi alla base di What Keeps You Alive, thriller psicologico con qualche venatura di survival horror che, dopo un inizio idilliaco in cui due fanciulle festeggiano il loro anniversario di matrimonio in mezzo alla wilderness canadese, racconta lo spietato voltafaccia di Jackie ai danni di Jules. Dapprima con piccoli tocchi inquietanti, dettagli che stonano e che raffreddano amore e passione quel tanto che basta per far sorgere dei dubbi allo spettatore, poi con una deflagrazione inaspettata di violenza, un tradimento che mozza il respiro sia alla vittima sia a chi guarda il film seduto "comodo" in poltrona. Angoscia, in What Keeps You Alive, la possibilità di vivere per anni nel letto di uno sconosciuto, una persona che nasconde in sé un'oscurità imperscrutabile eppure riesce a celarla con una maschera di bellezza, dolcezza e amore, tanto da far nascere nel cuore dello sfortunato compagno (compagna, in questo caso) un sentimento reale e per questo ancora più doloroso da dimenticare, a rischio della propria stessa sopravvivenza; più delle coltellate e del dolore fisico, sono i colpi inferti alla fiducia e all'amore di Jules a fare male, la consapevolezza di aver avuto accanto una persona completamente distaccata dalla realtà e pronta ad ucciderla come chissà quante altre vittime, senza darle un valore particolare, nemmeno quello di "prescelta", chissà.


Se What Keeps You Alive funziona così bene è merito di due attrici bellissime e brave, ovviamente. Brittany Allen mi aveva già convinta nel film precedente di Minihan, Deserto rosso sangue, ma qui il suo piglio badass viene compensato da un'interpretazione iniziale fragilissima, che la rende vittima innocente e anche un po' ingenua, animaletto disperato e pronto alla fuga a costo di commettere errori clamorosi; Hannah Emily Anderson, per contro, è una perfetta femme fatale, agghiacciante nelle sequenze in cui la sua maschera di dolce mogliettina viene meno rivelando il freddo automa sottostante. Colin Minihan, che dalle opere precedenti avrei detto un truzzo senza speranza, riesce a confezionare un film che, pur non mancando di ritmo (le sequenze in soggettiva all'interno della casa sono assai ansiogene, così come i primi piani sul volto disperato di Jules o quelle inquadrature con la voce fuori campo che fino all'ultimo impediscono allo spettatore di capire quale delle due contendenti avrà la meglio), si prende anche il tempo di immergere le due protagoniste in una natura splendida e pericolosamente selvaggia, incurante delle umane miserie tanto quanto la bellissima baita piena di dettagli che la cinepresa non si stanca di esplorare, rivelando sempre nuove, inquietanti sorprese. Vero è che il tema della psicosi celata da un'apparenza irreprensibile non è una novità, né in campo cinematografico né letterario, ma What Keeps You Alive ha tutte le caratteristiche per intrattenere lo spettatore e per causare momenti di genuino sconforto, in più è graziato anche da una bella colonna sonora e da alcune sequenze in cui il linguaggio cinematografico si fa particolarmente raffinato. Due motivi in più per guardarlo e sperare venga distribuito in Italia, anche solo su Netflix!


Del regista e sceneggiatore Colin Minihan ho già parlato QUI mentre Brittany Allen, che interpreta Jules, la trovate QUA.


Hannah Emily Anderson, che interpreta Jackie, ha partecipato alla serie The Purge nel ruolo di Jenna. ENJOY!


giovedì 28 marzo 2019

(Gio)WE, Bolla! del 28/3/2019

Buon giovedì a tutti! Questa sarebbe una settimana da passare interamente al cinema e pensare che il bello deve ancora venire! ENJOY!

Dumbo
Reazione a caldo: Oh, jesus.
Bolla, rifletti!: Se c'era un film Disney che non sopportavo da bambina, quello era Dumbo. Troppo angosciante, troppo drammatico, meglio l'horror psichedelico di Alice e la cazzoneria di Robin Hood. Però, per quanto sia bollito Burton e per quanto le recensioni di chi ha già visto il film confermino piattume, posso non andare al cinema a piangere come un vitello?

The Prodigy - Il figlio del male 
Reazione a caldo: Mh...
Bolla, rifletti!: Temo una banalità senza fine. Però. Il regista è Nicholas McCarty, quello di At the Devil's Door e Easter, quindi tanto una scemenza non dovrebbe esserlo. Vedremo.

Bentornato presidente
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Sequel di Benvenuto presidente. Non ho visto quello, non ho interesse a guardare nemmeno questo.

A un metro da te
Reazione a caldo: Bwahaahahahnnno!
Bolla, rifletti!: Ummadonna. I film a base di ragazzini malati che s'innamorano stuzzicano il mio cinismo al punto tale da farmi diventare un mostro. Non andrei a vedere sta roba nemmeno se mi pagassero, giuro.

Al cinema d'élite alternano due visioni interessantissime, bravi!!

Border - Creature di confine
Reazione a caldo: YAY!!
Bolla, rifletti!: Basato su un racconto di John Ajivide Lindqvist e graziato da una nomination all'Oscar per il miglior make-up, nonché vincitore della sezione Un certain regard a Cannes, questo thriller fantasy svedese merita tutta la mia attenzione.

Il professore e il pazzo
Reazione a caldo: Evviva!
Bolla, rifletti!: La storia dell'Oxford English Dictionary. Posso forse perderla io che adoro le lingue? Assolutamente no, peccato che questa settimana avrò difficoltà ad andare al cinema nel weekend e ovviamente il cinema ha orari assurdi...

mercoledì 27 marzo 2019

Christine - La macchina infernale (1983)

Era nella lista dei "film da vedere" su Netflix da qualche tempo e un paio di sere fa ho quindi guardato assieme al Bolluomo Christine - La macchina infernale (Christine), diretto nel 1983 dal regista John Carpenter e tratto dal romanzo omonimo di Stephen King.



Trama: Arnie, ragazzino sfigato e vessato, si invaghisce letteralmente dell'automobile chiamata Christine e si impegna a restaurarla a dovere. Christine nasconde però un terribile segreto e una volontà omicida...



Non vedevo Christine - La macchina infernale da parecchi anni, più o meno tanti quanti la prima e ultima volta che ho letto Christine di Stephen King. Onestamente, all'epoca (credo fosse un'estate ai tempi dell'università) non mi erano piaciuti granché né il libro, che in effetti ricordo pochissimo, né il film e riguardando quest'ultimo qualche sera fa ho temuto, con tutto il rispetto per Carpenter, che mi sarei fatta due palle cubiche. Invece, pur continuando a non essere il miglior Carpenter (almeno a parer mio) e pur non riuscendo minimamente a provare ansia all'idea di una macchina senziente che uccide le persone, ammetto di essermi divertita guardando Christine - La macchina infernale, perfetto da prendere come "b-movie" per una serata senza troppe pretese. Messo da parte, infatti, il risvolto "spettrale" di Stephen King, nel cui romanzo la Plymouth Fury era posseduta dallo spirito del precedente proprietario, Christine si concentra su una storia di amore, ossessione e reciproca dipendenza, una "follia sentimentale" dove lo sfigatello Arnie riesce a superare tutti i suoi limiti onde compiacere un'automobile, aggiustandola e facendosi aggiustare a sua volta, con sommo scorno di amici, fidanzata e familiari. A Christine, rossa di fuoco, vengono attribuite tutte le caratteristiche di una femme fatale e, come tale, non è un caso che voglia il protagonista tutto per sé, arrivando a provare un'inaudita gelosia per la bella Leigh, sogno proibito di tutti i ragazzi della scuola, anche del migliore amico di Arnie, il giocatore di football Dennis. Il quale, probabilmente, è uno dei motivi per cui Arnie decide di trovare qualcosa di "suo", così da uscire dall'ombra di un amico gentile e protettivo ma comunque, in qualche modo, superiore sia per bellezza che per carisma. Quella di Christine è dunque la tipica situazione da teen horror, in cui il ragazzetto vessato dai bulli e sfigatello trova un modo assai pericoloso per assicurarsi il riscatto sociale e la vendetta, con tutte le conseguenze del caso.


Dispiace, ovviamente, che un budget risicato causato dall'insuccesso commerciale de La cosa abbia trasformato Christine - La macchina infernale da un potenziale macello a un film dove il gore è praticamente assente e gli omicidi della macchina senziente vengono tagliati sul più bello (per dire, a momenti è più splatter Brivido) ma lo stesso, già che ho nominato Brivido, la mano del Maestro si vede e, nonostante questo sia palesemente un lavoro girato a scopi alimentari, Carpenter è riuscito a confezionare delle sequenze che fanno scuola ancora oggi. Una su tutte, neanche a dirlo, è la scena in cui lo spettatore si ritrova davanti la soggettiva di Christine mentre insegue una delle sue vittime su strade buie, alternata a riprese in cui la macchina è in fiamme, come un incubo uscito direttamente dall'inferno, ma anche la claustrofobica scena della morte del ciccio, con le "zanne" di Christine sempre più vicine, a mo' di squalo, è girata divinamente, per non parlare della sensualissima presa di coscienza di Arnie, con quel suo "fammi vedere" nemmeno si trovasse davanti Kim Basinger in 9 settimane e mezzo. Altro punto a favore del film è la colonna sonora, composta in gran parte da pezzi anni '50 sparati a tutto volume dall'autoradio di Christine e scelti palesemente in base all'umore della macchina, quindi melensi e sdolcinati in presenza dell'amato Arnie, più significativi e badass durante i momenti di vendetta, con la Bad to the Bone di George Thorogood ad aprire i film sottolineando la natura maligna della Plymouth. In sostanza, Christine - La macchina infernale si è rivelato un film più godibile di quanto ricordassi e vi consiglierei di farci un pensiero prima che lo tolgano dal catalogo Netflix!


Del regista John Carpenter ho già parlato QUI. Harry Dean Stanton (detective Rudolph Jenkins) e Kelly Preston (Roseanne) li trovate invece ai rispettivi link.


Keith Gordon, che interpreta Arnie, è diventato col tempo più regista televisivo che attore e sua è la mano dietro a molti episodi di Dexter, The strain, Fargo e persino Legion mentre Alexandra Paul, che interpreta Leigh Cabot, sarebbe entrata a far parte del cast fisso di Baywatch. Se vi chiedete poi dove avete già visto il volto stralunato di uno degli amichetti di Buddy, provate a ricordare Ghostbusters e gli esperimenti del Dr. Venkmann con gli studenti! Il ruolo di Arnie era stato offerto a Kevin Bacon, che lo ha rifiutato per partecipare a Footlose, mentre pare che Nicolas Cage avesse fatto l'audizione per il ruolo di Buddy. Detto questo, se Christine - La macchina infernale vi fosse piaciuto, recuperate La macchina nera, Duel, Brivido e Grindhouse - A prova di morte. ENJOY!


martedì 26 marzo 2019

Assassination Nation (2018)

Altro film di cui ho letto benissimo in questo periodo è Assassination Nation, diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Sam Levinson.


Trama: a seguito di un attacco haker che ha svelato i segreti della maggior parte dei cittadini di Salem, Lily e le sue amiche diventano il bersaglio dell'odio dell'intera città.



La caccia alle streghe ai tempi dei social ha come teatro la cittadina di Salem e come veicolo di diffusione tablet, pc e cellulari, strumenti "grazie" ai quali la privacy ha perso di fatto ogni significato. Basta una sola persona che si mette in testa di hackerare i gioielli tecnologici degli irreprensibili abitanti, la "good people" della cittadina, ed ecco che i più turpi segreti vengono a galla così come l'ipocrisia dilagante di persone che vedono la pagliuzza nell'occhio altrui ma non la trave nel proprio. E se una volta la caccia era rivolta a quelle donne un po' "strane", che magari indulgevano in pratiche utili ma misteriose come la medicina alternativa oppure ree, chissà, di non avere mariti o figli, al giorno d'oggi le vittime sono quelle ragazze particolarmente disnibite, che sfruttano i social per veicolare la propria immagine causando invidie, desideri inconfessabili, odio. Dei perfetti capri espiatori per sfogare la parte animale di chi arriva a non sentirsi più tutelato e non capisce come difendersi né come sviare l'attenzione dalle proprie colpe se non scaricandole su altri; è così che Lily e le sue amiche, in questo folle mix tra Schegge di follia, Mean Girls e The Purge, diventano le vittime sacrificali di un'intera cittadina di persone "normali" uscite di testa. Oddio, forse sto dando troppa importanza al "messaggio" nemmeno troppo celato all'interno di Assassination Nation, il divertissement di un giovane ma capacissimo figlio d'arte che fa della vacuità, almeno all'inizio, il suo punto di forza e che poi arriva a mostrare allo spettatore il rapido disgregamento del tessuto sociale di Salem, tenuto assieme da regole (morali e non) non scritte ma diligentemente applicate, soprattutto nelle aule del liceo. Tra una scopata e un colpo di pistola, un festino a base di alcool e twerking e un tentativo di linciaggio, la razionalità di Assassination Nation, uno spunto di riflessione o un motivo di vergognarsi, se vogliamo, è affidato alle parole che di tanto in tanto vengono pronunciate da Lily, additata come "causa di ogni male" ma in realtà specchio della generazione Millenial costretta ad offrire l'illusione di perfezione in un mondo social che non perdona e dal quale se si sta fuori si è considerati sfigati, rea di aver già "rovinato il mondo" nonostante il poco tempo passato su questa Terra.


Anche Assassination Nation, come già Mom and Dad, fa parte dunque di quelle pellicole che, pur passando giustamente per supercazzole, mettono a nudo i sentimenti di odio inconfessabile provati dal 90% degli spettatori, facendo sfogare loro queste vergognose sensazioni senza mancare di criticarli e pungolarli, portandoli a vergognarsi un po'. Il tutto, tra l'altro, con uno stile impeccabile. Sam Levinson, figlio dell'eclettico Barry Levinson, gioca con le immagini come se non fosse un trentenne al suo secondo film e fa abbondante uso di colori sgargianti, primi piani di bellezze giovanissime, ralenti "di gruppo" e split screen, riuscendo a rendere questo stile "cool" funzionale a ciò che viene raccontato e non un mero esercizio di stile; il piano sequenza che vede Lily e le sue amiche inconsapevolmente asserragliate in casa è il punto più angosciante del film oltre a quello più commovente a livello "tecnico" e sfido chiunque, impermeabili rossi e citazioni da CarrieDelinquent Girl Boss: Unworthy of Penance a parte, a non sentirsi chiudere lo stomaco davanti alle urla disperate delle povere fanciulle. Fanciulle che, per inciso, sono tutte dannatamente in parte, soprattutto la protagonista Odessa Young, degna erede delle bitch tipiche di questo genere di film adolescenziale MA con un anima e un cervello da tenere ben nascosti nelle instagram stories; meritevolissimo anche il resto del cast, tra facce conosciute e gradite come Colman Domingo e Bill Skarsgard e nuove scoperte come la modella transgender Hari Nef, dotata di un fascino e di una presenza scenica tutta particolare. Sam Levinson è dunque un regista da tenere molto d'occhio, così come è da tenere d'occhio un'eventuale uscita italiana del film, al cinema o su Netflix, perché, supercazzola o no, merita davvero una visione.


Di Colman Domingo (preside Turrell), Joel McHale (Nick Mathers), Bill Skarsgård (Mark), Bella Thorne (Reagan), J. D. Evermore (Capo Patterson) e Jennifer Morrison (Margie) ho parlato ai rispettivi link.

Sam Levinson è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, figlio di Barry Levinson, ha diretto anche un altro film, Another Happy Day. Anche attore e produttore, ha 34 anni.


Suki Waterhouse interpreta Sarah. Inglese, ha partecipato a film come Pusher, PPZ: Pride and Prejudice and Zombies e The Bad Batch. Anche produttrice, ha 27 anni e sei film in uscita tra i quali Pokémon Detective Pikachu.


Maude Apatow, che interpreta Grace, è la figlia di Judd Apatow e Leslie Mann  mentre Joe Chrest, che interpreta il papà di Lily, lo avrete notato sicuramente in Stranger Things come taciturno padre di Mike. Se Assassination Nation vi fosse piaciuto recuperate la saga di The Purge, Carrie - Lo sguardo di Satana, Giovani streghe, Schegge di follia, persino Amiche cattive, Mean Girls e All Cheerleaders Die. ENJOY!


lunedì 25 marzo 2019

Larry Cohen (1941-2019)


Dal 23 marzo, il mondo dell'horror è un po' meno vario, un po' meno divertente, un po' meno satirico.
E se non conoscete né Baby Killer The Stuff - Il gelato che uccide forse è l'occasione buona per rimediare.
So long, Larry!

domenica 24 marzo 2019

Schegge di follia (1988)

Dopo anni, è arrivato il momento di recuperare Schegge di follia (Heathers), diretto nel 1988 dal regista Michael Lehmann.


 Trama: Veronica, "outsider" del gruppo più in della scuola, le Heathers, finisce coinvolta in una spirale di suicidi dopo aver conosciuto il bel J.D.


Benché adori questo genere di commedie ambientate nei licei americani, quei film in cui il gruppo dominante di bitches viene ridotto a più miti consigli da chi rifiuta di sottostare al loro esilarante giogo, non avevo mai visto Schegge di follia, che di questo tipo di pellicole può essere considerato un po' il papà. Definirlo commedia, però, sarebbe improprio, perché Schegge di follia è soprattutto una folle e nerissima riflessione su un fenomeno tristemente diffuso come quello dei suicidi adolescenziali, causati da problemi apparentemente futili che, nella mente di un ragazzo o ragazza delle superiori, arrivano a diventare degli scogli insormontabili, alimentati da una pressione sociale spietata e costante. Diversamente da quello che accade nella realtà, però, in Schegge di follia a suicidarsi non sono i ragazzini deboli ed emarginati, bensì le reginette e i fighetti della scuola, a cominciare dalla bionda e stronzissima Heather, capo di un trio formato da altre due fanciulle con lo stesso nome, al quale la mora Veronica vorrebbe appartenere pur consapevole della pochezza di spirito dei suoi membri . Quando Veronica commette l'errore di sfogarsi con J.D., bello e maledetto, il ragazzo decide di aiutarla nel modo peggiore possibile, ovvero inscenando il suicidio di Heather e scatenando, di fatto, un'epidemia (una moda?) di gente pronta a togliersi la vita per diventare ancora più benvoluta e famosa. Il suicidio, dunque, come mezzo per ripulirsi da tutte le imperfezioni e assurgere a idolo da ricordare con deferenza e affetto, perché la morte, come dice J.D., è l'unico mezzo per far sì che tutti, dalle cheerleader ai nerd ai metallari alle prom queen, vadano d'accordo e dimentichino le differenze sociali. Un concetto tanto orribile quanto perfetto per fare presa sulle menti malleabili, che lo sceneggiatore Daniel Waters riesce a rendere assurdo, grottesco ma non meno credibile, dissimulandolo grazie a una cricca di personaggi incredibilmente borderline e caricaturali, a partire dalla stessa protagonista.


La strana Veronica, infatti, sarebbe da prendere a ceffoni dall'inizio del film e non si capisce perché,nonostante il carisma naturale che la porta a scontrarsi da subito con la capa delle Heathers, decida non solo di rimanere nel gruppo ma anche di farsi plagiare da un ragazzo palesemente matto come un cavallo, che se la giostra e la percula come vuole. Per buona parte del film, Veronica è dunque vittima più o meno inconsapevole di eventi sempre più allucinati e allucinanti, un incubo di morte che si alterna a quanto di più squallido esista all'interno della tipica vita di un liceo americano, tra festini a base di alcool dove gli universitari tentano di approfittare delle ragazze più giovani e imbecilli che stuprano le ragazze al primo appuntamento, il tutto sotto l'occhio "vigile" di genitori da operetta, più amici e complici che educatori (per non parlare degli insegnanti...). La regia di Michael Lehmann segue la frenesia di questa vicenda andando a fissare gli stilemi che sarebbero diventati cifra stilistica di questo genere di commedia, ovvero ralenti del trio/quartetto di sgallettate protagoniste mentre camminano per i corridoi, inquadrature insistenti sui dettagli del loro guardaroba iconico e all'ultimo grido, carrellate di studenti alternativamente annoiati o in fibrillazione per qualche sciocchezza, e in più confeziona esilaranti scene da incubo ambientate ai funerali, con tanto di citazioni burtoniane annesse (come sempre, Glenn Shadix compare poco ma è impossibile da dimenticare) e riesce a far risaltare tutta la futilità delle morti presenti nel film, recidendo la vita di adolescenti come se fosse un gioco. Schegge di follia si conferma quindi un film sempre fresco e tristemente attuale, a patto che lo spettatore moderno si sforzi di ignorare le orride mise di fine anni '80 e le pettinature ridicole di Winona Ryder, Shannen Doherty e delle due bionde che le affiancano. Ma tanto, quel periodo storico sta tristemente tornando di moda, no?  Gesù, meglio il suicidio!


Di Winona Ryder (Veronica), Christian Slater (J.D.), Shannen Doherty (Heather Duke) e Glenn Shadix (Padre Ripper) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Lehmann è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Hudson Hawk - Il mago del furto, Airheads - Una band da lanciare ed episodi di serie quali Dexter, American Horror Story, True Blood, Californication, Scream Queens e Jessica Jones. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 62 anni.


Brad Pitt aveva sostenuto l'audizione per il ruolo di J.D. ma era stato scartato perché "troppo carino" mentre i genitori di Heather Graham le hanno impedito di partecipare come una delle Heather a causa dell'argomento troppo cupo del film. Jennifer Connelly ha invece rifiutato il ruolo di Veronica, scritto apposta per lei. Jennifer Rhodes, che interpreta la madre di Veronica, sarebbe diventata la nonna delle sorelle Halliwell in Streghe, a cui ha partecipato proprio Shannen Doherty. Per la cronaca, Christian Slater dice di aver mollato Kim Walker (Heather Chandler) durante le riprese del film proprio per mettersi con Winona Ryder ma quest'ultima dice di non essere mai uscita con Slater. SPOILER SUL FINALE: Nella sceneggiatura originale Veronica uccideva J.D. con un colpo di pistola e poi si imbottiva di esplosivo, facendosi saltare in aria; le parole pronunciate dal ragazzo alla fine del film venivano riportate su un biglietto d'addio ritrovato nell'armadietto di Veronica. Il film si concludeva con un prom ambientato in Paradiso dove finalmente, come profetizzato da J.D., tutti ballavano con tutti dimenticando le differenze sociali annullate dalla morte. Ovviamente, i produttori hanno messo il veto ritenendo questo finale troppo cupo per un target di adolescenti. FINE SPOILER. Sono anni che lo sceneggiatore di Schegge di follia ha in mente un sequel nel quale Veronica diventa il portaborse di una senatrice chiamata Heather e interpretata da Meryl Streep ma al momento non ci sono novità all'orizzonte per quanto riguarda questo folle progetto. In compenso, Schegge di follia ha dato origine a un musical e ad una serie TV andata in onda nel 2018, quindi se il film vi fosse piaciuto potreste recuperarla e aggiungere l'immancabile Ragazze a Beverly Hills, Giovani streghe, Amiche cattive, Cruel Intentions, Mean Girls, Jennifer's Body e All Cheerleaders Die. ENJOY!

venerdì 22 marzo 2019

Escape Room (2019)

Spinta da un trailer intrigante, non potevo evitare la visione di Escape Room, diretto dal regista Asam Robitel.



Trama: un eterogeneo gruppo di persone riceve un misterioso rompicapo che, una volta risolto, consegna l'invito per una escape room esclusiva. Poiché il premio in caso di vittoria è sostanzioso, gli invitati accettano la sfida ma si ritroveranno a lottare per sopravvivere all'interno di stanze sempre più pericolose...


Alzi la mano chi non ha mai avuto voglia di cimentarsi in una escape room! Per chi non sapesse di cosa sto parlando, le escape room sono dei giochi di ruolo dal vivo dove le persone vengono chiuse in una stanza (di solito a tema) e hanno un tempo limite per risolvere degli enigmi e uscirne, come viene ben spiegato all'inizio del film dal nerd del gruppo. Se pensate che una cosa simile, oltre ad essere sicuramente divertente, potrebbe risultare ansiogena e claustrofobica per gli utenti più sensibili, probabilmente avrete già capito che gli sceneggiatori di Escape Room hanno ricamato molto su queste due sensazioni e trasformato un innocuo passatempo assai di moda in un incubo dal quale è quasi impossibile uscire. I pregi di Escape Room risiedono non tanto nella trama, benché la ricerca di eventuali indizi per fuggire riesca a coinvolgere lo spettatore e a mettere in moto le sue cellule cerebrali, quanto piuttosto nella fantasia con la quale vengono messe in piedi le peggiori prove ai danni dei concorrenti, soprattutto a livello di scenografia ed effetti speciali. Senza troppi spoiler, i protagonisti si trovano davanti cinque prove diverse, sempre più letali ed impossibili da affrontare, mentre cercano ovviamente di capire chi possa avere deciso di convocarli e sottoporli a torture così inumane; vi avverto, la risoluzione finale è quanto più banale possibile, mutuata da una decina di altri horror a tema "gente infilata in situazioni assurde senza un perché e spiati da telecamere", inoltre offre furbescamente il fianco a possibili, infiniti sequel o addirittura prequel, ma è abbastanza ironica e cupa da non vanificare totalmente quanto è stato mostrato in precedenza, ovvero spicchi di alta tensione più o meno efficaci.


Dopo un inizio che omaggia Hellraiser, il film si snoda in micro-episodi sempre più al cardiopalma, all'interno dei quali conta moltissimo l'efficacia delle scenografie. Particolarmente riuscita, dal mio punto di vista, la dettagliatissima sala da biliardo ribaltata che crea un senso di stordimento ancora maggiore, all'interno della quale ogni complemento d'arredo rappresenta potenzialmente pericolo o salvezza per gli occupanti; se soffrite un minimo di vertigini come la sottoscritta patirete più questa di tutte le altre "stanze" ma anche l'escape room che funge da introduzione al film (anche lì, un trionfo di montaggio e scenografie particolareggiate quasi quanto quelle immagini statiche all'interno delle quali trovare una marea di oggetti nascosti) non è male e sicuramente dispone lo spettatore nello stato d'animo adatto per affrontare il resto della pellicola. Particolarmente apprezzabile, stavolta, è anche il cast, composto da attori non troppo famosi ma comunque espressivi, interpreti di personaggi con un minimo di background e nemmeno troppo bidimensionali. Certo, scommettere su chi sopravviverà all'ordalia è di una facilità estrema, meno facile, in mezzo a tutti questi volti semi-noti, capire l'ordine in cui se ne andranno. Su tutti, comunque, spicca la bella Deborah Ann Woll, protagonista di una delle sequenze più fisiche ed ansiogene del film e di uno sforzo muscolare che avrebbe meritato il plauso di Daredevil. C'è poco altro da dire, in verità, su questo Escape Room, film indubbiamente poco innovativo ma anche perfetto per il divertimento di una sera, su grande o piccolo schermo. I grossi calibri dell'horror devono ancora arrivare e io non vedo l'ora!!


Di Logan Miller (Ben Miller), Tyler Labine (Mike Nolan) e Deborah Ann Woll (Amanda Harper) ho parlato ai rispettivi link.

Adam Robitel è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come The Taking e Insidious: L'ultima chiave. Anche attore, sceneggiatore e produttore, ha 41 anni.


Taylor Russell, che interpreta Zoey Davis, aveva partecipato assieme a Logan Miller a Prima di domani. Alla faccia della fantasia, nel 2017 sono usciti altri due horror a tema, con lo stesso titolo, QUESTO con Skeet Ulrich, mai arrivato in Italia, e QUESTO, che dovrebbe uscire a metà maggio in DVD e Blu-Ray sotto l'etichetta Midnight Factory. Detto questo, se Escape Room vi fosse piaciuto recuperate Cube - Il cubo, i suoi due sequel e almeno il primo Saw. ENJOY!

giovedì 21 marzo 2019

(Gio)WE, Bolla! del 21/3/2019

Buon giovedì a tutti e benvenuti alla settimana più moscia dell'anno, cinematograficamente parlando: i pezzi grossi arriveranno tutti tra sette giorni, purtroppo! ENJOY!

Peppermint - L'angelo della vendetta
Reazione a caldo: Uff.
Bolla, rifletti!: Avevo ottime speranze, già che adoro Jennifer Garner dai tempi di Alias, ma i 400 calci me le ha stroncate. Peccato.

Scappo a casa
Reazione a caldo: Anche no.
Bolla, rifletti!: Aldo Baglio lupo solitario in una commedia demenziale? Non lo so, non me la sento davvero.

Instant Family
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Mark Wahlberg adotta tre ragazzini e scoppia il delirio. Sinceramente, preferisco aspettare aprile e rileggere Due figlie e altri animali feroci di Leo Ortolani!

Al cinema d'èlite di respira aria british!

Peterloo
Reazione a caldo: Wow!
Bolla, rifletti!: Torna Mike Leigh, con il suo primo film "in costume" ad ampio respiro, concentrato sulla società inglese di inizio ottocento, tra regnanti grotteschi e disagio sociale. Interessante, molto!

mercoledì 20 marzo 2019

Boy Erased - Vite cancellate (2018)

Conquistata fin dal trailer, questa settimana sono corsa a guardare anche Boy Erased - Vite cancellate (Boy Erased), diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Joel Edgerton a partire dall'autobiografia omonima di Garrard Conley.


Trama: il giovane Jared, figlio di un pastore, scopre al college di essere gay. Il padre decide quindi di mandarlo in una struttura "correttiva".


Già non dev'essere facile nascere gay e scoprire, quando cominciano ad affacciarsi le prime pulsioni sessuali, di non essere come gli altri si aspettano, ovvero pronto a vivere una "sana" vita di coppia eterosessuale e sfornare tanti bei pargoletti; non oso immaginare cosa debba essere nascere gay in una famiglia estremamente religiosa, che considera l'omosessualità una malattia al pari di una polmonite, un "incidente di percorso" da correggere con l'aiuto di Dio. Non posso (e non voglio) nemmeno cominciare a riflettere sul perché simili cretinate antiscientifiche ed incredibilmente bigotte si siano diffuse al punto da giustificare l'esistenza di centri correttivi apposta per gay, dove le persone vengono costrette a rinnegare se stesse attraverso discutibili percorsi fatti di preghiera e psicanalisi d'accatto, atti ad individuare i motivi esterni che hanno fatto nascere questo "peccato" così da riuscire a liberarsene il prima possibile. Il problema, come sottolinea Garrard Conley che in uno di questi centri c'è stato davvero, è che i ragazzi e le ragazze omosessuali non vengono mandati lì per cattiveria ma probabilmente perché le famiglie sono sinceramente convinte di fare il loro bene e, spesso, non conoscono l'inevitabile incompetenza di chi gestisce queste strutture, magari anche loro animati da buone intenzioni ma comunque capre ignoranti poco meno superstiziose di chi uccide i gatti neri perché portano sfortuna; il risultato di queste "cure", alla fine di un percorso fatto di umiliazione e vergogna quando va bene, rischia tra l'altro di non essere quello sperato dai familiari, poiché giustamente per evitare di vivere in quelle condizioni un istante di più, il paziente decide di mentire a se stesso e agli altri, pronto ad affrontare una vita in perenne clandestinità emotiva, frustrante e triste. Insomma, un incubo. Un incubo legalizzato che Joel Edgerton ha scelto di portare sullo schermo in questo dramma misurato e dai toni delicati ma comunque ben difficile da digerire, all'interno del quale il protagonista, Jared, viene costretto dapprima a prendere dolorosamente coscienza della sua omosessualità, poi della chiusura mentale dei suoi genitori, tanto amorevoli quanto orribilmente bigotti.


Quello che mi ha colpita più di tutto guardando Boy Erased, al di là dell'ovvia condanna di questo tipo di centri, fortemente connotati in maniera negativa con tanto di "villain", è il modo dolceamaro in cui viene descritta la presa di coscienza di Jared, senza storie d'amore esaltanti o relazioni osteggiate dai genitori. Il cammino di Jared verso il coming out è qualcosa di intimo e dolorosamente solitario, fatto di due esperienze segnanti sia in positivo che in negativo e vissute nella solitudine di un college, lontano dagli amici e dalla famiglia; la prima violenza, accolta con terrore dopo mesi di pulsioni segrete e di speranze e la difficoltà a fidarsi nuovamente di chi è omosessuale, si rispecchiano nell'atteggiamento schivo e allo stesso tempo speranzoso di Jared, interpretato alla perfezione da un Lucas Hedges espressivo e dimesso, un ragazzo che minaccia di essere cancellato e di diventare un manichino, un semplice burattino da riempire con le aspettative dei genitori. Due grandi attori come Nicole Kidman e Russell Crowe si limitano, in questo caso, a fare da spalla, sostenendo l'interpretazione di Hedges e in un paio di casi arricchendola, rendendola ancora più emozionante, come nel confronto finale tra padre e figlio o nel momento in cui mamma Nancy si rende conto di cosa si nasconda davvero dietro il centro correzionale ("Shame on you. Shame on you. And shame on me, too"). Joel Edgerton, che come attore ha iniziato a non piacermi proprio, mette al servizio di questa storia personale la sua natura "stundaia" e delicata, creando così un film che non fa urlare al miracolo per quanto riguarda la regia o la sceneggiatura e tuttavia centra l'obiettivo che si era prefissato, preferendo concentrarsi sulla sostanza più che sull'apparenza, dando modo allo spettatore di riflettere e ragionare su una piaga sociale realmente esistente, senza farsi trasportare troppo dagli inevitabili sentimenti. Che sul finale arrivano a colpire duro, a mo' di ginocchiata, ma perlomeno sono sentimenti sinceri, in quanto non si può proprio accusare Boy Erased di essere ruffiano e lacrimevole. In sostanza, un gran bel film, consigliato, magari per aprire un po' gli occhi sulla sofferenza di chi spesso viene considerato "frivolo" e malato o forse solo capriccioso.


Del regista e co-sceneggiatore Joel Edgerton, che interpreta anche Victor Sykes, ho già parlato QUI. Lucas Hedges (Jared Eamons), Nicole Kidman (Nancy Eamons) e Russell Crowe (Marshall Eamons) li trovate invece ai rispettivi link.

Xavier Dolan interpreta Jon. Canadese, soprattutto conosciuto come regista, ha partecipato a film come Martyrs e 7 sconosciuti a El Royale. Anche sceneggiatore, produttore, costumista, compositore, ha 30 anni e due film in uscita tra i quali It: Capitolo 2, dove interpreterà nientemeno che Adrian Mellon.


Flea (vero nome Michael Peter Balzary) interpreta Brandon. Australiano, storico bassista dei Red Hot Chili Peppers, lo ricordo per film come I ragazzi della 56ª strada, Ritorno al futuro - Parte II, Ritorno al futuro - Parte III, Belli e dannati, Il grande Lebowski, Paura e delirio a Las Vegas, Psycho e Baby Driver - Il genio della fuga; come doppiatore, ha lavorato ne I Simpson, American Dad!, I Griffin e Inside Out. Anche sceneggiatore e produttore ha 57 anni.


Se Boy Erased vi fosse piaciuto cercate di recuperare il recente La diseducazione di Cameron Post, che tratta le stesse tematiche. ENJOY!

martedì 19 marzo 2019

Captain Marvel (2019)

Per motivi logistici ho dovuto lasciar passare almeno una settimana dall'uscita ma finalmente anche io ho potuto guardare Captain Marvel e arrivare con un tardivo post SENZA SPOILER.


Trama: Verse è un'aliena kree dal passato misterioso e dagli enormi poteri. Costretta a un atterraggio di emergenza sulla Terra, scoprirà molte spiacevoli verità...



Di Captain Marvel hanno parlato (spesso a sproposito) cani e porci prima ancora che uscisse e probabilmente verrà ricordato come il film che ha fatto scapocciare i nerd di tutto il mondo portandoli ad invocare giustizia a causa di una presunta castrazione del ruolo di maschio alfa per mano di una donna supereroe, santo cielo. Non so perché se la siano presa così tanto visto che prima di Captain Marvel c'era già stata Wonder Woman e, allo stesso modo, non conoscendo il personaggio se non per alcuni collegamenti con l'universo degli X-Men non so se i nerd avessero ragione a insorgere per uno "spirito" non rispettato ma sta di fatto che, per qualcuno che non rientra nella categoria del troglodita internettaro medio, Captain Marvel è il "solito" film Marvel carinissimo ed entusiasmante per le due ore che dura e facilmente dimenticabile il giorno dopo. Origin story perfettamente inserita all'interno del Marvel Cinematic Universe nonché prologo dell'imminente Avengers: Endgame, Captain Marvel racconta il viaggio interiore di una persona, prima ancora di una donna. Un soldato, un'aliena, che si è ritrovata plasmata in qualcosa che forse non è mai stata, parte di una sorta di "coscienza collettiva" che la vuole potente ma nei limiti, grata di farne parte, ligia ai suoi doveri, confusa ma non troppo. Eppure, il passato c'è ed è dannoso ignorarlo, soprattutto quando nei ricordi di Vers, questo il nome della protagonista, c'è qualcosa di fondamentale che ha definito nel tempo la sua personalità: la capacità di rialzarsi, sempre e comunque, dopo ogni batosta, dopo ogni presa in giro, dopo ogni fallimento, dopo qualsiasi tentativo di negare e frustrare i suoi sogni. E' vero, Vers è donna, ma il messaggio che passa attraverso il suo atteggiamento, il suo "vaffanculo" finale a chi pretende di imporle il suo modo di vivere e di comportarsi, è e deve essere universale, un invito a non arrendersi mai e arrivare a brillare di luce propria, cercando e trovando la forza in se stessi, anche a costo di essere delle teste di cocco fatte e finite. Il resto, come si suol dire, è un di più, per quanto piacevole, divertente e necessario. Il giovane Nick Fury, gli Skrull, i Kree, Ronan l'accusatore, il tenerissimo miciotto Goose, protagonista dei momenti più esaltanti della pellicola e preso di peso da Il gatto venuto dallo spazio, la consapevolezza che Captain Marvel sarà una pedina fondamentale nella battaglia contro Thanos, tutto quello che volete, ma il fulcro del film è il percorso di presa di coscienza dell'adorabile Carol Danvers, e non in quanto donna ma in quanto persona.


Lo "sfogo" finale della protagonista è obiettivamente, per quanto forse un po' trash, una delle cose più liberatorie viste in anni di film Marvel, dove l'eroe, quando a un certo punto diventa consapevole dei suoi mezzi, da il meglio di se stesso ma sempre con quella punta di "reticenza" che rende umile persino uno come Iron Man. Captain Marvel invece se ne frega e spacca culi ed astronavi al ritmo di Just A Girl (punta di diamante di una colonna sonora che più anni '90 non si può, ma non dimentichiamoci Celebrity Skin, Come As You Are, I'm Only Happy When it Rains, ecc. ecc.), splendendo gioiosa e consapevole dei suoi mezzi, finalmente libera da qualsivoglia giogo, fisico o psicologico che sia. E' questo che rende Captain Marvel particolare, perché per il resto il film è perfettamente inserito all'interno del carrozzone Marvel, non brilla particolarmente per la regia o per la sceneggiatura, che ha l'unico pregio di essere in perfetto equilibrio tra la cazzoneria di un Thor: Ragnarok e la serietà di un Avengers, ed è popolata da attori che fanno il loro dovere anche quando, come Samuel L.Jackson, sono costretti a subire un lifting computerizzato che li rende più inquietanti di un manichino semovente. Simpatico e sbarazzino il continuo fluire di citazioni che contestualizzano il film nell'epoca degli anni '90, non sfacciato come gli omaggi trash di James Gunn e Taika Waititi ma in qualche modo delicato e gradevole; le mise delle protagoniste, con le maglie dei gruppi musicali dell'epoca e il profumo grunge che permea l'intero reparto costumi, è una botta di nostalgia più grossa dei riferimenti a Blockbuster, per intenderci, ma la palma della citazione (accompagnata da una bruschetta nell'occhio grossa come il Fenomeno) va al delizioso Stan Lee che legge la sceneggiatura di Generazione X, film di Kevin Smith che ogni True Believer dovrebbe guardare. Voto 3, invece, all'adattamento italiano: "giovanotta" fa il paio con il "benone" di Venom ("young lady" di solito viene reso con un "signorinella", by the way) e il riferimento alla password Wi-fi è imbarazzante, considerato che quella tecnologia non avrebbe preso piede ancora per un decennio come minimo (e infatti Fury parla di password Aol in originale). Potrei anche aver sentito Jude Law ciccare clamorosamente un congiuntivo all'inizio ma forse ero solo obnubilata dalla sua incommensurabile fighezza. Chissà. A parte tutto, Captain Marvel va visto, per più di un motivo, soprattutto se non vedete l'ora che arrivi Avengers: Endgame o se siete gattari incalliti come me. Rimanete incollati alla poltrona del cinema fino all'ultimo titolo di coda e divertitevi!


Di Brie Larson (Carol Danvers/Vers/Capitan Marvel), Samuel L. Jackson (Nick Fury), Ben Mendelsohn (Talos/Keller), Jude Law (Yon-Rogg), Annette Bening (Suprema intelligenza/Dottoressa Wendy Lawson), Clark Gregg (Phil Coulson), Djimon Hounsou (Korath), Lee Pace (Ronan) e Mckenna Grace (Carol a 13 anni) ho parlato ai rispettivi link.

Anna Boden è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto film come Sugar e 5 giorni fuori. Anche produttrice, ha 43 anni.
Ryan Fleck è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, ha diretto film come Sugar e 5 giorni fuori. Ha 43 anni.


La scena mid-credit è stata diretta dai fratelli Russo. Captain Marvel, cronologicamente, si colloca dopo Captain America: Il primo vendicatore, ma tanto vi toccherà recuperare tutto se vorrete godere appieno del film: Iron ManIron Man 2, L'incredibile HulkThor , The Avengers, Iron Man 3Thor: The Dark WorldCaptain America: The Winter SoldierGuardiani della GalassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of UltronDoctor StrangeSpider-Man: Homecoming ,Captain America: Civil WarThor: RagnarokAnt-ManAvengers: Infinity WarAnt-Man and the Wasp e Black Panther. ENJOY!

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