La challenge di oggi prevedeva un horror indiano, così ho scelto Tumbbad, diretto nel 2018 dal regista Rahi Anil Barve.
Trama: Tumbbad è una città maledetta dagli dèi, che tuttavia nasconde al suo interno un enorme tesoro. Autoproclamatosi erede del luogo, Vinayak affronta la maledizione per arricchirsi...
Non conosco affatto il cinema indiano, e già solo definirlo "cinema indiano" probabilmente è un errore in partenza, vista la miriade di etnie, lingue e produzioni che costellano la cinematografia del luogo. Mi sono dunque messa a guardare Tumbbad con inusuale curiosità, catturata fin dall'inizio dalla natura fiabesca e folkloristica dell'opera. Il film inizia col racconto della leggenda di Hastar, primogenito della Dea della Prosperità, condannato al perpetuo oblio dopo aver rubato tutto l'oro degli dei e aver tentato di sottrarre loro anche il cibo. Benché sia stato proibito venerare e persino nominare Hastar, gli uomini hanno eretto un tempio in suo onore all'interno della città di Tumbbad, divenuta così un luogo maledetto e funestato da piogge perenni. La vicenda vera e propria comincia nel 1918 e segue l'infanzia di Vinayak, depositario, assieme alla madre, del segreto di Tumbbad e mosso dal desiderio di recuperare il favoleggiato tesoro nascosto all'interno della città. Pur consapevole dell'orrore che attende chiunque cerchi di recuperare il tesoro, Vinayak è un "avido bastardo" e, crescendo, non può fare a meno di ignorare gli avvertimenti della madre e tentare di arricchirsi con la sua "eredità", con tutto ciò che ne consegue. Non starò a fare troppi spoiler, ma Tumbbad è bello per la sua natura di favola nera, di cui contiene tutti i topoi. C'è un tesoro da recuperare con astuzia, un po' come faceva Aladino, accontentandosi di poche monete per volta pena un destino orribile, e la morale di fondo invita a non essere avidi; in più, il terribile Hastar brama la farina più dell'oro e ciò offre la possibilità di poterlo ingannare con qualcosa di semplice ma indispensabile al sostentamento umano, e anche questo è un elemento tipico delle favole. L'elemento fantastico diventa metafora della storia coloniale dell'India (non a caso il film tocca tre diversi periodi storici fondamentali per l'indipendenza del Paese) e anche, più in generale, di un capitalismo che viola il ventre della madre Terra, sacrificando risorse importanti per fare la bella vita con pochi spiccioli e ammassare il resto fuori dalla portata di chi ne avrebbe davvero bisogno.
La trama "semplice" di Tumbbad è impreziosita da aspetti tecnici che farebbero impallidire le produzioni occidentali più blasonate. Al di là del fatto che la CGI possa piacere o meno, quindi l'unica cosa che avrei cambiato del film è Hastar, che ho trovato orrendo, la cura delle scenografie (con un ventre della Dea particolarmente umidiccio e realistico), dei costumi e degli effetti speciali è incredibile (l'idea che il film sia stato girato nel corso di anni, così da sfruttare i monsoni veri per ricreare la pioggia battente sulla città titolare, mi ha sconvolta). Coadiuvata da una fotografia splendida che trasforma ogni scorcio naturale, urbano o fantastico in una vista mozzafiato, la macchina da presa si lancia in inquadrature ardite e dinamiche, quindi la parte horror ambientata all'interno di sotterranei o labirintici edifici poco illuminati è sorprendente e ansiogena come pochi, perché non segue i blandi, prevedibili jump scare occidentali. Inoltre, il design delle creature è interessante e la "nonna" di Vinayak fa davvero paura, cosa che mi ha spinta a preferire la prima parte rispetto alla seconda e alla terza, più legate a un percorso di progressiva distruzione del protagonista quindi meno spaventose, salvo per un paio di sequenze da brividi. Per quanto riguarda Vinayak, l'attore Sohum Shah, anche produttore del film, è bravissimo a dare vita a un personaggio insopportabile, che causa sentimenti ambivalenti: da una parte, ci ritroviamo nostro malgrado a tifare per Vinayak e la sua avidità, mitigata da pochi sprazzi di pietoso altruismo, dall'altra lo vorremmo vedere morto in quanto perfetto rappresentante di una società fortemente maschilista, dove i padri ignorano o disprezzano i propri figli, e questi ultimi, se maschi, tendono ad ignorare le madri, voci della ragione tenute spesso all'oscuro di ciò che accade al di fuori del focolare. Ma forse questo è un punto di vista troppo occidentale per essere sensato, e lo stesso vale per la reazione sconvolta che ho avuto davanti alla colonna sonora, che per tre-quattro volte offre un riassunto cantato di ciò che sta accadendo sullo schermo, neanche ci trovassimo davanti a un musicarello. Come ho scritto all'inizio, purtroppo non conosco il cinema indiano, quindi mi stupisco per le cose più cretine, quando magari questi momenti musicali sono la norma. Comunque, è una particolarità in più che non inficia per nulla la qualità della pellicola, anzi, la rende ancora più originale e interessante, quindi vi invito a recuperare Tumbbad e guardarlo in completa fiducia!
Rahi Anil Barve è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, per ora al suo primo lungometraggio. Ha 45 anni e un film in uscita.



