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domenica 11 novembre 2018

Il Bollodromo #68: Hill House (2018)

Ci ho messo praticamente un mese a finirla e non perché non mi piacesse, anzi. Ma perché purtroppo i telefilm non ho tempo di vederli, nemmeno quelli brevi, e tocca centellinarli a "pezzetti" di 15, 20 minuti per volta, cosa che purtroppo sempre più spesso accade per i film, ché avere una sera libera, ad un orario decente, senza rischiare di crollare addormentata dopo le prime sequenze, è ormai un'utopia. E quindi arrivo, molto in ritardo, a parlare di Hill House (The Haunting of Hill House), miniserie distribuita da Netflix e realizzata dall'adorato Mike Flanagan. ENJOY!


Di cosa parla?

Hill House è, come da titolo, la rivisitazione del famoso romanzo di Shirley Jackson, già portato sullo schermo dallo splendido Gli invasati e dall'orrido Haunting - Presenze. Tolti di mezzo gli "investigatori del paranormale", la storia si concentra sui membri della famiglia Crane e sugli strascichi del loro breve soggiorno all'interno di Hill House negli anni '90, che ha portato alla morte di mamma Olivia e al progressivo disagio mentale di figli e marito, perseguitati da fantasmi e sensi di colpa.

Cose che mi sono piaciute
Tutto. Tutto, tutto, tutto. Hill House è IL capolavoro di Mike Flanagan, l'occasione per dimostrare a chiunque la sua bravura senza il limite temporale di un film magari non scritto da lui. Definirlo libero "adattamento" de L'incubo di Hill House oppure semplice serie sovrannaturale è davvero limitante perché, in questo caso, più dell'aspetto horror, più della ghost story, più della malvagità insita nell'edificio, contano i personaggi e i rapporti che li legano. Se è vero, infatti, che alcune sequenze di Hill House sono spaventose ed inaspettate, la sensazione che la serie lascia allo spettatore è principalmente di profonda commozione e più volte mi sono ritrovata a piangere come un vitello per il connubio perfetto tra sceneggiatura, recitazione e colonna sonora. Ad oggi, non mi era mai capitato di trovare all'interno di una miniserie dei personaggi così ben scritti, capaci di conquistare in poco tempo l'affetto dello spettatore con tutti i loro pregi e difetti, talmente umani da bucare lo schermo. Theo, Nell, Shirley, Luke e Steven, da grandi o da bambini, sono cinque fratelli che viene voglia di abbracciare dopo averli presi a schiaffi per le scelte scellerate di alcuni di loro, un po' come succede nelle vere famiglie; si gioisce con loro, quando le poche gioie arrivano, si prova una pena infinita quando la maledizione di Hill House giunge a sconvolgere le loro esistenze e lo stesso vale per i loro genitori. In particolare, Hill House è un atto d'amore di Flanagan verso la moglie, la splendida Kate Siegel, che in questa serie si è vista regalare il ruolo della vita e il monologo più bello dell'anno, interpretato in maniera magistrale. La sua Theo è probabilmente la cosa più bella di Hill House ma non sottovaluterei nemmeno i tenerissimi gemellini interpretati dai pucciosi Julian Hilliard e Violet MacGraw mentre Carla Cugino merita un solo aggettivo: divina. Non che il resto del cast sia da meno e lo stesso vale per la cura infusa nelle scenografie dei vari ambienti della casa, evocativi e terribili, falsamente accoglienti ed ingannevoli, come mostra uno dei migliori twist della serie. Insomma, non ho le parole per raccontare ed invogliarvi a vedere Hill House ma credetemi quando vi dico che, ad oggi, è la cosa più bella mai prodotta da Netflix e varrebbe la pena di farsi un abbonamento solo per vederla.

Cose che non mi sono piaciute
Non ce ne sono, davvero. Al limite, avrei voluto durasse per sempre, quello sì.

E quindi?
E quindi io non ho altro da dire. Leggete QUI e QUI e non perdetevi la serie Netflix più bella di sempre. The rest... is confetti.


mercoledì 7 ottobre 2015

Nausicaa della Valle del vento (1984)

Dal 5 al 7 ottobre molti fortunati cinefili dei quali io purtroppo non faccio parte potranno godersi al cinema Nausicaa della Valle del vento (風の谷のナウシカ - Kaze no tani no Naushika), diretto e sceneggiato nel 1984 da Hayao Miyazaki prima della fondazione dello Studio Ghibli e tratto dall'omonimo manga da lui serializzato  dal 1982 al 1994. Ovviamente, pur non avendo a disposizione sale che lo proiettano, Nausicaa è in giro da tantissimi anni e per questo oggi riuscirò comunque a parlarvene un po'.


Trama: dopo una terribile guerra nucleare l'umanità è quasi estinta e i pochi sopravvissuti vivono in comunità site ai margini del Mare della putrefazione, una distesa di terra velenosa e desertica nella quale prosperano insetti giganteschi. Nausicaa è la principessa della Valle del Vento, dove gli abitanti vivono in armonia con la natura, nel poco spazio di territorio ancora incontaminato e un giorno è costretta ad affontare l'invasione della principessa Kushana e delle sue truppe, alla disperata ricerca di un modo per far sorgere nuovamente il Dio Guerriero...


Nausicaa della Valle del vento è stato, assieme a Proteggi la mia terra, il primo manga "serio" che abbia mai comprato e letto. Era il 2000, frequentavo il primo anno di università e l'idea di spendere quasi 10 euro al mese per un fumetto era al limite dell'irresponsabilità viste le mie scarse finanze; eppure, ero stata rapita dagli eleganti disegni di Miyazaki, dall'edizione gigante con le tavole virate in seppia, dagli splendidi acquerelli delle copertine, quindi come avrei potuto rinunciarvi? Col senno di poi sono felicissima di averlo fatto perché quella di Nausicaa è una storia splendida e commovente, un vero Capolavoro manga, un racconto in grado di parlare al cuore del lettore e di farlo riflettere. Non si tratta di una storia semplice e di immediata comprensione, questo no: la trama del manga racchiude in sé non solo il messaggio ecologista dell'anime ma anche profonde riflessioni sul ruolo della donna, sulla filosofia, sulla religione, sulla guerra e sulla natura umana e servirebbero una serie di post solo per sviscerare il contenuto dei singoli volumi. Eppure, nonostante tutta questa carne al fuoco e alla progressiva trasformazione di Nausicaa da ragazzina vivace ad adulta protettrice di un doloroso segreto, io ai personaggi di Miyazaki non ho mai smesso di volere bene. L'anime Nausicaa della Valle del vento mette in scena l'azione dei primi due volumi del manga perché il sensei lo stava ancora scrivendo e ciò ha reso l'opera filmica molto più "semplice", fruibile ed universale rispetto alla sua controparte cartacea ma non meno bella o poetica. In essa, assistiamo alle peripezie della giovane Nausicaa, principessa della Valle del vento dotata di strani poteri (o per meglio dire di una sensibilità particolare) che le permettono di entrare in comunione con la natura e la spinge a provare una sana ed irrefrenabile curiosità verso tutto ciò che la circonda. Il cielo azzurro dove la protagonista si libra col suo Mehve è in netto contrasto con l'oscurità velenosa che ha ormai inghiottito la Terra; quello di Nausicaa è infatti un mondo post-apocalittico, retrocesso ad una sorta di medioevo a seguito di una terribile guerra nucleare che ha spazzato via buona parte della civiltà. La terra stessa è diventata velenosa e putrida, in essa convivono laghi acidi e foreste dall'aspetto spettrale in grado di generare spore velenose e contaminanti oltre a fungere da tana per insetti giganteschi e pericolosi, però nella Valle del vento la gente vive in pace e gli abitanti sono arrivati ad accettare questa situazione. Così non è per la gente di Pejite che, alleatasi con la Principessa Kushana e spinta dalla folle idea di spazzare via il cosiddetto Mare della putrefazione e liberare la terra dagli insetti, decide di riesumare il Dio Guerriero, ultimo superstite della stirpe di mostri artificiali che già una volta aveva annichilito il pianeta.


Nausicaa della Valle del vento parte da una situazione in cui guerra, brama di potere e stupidità hanno irrimediabilmente rovinato l'ambiente, rendendolo velenoso ed inospitale e fiaccando l'anima delle persone, costrette a vivere nella paura della morte incombente. L'arroganza degli esseri umani, convinti di avere il diritto esclusivo di stare sulla terra, viene messa in discussione con eleganza e delicatezza dal Sensei Miyazaki; attraverso il personaggio di Nausicaa lo spettatore arriva a comprendere l'incredibile capacità della natura di rinnovarsi e purificarsi da quello che è il parassita più nocivo, quella porzione di umanità incapace di rispettare ciò che la circonda e fermamente convinta che il mondo sia suo, tanto da ergersi a giudice e boia di creature innocenti o da sentirsi in diritto di creare delle aberrazioni per il solo gusto di conquista. A differenza degli altri, Nausicaa è in grado di aprire il proprio cuore e ascoltare la voce della Natura, che siano vento o insetti, e di comprendere l'enorme e doloroso segreto celato nelle profondità della Foresta. E' grazie a lei che noi spettatori, nonostante siamo consapevoli della loro pericolosità, arriviamo ad amare gli occhi azzurri dei pericolosi Ohmu (i colori utilizzati per l'anime non sono solo belli, sono proprio ipnotici) e anche la bellezza incredibile della Foresta pietrificata, con le spore che fluttuano nell'aria come neve; rifuggiamo la bassezza di Kushana e il disgustoso, purtrido orrore del Dio Guerriero, che pure dovrebbero essere i campioni dell'umanità, e bramiamo di poter volare insieme a Nausicaa coronando la passione di Miyazaki per i velivoli strani, anche se basterebbe un solo soffio di vento a farci marcire i polmoni. Il destino dell'uomo, per come viene dipinto da Miyazaki, non è dei più sereni, nonostante la visione salvifica e quasi messianica di una Nausicaa in piedi in mezzo alle "spighe d'oro". Eppure, chissà perché guardando Nausicaa nella valle del vento mi sono commuovo sempre, fino a riuscire ad accettare un imminente destino di morte, poiché anche in essa ci sono vita e rinnovamento, magari non per noi ma sicuramente per quelli che verranno dopo, che non meritano il mondo disastrato e velenoso che stiamo lasciando. Sono tanti anni, più di trenta, che la voce degli Ohmu tenta di metterci in guardia, pur cullandoci con le meravigliose immagini di Miyazaki e le splendide musiche di Joe Hisaishi, ma è più facile fare orecchie da mercante come Kushana e affidarci ad un qualche Dio Guerriero che cancelli tutto ciò che gli esseri umani hanno fatto di buono, lasciandoci solo paura, desiderio di vendetta e profonda ignoranza. Sta succedendo a Palmira, succede ogni giorno in ogni parte del mondo. Il racconto di Miyazaki è valido tanto oggi quanto allora e c'è solo da augurarsi che la storia di Nausicaa ci insegni prima o poi ad osservare, ascoltare, capire e rispettare questo mondo malato prima che sia troppo tardi.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho parlato QUI.

Nausicaa della Valle del vento è stato trasmesso solo una volta in Italia, nel 1987 su Rai 1. Non so dire se fosse la versione integrale ma credo di sì visto che, a quanto pare, il film è stato diviso in quattro parti, mentre agli americani nel 1985 è toccato sorbirsi un adattamento pesantemente tagliato: Warriors of the Wind, questo il titolo della pellicola mutilata, è stato privato di quasi 25 minuti di girato, tra cui i titoli di testa e di coda, le sequenze in cui Nausicaa esplora la foresta, il dialogo tra lei e Yupa nel laboratorio, i flashback della giovane Nausicaa e dell'Ohmu e i momenti in cui Nausicaa e Asbel discutono della natura della foresta, inoltre molti dialoghi sono stati completamente riscritti (autore dello scempio è stato David Schmoeller, sceneggiatore di Puppet Master e dei suoi seguiti. Come possano aver anche solo PENSATO di metterlo a confronto con Miyazaki è un mistero). Nel 2012 invece, in occasione della mostra Kanchō Anno Hideaki Tokusatsu Hakubutsukan, è stato presentato il corto live action Kyoshinhei Tôkyô ni arawaru (Il Dio robot gigante compare a Tokyo), una sorta di "prequel" di Nausicaa della Valle del vento diretto da Shinji Iguchi, regista del recentissimo L'attacco dei giganti e autore degli storyboard della serie Evangelion: purtroppo non riesco a trovarlo da nessuna parte, se qualcuno ha idea di dove possa reperirlo mi faccia un fischio via mail! Detto questo, se Nausicaa della Valle del vento vi fosse piaciuto recuperate La città incantata e La principessa Mononoke. ENJOY!

domenica 20 settembre 2015

Inside Out (2015)

Giovedì sono andata a vedere Inside Out, diretto e co-sceneggiato dai registi Pete Docter e Ronaldo Del Carmen. Le aspettative per l'ultimo film della Pixar erano altissime e sono state tutte ripagate.


Trama: fin dalla più tenera età, l'interno della testa dell'undicenne Riley è governato dalle emozioni Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto. Dopo un traumatico trasloco, Tristezza comincia a comportarsi in modo strano e contamina i ricordi base della ragazzina; Gioia cerca di fermarla ma finiscono entrambe fuori dal "centro di controllo" assieme a questi importanti ricordi, perdendosi nella mente di Riley e lasciandola in balia di Paura, Rabbia e Disgusto..


Sono passati parecchi giorni ma ancora non riesco a dimenticare le mille emozioni che ha suscitato in me la visione di Inside Out, ultimo arrivato in casa Pixar e subito entrato di diritto nella top 5 dei capolavori della casa di produzione americana. Non sarà facile scrivere un post sensato perché non riesco a ripensare alla maggior parte delle sequenze presenti nel film senza sentire un groppo in gola, un magone difficile da spiegare. Perché Inside Out, al netto delle gag esilaranti (e ce ne sono tante, soprattutto negli imperdibili titoli di coda), della caratterizzazione splendida delle cinque emozioni che governano la piccola Riley, dell'incredibile bellezza della sua realizzazione, è un'amarissima e per questo molto realistica rappresentazione del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, un passaggio che, per dirla negli stessi termini utilizzati nel film, si è probabilmente sedimentato nella mente di molti di noi come un "ricordo base", fondamentale per lo sviluppo della nostra personalità. Senza stare a raccontare la trama del film o a rovinare la sorpresa, Inside Out è una pellicola "tosta", capace di veicolare un messaggio complesso senza ricorrere a spiegoni e senza concedere scappatoie allo spettatore, che viene brutalmente spinto a ricordare e rivivere esperienze che ognuno di noi avrà sperimentato almeno una volta nella vita. La complessità dei ricordi, che da bambini avevano ognuno un "colore" specifico e che crescendo hanno cominciato ad acquisire sempre più sfumature, sensazioni tristi che vanno necessariamente a braccetto con i momenti più felici, inevitabili "sacrifici" richiesti dal tempo che passa e dalla necessità di crescere, emozioni apparentemente negative che servono invece a renderci più sensibili e percettivi; sono tutti argomenti che Inside Out affronta con eleganza e semplicità, deliziandoci con un paesaggio mentale allo stesso tempo favoloso ma anche molto realistico e offrendoci alcune ironiche spiegazioni sui più comuni "scherzi mentali" a cui siamo soggetti quotidianamente, come il deja vu, quelle maledette canzoncine che non riusciamo a toglierci dalla testa o quelle nozioni di trigonometria che sono andate misteriosamente diminuendo fino a venire dimenticate del tutto.


Inside Out, come dice il titolo, è un viaggio all'interno della mente della protagonista ma anche la rappresentazione delle conseguenze di questo viaggio nella vita quotidiana di Riley, che smette di'essere una ragazzina solare e gioiosa diventando all'improvviso cupa, incapace di provare emozioni che non siano di rabbia, disgusto e paura. L'intelligenza del film sta nel rappresentare ciò che dall'esterno può essere percepito (soprattutto da genitori ed insegnanti) come un periodo negativo di transizione in modo che invece, per le emozioni all'interno della testa di Riley, equivalga ad una sorta di armageddon, con intere zone di paesaggio annichilite da forze sconosciute oppure sgomberate da solerti operai mentali; in realtà, tutto quello che succede a Riley è quello che è accaduto (o che prima o poi accadrà) a tutti noi ed è proprio la consapevolezza di stare assistendo ad eventi normali e condivisibili a rendere Inside Out un piccolo gioiello in grado di regalarci ben DUE racconti di formazione, uno più bello ed intrigante dell'altro. Ognuno a suo modo, i due personaggi chiave della pellicola imparano che non è giusto indulgere costantemente in pensieri tristi e sprecare la propria esistenza a lamentarsi ma non è neppure giusto prendere tutto alla leggera, convincendosi che ogni cosa possa essere risolta con una risata o che tutto stia andando per il meglio: questo è l'importantissimo messaggio che Inside Out vuole comunicare. E' un messaggio forse impopolare e di sicuro contro corrente rispetto a quell'"impara a fischiettar" che negli anni '30 cercava di inculcarci la buona Biancaneve, sorridente persino davanti alla morte, ma io mi sento meglio sapendo che un cartone animato si sia preso il mal di pancia di insegnare ai bambini che la vita può essere brutta e che non si può essere vincitori sempre e comunque; se la vita dà dei limoni non bisogna fare per forza buon viso a cattivo gioco e bersi una limonata con gli amici oppure "fischiettare" aspettando che passi ma avere la sensibilità (cosa rarissima a questo mondo) di ascoltare e condividere la tristezza altrui oltre al coraggio di vincere Rabbia, Paura e Disgusto e confidarsi con chi è pronto a consolarci ed aiutarci. Forse, quest'atteggiamento non ci porterà dritti sulla Luna che sognavamo da piccoli ma chissà che non ci possa semplicemente aiutare a vivere un'esistenza serena benché semplice e, soprattutto, ad affrontare tutti quei cambiamenti che riteniamo devastanti ed impossibili da superare. Per il resto, ci sono sempre i sogni e i ricordi preziosi, quelli non ce li può togliere nessuno perché sono parte di noi e di ciò che siamo. Tra i miei ci sarà di sicuro e per sempre questo meraviglioso Inside Out... e almeno UN indimenticabile, dolcissimo e coraggioso personaggio.


P.S.
Sì, il corto Lava, che precede il film, è meraviglioso. Sì, la canzone che fa da trama e colonna sonora insieme è entrata di diritto a far parte di quelle melodie che partono a tradimento nella mia testa. E sì, piango ogni maledetta volta che succede. Grazie, Pixar.


Del regista e co-sceneggiatore (nonché voce originale della rabbia di papà) Pete Docter ho già parlato QUI mentre Kyle MacLachlan, che doppia il papà di Riley, lo trovate QUA.

Ronaldo Del Carmen è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Filippino, ha diretto episodi della serie Freakazoid. Anche e soprattutto animatore, ha 56 anni.


Tra le altre ventisette emozioni prese in considerazione c'erano anche Sorpresa, Orgoglio e Fiducia, ma i realizzatori hanno deciso alla fine di limitarsi a cinque, per rendere tutto meno complicato e sono stati eliminati anche un cucciolo e una sorella minore, per rendere Riley più vulnerabile; allo stesso modo, è stato presto scartato il primo plot di Inside Out, nel quale un bimba di 8 anni veniva colpita da un ramo perdendo la memoria a breve termine e costringendo le emozioni a recuperare i ricordi, così come l'accoppiata Gioia-Paura (al posto di Tristezza) o l'idea di fare viaggiare Riley nella propria mente. A parte questo, sappiate che nell'edizione home video del film sarà incluso anche il corto Riley's First Date?, che prosegue la storia del film; nell'attesa, QUI trovate un assaggio e se Inside Out vi fosse piaciuto recuperate Up, la saga di Toy Story e Monster & Co. ENJOY!

lunedì 30 settembre 2013

Roma, città aperta (1945)

Ogni tanto anche la TV passa qualche film degno di essere visto, quindi in occasione dell'anniversario della morte di Anna Magnani giovedì scorso ho guardato per l'ennesima volta Roma, città aperta, diretto nel 1945 da Roberto Rossellini.


Trama: nella Roma ancora invasa dai tedeschi si intrecciano le vite di Pina, vedova incinta e in procinto di risposarsi, di Manfredi, ricercato dalla Gestapo per i suoi contatti con i badogliani, e di Don Pietro, mite prete deciso ad aiutare chiunque glielo chieda...


Aiuto. Recensire il primo esempio di neorealismo e un capolavoro del cinema italiano nonché uno dei film che adoro in assoluto, considerato quanto ne hanno già scritto e parlato menti ben più auliche della mia (uno su tutti: Scorsese con il suo Viaggio in Italia) sarà un dramma e un'impresa impossibile. Proviamoci partendo dall'apprezzare innanzitutto l'innegabile valore storico di Roma, città aperta. Pur facendo delle concessioni al melodramma e alla commedia, la pellicola di Rossellini è innanzitutto lo spaccato di una società ancora immersa negli orrori della guerra, di un'epoca in cui gli alleati erano sbarcati ma ancora non erano arrivati a Roma ("Ma esisteranno davvero 'sti Americani?") e si concentra essenzialmente sulle condizioni delle classi disagiate, sulle loro speranze di libertà e riscatto, su un paesaggio urbano profondamente ferito e mutato e ripreso dal vero senza l'utilizzo di ricostruzioni in studio, anche perché gli studi di Cinecittà all'epoca erano stati trasformati in rifugio per gli sfollati. A tratti, Roma, città aperta sembra quasi un documentario sul quale è stata cucita una sceneggiatura (che è stata nominata all'Oscar e vede coinvolto anche Federico Fellini) per coinvolgere il pubblico ed invogliarlo a guardarlo perché, bene o male, tocca tutti gli ambienti popolari e mostra soprattutto il modo di vivere dei proletari o disoccupati dell'epoca: famiglie che erano costrette a condividere appartamenti piccolissimi, gli assalti ai forni causati dalla fame, il lavoro subordinato alla fedeltà al regime, l'importanza della Chiesa nella vita quotidiana e nei momenti particolari come matrimoni, funerali o l'educazione dei bambini, la costante ingerenza dell'esercito tedesco e degli italiani "traditori", costretti dalla disperazione a vendersi per privilegi minimi.


Ad arricchire poi l'innegabile bellezza di questo interessante sguardo sulla Storia del nostro paese si aggiungono una storia coinvolgente e la bravura di tutti gli attori coinvolti, in particolare, ma sembra quasi superfluo dirlo, di Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Non è un caso se le sequenze che li riguardano sono passate alla storia e sono quelle che rimangono più impresse nella mente dello spettatore. Anna Magnani è la sora Pina, una donna forte che dalla vita e dalla guerra ha ricevuto già una buona parte di dolore, una donna "del popolo" nel senso migliore del termine perché è pratica, combattiva e orgogliosa; l'attrice romana, dotata non di grande bellezza ma di grande fascino e di due occhi profondi e tristi è semplicemente perfetta per il ruolo e spezza il cuore non solo nella famosa, tragica scena della sua morte ma anche durante il dialogo assieme a Francesco, il futuro marito, un dialogo dove la sora Pina ascolta le parole speranzose dell'uomo e si commuove, osando sperare in un futuro migliore per entrambi e per i loro figli. Aldo Fabrizi, invece, incarna la splendida e tragica figura di Don Pietro, all'inizio protagonista di alcune simpatiche scene debitrici di un certo tipo di commedia popolare e in seguito uno dei personaggi più profondi e complessi dell'intera pellicola; la scena che lo vede maledire i responsabili della morte di Manfredi per poi pentirsene amaramente mi ha sempre emozionata molto più della sequenza più famosa e d'impatto, quella della fucilazione al cospetto dei bambini che fischiano per manifestare la propria vicinanza allo sfortunato e coraggioso prelato. E non è questo l'unico momento genuinamente commovente di un film che strazia il cuore a più riprese, fa sorridere, riflettere e prendere coscienza di chi fossero i veri italiani, quelli con le palle, quelli generosi, quelli che combattevano, quelli che nonostante venissero schiacciati a più riprese conservavano sempre un incredibile orgoglio. In tempi deprimenti come questi, in cui la situazione economica, politica e soprattutto sociale del nostro Paese è poco superiore a quella di un paese del quarto mondo, un film come Roma, città aperta non è solo un capolavoro, ma un'incredibile lezione di vita. Da recuperare, assolutamente.

Roberto Rossellini è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come Paisà, Germania, anno zero, Stromboli, Francesco giullare di Dio e Ro.Go.Pa.G. Anche produttore e attore, è morto nel 1977 all’età di 71 anni. 


Aldo Fabrizi interpreta Don Pietro. Nato a Roma, lo ricordo per film come Francesco, giullare di Dio, Guardie e ladri, Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi, C’eravamo tanto amati e Il ginecologo della mutua. Anche sceneggiatore, regista e produttore, è morto nel 1990 all’età di 84 anni.


Anna Magnani interpreta Pina. Nata a Roma, la ricordo per film come Bellissima, La rosa tatuata (che le è valso l’Oscar come migliore attrice protagonista), Selvaggio è il vento e Mamma Roma. Anche sceneggiatrice, è morta nel 1973 all’età di 65 anni.


Una piccola curiosità prima dei soliti consigli: nonostante l'incredibile interpretazione di Nannarella, la Magnani non era stata la prima scelta di Rossellini per il personaggio di Pina, bensì la viscontiana Clara Calamai. Infine, se Roma, città aperta vi fosse piaciuto, recuperate gli altri due "pezzi" della Trilogia della guerra, ovvero Paisà e Germania, anno zero. ENJOY!!

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