mercoledì 8 aprile 2020

Il tempo dei gitani (1988)

Qualche giorno fa ho recuperato Il tempo dei gitani (Dom za vešanje), diretto e co-sceneggiato nel 1988 dal regista Emir Kusturica.


Trama: il giovane zingaro Perhan vive con la nonna, lo zio e la sorellina zoppa. Nella speranza di curare quest'ultima, il ragazzo si affida al denaro del boss della zona ma finisce invischiato in un giro di delinquenza senza via d'uscita...


Ho uno strano metodo di recupero film, che seguo apposta per evitare di fossilizzarmi su opere "sicure", che so per certo potrebbero piacermi. In base a questo metodo, dopo la visione di Underground è cicciato fuori Il tempo dei gitani, altra pellicola che avrei rischiato di non vedere mai, perdendomi così una delle opere più belle che siano mai passate sullo schermo di casa Bolla. Probabilmente, anzi, Il tempo dei gitani mi è piaciuto più di Underground, nonostante un Bolluomo che mi prendeva in giro parlando di un Bregovic un po' sottotono; in realtà, la colonna sonora de Il tempo dei gitani è uno dei motivi per cui ho adorato il film senza riserve, perché è molto più malinconica e "solenne" di quella di Underground, non tanto per la melodia suonata con la fisarmonica da Perhan (splendida, poi io adoro la fisarmonica per una sorta di riflesso Pavloviano che mi porto dietro dai tempi di Lady Oscar), quanto per quella che accompagna il sogno del protagonista e tutti i momenti più drammatici, e che è stata capace di strapparmi più di una lacrima. Sì, a un certo punto spunta anche un motivo che i fan di Mai dire Gol e di Aldo, Giovanni e Giacomo dovrebbero conoscere bene, e lì mi sono piegata in due dal ridere, ma non divaghiamo, ché Il tempo dei gitani non merita tutta questa trivialità. Il tempo dei gitani è un film particolare, che mescola elementi fantastici e comici a un profondo dramma umano fatto di povertà e fiducia tradita, di tradizioni ancestrali e spirituali che cozzano con una modernità fatta di soldi e materialità, il tutto vissuto sulla pelle di un ragazzo costretto a diventare uomo troppo in fretta e preso spesso per il naso da una vita spietata. Perhan non ha padre né madre, è stato cresciuto da una nonna che lo adora come fosse suo figlio e vive, in totale povertà o quasi, assieme a lei, alla sorellina zoppa Danira e allo zio pazzo, drogato di gioco d'azzardo; la nonna cerca di mantenere la famiglia con le sue arti di guaritrice, che si uniscono ad una piccola produzione di calce, e proprio quelle arti attirano l'attenzione del boss del paesino, quando suo figlio minaccia di morire per una malattia. Per ricambiare il servigio, al boss viene chiesto di portare la piccola Danira in un ospedale di Lubiana e da lì cominciano le peripezie di Perhan, che si ritrova costretto a vivere un'esistenza da ladro e truffatore per pagare debiti sempre più ingenti, vittima dei raggiri di chi non ha alcuna intenzione di fare del bene a lui né alla sua famiglia, eppure continua a chiamarlo "fratello" e a dichiarare di volergli bene "come a un figlio".


La storia di Perhan è la storia di moltissime persone che si sono ritrovate, per povertà o ignoranza, a servire gente senza scrupoli che promettevano loro una vita agiata per poi costringerle a un'esistenza ingrata fatta di prostituzione, elemosine, furti e truffe. Un'esistenza precaria, che come eleva fino alle stelle, attraverso l'illusione di gioielli, bei vestiti e paesi "esotici" e ricchi come l'Italia, così in un secondo fa ripiombare nelle stalle, con l'aggravante di una coscienza irrimediabilmente sporca, l'innocenza perduta; è quello che accade a Perhan, antieroe di un faticoso racconto di formazione che si scontra con l'indole feroce ed orgogliosa di un ragazzo pronto ad affrontare persino la morte piuttosto che vedere il suo onore gettato nella polvere. Perhan viene preso a schiaffi negli affetti e dagli affetti, la sua speranza fatta a pezzi, la sua fiducia ridotta in briciole, eppure fino all'ultimo cerca di aggrapparsi al suo lato buono, a quel briciolo di magia che la nonna gli ha infuso nel sangue e che si manifesta, nel corso del film, attraverso sogni premonitori e visioni di incredibile bellezza. La vita dei gitani (non solo di Perhan. Io ho guardato la versione "breve" del film, eppure anche in due ore e mezza Kusturica riesce a comporre un affresco globale che tocca un intero popolo, uomini, donne, vecchi e bambini, ognuno con una storia da raccontare e ognuno indispensabile tassello per capire la realtà gitana) viene così portata sullo schermo nella sua natura duplice, all'interno della quale religione, magia e materialità sono inestricabilmente legate e dove non deve stupire l'idea che chi ricorre alle arti magiche per guarire i malati si ritrovi anche a pregare Dio, magari per qualcosa di triviale come il gioco dei dadi; anche gli spiriti che guidano i personaggi sono altrettanto triviali o illusori, ma non meno importanti, e ci si può tranquillamente commuovere all'idea che l'anima di un morto possa venire accompagnata nell'aldilà nientemeno che da un tacchino, così come si può rimanere affascinati non solo da un fiume che pare racchiudere il passato e il futuro di un intero popolo, ma anche da un velo da sposa che rimane impigliato a un ramo, in uno dei luoghi più squallidi della terra. Sono sogni che si mescolano alla realtà, perché "uno zingaro senza sogni è una chiesa senza tetto", poesia pura che affonda le radici là dove non ci sono diamanti (tranne quelli rubati) ma solo letame, per regalarci uno dei più bei fiori cinematografici di sempre. Recuperatelo, se non lo avete mai visto.


Del regista e co-sceneggiatore Emir Kusturica ho già parlato QUI.


Davor Dujmovic, che interpreta Perhan, era anche nel cast di Underground. Kusturica si è ispirato molto al film Ho incontrato anche zingari felici di Aleksandar Petrovic, che non ho mai visto; se Il tempo dei gitani vi fosse piaciuto, magari potreste recuperarlo! ENJOY!

6 commenti:

  1. Io odio la fisarmonica di Lupin III (non sarà mica per quello che a te piace?), però la adoro nel Valzer di Amelie e tutto il film.

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    1. L'intera colonna sonora di Amelie è meravigliosa!!

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  2. Finalmente - mi sembra di capire - qualcuno che affronta coraggiosamente il tema della povertà, pur cogliendo certi elementi magici che appartengono a un modo speciale, artistico, di vedere la vita. Di Kusturica ho visto "Gatto nero gatto bianco" e l'ho molto apprezzato. Vedrò anche questo alla prima occasione.

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    1. Gatto nero gatto bianco mi manca ancora. Con calma, recupererò anche quello.

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  3. Di Kusturica anche io ho visto solo Gatto nero gatto bianco... altro film che parla di gitani. Che sono molto spesso protagonisti dei suoi film, tanto che non ho capito se il regista sia gitano lui stesso. Quanto alle polemiche per il suo stare dalla parte della Serbia, posso capirlo: pur essendo di cittadinanza bosniaco è la sua etnia, soggetta a punizione esemplare per essere il cattivo d'elezione (ovvero deciso dagli USA) di una guerra dove buoni non ce n'erano.

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    1. Non ne ho idea ma penso di no; probabilmente però ha avuto modo di incontrare parecchi gitani, di crescere in un Paese popolato da loro, e ne sarà rimasto affascinato.
      Per la questione politica, lo ammetto, non me ne interesso: cerco di guardare i film per quello che sono!

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