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martedì 23 febbraio 2021

I Care a Lot (2020)

Fresco di una nomination ai Golden Globe per Rosamund Pike come miglior attrice in una commedia o musical, la settimana scorsa è uscito su Prime Video (chissà perché in America ce l'hanno invece su Netflix) il film I Care a Lot, diretto e sceneggiato nel 2020 dal regista J Blakeson.


Trama: Marla è una tutrice legale il cui unico scopo e privare delle loro fortune gli anziani sotto la sua tutela. L'attività procede bene, finché tra le sue grinfie non finisce una donna dai legami insospettabili...


Non sarà facile spiegare il mix di sentimenti contrastanti derivati dalla visione di I Care a Lot, commedia nerissima che consiglio spassionatamente di guardare, ma con nervi saldi, pena la volontà costante di spaccare lo schermo a pugni. Lo consiglio, in primis per la presenza di signori attori, soprattutto Rosamund Pike, che con la sua performance gelida e cazzuta regge praticamente il film da sola, mettendosi negli scomodi panni (come se non le fossero bastati quelli della gone girl Fincheriana) di una donna senza scrupoli, una "leonessa" che mira a fare soldi sulla pelle degli anziani, sfruttando senza un battito di ciglia tutte le orribili gabole legali che rendono gli USA, Paese della libertà, un incubo kafkiano per chiunque finisca impreparato nelle maglie del sistema; ad affiancarla, c'è il sempre meraviglioso Peter Dinklage, una rediviva Dianne Wiest che finisce per essere più inquietante della stessa Pike, e la dolce bellezza di un'umanissima Eiza González, l'unica in grado di dare un minimo di credibilità al personaggio di Marla, che senza la partner (non solo in crime) sarebbe solo pura malvagità. Anche la trama di I Care a Lot è molto interessante, soprattutto nella prima parte, e mescola in maniera sfacciata elementi assai plausibili e altri decisamente più "spettacolari" ed improbabili, soprattutto dopo che le carte sono state scoperte e il film passa dall'essere una rocambolesca pellicola di denuncia sociale a un thriller con parecchi tocchi di humour nero, un cambiamento di registro che contribuisce a tenere molto alto il livello di adrenalina e di attenzione dello spettatore, che non passa un solo minuto senza chiedersi dove diamine potrebbe andare a parare I Care a Lot e cosa avrà voluto comunicare J Blakeson.


Qui è però scattato, almeno per me, il problema di I Care a Lot, ovvero le "troppe" domande, la pretesa di un qualche messaggio serio da comunicare. Personalmente credo che I Care a Lot avrebbe funzionato alla perfezione se fosse stata una commedia nerissima al 100%, con una protagonista sì immorale, ma senza giustificazione, una villainess tout court completamente priva di appigli per poter in qualche modo empatizzare con lei. Invece, quegli accenni di tirate femministe, di donna costretta a subire gli insulti sessisti degli uomini che non riescono a batterla ad armi pari, di essere umano con qualche problemino accennato alle spalle (esempio: della madre non le frega nulla, uno intuisce che la sua mancanza di scrupoli verso gli anziani derivi da un rapporto meno che idilliaco) hanno contribuito, almeno nel mio caso, a farmi odiare Marla al punto da augurarmi che le succedessero le peggio cose, questo nonostante il suo antagonista sia senza scrupoli e detestabile quanto lei; Marla e Fran, novelle Thelma & Louise, si imbarcano in una ribellione contro la società e il maschilismo imperante ma ai danni di vecchietti indifesi, tanto che per renderle un pochino meno immorali lo sceneggiatore ha dovuto connotare in maniera incredibilmente negativa tutti quelli che provano a opporsi a loro, un escamotage cheap, se mi consentite il termine, che onestamente con me non ha attecchito. Piuttosto che questo colpo al cerchio e un altro alla botte, avrei preferito una cosa completamente demenziale e staccata dalla realtà come un La signora ammazzatutti, oppure una cosa serissima, di denuncia, ma così I Care a Lot non è né carne né pesce e vale davvero solo per le notevoli interpretazioni degli attori, quelle sì imperdibili... ma magari voi riuscite a non farvi montare l'odio e ad apprezzarlo più di quanto abbia fatto io, chissà.


Di Rosamund Pike (Marla Grayson), Peter Dinklage (Roman Lunyov), Eiza González (Fran), Dianne Wiest (Jennifer Peterson), Chris Messina (Dean Ericson), Macon Blair (Feldstrom) e Alicia Witt (Dr. Amos) ho già parlato ai rispettivi link.

J Blakeson (vero nome Jonathan Blakeson) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come La scomparsa di Alice Creed e La quinta onda. Anche attore e produttore, ha 43 anni.


Se I Care a Lot vi fosse piaciuto recuperate Promising Young Woman. ENJOY!


venerdì 9 ottobre 2020

Paradise Hills (2019)

Per motivi pandemici non sono riuscita a rendere onore al borzo australiano ma ho comunque recuperato un film uscito nelle sale la settimana scorsa, ovvero Paradise Hills, diretto nel 2019 dalla regista Alice Waddington.

Trama: Uma è una ragazza di buona famiglia che un giorno si sveglia in un lussuosissimo centro ubicato su un isola deserta, dove le ospiti vengono sottoposte a un trattamento per renderle "perfette"...

Paradise Hills è un esempio di distopia e pseudofantascienza accessibile ai teen, che frulla e rimastica concetti già presenti nel vecchio La fabbrica delle mogli (o La donna perfetta, se preferite) filtrandoli attraverso un gusto estetico molto glamour e accattivante, pesantemente debitore di atmosfere da Alice nel Paese delle Meraviglie. L'Alice in questione si chiama Uma e finisce nel giardino della Duchessa spinta da una madre che la vuole sposa perfetta di un giovane riccastro; all'interno di un isola deserta adibita a lussuoso resort, ragazze "imperfette" e vestite di bianco passano il tempo a fare ginnastica, a seguire diete, a intrecciare fiori e ad aprire l'animo e il cuore alla comprensiva Duchessa, pronta a rimandarle a casa alla fine di una cura che mira a renderle adatte a una società fatta di pochissimi ricchi privilegiati e molti poveri disagiati. In un'isola zeppa di potenziali Stepford wives, Uma fa amicizia con tre ragazze in particolare e insieme a loro scopre che il già strano ed inquietante Paradise Hills nasconde segreti oscuri e terribili, che trasformano le atmosfere vagamente ambigue della prima parte del film in qualcosa di leggermente più horror, cosa che avrei preferito avvenisse prima e in maniera più incisiva; l'enorme difetto di Paradise Hills, infatti, è una trama interessante ma trattata in maniera superficiale e delicatina, con un sacco di spunti infilati qui e là (la società divisa tra "uppers" e "lowers", la natura della Duchessa, il significato del luogo ricercato da Amarna) lasciati cadere in favore di una maggiore predilezione per il drama d'amicizia e d'ammore, fatto di pseudopsicologia d'accatto ed emozioni posticce. 


Ciò che di Paradise Hills salta, invece, letteralmente all'occhio, è il gusto per la composizione dell'immagine, per i colori, per la scenografia (naturale e non), per i costumi, per capigliature e make-up, in un trionfo di ricchezza visiva che denota l'enorme sforzo estetico di accattivarsi un'audience giovane e, se si pensa che Alice Waddington è al suo primo lungometraggio, c'è soltanto da levarsi il cappello (e al limite lamentarsi dell'assenza di una colonna sonora adeguata, ché quelle due canzonette gnegne cantate dalle protagoniste non si possono sentire). Qualcuno potrebbe dire che Paradise Hills è un film più di apparenza che di sostanza, e non sarò io a sostenere il contrario, però ho trovato piacevole staccare per un'ora e mezza il cervello e godermi la bellezza delle immagini che la regista riesce a portare sullo schermo come se avesse per le mani una favola nera popolata da bamboline da vestire e pettinare. Se poi le bamboline in questione sono attrici per le quali provo una spiccata simpatia, come la sempre frizzante Emma Roberts, Awkwafina e una Milla Jovovich in veste di maitresse elegantissima e abbastanza matta, capirete che probabilmente sono stata anche più indulgente di quanto avrei dovuto con un film al quale non riesco a voler male nonostante i condivisibili difetti. Dovesse passare dalle vostre parti, o finire un giorno su qualche servizio streaming, riscoprite il bimbominkia che è in voi e dategli un'occhiata.

Di Emma Roberts (Uma), Awkwafina (Yu), Eiza González (Amarna) e Milla Jovovich (La Duchessa) ho già parlato ai rispettivi link.

Alice Waddington è la regista della pellicola. Spagnola, è al suo primo lungometraggio. Anche sceneggiatrice, produttrice e attrice, ha 30 anni.




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