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martedì 9 febbraio 2021

A Lonely Place to Die (2011)

Avendone sempre sentito parlare molto bene, qualche giorno fa ho guardato A Lonely Place to Die, diretto e co-sceneggiato nel 2011 dal regista Julian Gilbey, approfittando del suo passaggio televisivo.


Trama: un gruppo di amici appassionati di scalate in montagna va in gita nelle Highland scozzesi e lì trova mille pericoli ad attenderlo...


Per chi, come me, soffre di vertigini cinematografiche, A Lonely Place to Die è un film ostico, almeno nella prima parte. Io sono strana, eh. Posso salire in cima a una torre e guardare giù senza colpo ferire (ovvio, in cima alla Tokyo Sky Tree ho rischiato di svenire su quei pezzi di pavimento coperti solo da vetro), laddove il Bolluomo non potrebbe mettere il naso fuori senza morire di paura, ma mostratemi gente appesa nel vuoto su schermo, piccolo o grande che sia, e il mio cuore comincerà a perdere colpi. A Lonely Place to Die è così: inizia con un ragazzo che cade a strapiombo giù per la parete di una montagna e si ritrova a penzolare nel vuoto, pur se imbragato, e continua con riprese mozzafiato di scalate in condizioni proibitive e corse a rotta di collo lungo terreni scoscesi, con la spada di Damocle incarnata da loschi figuri in caccia, pronti a fare fuori i protagonisti nei modi peggiori. Tutto per colpa di una bambina, trovata per caso in un bunker sotterraneo e tenuta prigioniera, che smuove a pietà gli scalatori provetti e attira su di loro le cose peggiori in un posto, come da titolo originale, solitario, privo di aiuti, di comodità, di rete telefonica, possibilmente anche di fortuna.


La prima parte di A Lonely Place to Die si concentra dunque su una wilderness da cartolina, anzi, da Instagram, che tuttavia non perdona non solo gli incauti ma nemmeno gli esperti, mentre nella seconda parte il gioco si complica un po' con tutto quello che sta dietro alla figura della piccola Anna e, pur complicandosi, si appiattisce anche, perché l'azione si sposta all'interno di un villaggio in festa. Non che il villaggio sia meno pericoloso della montagna, anche perché se lassù le insidie erano nascoste dalla vastità del territorio e dalla mancanza di persone, qui è proprio l'abbondanza di persone a rappresentare un pericolo per i sopravvissuti, costretti a capire chi è amico o nemico, tuttavia il cambiamento di stile e qualche sprazzo di prevedibilità mi hanno dato una sensazione di opera discontinua. Per carità, ce ne fossero di opere discontinue così: non so che fine abbia fatto ora l'attrice ma 10 anni fa la presenza di Melissa George in un thriller o horror, con quella sua faccia scazzata e determinata e la sua bellezza particolare, era uno degli indici di qualità di un film di genere e A Lonely Place to Die, con la sua cattiveria pessimistica e la tensione tenuta altissima fino alla fine, non fa eccezione. Recuperatelo, se potete!


Di Alec Newman (Rob), Melissa George (Alison) e Sean Harris (Mr. Kidd) ho già parlato ai rispettivi link. 

Julian Gilbey è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come ABCs of Death 2. Anche produttore, stuntman e attore, ha 41 anni e un film in uscita.


Franka Potente era stata la prima scelta per il ruolo di Alison. ENJOY!

mercoledì 19 novembre 2014

The ABCs of Death 2 (2014)

Ho dovuto aspettare un po' ma finalmente sono riuscita a recuperare e vedere The ABCs of Death 2, seguito ad episodi del particolarissimo The ABCS of Death, un progetto che vede all'opera 26 registi a cui è stata assegnata una lettera dell'alfabeto e un tema, la morte. Come già nel post del primo film, di seguito scriverò 26 mini-recensioni (trovate i miei corti preferiti in rosso!) e un breve commento finale sull'opera nel suo insieme. Seguono ovvi SPOILER.


A is for Amateur di E. L. Katz (Americano, classe 1981, regista di Cheap Thrills)
Apertura perfetta. L'episodio di Katz ci mette subito del giusto umore per affrontare quest'antologia, dove la morte non è quasi mai seria e dignitosa, ma è spesso una grandissima, ignobile presa in giro. Stupenda la parodia di innumerevoli film d'azione dove i piani più folli non vanno mai storti, anzi, sono sempre puliti e lisci come l'olio. Grande Katz, è da Cheap Thrills che ti voglio bene... E Andy Nyman è sempre fantastico!


B is for Badger di Julian Barratt (Inglese, classe 1968, attore nel film A Field in England)
Bastardo! Sia il regista/protagonista sia il "simpatico" tasso che da il titolo al corto. Episodio gradevole ad alto tasso di risata.

C is for Capital Punishment di Julian Gilbey (Inglese, regista di A Lonely Place to Die)
Crudele. Dopo due episodi relativamente simpatici arriva la prima vera mazzata allo stomaco dell'antologia. Un'amara riflessione su come la paura e la necessità di trovare un colpevole possano fare regredire le persone e trasformarle in mostri assetati di sangue. Sicuramente uno degli episodi migliori ma anche uno dei più difficili da sopportare.


D is for Deloused di Robert Morgan (Inglese, classe 1974, regista di corti horror animati come The Cat With Hands e Bobby Yeah).
Disturbante. Realizzato con la tecnica della claymation, è il primo segmento davvero surreale e disgustoso, un incubo fatto di tanti piccoli elementi weirdissimi e oscuri, che entra sottopelle e mette i brividi. In questo caso, l'animazione fa molta più paura delle riprese "dal vero".


E is for Equilibrium di Alejandro Brugués (Argentino, classe 1976, regista di Il cacciatore di zombie).
Esilarante! Dopo due segmenti decisamente difficili da sostenere arriva la supercazzola che non c'entra nulla col progetto ma fa tanto ridere. Il maschilismo imbecille di fondo fa tenerezza ma è molto bella la realizzazione, con la luce solare che a poco a poco si affievolisce mentre l'amicizia dei due protagonisti viene meno.

F is for Falling di Aharon Keshales e Navot Papushado (Israeliani, registi di Rabies e Big Bad Wolves).
Fo**utamente triste. La poetica storia di una possibile, difficile amicizia tra una soldatessa israeliana e un ragazzino palestinese che, ovviamente, non potrà che finire male. Alla fine avevo un groppo alla gola un po' difficile da mandare giù.


G is for Grandad di Jim Hosking (Inglese, regista del corto Renegades).
Grottesco. Personalmente, l'ho trovato l'episodio peggiore dell'antologia, una surreale lotta tra un nipote stronzo e un nonno pazzo che, da come si mettono le cose a un certo punto, avrei virato sull'horror fantastico per darle un po' più senso. Mah.

H is for Head Games di Bill Plympton (Americano, classe 1946, regista di due corti animati candidati all'Oscar Your Face e Guard Dog, e di Cheatin').
Hhhh. Nel senso che, forse sarò limitata, ma questo tipo di animazione grottesca e assurda non mi fa impazzire. Comunque, è un bell'esempio di come la passione estrema possa diventare un odio altrettanto devastante.

I is for Invincible di Erik Matti (Filippino, classe 1965, regista del corto Vesuvius e di Tiktik: The Aswang Chronicles).
Idiota. Recitato da quelli che sembrerebbero una manica di zamarri arricchiti, racconta la storia di una vecchia che non muore e di una maledizione. Non sarebbe nemmeno brutta come idea ma, davvero, per quel che riguarda gli interpreti sembrava di aver davanti la telenovela filippina, non piemontese. 

J is for Jesus di Dennison Ramalho (Brasiliano, regista del corto Ninjas).
Jesù! Il corto più bello del film, di sicuro il più emozionante e poetico. L'omosessualità vista come "possessione demoniaca" da esorcizzare a colpi di violenza ed ignoranza, un dolore e una "passione" che non possono essere ignorati, né da Dio ne da qualsiasi altra divinità in ascolto. Se non avete il coraggio di imbarcarvi nell'impresa di vedere 26 horror diversi cercate di recuperare almeno questo.


K is for Knell di Kristina Buozyte e Bruno Samper (Lei Lituana, lui - credo - francese, lei regista di Vanishing Waves, lui alla prima esperienza dietro la macchina da presa).
Kaspita! Altro bellissimo episodio, meravigliosamente diretto e inquietante al punto giusto, mi ha ricordato Il male di Dylan Dog per il modo assolutamente casuale ed invasivo con cui, per l'appunto, il male può penetrare nel cuore delle persone e cambiarle per sempre. Per la cronaca, "knell" solitamente sta ad indicare il rintocco funebre.


L is for Legacy di Lancelot Imasuen (Nigeriano, classe 1971)
Leggero. Interessante perché si misura con miti e leggende tribali, per il resto il corto non è nulla di che, sia per la realizzazione che per la trama e si dimentica facilmente.

M is for Masticate di Robert Boocheck (Americano, classe 1976, regista del corto Horrific)
Mah. Simpatico ma ininfluente e, a causa di una mancanza di sottotitoli, non ho capito cosa diavolo abbia causato la follia zombesca/cannibale del ciccione protagonista che, tra l'altro, mette davvero ansia (peccato per gli occhi, le lenti a contatto sono palesemente finte)

N  is for Nexus di Larry Fessenden (Americano, classe 1963, regista di Habit e The Last Winter)
Non particolarmente esaltante. Bellissimo il montaggio, molto serrato, un incrocio di messaggi, orologi e distrazioni ma si sa dove andrà a parare il corto fin dalle prime immagini. Belli però gli omaggi a La moglie di Frankenstein e l'ambientazione a tema Halloween.

O is for Ochlocracy (mob rule) di Hajime Ohata (Giapponese, regista di Henge)
Originale! Dopo un paio di episodi mosci doveva arrivare la follia giapponese a salvarci tutti! L'abusata apocalisse zombie sviscerata da un punto di vista assai particolare, grottesco e anche commovente. Non sarebbe male un film dedicato all'argomento!


P is for P-P-P-P SCARY! di Todd Rohal (Regista, sceneggiatore, attore e produttore americano)
P is for P-P-P-P PUTTANATA! No, davvero. Simpatico l'omaggio ai Tre Marmittoni, alle gag anni '30, al bianco e nero, a quel che volete ma non c'era un altro regista un po' più "a tema", magari un italiano, a cui affidare la lettera P? Mah.

Q is for Questionnaire di Rodney Ascher (Americano, regista del documentario Overlook Hotel - Stanza 237)
Quasi riuscito. Nel senso che, anche lì, fin dall'inizio sappiamo dove andrà a parare il test sull'intelligenza condotto da una simpatica impiegata, però il risultato è comunque impressionante e sconsigliato ai deboli di stomaco.

R  is for Roulette di Marven Kren (Tedesco, regista di Rammbock: Berlin Undead e The Station)
Raffinato. Non si può dire che non lo sia e ad un certo punto ho pensato che una simile sequenza sarebbe stata perfetta per Bastardi senza gloria. Il soggetto è dei più abusati (lo potete capire dal titolo a quale roulette ci si riferisca) ma l'orrore dell'attesa è reso benissimo.

S is for Split di Juan Martinez Moreno (Spagnolo, classe 1966, regista di Game of Werewolves)
Superbo. Abbiamo un vincitore, signori, o perlomeno un corto che se la gioca col meraviglioso J is for Jesus. Un utilizzo incredibile dello split screen per una storia agghiacciante e violenta, un pugno nello stomaco con un finale da mascella per terra. Capolavoro, senza esagerare.


T is for Torture Porn di Jen e Sylvia Soska (Gemelle canadesi, classe 1983, registe di American Mary)
TeriBBile. E non in senso buono. Va bene la critica al maschilismo imperante nell'industria ma le patate tentacolate ormai sono demodé tanto quanto i flash psichedelici di cui è infarcito questo corto che, peraltro, continua anche dopo i lunghissimi titoli di coda del film, con la partecipazione speciale di Laurence R. Harvey (vi dice niente The Human Centipede 2?).

U is for Utopia di Vincenzo Natali (Americano, classe 1969, regista di Cube - Il cubo e Splice)
Uhm. Da un nome conosciuto come Natali mi aspettavo di più ma l'idea di un mondo fatto di centri commerciali e persone bellissime che deve "difendersi" dall'imperfezione è sempre affascinante.

V is for Vacation di Jerome Sable (Canadese, regista di Stage Fright)
Vaccata insopportabile. Non tanto per la realizzazione, interessantissima e con un furbo utilizzo del cellulare come mezzo di ripresa, soggettiva e comunicazione, quanto per i protagonisti. Due "amici" (più che altro due imbecilli) in vacanza; mentre uno telefona alla fidanzata cercando di nasconderle le prove dell'ovvio puttantour in cui si sono impelagati la sera prima l'altro, forse perché detesta la fidanzata dell'amico, prende il telefono e le mostra TUTTO. Ma proprio tutto. Vai a saper perché. Ho amato il finale, comunque.

W is for Wish di Steven Kostanski (Canadese, regista di Manborg e Father's Day)
Wow! Dopo la J e la S questo è indubbiamente il mio corto preferito. Immaginate di poter, per un giorno, finire catapultati in un universo assai simile a quello dei Masters. Uuh, direte, che figata per un bambino poter lottare fianco a fianco coi suoi beniamini! Seh, un par di ciufoli. Non aggiungo altro, guardatelo.


X is for Xylophone di Julien Maury e Alexandre Bustillo (Francesi, registi di A' l'interieur e Livide)
eXagerato. E non mi aspettavo di meno da quei due maledetti che hanno girato A' l'interieur. Come al solito i francesi strafanno e massacrano tutti gli altri 25 episodi, sia in quanto a splatter che in quanto a sonoro e musica. Il finale è il più scioccante della raccolta ma è anche molto prevedibile... è la tensione che si crea prima che conta.


Y is for Youth di Soichi Umezawa (Giapponese, al suo primo lavoro come regista)
Yew. Non che non mi sia piaciuto, anzi, è uno dei corti più originali ma alcune immagini sono davvero disturbanti, oltre che perfette per incarnare l'incoerente e dovuta ribellione di un'adolescente giapponese alle prese con due genitori che meritano ogni tortura immaginata dalla ragazzina.

Z is for Zygote di Chris Nash (Canadese, aveva già provato a partecipare al primo The ABCs of Death con un corto chiamato T is for Thread ma gli era stato preferito il devastante T is for Toilet)
Zio cantante (come direbbe Elio)! Un finale che stende, letteralmente, un body horror triste, disgustoso e opprimente come forse neanche Cronenberg l'avrebbe concepito. Certo, la trama è un gigantesco punto interrogativo ma come morte forse è la più fantasiosa della raccolta e il corto in sé non mi è dispiaciuto affatto.


E' finita anche quest'anno e devo dire che il secondo capitolo di quella che ormai è diventata la migliore vetrina horror cinematografica esistente è molto più bello del primo. A parte un paio di episodi supercazzola, la qualità dei corti è molto alta e, soprattutto, in essi c'è molto più equilibrio; il primo The ABCs of Death era soprattutto splatter e weird, questo spazia un po' in tutte le variazioni dell'horror e ha un ritmo meno forsennato, tanto che sono riuscita a guardarlo senza ritrovarmi con il mal di testa atroce e la voglia di vomitare che mi avevano attanagliato col suo predecessore... Inoltre anche i titoli di testa sono gradevolissimi, dal sapore antico. C'è da sperare che The ABCs of Dead 3: Teach Harder, previsto per il 2016 e nominato nei titoli di coda, si faccia davvero... magari con qualche italiano in mezzo! Nell'attesa, se il film vi fosse piaciuto vi consiglierei di cercare gli altri titoli diretti dai registi coinvolti, come al solito, (cosa che farò io) oppure guardare The ABCs of Death e Creepshow. ENJOY!

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