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venerdì 4 gennaio 2019

La Befana vien di notte (2018)

L'ultimo film visto nel 2018 è stato La Befana vien di notte, diretto dal regista Michele Soavi.


Trama: La maestra Paola nasconde un segreto: dopo mezzanotte, si trasforma nella Befana. Quando un bieco produttore di giocattoli decide di rapirla per sostituirsi a lei, un gruppetto di bambini si mette in viaggio per salvarla.



Mi ero fatta attirare dal trailer de La Befana vien di notte grazie a due nomi, quello di Stefano Fresi tra gli interpreti e quello di Michele Soavi alla regia, che si univano al piacere di vedere, per una volta, un film italiano confinante nel fantastico, nella favola con radici popolari. Purtroppo, come spesso accade La Befana vien di notte, pur non essendo completamente da buttare, risente dei soliti problemi del 90% dei film italiani che escono in sala: ha una trama risibile, abbondanza di momenti WTF e, al solito, una pessima recitazione. Ma partiamo dagli aspetti positivi. La Befana vien di notte è il simpatico tentativo di creare una favola "festiva" tutta italiana e basata su una figura del folklore nostrano assai simile a Babbo Natale ma molto più povera: vecchia, brutta, con le scarpe tutte rotte e il vestito alla romana, la Befana è molto meno chic del ciccione rosso e molto più vicina all'idea di strega cattiva che di fatina buona portadoni ma è comunque una figura ancora importante per tutti i bambini italiani, che ogni 6 gennaio appendono calze che la vegliarda riempirà di dolcetti, carbone o un mix di entrambe le cose. Il film si basa su un concetto divertente, ovvero l'idea che la Befana di giorno sia una bella insegnante delle scuole elementari, persino fidanzata, e che passi invece le notti a prepararsi per il fatidico 6 gennaio, organizzandosi tra elenchi, acquisti, pacchetti e quant'altro. Questa vita movimentata e già di per sé non facile viene ulteriormente complicata dal desiderio di vendetta di un produttore di giocattoli, villain sopra le righe, infantile ma malvagio, interpretato magistralmente dal bravo Stefano Fresi: il suo rapimento della Befana spinge un gruppetto di bambini (novelli Goonies, poi ci torniamo) a mettersi in viaggio per salvare la vegliarda, un'esperienza non priva di pericoli che ovviamente arriverà a migliorare il carattere del bambino cattivo di turno e a cementare i rapporti tra quelli più "buoni". La storia, insomma, è tutta qui. Purtroppo la maggior parte del film è imperniata sulla spedizione dei ragazzini, che pesa come un macigno accompagnata da una canzoncina inascoltabile, quando invece il bello de La Befana vien di notte è un secondo tempo più concitato, dove abbondano atmosfere misteriose e un po' più horror lasciate nelle mani capaci di Michele Soavi, sempre a suo agio negli ambienti tetri e gotici (alcune scene sono davvero belle ed emozionanti, come quella della pressa o quella del rogo, per non parlare della bellezza del rifugio sotterraneo della Befana), e dell'ambigua figura di un cacciatore senza scrupoli. Ahimé, anche in questo caso i realizzatori si sono impegnati a buttare il tutto in caciara ed ecco che finiscono gli aspetti positivi del film. Cominciamo ora con le dolenti note.


La Befana vien di notte è la "risposta" italiana a I Goonies ma senza una minima pretesa di realismo e soprattutto senza la voglia di andare oltre un mero scimmiottamento del genere. E' vero, di realismo non si può parlare in un film dove una vecchia volante porta doni di notte ma se negli anni '80 i realizzatori de I Goonies si erano comunque impegnati a rendere verosimile un viaggio in bicicletta verso un luogo raggiungibile in un paio d'ore qui parliamo di bambini che, nelle innevate strade del Trentino, inforcano le bici per raggiungere un rifugio in cima a una montagna e ci mettono un giorno e una notte, trovando anche il tempo di costruire una "nave-slitta" (ovviamente grazie all'ingegno di un novello Data, dai tratti orientali anche lui) e di essere molto ma molto più veloci di un Hammer. Del tizio travestito da dinosauro non mi sento di parlare, quello è stato la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di orripilanti droni volanti, il nadir di un comparto effetti speciali altrimenti valido. Non così per gli attori, ahimé. Io mi domando perché serie come Stranger Things o la nostrana L'amica geniale vantino un comparto di giovani "promesse" che offrono allo spettatore l'illusione di avere davanti stralci di vita reale, mentre ne La Befana vien di notte i ragazzini protagonisti sembrano leggere il testo inverosimile di una recita di Natale; non è solo il fatto che recitano male (la mocciosetta bionda e il cretinetto cattivo vincono la palma d'oro della mediocrità) ma i dialoghi stessi stonano in bocca a dei bambini. Cioé, questi dovrebbero fare la quinta elementare e parlano o come libri stampati oppure disquisiscono di baci con la lingua mentre spiano le coetanee col reggiseno sciorinando dialoghi che nemmeno Jerry Calà ai bei tempi andati? Che orrore. E mi dispiace dirlo ma l'altro neo è la pur brava Paola Cortellesi la quale, a differenza di uno Stefano Fresi molto naturale, recita in maniera impostata, come se fosse sul palcoscenico di un teatro invece che in un film, soprattutto durante i momenti più "drammatici": guardare la Befana implorare per la propria vita e farsi venire in mente gli sketch di Magica Trippy non è proprio la cosa ideale mentre ci si trova davanti a una situazione potenzialmente pericolosa. Quindi, anche stavolta, la possibilità di avere qualcosa di fresco e nuovo come un Tito e gli alieni è sfumata lasciando solo un grande amaro in bocca e la speranza (vana, lo so) che Soavi torni a fare un bell'horror come si deve, lasciando stare la TV e i filmetti per bambini.


Del regista Michele Soavi ho già parlato QUI mentre Stefano Fresi, che interpreta Mr. Johnny, lo trovate QUA.

Paola Cortellesi interpreta Paola e la Befana. Nata a Roma, la ricordo per film come Chiedimi se sono felice, Natale a Casa Deejay, Tu la conosci Claudia?, Nessuno mi può giudicare e Come un gatto in tangenziale. Anche sceneggiatrice e cantante, ha 45 anni e un film in uscita.


Se La Befana vien di notte vi fosse piaciuto recuperate I Goonies, E.T. L'extraterrestre e persino Scuola di mostri, poi ne riparliamo. ENJOY!




martedì 5 dicembre 2017

Smetto quando voglio: Ad Honorem (2017)

La notizia dell'uscita di Smetto quando voglio: Ad Honorem, diretto e co-sceneggiato da Sydney Sibilia, mi ha galvanizzata anche più del trailer di Avengers: Infinity War. Come sarà finita la trilogia più amata del cinema italiano recente?


Trama: richiusi ognuno in un carcere diverso, Pietro e i suoi compari devono trovare il modo di riunirsi e fermare Walter Mercurio, intenzionato a rilasciare il gas nervino sintetizzato per scopi ancora misteriosi...


Smetto quando voglio era spuntato tre/quattro anni fa con un trailer accattivante, riuscendo a conquistarmi con un mix di perizia registica, attori simpatici e una trama scoppiettante ma mai mi sarei aspettata che l'opera prima di Sydney Sibilia sarebbe diventata una trilogia. Né, sono sincera, che mi sarei congedata da Pietro, Alberto e compagnia con un una sensazione di malinconia così forte da farmi sudare un po' gli occhi. Tre anni, in quest'epoca di film mordi e fuggi, di "memoria del pesce rosso", non sono pochi e sarei una bugiarda se dicessi di ricordare alla perfezione Masterclass, uscito a febbraio e impossibile da rinfrescare in tempo per il debutto di Ad Honorem; probabilmente tra un mese non ricorderò nemmeno più la gioia di avere guardato l'ultimo capitolo della trilogia ma quello che spero rimarrà è la sensazione di aver perso qualcosa, di essermi dispiaciuta all'idea di non poter sbirciare nel futuro dei simpatici protagonisti del film e sapere cosa ne sarà di loro. Verranno schiacciati dalla burocrazia legale italiana fino a perdere tutte le loro facoltà intellettive oppure riusciranno a fare tesoro di tutti i casini successi in questo periodo e dare una svolta positiva alla loro esistenza? Non è dato sapere, purtroppo, e la sceneggiatura del film non offre spazio a riflessioni troppo allegre. Più distante dal piglio action del secondo capitolo, Ad Honorem torna a riflettere sul destino dei laureati precari in Italia, puntando il dito contro la vergognosa gestione delle risorse finanziare destinate all'istruzione, contro la burocrazia lenta e infame, lo schifo quasi tutto italiano di persone ignoranti che si riempiono la bocca di promesse senza mantenerle, il sistema di favoritismi che regola qualsiasi successo personale o accademico, leggi che tutelano i potenti e cavilli che inchiappettano i poveracci, persino (e qui è scattato l'applauso pensando a gente come Valentino Rossi, al suo omonimo Vasco, persino a Fabio Volo, santocielo!!!!) contro le cosiddette lauree Honoris Causa. "Ma qual è il voto di una laurea ad honorem?" si chiede uno dei personaggi sul finale e la risposta è "Non lo so ma dovrebbe equivalere ad una lode, no?" "Sì ma qual è il valore di una laurea ottenuta così?" EH. Bella domanda. Uno si fa un mazzo tanto per ottenerne una vera, spendendoci tempo, soldi e sanità mentale, e arriva il primo frescone ignorante e rigorosamente VIP che si becca una laurea "a gratis" per motivazioni imbecilli. Evviva il mondo accademico.


Il ritorno alle origini di Ad Honorem coincide con una trama molto più semplice rispetto ai due film precedenti, al punto che la pellicola sembra durare poco più di un quarto d'ora. Tolto un angosciante flashback iniziale, la storia si focalizza infatti su due soli avvenimenti, ovvero l'evasione dal carcere e il tentativo di fermare Mercurio, e questa semplicità è l'ideale per riannodare le fila del discorso facendo quadrare alla perfezione tutto ciò che è accaduto nei tre film, a partire dall'incidente di Alberto. Le gag questa volta sono state distribuite equamente a tutti i personaggi, ognuno dei quali ha la possibilità di profondersi per l'ultima volta nelle abilità a lui più congeniali, con risultati esilaranti; al solito, i riflettori sono puntati più su Edoardo Leo (vero e proprio comic relief, che non smette di fare ridere neppure quando gli puntano una pistola contro, anche se sul finale persino lui è riuscito a commuovermi) e Stefano Fresi, semplicemente meraviglioso durante la sequenza che ne mette in risalto le reali doti canore, ma anche gli altri si congedano dal pubblico con momenti e battute memorabili. Punte di diamante di un cast che potrebbe dare molto anche in una pellicola più "seria", mi si passi il termine, sono Luigi Lo Cascio e Neri Marcorè, interpreti di due figure tragiche e segnate da un fato impietoso, dotate di una profondità che impedisce a Ad Honorem di ridursi ad una semplice accozzaglia di gag ben riuscite; a tal proposito, complimenti a Sydney Sibilia, come sempre, per l'abilità con la quale riesce da quasi quattro anni a mescolare i generi, infilare delle citazioni sottili ma gradevoli (l'escamotage Lostiano del biglietto attraverso il vetro, unito a reminescenze Watchmeniane, merita tanto di cappello) e mantenere intatta una sorta di "italianità" che, per una volta, non fa vergognare lo spettatore. Si conclude qui, per me, una bella pagina di cinema "popolare" nostrano, con un occhio rivolto allo stile d'oltreoceano, pop e televisivo che spero si possa tradurre in una distribuzione della trilogia anche all'estero. E' quello che auguro a Sibilia e compagnia, sperando di rivederli presto al lavoro in qualche altra opera alla quale so già che darò tutta la mia fiducia. Una laurea a pieni voti, signori (con tanto di bacio accademico a Marcorè, che nei panni del Murena è stranamente affascinante, e a Marco Bonini, con quel fisico da bronzo di Riace sfoggiato in doccia)!


Del regista e co-sceneggiatore Sydney Sibilia ho già parlato QUIEdoardo Leo (Pietro Zinni), Valerio Aprea (Mattia), Paolo Calabresi (Arturo), Libero De Rienzo (Bartolomeo), Stefano Fresi (Alberto), Lorenzo Lavia (Giorgio), Pietro Sermonti (Andrea), Giampaolo Morelli (Lucio Napoli), Greta Scarano (Paola Coletti), Luigi Lo Cascio (Walter Mercurio), Valeria Solarino (Giulia) e Neri Marcorè (Er Murena) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Smetto quando voglio: Ad Honorem vi fosse piaciuto recuperate i precedenti Smetto quando voglio e Smetto quando voglio: Masterclass. ENJOY!





mercoledì 22 febbraio 2017

Noi e la Giulia (2015)

Non lo avevo visto al cinema ma, data la simpatia che ho sviluppato nel tempo per almeno un paio di interpreti, al primo passaggio televisivo ho guardato Noi e la Giulia, diretto e sceneggiato da Edoardo Leo partendo dal libro Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei.


Trama: tre falliti si uniscono quasi per caso nell'acquisto di un casale abbandonato e praticamente in rovina, con l'intento di trasformarlo in agriturismo. I lavori, già difficili di per sé, si complicano con l'arrivo di Sergio, al quale uno di loro deve dei soldi, e soprattutto con l'ingerenza della camorra, pronta a chiedere il pizzo a tre disperati che non hanno più il becco di un quattrino...



Ultimamente ho cominciato a dare fiducia al cinema italiano, grazie a giovani autori ed attori che non mi procurano istantaneo fastidio appena li vedo aprire bocca e che sono riusciti, in qualche modo, a ridare lustro anche a "vecchi" caratteristi che rischiavano di finire sepolti nelle ignominiose fiction televisive che infestano i palinsesti di ogni rete. I nomi che ultimamente mi portano a drizzare le antenne, accanto a quello dell'adorato Pierfrancesco Favino, sono quelli di Edoardo Leo e Stefano Fresi, apprezzatissimi nell'esilarante Smetto quando voglio e, almeno per me, rappresentanti di quella commedia italiana che non si limita a raccontare storie banali di mariuoli, coppiette in crisi o cornuti e mazziati, o peggio ancora basate su temporanei fenomeni comici, bensì ripropone in chiave grottesca i problemi della società italiana di oggi attraverso sceneggiature frizzanti e genuinamente divertenti. Questa descrizione calza perfettamente a Noi e la Giulia, storia della rivincita di tre (anzi quattro) "falliti" che, stanchi di essere presi a calci dal mondo e lasciarsi vivere prigionieri di ciò che la società definisce "importante", scelgono di fare un colpo di testa ed investire tempo e denaro in qualcosa che sperano possa realizzarli davvero, ognuno per i propri motivi: Fausto, voce narrante della pellicola, viene spinto dal padre che, in punto di morte, gli rinfaccia di non aver fatto mai nulla di bello nella vita, Claudio deve riprendersi da un matrimonio andato a monte e da un fallimento, Diego è semplicemente un cialtrone amante della bella vita che deve scappare dai suoi creditori. Uno di questi, per inciso, è il comunista di ferro Sergio il quale, introdotto inizialmente come uno dei villain della pellicola, è il personaggio che più evolve nel corso della storia, diventando parte fondamentale per la creazione dell'agriturismo e motore caotico dell'intera vicenda. Non è facile, infatti, cambiare vita e riaggiustare ciò che appare irrimediabilmente rotto, soprattutto perché in alcune zone d'Italia bisogna fare i conti con pizzo e camorra, rappresentazione di tutti gli impedimenti burocratici, legislativi, criminali e anche personali che impediscono alla generazione dei neo trentenni/quarantenni di spiccare il volo verso un roseo futuro e quando qualcuno cerca di alzare la testa, come fa Sergio spinto dall'orgoglio proletario e da un carattere poco amabile, sono cavoli amari.


L'approccio verso la realtà criminale con la quale devono fare i conti i protagonisti è quello grottesco che già mi aveva conquistata in La mafia uccide solo d'estate; i camorristi non sono persone da prendere sotto gamba e per tutta la durata della pellicola il pericolo che rappresentano è tangibile, tuttavia Edoardo Leo si premura anche di mostrare gli aspetti più ridicoli del mondo criminale, ricorrendo ad un caratterista esilarante come Carlo Buccirosso, malvivente che si lascia conquistare dalla "voglia di vincere" del quartetto di sfigati e arriva a pensare che, forse, aver preso un'altra strada nella vita non sarebbe stato poi così male. In Noi e la Giulia fanno molto dunque la bravura e la simpatia degli attori, due qualità che contribuiscono a non far scadere nella commedietta da quattro soldi una trama che, per quanto carina, presenta comunque qualche ingenuità di troppo (il personaggio di Anna Foglietta è salvato giusto dal carisma di lei e l'idea della gente che si beve la favoletta raccontata da Diego per giustificare la musica proveniente dalla Giulia sepolta è tanto tirata per i capelli) e a tratti provoca lo sbadiglio compulsivo (ma lì forse la colpa è di Mer*aset e della sua pubblicità). Argentero, Edoardo Leo, Fresi e, soprattutto, un Claudio Amendola che nei ruoli di violento mezzo criminale mi piace sempre tantissimo, formano un quartetto molto affiatato ed eterogeneo, capace di dare il via a scaramucce esilaranti per via del modo in cui cozzano le rispettive personalità ed effettivamente la parte migliore del film è quella più litigarella mentre il "secondo tempo" viene rallentato da momenti troppo belli per essere veri e anche troppo hipster/new age (scenografie e colonna sonora sono davvero carini ma i fricchettoni modaioli che ballano sulle note di Paradise mi hanno ridotta come Krysten Ritter). Ma queste, ovviamente, sono le critiche di chi nei confronti del cinema italiano arriccia sempre un po' il naso a prescindere e mi sento quindi di dire che Noi e la Giulia merita sicuramente la visione... anche se, e lo dico a beneficio di trentenni e quarantenni, nonostante il clima da commedia l'angoscia provocata dall'idea di aver gettato la propria esistenza è appena dietro l'angolo, pronta a colpire alla traditora con l'accento piemontese di Argentero. Beware!


Del regista e sceneggiatore Edoardo Leo, che interpreta anche Fausto, ho già parlato QUI. Claudio Amendola (Sergio), Stefano Fresi (Claudio) e Carlo Buccirosso (Vito) li trovate invece ai rispettivi link.

Luca Argentero interpreta Diego. Nato a Torino, ha partecipato a film come Lezioni di cioccolato, Solo un padre, Diverso da chi? e Poli opposti, inoltre ha partecipato a serie come Carabinieri. Anche produttore, ha 39 anni.


Anna Foglietta interpreta Elisa. Nata a Roma, ha partecipato a film come Nessuno mi può giudicare, Perfetti sconosciuti e a serie quali Distretto di polizia, Il commissario Rex e La mafia uccide solo d'estate. Ha 38 anni e film in uscita.


Se Noi e la Giulia vi fosse piaciuto recuperate assolutamente Smetto quando voglio. ENJOY!

martedì 7 febbraio 2017

Smetto quando voglio: Masterclass (2017)

Lo aspettavo più di La La Land e, alla faccia della febbre da Oscar che ha portato gli spettatori a guardare La battaglia di Hacksaw Ridge, sabato sono corsa a vedere Smetto quando voglio: Masterclass, diretto e co-sceneggiato da Sidney Sibilia.


Trama: accusati di svariati crimini, i membri della cosiddetta "banda dei ricercatori" si riuniscono per aiutare la polizia a stroncare sul nascere il traffico di smart drugs, con esisti imprevedibili...


Smetto quando voglio è stato uno di quei film che nel 2014 mi aveva folgorata e, come ben sapete, è MOLTO raro che un film italiano mi faccia questo effetto. La magica combinazione tra sceneggiatura esilarante, regia accattivante ed interpreti effettivamente molto bravi era riuscita nella non facile impresa di entusiasmarmi parecchio e quando è uscita la notizia di un sequel (assieme al quale è stato girato in contemporanea, alla Matrix, il terzo capitolo della saga, che chissà quando uscirà però!), confermata poi dai trailer, il mio fanciullino interiore è esploso di felicità. Ma, per restare in tema Matrix, questo Masterclass è maffo come Matrix Reloaded ed è riuscito a spalancare le porte del diludendo? Assolutamente no! Il secondo capitolo della saga dedicata alla banda dei ricercatori ha le stesse caratteristiche positive del primo film ma è in qualche modo più "rilassato": conoscendo il "gioco" da cui è partito tutto, gli sceneggiatori hanno investito Pietro e soci di una specie di aura supereroistica, votandoli alla causa del bene e trasformandoli in una task force speciale impegnata a riconoscere e debellare quelle stesse smart drugs che li avevano arricchiti nel primo film. L'intento di critica sociale è quindi venuto un po' meno e il piglio del film è diventato più avventuroso, tanto che gli stessi personaggi ammettono ad un certo punto di preferire la vita sregolata della banda a quella precedente, in quanto finalmente le loro capacità vengono messe al servizio di un bene più grande, ma quello che non è diminuito è il divertimento dello spettatore. Senza fare troppi spoiler, allo zoccolo duro della banda vengono aggiunti un paio di altri membri i quali, a mio avviso, sono un po' il punto debole del film (non che non siano simpatici ma tolgono spazio a beniamini quali per esempio Mattia, Arturo e Bartolomeo) e il tutto viene reso ancora più interessante perché Masterclass è costruito come un lunghissimo flashback che racconta parte di ciò che è accaduto a Pietro e soci tra l'arresto e la nascita del figlio suo e di Giulia, pargoletto che vediamo alla fine del primo film.


Aggiungere altro sulla trama sarebbe un delitto, anche perché sul finale Masterclass prende una direzione ancora diversa, quindi spenderò giusto un paio di parole sulla realizzazione. Per quel che riguarda la regia, Sydney Sibilia riprende lo stile "acido" e moderno del primo film, abbondando in  panoramiche rapide, primissimi piani, prospettive "strane" e omaggi ad altre pellicole sullo stesso filone: personalmente, ho apprezzato tantissimo la citazione di A Scanner Darkly di Richard Linklater, con l'introduzione della tecnica del rotoscoping  in un momento assolutamente calzante. Il montaggio serrato, la fotografia carica e la colonna sonora (un mix di musiche d'atmosfera e successi punkettoni) fanno il resto e rendono Masterclass un prodotto tecnicamente superiore rispetto alla media delle commedie italiane che ci vengono propinate mensilmente, in più questa volta c'è stato un aumento dei budget per quello che riguarda scenografie ed effetti speciali e si vede (la sequenza finale sul treno e l'inseguimento all'interno del parco archeologico sono realizzati benissimo). Gli attori, dal canto loro, sembrano ormai perfettamente a loro agio con i personaggi interpretati e vederli azzuffarsi sullo schermo è come avere davanti dei vecchi amici, magari un po' più colti, con i quali cazzeggiare la sera; se Edoardo Leo, Fresi e i già citati Valerio Aprea, Libero De Rienzo e Lorenzo Lavia, ai quali vanno aggiunti gli immancabili e fantastici Pietro Sermonti e Paolo Calabresi, danno come sempre il bianco, le nuove aggiunte non sono male (soprattutto l'avvocato esperto in diritto canonico!) e l'unico neo del cast restano come sempre le pochissime quote rosa, poco incisive se paragonate ai colleghi uomini. Insomma, la banda dei ricercatori è tornata alla grande e l'unico vero difetto del film è l'attesa di Smetto quando voglio - Ad Honorem che, sinceramente, avrei voluto guardare appena finito Masterclass. Non farmi aspettare troppo, Sydney!!


Del regista e co-sceneggiatore Sydney Sibilia ho già parlato QUI. Edoardo Leo (Pietro Zinni), Paolo Calabresi (Arturo), Libero De Rienzo (Bartolomeo), Pietro Sermonti (Andrea) e Valeria Solarino (Giulia) li trovate invece ai rispettivi link.

Stefano Fresi interpreta Alberto Petrelli. Nato a Roma, ha partecipato a film come Almost BlueRomanzo criminale, La prima volta (di mia figlia) Al posto tuo. Anche compositore, ha 42 anni e un film in uscita, l'imminente Smetto quando voglio: Ad Honorem.


Valerio Aprea interpreta Mattia Argeri. Nato a Roma, ha partecipato a film come Nessuno mi può giudicare, Boris - Il film, Smetto quando voglio e a serie come La squadra, Incantesimo 4, Il maresciallo Rocca e Boris. Ha 49 anni e un film in uscita, Smetto quando voglio: Ad honorem.


Lorenzo Lavia interpreta Giorgio. Nato a Roma, figlio di Gabriele Lavia, ha partecipato a film come La lupa, Smetto quando voglio e a serie come Don Matteo. Ha 45 anni e un film in uscita, Smetto quando voglio: Ad honorem.


Luigi Lo Cascio interpreta Walter Mercurio. Nato a Palermo, lo ricordo per film come I cento passi, La meglio gioventù e Buongiorno notte. Anche regista e sceneggiatore, ha 50 anni e due film in uscita, tra i quali Smetto quando voglio: Ad honorem.


Greta Scarano interpreta Paola Coletti. Nata a Roma, ha partecipato a film come Suburra e a serie quali Don Matteo, Romanzo criminale - La serie e Squadra antimafia. Ha 29 anni.


Rosario Lisma, che interpreta l'avvocato Arturo, era stato il padre del protagonista nel film La mafia uccide solo d'estate. Del film esiste anche un fumetto uscito la settimana scorsa in allegato alla Gazzetta dello sport, scritto da Roberto Recchioni e disegnato da Giacomo Bevilacqua; l'ho preso e sinceramente non è nulla di che ma come gadget è una cosa simpatica, anche perché si trova con quattro diverse cover variant. Meglio recuperare Smetto quando voglio se vi fosse piaciuto Masterclass e attendere con gioia Ad Honorem! ENJOY!

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