In questo periodo non ho tempo per guardare film né, in particolare, per scriverne. Quindi è solo ora che riesco a parlare di The Devil's Bath (Des Teufels Bad), diretto e sceneggiato dai registi Veronika Franz e Severin Fiala.
Trama: in un villaggio dell'Alta Austria, verso la fine del '700, la giovane Agnes viene data in sposa a Wolf, pescatore di scarsa sensibilità. Agnes ce la mette tutta per essere una brava moglie, ma solitudine e depressione si fanno sempre più pressanti...
Col loro terzo lungometraggio, Veronika Franz e Severin Fiala si confermano degli allegroni coi fiocchi. Al loro già nutrito campionario di personaggi traumatizzati, sconnessi dalla realtà e depressi, si aggiunge la giovane Agnes, ragazza semplice in gioiosa comunione con la natura e con Dio. La conosciamo alla vigilia del suo matrimonio, all'ingresso verso una vita sicuramente più complicata e diversa (è palese che non ci sia stato corteggiamento di sorta e che quello che ha visto unire Agnes e Wolf sia una sorta di "scambio" tra famiglie, probabilmente per questioni di decoro e soldi...), ma anche piena di mistero, speranze e aspettative. Titubante ma ottimista, Agnes prova così ad essere una buona moglie, tuttavia ad ogni gesto trova un muro, ogni sua azione viene soppesata e criticata dalla suocera asfissiante, attorno a lei vede il disprezzo verso ogni forma di fantasticheria gentile, e il marito non la toccherebbe nemmeno con un dito, cosa che la fa sentire ancora più miserabile e inadatta. Ispirati da angosciose cronache dell'epoca e studi moderni, Veronika Franz e Severin Fiala raccontano così la progressiva erosione di un animo fragile e la sua immersione all'interno del "bagno del Diavolo"; una profonda depressione, ovviamente non riconosciuta, ricondotta ad una condizione fisica di malessere da far spurgare con salassi oppure da esorcizzare in quanto opera del Demonio. La profondissima morale religiosa che permea l'epoca e la regione dove il film è ambientato, in particolare, diventa il fulcro di ogni azione di Agnes, combattuta tra la necessità di liberarsi di una (non) vita all'insegna della disperazione e quella di salvare la propria anima immortale, con conseguenze angoscianti e purtroppo tristemente testimoniate da tantissimi documenti del tempo. D'altronde, quando ogni cosa che devia dalla "normalità" è una colpa, si può biasimare chi cerca di fuggire ricorrendo a quella che ritiene meno grave?
Il ritmo del film asseconda la (ribadisco, non) vita di un villaggio sonnacchioso e chiuso, circondato da boschi e laghi che invitano a una poesia e una libertà tenute rigorosamente fuori dal focolare da spessi muri di pietra. Nei boschi Agnes si perde, ritrova un briciolo di felicità perduta anche quando quegli stessi luoghi diventano la discarica dove abbandonare chi ha provato la sua stessa disperazione, tuttavia le riprese di Franz e Fiala ci mostrano anche una natura distaccata, eternamente indifferente alle miserie umane. I due registi lavorano, inoltre, attraverso il progressivo mutamento dei toni della fotografia, passando da quelli caldi di un inizio pieno di speranza, dove il sole riesce ancora ad illuminare Agnes, a colori sempre più freddi, fino ad arrivare al buio umido e malsano rischiarato da fuochi che gettano ombre ancora più cupe. Non mancano suggestioni horror e scene assai esplicite di violenza e morte. Le prime sottolineano il delirio causato dalla profonda depressione di Agnes e la pesante ingerenza della religione in ogni suo pensiero, le seconde, se mi passate il termine, sono quasi liberatorie, perché l'aspetto realmente arduo da sopportare di The Devil's Bath è la progressiva distruzione di un animo puro e innocente, condotta in maniera supponente e ancor più spietata perché considerata come "naturale", anzi, benefica nei confronti della povera protagonista. Interpretata magistralmente da Anja Plaschg, praticamente al suo esordio in un lungometraggio in quanto cantautrice, Agnes è un personaggio che verrebbe voglia di abbracciare, di far fuggire da un tempo e una realtà che non dovrebbero appartenerle, per consegnarla a una realtà in cui persone come lei vengono accolte ed accettate. Ma visto che, ahimé, alcuni pensieri del '700 sono profondamente radicati anche da noi e non siamo più così ingenui da provare gioia all'idea della salvezza dell'anima, ci tocca guardare The Devil's Bath con ancora più magone, e sperare che le Agnes del mondo non tocchino mai questi livelli di profonda tristezza.
Dei registi e sceneggiatori Veronika Franz e Severin Fiala ho già parlato QUI.
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RispondiEliminaÈ un film da alcuni ingiustamente criticato per la scena iniziale che troppo anticipa. Un film bellissimo dal taglio fintamente documentaristico che ha anche il merito di disvelare una storia dimenticata. A me ha ricordato il bellissimo Never Rarely Sometimes Always della Hittman per il tema trattato (apparentemente distante, ma tre secoli fa il dramma senza soluzione di cui resta prigioniera e vittima Agnes era probabilmente attuale quanto quello di Autumn che la porta insieme a Skylar dalla Pennsylvania a New York); una regia apparentemente distante che finge di documentare (le riprese degli animali scuoiati da una parte e il monitor dell'ecografia dall'altra) anziché raccontare ma che poi sceglie di indugiare su di un primo piano, un particolare quell'istante in più per farci spettatori compassionevoli (con quei lunghi silenzi che ci parlano); e poi la scena topica della confessione di Agnes e questionario di Autumn dove entrambe le protagoniste esplodono nel pianto. Certo, Fiala e Franz vengono dalla scuola di Seidl e il viaggio di Agnes a differenza di quello di Autumn è senza ritorno, senza il sostegno di una Skylar al suo fianco; insomma senza speranza se non l'illusione di una fede che non consola ma condanna però entrambi i film sono impeccabili ed emotivamente coinvolgenti.
EliminaE adesso mi tocca recuperare anche Never Rarely Sometimes Always, che non conoscevo. Grazie mille per la dritta!
EliminaÈ un film che stra-adoro; sono certo ti piacerà ;)
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