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venerdì 31 gennaio 2025

A Complete Unknown (2024)

Con ben 8 candidature (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista, Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Attore Non Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Migliori Costumi e Miglior Sonoro), A Complete Unknown, diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista James Mangold partendo dalla biografia Dylan Goes Electric! di Elijah Wald, era THE film to watch questa settimana.


Trama: ispirato dal musicista folk Woody Guthrie, un giovane Bob Dylan si trasferisce a New York e, a poco a poco, si impone come esponente di spicco del genere. Almeno finché non decide di cambiare...


Per contestualizzare o, forse, per comprendere il mio giudizio tiepido su A Complete Unknown, mi tocca esordire, come al solito, palesando la totale ignoranza relativamente a Bob Dylan, di cui conosco (peraltro apprezzandoli molto) solo i successi principali. Non è che pretendessi di diventare esperta di Dylan dopo la visione del film, ma avrei voluto rimanere affascinata dal carisma e dalla personalità del cantautore, avrei voluto percepire i tormenti di un animo senza pace, una "rolling stone" diretta verso il "complete unknown" che libera da ogni etichetta e costrizione, avrei voluto sentire l'influenza delle due donne che hanno contribuito a definirne la personalità (la cantante folk Joan Baetz e la pittrice Suze Rotolo, qui chiamata Sylvie Russo). Invece, ho avuto più di due ore di piccoli, superficiali pezzettini biografici che forzano la trasformazione di Dylan da ragazzino timido di belle speranze a stronzetto con la S maiuscola, scoglionato da tutto e da tutti senza che si capisca bene perché, salvo per un naturale spleen misto a stress da improvviso successo. Sul finale, introdotto poco prima da una "tavola rotonda" di anziani musicisti barbogi, si intuisce che buona parte dello scazzo di Dylan derivasse da un disperato tentativo di liberarsi dall'etichetta di musicista folk, ma questo "scontro" tra vecchio e nuovo (che esplode nell'unica sequenza emozionante del film, quella del famigerato festival di Newport in cui Dylan, come da titolo della biografia di Elijah Wald, è passato all'elettrico) arriva come un fulmine a ciel sereno a corollario di un'interminabile girandola di canzoni, concerti ed esibizioni che vedono Dylan sempre più nero e depresso. La sceneggiatura (lo scorsesiano Jay Cocks è impazzito, o non si spiega) non fa il salto di qualità neppure per quanto riguarda Joan Baetz e Sylvie Russo. La prima, tanto quanto, conquista per il carisma e risulta fondamentale per la formazione di Bob Dylan; per quanto riguarda la seconda, viene completamente privata della sua personalità di attivista politica ed artista (indispensabile "spinta" all'evoluzione del cantante) e ridotta a ragazzina insicura e innamorata, alla quale vengono messe in bocca un paio di frasi da Bacio Perugina, alternandole a un comodo bignami di storia americana dell'epoca, comprendente la crisi di Cuba, la morte di Kennedy e quella di Malcom X. Risultano abbastanza bidimensionali anche gli altri musicisti affiancati a Dylan. Salvo l'onnipresente Woody Guthrie, che apre e chiude il film come in un cerchio perfetto, Pete Seeger ne esce fuori come un mix tra Mister Rogers e Papà Castoro più che un artista impegnato, mentre Bob Neuwirth, presentato come fondamentale comprimario, si perde in mezzo alle facce degli altri membri della prima band di Dylan.


Come dicevano in A proposito di Davis: "Se non è nuova e non invecchia allora è musica folk". A Complete Unknown, in questo caso, è un film folk come la musica di cui parla, anche a livello di regia. James Mangold dirige col piglio sicuro del regista elegante e classico, regala primi piani intensi, carrellate rispettose che introducono negli studi di registrazione, piccoli, frenetici squarci di lusso, festival da manuale e un'altrettanto tipica New York, uscita dritta da qualche copertina di un album. Abbastanza per rendere il film gradevolissimo alla vista, un po' poco per far urlare al miracolo e arrivare addirittura ad ambire a delle nomination, il che vale per tutto il resto di A Complete Unknown. Parliamo di Chalamet, per esempio. Non ho visto il film in lingua originale, quindi ho dovuto basarmi sulle canzoni (che non mi sembravano ricantate dal doppiatore) e sulla performance fisica, per dare un giudizio. Nulla da dire sulle prime, la voce dell'attore mi è parsa perfetta, ma mi pare che Chalamet ormai abbia deciso di basare le sue interpretazioni su sguardi fissi, espressioni dolenti/scazzate/malinconiche e pose da bello e dannato (madonna quando lo vedo così implume e stiggio mi vengono i brividi, ma di repulsione). Diciamo che alla noia per la sceneggiatura si è aggiunta quella di vedere l'attore così privo di brio e verve. Monica Barbaro va un po' meglio, se non altro ci prova, spesso riuscendoci, a creare un'alchimia e quel minimo di tensione amorosa/sessuale tra lei e Chalamet, senza contare che la sua Joan Baetz è più fascinosa dell'originale, mentre su Edward Norton non riesco a pronunciarmi. Sono stra-convinta che al suo posto avrebbe dovuto esserci Tom Hanks, anziché costringere il povero Edward a quegli sguardi da cane bastonato, a quei mezzi sorrisi da papà indulgente con figlio scemo a carico, e lo stesso vale per Elle Fanning, ingabbiata in un personaggio insipido quanto il film. Ho sperato, invano, in qualche colpo di coda di Dan Fogler e giuro che, quando a un certo punto ho visto arrivare P.J. Byrne, ho gioito, convinta che il suo solito personaggio faccia di merda avrebbe creato caos e scompiglio. Invece l'unico accenno di sconvolgimento l'ho avuto dall'adattamento italiano, con un incredibile "Ma come pensi di arrivare al VILLAGGIO in Taxi?". Belin, ma non si riferiva forse al VILLAGE, visto che Sylvie abita proprio lì? Potrei sbagliarmi, in caso mi scuso, ma il dubbio mi è sorto spontaneo. L'unica certezza che mi rimane è che A Complete Unknown sia un film medio, pompato come se avessimo davanti il nuovo Quarto potere, e il fatto che abbia otto nomination la dice lunga sulla "salute" degli Academy Awards. 


Del regista e co-sceneggiatore James Mangold ho già parlato QUI. Timothée Chalamet (Bob Dylan), Edward Norton (Pete Seeger), Scoot McNairy (Woody Guthrie), Dan Fogler (Albert Grossman), Elle Fanning (Sylvie Russo), Boyd Holbrook (Johnny Cash) e P.J. Byrne (Harold Leventhal) li trovate invece ai rispettivi link. 

Monica Barbaro interpreta Joan Baez. Americana, ha partecipato a film come Top Gun: Maverick. Ha 36 anni.



venerdì 25 agosto 2017

Morgan (2016)

L'avevo perso per i soliti disagi distributivi ma ora sono finalmente riuscita a recuperare Morgan, esordio alla regia di Luke Scott, figlio di Ridley Scott.


Trama: dopo un sanguinoso incidente, la consulente di una misteriosa ditta viene incaricata di indagare una struttura segretissima dove è rinchiusa Morgan, essere umano creato artificialmente in laboratorio che sta sfuggendo al controllo dei suoi creatori...



Nonostante il regista sia figlio d'arte, Morgan è passato un po' sotto silenzio e sinceramente non ricordo di avere visto qualche recensione in proposito (se ce ne sono sui blog che seguo abitualmente mi scuso, segnalatemele, grazie!). Ne ho quindi affrontato la visione memore dei pochi trailer passati al cinema, convinta che mi sarei trovata davanti un horror tout court. Invece, come spesso succede ultimamente, il trailer è stato realizzato meglio del film o, per essere più precisi, veicola delle atmosfere ben precise che in Morgan ho ritrovato soltanto nella prima parte, per poi perdersi miseramente nella seconda. Non sto dicendo che il film di Luke Scott sia brutto, per carità, solo che sfrutta male i concetti che stanno alla base della sceneggiatura e non solo per quel che riguarda la creazione di determinati momenti di tensione ma anche per le riflessioni scaturite dalla natura di Morgan. Può un essere creato artificialmente, con delle direttive di programmazione ben precise, sviluppare una coscienza di sé al punto da poter arrivare a dire "sono finalmente me stesso"? Da dove nascono le emozioni o, meglio, come può una creatura non umana distinguere tra amore reale e amore indotto semplicemente dalle buone azioni altrui? Questi interrogativi vengono sì posti durante il film ma diventano a poco a poco delle mere domande oziose, utili solo per scatenare la fuga di Morgan della struttura e lasciate un po' lì a morire per concentrarsi sulla sete di sangue dell'essere che da il titolo alla pellicola. E' un peccato perché l'inizio, con il team di dottori legato da una sorta di vincolo di parentela, faceva presagire l'approfondimento di tematiche molto importanti e la stessa figura della comportamentista Amy (o dei "papà e mamma" Ziegler e Cheng) avrebbe potuto essere sviluppata meglio invece di ridursi all'animaletto terrorizzato e pigolante mostrato sul finale. Anche l'aspetto horror della vicenda, concentrato sulla misteriosa figura di Morgan e di quelli che dovrebbero essere i suoi poteri, si perde per diventare un'accozzaglia di cat fight e scene d'azione che di inquietante hanno davvero poco o nulla.


Un altro aspetto particolare di Morgan, anche lì poco sfruttato, è l'abbondanza di attori della madonna che hanno accettato di partecipare con ruoli purtroppo risibili. Jennifer Jason Leigh e Brian Cox avrebbero potuto anche non venire coinvolti nel film in quanto i loro personaggi non apportano nulla di particolare alla trama e sarebbero stati identici anche con l'ausilio di attori meno blasonati; va un po' meglio a Toby Jones, Michelle Yeoh e Paul Giamatti, anche se sinceramente non capisco il motivo del piglio astioso che il Dottor Shapiro, interpretato da quest'ultimo, utilizza durante la valutazione psichica di Morgan, che in teoria avrebbe dovuto essere condotta con calma e perizia invece che da un pazzo umorale. Kate Mara e Anya Taylor-Joy sono invece molto brave e perfette per i personaggi che interpretano. L'espressione "talmente antipatica da spingere i container ad andarsene da soli" (cit.) della Mara è l'ideale per un personaggio che fa della mancanza di empatia e dell'efficienza a tutti i costi un punto d'onore mentre Anya Taylor-Joy conferisce a Morgan tutta l'inquietudine nervosa del suo sguardo particolare, già apprezzato in Split e The Witch, ma purtroppo a causa della sceneggiatura banalotta non riesce a rendersi memorabile come nelle altre sue performance. Per quel che riguarda la regia, Scott se la cava bene nella pluricitata "prima parte", tra immagini riflesse che allo spettatore attento rivelano più di quanto facciano i dialoghi, ambienti claustrofobici e momenti di quiete quasi onirica ma in generale non regala emozioni particolari né sequenze capaci di consacrarlo ai posteri come degno figlio/nipote di tanto padre/zio. Pur non essendo giovanissimo, c'è solo da sperare che il ragazzo si possa fare col tempo, anche se non tratterrò il fiato nell'attesa!


Kate Mara (Lee Weathers), Anya Taylor-Joy (Morgan), Rose Leslie (Dr. Amy Menser), Toby Jones (Dr. Simon Ziegler), Boyd Holbrook (Skip Vronsky), Michelle Yeoh (Dr. Lui Cheng), Brian Cox (Jim Bryce), Jennifer Jason Leigh (Dr. Kathy Grieff) e Paul Giamatti (Dr. Alan Shapiro) li trovate ai rispettivi link.

Luke Scott è il regista della pellicola. Inglese, figlio di Ridley Scott, è al suo primo e finora unico lungometraggio. Anche attore, ha 49 anni.


Se Morgan vi fosse piaciuto recuperate Ex Machina. ENJOY!

martedì 7 marzo 2017

Logan - The Wolverine (2017)

Nonostante la pochezza delle pellicole a lui dedicate, potevo perdermi l'ultimo film dedicato al mutante artigliato canadese, quel Logan - The Wolverine (Logan) diretto e co-sceneggiato da James Mangold? Assolutamente no! NO SPOILER, suckers!


Trama: Anno 2029, Logan si è ritirato dal suo ruolo di eroe e lavora come autista di limousine. E' invecchiato e il suo fattore rigenerante non è più quello di una volta ma viene richiamato sul campo da una donna e una strana bambina in cerca di protezione...



Ovviamente, dopo due tentativi più o meno falliti ci ritroviamo con IL film su Wolverine per eccellenza proprio quando Hugh Jackman ha scelto (d'altronde sono anche 17 anni) di abbandonare il personaggio, aprendo così la via a probabili reboot che getteranno al vento tutto il bel lavoro fatto da Mangold in Logan. Il bravo James Mangold che, ottenuta carta bianca e un bello R Rating alla faccia di tutti i mocciosi che pagano denaro contante per gadget, fumetti ed ammenicoli vari, ha girato un film di supereroi senza cretini in tutina, senza fenomenali poteri cosmici che minacciano di devastare il mondo (quasi), senza villain con l'unica ambizione di parlare molto e fare poco, senza scomodi retaggi da un passato che neppure lui era riuscito a riportare su pellicola senza far piegare in due gli spettatori dal ridere e, soprattutto, senza supereroi. I personaggi che popolano il mondo di Logan sono innanzitutto persone, umanissimi vecchi e bambini per i quali il potere è una piaga più che una benedizione, che hanno perso tutto a causa di vicende immortalate sulle pagine di fumetti che non raccontano che la punta dell'iceberg del dolore e della sofferenza di chi si ritrova ad essere mutante in un mondo che ormai ne è privo. Logan e Xavier sono diventati due vecchi, uno sconvolto nel fisico e l'altro nella mente, due reietti per i quali delle vecchie avventure e della vecchia vita non rimangono che tristi ricordi e la speranza di un futuro nel quale lasciarsi tutto alle spalle per morire in relativa pace, lontano dal mondo. Nel mezzo del cammin di questa loro non-vita spunta la piccola Laura, mutante che con i due condivide più cose di quante vorrebbe, compresa la maledizione di un potere terribile e l'impossibilità di avere il controllo sulla propria esistenza, pianificata fin dalla più tenera età da persone senza scrupoli in cerca dell'arma definitiva. Logan è costruito come un lungo road trip intrapreso da questi tre personaggi, focalizzato non tanto sui loro poteri (che pur sono un punto chiave della vicenda) quanto sul rapporto che li lega, sulla consapevolezza di sé stessi e sul rapporto col mondo che li circonda, un viaggio ben poco allegro e affrontato a braccetto con la morte, il rimpianto, la nostalgia, la decadenza fisica e mentale, talvolta la speranza benché pagata a caro prezzo. L'uomo Logan è ben diverso dall'eroe conosciuto nei film precedenti, è una creatura cinica e ormai stanca che scarica letteralmente il proprio dolore su chi è tanto incauto da stuzzicarlo quando lui vuole soltanto stare in pace; se i suoi artigli nelle altre pellicole erano utilizzati con uno scopo, talvolta trattenuti, talvolta sfoggiati come eccesso di sboroneria, nel film di Mangold diventano l'ultimo, disperato sfogo di un uomo distrutto ed è giusto quindi che vengano rappresentati in tutto il loro terribile realismo.


Per la prima volta quindi, e per fortuna, gli artigli di adamantio lacerano, mutilano e spillano litri di sangue ma senza la giocosa cattiveria di Deadpool, anch'esso film R Rated. Vedendo finalmente quelle artigliate libere dalle restrizioni di un montaggio da galera non si prova gioia né catarsi perché ogni colpo inferto da Laura è un pezzo della sua innocenza di bambina che se ne va mentre per Logan è il ricordo di una vita andata in frantumi, tra amori scomparsi e amici defunti; il make up applicato a Hugh Jackman, sempre più sfregiato e vecchio mano a mano che il film prosegue, riversa all'esterno tutto il veleno che il personaggio ha dentro, un senso di rabbia impotente e disgusto che poco hanno a che fare con i recenti cinecomic Marvel e persino con quelli DC, i cui protagonisti paiono sempre comunque "superiori" a noi esseri umani; Logan è prosaico e terra terra ma in senso buono, talvolta è persino buffo e a tratti triviale, ma il suo è un umorismo che non invoglia al famoso trenino Brigittebardòbardò immortalato da Ortolani, bensì fa salire un groppo alla gola grosso quanto una palla di pelo canadese. Così come l'umorismo, sono sottili anche i riferimenti nerd (passatemi il termine) al mondo degli X-Men o agli eventi passati, tanto che Logan è un film da guardare con molta attenzione perché molto di ciò che ha portato i protagonisti al punto in cui li ritroviamo viene appena accennato nei dialoghi, come se avesse ben poca importanza per lo spettatore il quale, per una volta, è costretto a confrontarsi con personaggi che si sviluppano esclusivamente all'interno delle due ore di spettacolo e ad affidarsi a sceneggiatori capaci e attori favolosi invece che annichilirsi il cervello con fantastiliardi di effetti speciali. Hugh Jackman e Patrick Stewart non potevano accomiatarsi meglio da Wolvie e Xavier, si vede anche col filtro del doppiaggio che i due attori si sono impegnati in quanto coinvolti in un film che prima di essere "l'ultimo capitolo della trilogia di Wolverine" era un racconto serio e strutturato, in grado di veicolare emozioni potenti; di fatto, è la prima volta che guardando un cinecomic ambientato nel mondo degli X-Men mi sono commossa e ho provato reale compassione per i personaggi su schermo (protagonisti o secondari che fossero, come il dolce Calibano di Stephen Merchant) e persino simpatia verso quell'insopportabile vecchio porco pedofilo di Xavier. Favolosa anche la dodicenne Dafne Keen, le cui apparizioni nei panni di Laura mi hanno messo spesso i brividi, sia durante le concitate ed esaltanti scene d'azione che in quelle in qualche modo più "poetiche" e poco importa che un paio di scelte di sceneggiatura fossero un po' tirate per i capelli (va bene regalare a Laura e regalarsi un po' di tranquillità familiare ma non puoi immaginare che i Reavers stermineranno chiunque dovesse ospitarvi? E poi, un branco di pargoli con potentissimi poteri incapaci di spazzare via dei cyborg? Mah.): se mi avessero dato altri due film come questo, la trilogia di Wolverine avrebbe meritato un posto d'onore nel cinema in generale, non solo nell'ambito dei cinecomics.


Del regista e co-sceneggiatore James Mangold ho già parlato QUI. Hugh Jackman (Logan), Patrick Stewart (Charles Xavier) e Richard E. Grant (Dr. Rice) li trovate invece ai rispettivi link.

Boyd Holbrook interpreta Pierce. Americano, ha partecipato a film come Milk, Behind the Candelabra, L'amore bugiardo - Gone Girl, Morgan e a serie come Narcos. Anche regista e sceneggiatore, ha 36 anni e un film in uscita, The Predator.


Stephen Merchant interpreta Calibano. Comico inglese, ha partecipato a film come Hot Fuzz, Comic Movie e a serie quali 24, Extras e The Big Bang Theory; come doppiatore ha lavorato nelle serie Robot Chicken, I Simpson e American Dad!. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 43 anni.


Elizabeth Rodriguez interpreta Gabriela. Americana, ha partecipato a film come Desperado, Blow, Chi è senza colpa e a serie come Six Feet Under, ER Medici in prima linea, Fear the Walking Dead e Orange is the New Black. Ha 37 anni.


Eriq La Salle interpreta Will Munson. Attore americano che ricordo per il suo ruolo di Dottor Benson in ER Medici in prima linea, ha partecipato a film come Il principe cerca moglie, Allucinazione perversa, Il colore della notte, One Hour Photo e ad altre serie quali 24 e Under the Dome. Anche regista e produttore, ha 55 anni.


Alla fine dell'anno o nel 2018 Mangold dovrebbe fare uscire una versione in bianco e nero di Logan; nell'attesa di questa versione, di Deadpool 2 e dei prossimi X-Men e X-Force (entrambi ancora senza titolo ufficiale né sceneggiatura), se il film vi fosse piaciuto recuperate  X-MenX-Men 2X-Men - Conflitto finale, X-Men - L'inizio X-Men: Giorni di un futuro passato, X-Men: ApocalisseX-Men Origins: Wolverine, Wolverine - L'immortale e ricordate che Logan è ambientato nella linea temporale che è stata cambiata in Giorni di un futuro passato, dove quindi gli eventi dei primi tre X-Men non contano più una beata min**ia! ENJOY!

Per la cronaca, i fumetti mostrati nel film non sono veri e sono stati realizzati ad hoc dall'artista Dan Panosian

E ritorna, per la gioia di tutti i bambini... 

L'angolo del Nerd (o del gnégnégné, fate voi) rigorosamente scritto a memoria e senza l'aiuto di Wikipedia 
HIC SUNT SPOILER!:

CalibanoIl mutante Calibano era già comparso nel film X-Men: Apocalisse, interpretato da un altro attore. In quel film se non rammento male gestiva una sorta di losco ritrovo per mutanti disagiati, qui si parla di una vecchia collaborazione con la multinazionale per cui lavorano Pierce e i Reavers. Nei fumetti Calibano era uno dei Morlock, mutanti deformi e per questo costretti a vivere nel sottosuolo di New York e il suo potere era identico a quello mostrato in Logan, ovvero la capacità di rintracciare altri mutanti. Potrei sbagliarmi ma ora dovrebbe essere morto oppure perso in un limbo editoriale come il 90% dei mutanti Marvel.

X-23: clone "venuto male" di Wolverine e macchina assassina che solo negli ultimi anni gli sceneggiatori hanno dotato di un minimo di capacità interattiva, Laura Kinney ha cominciato a bazzicare nelle storie degli X-Men quando avevo smesso di leggerle quindi non posso essere più precisa di così (ed effettivamente non ricordavo neppure il Dr. Rice che, invece, era già comparso proprio in quelle storie come creatore di Laura). Adesso dovrebbe essere LA nuova Wolverine, costumino gialloblù compreso, visto che il povero Logan è finalmente morto, pace all'anima sua.

X-24: di cloni di Logan è pieno l'universo Marvel ma siccome questo è legato ai Reavers potrebbe rifarsi in parte ad Albert, cyborg creato proprio da Pierce e soci nelle vecchie storie degli X-Men per uccidere Wolverine. Questo cyber-Wolvie negli anni '90 andava in giro con un'altra cyborg dalle fattezze di bimba chiamata Elsie Dee; da avversari i due sono diventati amiconi di Logan ma anche loro si sono persi nel solito limbo causato da innumerevoli cambi di gestione delle varie collane.

Pierce e i Reavers: Anche di Pierce non ricordo moltissimo, tranne che era sicuramente un cyborg a base umana (non mutante), probabilmente l'Alfiere Bianco del Club Infernale e che ai tempi in cui gli X-Men vivevano in Australia lui e i Reavers (altri cyborg in mezzo ai quali se non sbaglio ha militato anche Lady Deathstrike) avevano torturato e crocefisso Wolverine. In tempi relativamente recenti dovrebbe essere stato disintegrato da un Ciclope furioso dopo l'ennesima ca**ata ma sinceramente non rammento.

Rictor e gli altri amichetti di X-23: Julio Esteban Richter, detto Rictor, è un mutante capace di generare onde sismiche ed è in giro dai tempi della prima X-Force quindi non è un bambino come invece viene rappresentato nel film. Per inciso, è uno dei pochi mutanti apertamente gay ma anche lui s'è perso in un limbo editoriale dopo la bella gestione Davidiana di X-Factor, in cui lo si vedeva inciuciare col compagno di squadra Shatterstar. Degli altri bimbi, sicuramente una è stata creata dal DNA di Bobby "Uomo ghiaccio" Drake, il ciccionetto ha dei poteri che somigliano tanto a quelli di Surge, il resto dei piccoli mutanti non sono pervenuti ma chissà che in un prossimo film dedicato a Laura non rifacciano capolino, magari un po' meglio definiti. 




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