Trama: ispirato dal musicista folk Woody Guthrie, un giovane Bob Dylan si trasferisce a New York e, a poco a poco, si impone come esponente di spicco del genere. Almeno finché non decide di cambiare...
Per contestualizzare o, forse, per comprendere il mio giudizio tiepido su A Complete Unknown, mi tocca esordire, come al solito, palesando la totale ignoranza relativamente a Bob Dylan, di cui conosco (peraltro apprezzandoli molto) solo i successi principali. Non è che pretendessi di diventare esperta di Dylan dopo la visione del film, ma avrei voluto rimanere affascinata dal carisma e dalla personalità del cantautore, avrei voluto percepire i tormenti di un animo senza pace, una "rolling stone" diretta verso il "complete unknown" che libera da ogni etichetta e costrizione, avrei voluto sentire l'influenza delle due donne che hanno contribuito a definirne la personalità (la cantante folk Joan Baetz e la pittrice Suze Rotolo, qui chiamata Sylvie Russo). Invece, ho avuto più di due ore di piccoli, superficiali pezzettini biografici che forzano la trasformazione di Dylan da ragazzino timido di belle speranze a stronzetto con la S maiuscola, scoglionato da tutto e da tutti senza che si capisca bene perché, salvo per un naturale spleen misto a stress da improvviso successo. Sul finale, introdotto poco prima da una "tavola rotonda" di anziani musicisti barbogi, si intuisce che buona parte dello scazzo di Dylan derivasse da un disperato tentativo di liberarsi dall'etichetta di musicista folk, ma questo "scontro" tra vecchio e nuovo (che esplode nell'unica sequenza emozionante del film, quella del famigerato festival di Newport in cui Dylan, come da titolo della biografia di Elijah Wald, è passato all'elettrico) arriva come un fulmine a ciel sereno a corollario di un'interminabile girandola di canzoni, concerti ed esibizioni che vedono Dylan sempre più nero e depresso. La sceneggiatura (lo scorsesiano Jay Cocks è impazzito, o non si spiega) non fa il salto di qualità neppure per quanto riguarda Joan Baetz e Sylvie Russo. La prima, tanto quanto, conquista per il carisma e risulta fondamentale per la formazione di Bob Dylan; per quanto riguarda la seconda, viene completamente privata della sua personalità di attivista politica ed artista (indispensabile "spinta" all'evoluzione del cantante) e ridotta a ragazzina insicura e innamorata, alla quale vengono messe in bocca un paio di frasi da Bacio Perugina, alternandole a un comodo bignami di storia americana dell'epoca, comprendente la crisi di Cuba, la morte di Kennedy e quella di Malcom X. Risultano abbastanza bidimensionali anche gli altri musicisti affiancati a Dylan. Salvo l'onnipresente Woody Guthrie, che apre e chiude il film come in un cerchio perfetto, Pete Seeger ne esce fuori come un mix tra Mister Rogers e Papà Castoro più che un artista impegnato, mentre Bob Neuwirth, presentato come fondamentale comprimario, si perde in mezzo alle facce degli altri membri della prima band di Dylan.
Come dicevano in A proposito di Davis: "Se non è nuova e non invecchia allora è musica folk". A Complete Unknown, in questo caso, è un film folk come la musica di cui parla, anche a livello di regia. James Mangold dirige col piglio sicuro del regista elegante e classico, regala primi piani intensi, carrellate rispettose che introducono negli studi di registrazione, piccoli, frenetici squarci di lusso, festival da manuale e un'altrettanto tipica New York, uscita dritta da qualche copertina di un album. Abbastanza per rendere il film gradevolissimo alla vista, un po' poco per far urlare al miracolo e arrivare addirittura ad ambire a delle nomination, il che vale per tutto il resto di A Complete Unknown. Parliamo di Chalamet, per esempio. Non ho visto il film in lingua originale, quindi ho dovuto basarmi sulle canzoni (che non mi sembravano ricantate dal doppiatore) e sulla performance fisica, per dare un giudizio. Nulla da dire sulle prime, la voce dell'attore mi è parsa perfetta, ma mi pare che Chalamet ormai abbia deciso di basare le sue interpretazioni su sguardi fissi, espressioni dolenti/scazzate/malinconiche e pose da bello e dannato (madonna quando lo vedo così implume e stiggio mi vengono i brividi, ma di repulsione). Diciamo che alla noia per la sceneggiatura si è aggiunta quella di vedere l'attore così privo di brio e verve. Monica Barbaro va un po' meglio, se non altro ci prova, spesso riuscendoci, a creare un'alchimia e quel minimo di tensione amorosa/sessuale tra lei e Chalamet, senza contare che la sua Joan Baetz è più fascinosa dell'originale, mentre su Edward Norton non riesco a pronunciarmi. Sono stra-convinta che al suo posto avrebbe dovuto esserci Tom Hanks, anziché costringere il povero Edward a quegli sguardi da cane bastonato, a quei mezzi sorrisi da papà indulgente con figlio scemo a carico, e lo stesso vale per Elle Fanning, ingabbiata in un personaggio insipido quanto il film. Ho sperato, invano, in qualche colpo di coda di Dan Fogler e giuro che, quando a un certo punto ho visto arrivare P.J. Byrne, ho gioito, convinta che il suo solito personaggio faccia di merda avrebbe creato caos e scompiglio. Invece l'unico accenno di sconvolgimento l'ho avuto dall'adattamento italiano, con un incredibile "Ma come pensi di arrivare al VILLAGGIO in Taxi?". Belin, ma non si riferiva forse al VILLAGE, visto che Sylvie abita proprio lì? Potrei sbagliarmi, in caso mi scuso, ma il dubbio mi è sorto spontaneo. L'unica certezza che mi rimane è che A Complete Unknown sia un film medio, pompato come se avessimo davanti il nuovo Quarto potere, e il fatto che abbia otto nomination la dice lunga sulla "salute" degli Academy Awards.
Del regista e co-sceneggiatore James Mangold ho già parlato QUI. Timothée Chalamet (Bob Dylan), Edward Norton (Pete Seeger), Scoot McNairy (Woody Guthrie), Dan Fogler (Albert Grossman), Elle Fanning (Sylvie Russo), Boyd Holbrook (Johnny Cash) e P.J. Byrne (Harold Leventhal) li trovate invece ai rispettivi link.
Monica Barbaro interpreta Joan Baez. Americana, ha partecipato a film come Top Gun: Maverick. Ha 36 anni.
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