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mercoledì 19 marzo 2025

La città proibita (2025)

Domenica sono andata al cinema a vedere La città proibita, l'ultimo film diretto e co-sceneggiato dal regista Gabriele Mainetti.


Trama: Mei, originaria della Cina, arriva a Roma per cercare la sorella, costretta a lavorare nel bordello del boss Wang. Marcello, cuoco all'interno del ristorante di famiglia, finisce suo malgrado coinvolto nelle vicende di Mei...


De La città proibita non ho visto neppure un trailer, sono corsa al cinema senza farmi domande, fidandomi del nome di Mainetti, dell'amore provato verso le sue due pellicole precedenti e della consapevolezza che il suo nuovo film avrebbe avuto come tema portante il kung-fu. Se leggete il Bollalmanacco da qualche tempo, sapete bene quanto, pur non essendo un'esperta del genere, adori i film dove le arti marziali e i combattimenti corpo a corpo sono un'aspetto importante della trama. In particolare, impazzisco quando a picchiare come un fabbro ferraio è una donna, e posso assicurarvi che Mei, la protagonista de La città proibita, è una dei migliori "fabbri" che vedrete sul grande schermo. Anzi, mi permetto di fare mie le parole di Lucia, e affermare senza problemi che, al momento, La città proibita è il film migliore del 2025 e faccio davvero fatica ad immaginare, nei prossimi mesi, l'uscita di una pellicola che racchiuda dentro di sé così tanti elementi in grado di risuonare nel mio animo in questo modo. Se ancora ce ne fosse bisogno, Mainetti ha riconfermato la sua incredibile capacità di prendere le caratteristiche tipiche di un genere (il cinecomic, il coming of age contaminato con l'horror e il fantastico, il film di arti marziali) ed immergerlo all'interno del contesto storico-culturale romano, con la Città Eterna che si fa personaggio a tutti gli effetti, sia che il film sia ambientato nel presente, sia in un passato neppure troppo remoto, creando opere originalissime all'interno di un panorama cinematografico nazionale desolante. Non stupisce che le sale siano mezze vuote davanti a La città proibita, uscito a ridosso dell'ennesimo successo a firma Paolo Genovese. Proprio all'interno del film di Mainetti, c'è un interessantissimo discorso imperniato sull'incapacità di evolversi, di accettare il cambiamento, sui tentativi disperati e patetici di lasciare tutto come un tempo e proteggere l'"identità nazionale" dalle influenze multietniche, e il panorama cinematografico italiano è proprio così: pochi "eroi"dalla mentalità aperta, che tentano di far rinascere il cinema di genere in Italia, con un occhio al mercato internazionale e il gusto estetico delle grandi produzioni hollywoodiane o asiatiche, troppi "dinosauri" per i quali cinema equivale o a mattonata autoriale o a trampolino di lancio per comici televisivi, produzioni che ripropongono sempre le stesse storie, con uno stile somigliante alle peggiori fiction RAI, attori cani e velleità autoriali che conquistano solo il pubblico d'élite e i festival. E' una realtà tristissima, soprattutto perché Mainetti fa sembrare tutto così maledettamente facile, con la sua innata abilità di cavare persino il sangue dalle rape, trasformandole in diamanti (non ci credete? Confrontate la performance di Ilenia Pastorelli in Lo chiamavano Jeeg Robot e quella in Occhiali neri, ricordandovi che Dario Argento è storicamente incapace di dirigere gli attori).


E diamanti, ne La città proibita, ce ne sono in abbondanza. Yaxi Liu è al suo primo film come protagonista, dopo anni di carriera come stuntman, e non solo le sequenze di lotta che la vedono coinvolta sono tra le più belle viste di recente in un film occidentale (anche grazie alla supervisione dell'action designer Liang Yang), ma la sua espressività nei panni di Mei è degna di un'attrice consumata. Il film prende il via nella Cina della politica del figlio unico, quando le coppie potevano appunto avere un solo figlio. Mei, nata dopo la sorella Yun, è la bambina da tenere nascosta durante i controlli, costretta ad esistere senza vivere davvero, con l'unico sfogo degli allenamenti quotidiani assieme al padre, legata a Yun da un amore profondo e un odio altrettanto intenso. La sua ricerca della sorella coinvolge, ogni rivelazione e snodo della trama colpisce lo spettatore con l'intensità dei calci e dei pugni della ragazza, ma il core emotivo del film non risiede solo in Cina. Il cast italiano regala allo spettatore una delle interpretazioni più belle di un attore enorme come Marco Giallini, che evolve nel corso del film da weirdissimo comic relief a qualcosa di molto più profondo e fondamentale; l'attore si carica sulle spalle un'ambivalenza difficilissima da tenere in equilibrio, e riesce nell'arduo compito di entrare nel cuore dello spettatore fino a spezzarlo nel prefinale, che mi ha vista piangere in sala senza ritegno alcuno. Quanto a Mainetti, il regista si è ulteriormente raffinato ed evoluto nello stile, cosa che non credevo possibile. Basta solo vedere la prima scena in cui Mei, adulta, va in cerca della sorella, e l'intelligenza con la quale viene mantenuta l'illusione che il personaggio non sia mai uscito dalla Cina, indispensabile veicolo del sorprendente shock culturale quando la porta del ristorante cinese si spalanca su una via dell'Esquilino. Non c'è una sola sequenza raffazzonata in La città proibita, ogni scena è costruita amalgamando alla perfezione luci, ombre, colori, scenografie e minuscoli dettagli, il montaggio confeziona scene di combattimento fluide e chiarissime e la musica, utilizzata con quell'adorabile originalità tipica del regista, è la ciliegina sulla torta. Potrei sproloquiare ancora per una decina di paragrafi su tutti i motivi per cui La città proibita mi sia piaciuto così tanto, ma farei degli spoiler fastidiosi e mi dispiacerebbe, perché ritengo sia un film da godersi con tutto l'ignorante entusiasmo del caso. Andate al cinema a vederlo, vi prego, alzateli quei culi pigri. Non fidatevi di chi, per cieco pregiudizio o antipatia nei confronti di un regista giovane, ambizioso e capace, lo ha stroncato senza appello prima ancora che uscisse, non urlate erroneamente alla "stronzata" solo perché si parla di kung-fu in Italia. C'è tanta di quella passione e competenza, in La città proibita, da poterci rendere orgogliosi di un regista come Mainetti. Andate, e spargete la voce!


Del regista e co-sceneggiatore Gabriele Mainetti ho già parlato QUI. Sabrina Ferilli (Lorena), Marco Giallini (Annibale) e Luca Zingaretti (Alfredo) li trovate invece ai rispettivi link.


Enrico Borello
, che interpreta Marcello, ha partecipato alla serie Supersex, mentre Yaxi Liu, che interpreta Mei, ha lavorato come stuntman in film come Mulan. Se La città proibita vi fosse piaciuto, recuperate Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out! ENJOY!

mercoledì 3 novembre 2021

Freaks Out (2021)

Il film da vedere assolutamente nel weekend è stato Freaks Out, diretto e co-sceneggiato dal regista Gabriele Mainetti. Se non avete voglia di leggere tutto il post, sappiate solo che Freaks Out è un film splendido, che dovete assolutamente andare a vedere al cinema (vi prego, per una volta, non aspettate di averlo in streaming o, peggio ancora, di scaricarlo da qualche sito. Sostenete il BEL cinema italiano, altrimenti non usciranno mai più film simili e dovremmo accontentarci solo ed esclusivamente della merda con Fabio Volo) e portarlo nel cuore per un bel pezzo. Ciò detto, se avete ancora voglia di leggere, spenderei altre due parole in suo onore!


Trama: durante l'occupazione tedesca, nel corso della seconda guerra mondiale, un gruppo di freaks si mette alla ricerca del proprietario del loro circo, l'ebreo Israel, improvvisamente scomparso.


Gabriele Mainetti
lo aspettavamo tutti al varco. Sei anni fa aveva folgorato la maggior parte di noi spettatori con quello spettacolo di Lo chiamavano Jeeg Robot, uno dei film "di supereroi" più bello e originale mai girato, e probabilmente sempre la maggior parte di noi avrebbe scommesso che la pellicola successiva del regista sarebbe stato un sequel delle vicende di Enzo, invece Mainetti ha mostrato a tutti un bel dito medio e, pur tenendosi stretto Santamaria, ha cambiato completamente registro, stupendo il pubblico ancora una volta. Completamente, forse, è una parola grossa. Freaks Out, già dal titolo, è un'altra bellissima storia di reietti con poteri che li rendono mostruosi, che siano buoni, cattivi oppure in equilibrio su quella grigia linea di confine tracciata dalla guerra, dove tutti, alla fine, perdono e si sporcano le mani di sangue. La Roma di Mainetti brulica di mostri i cui destini si incrociano all'interno di una trama che sembra un mix tra una fiaba, un film dell'orrore e un volumetto di X-Men, con un cuore di coming of age che vede protagonista la giovane, innocente Matilde, ragazza dotata di incontrollabili poteri elettrici e pirocinetici. Come la Rogue degli X-Men, Matilde non può venire toccata, non può vivere un'esistenza normale senza rischiare di uccidere le persone, e come Enzo sceglie dunque di non fare nulla, di passare giorni felici facendosi coccolare da Israel e dalla sua famiglia di freaks, almeno finché la realtà non le piomba addosso in tutto il suo orrore, recante le insegne del Reich e le fattezze di Franz, padrone del circo più sfarzoso di Roma. Franz è a sua volta fratello spirituale dello Zingaro, un altro "bambino" disadattato e arrogante a cui vengono dati dei "giocattoli" per tenerlo tranquillo e dargli un'illusione di importanza, mentre i grandi si occupano delle cose serie; peggio ancora, in una realtà dove l'unica cosa che conta è la perfezione della razza ariana, Franz porta addosso la vergogna di un difetto fisico che, per quanto trascurabile, lo rende comunque un mostro, inutile alla causa del Reich, ed è questa consapevolezza a bruciargli dentro come un veleno e a renderlo ancora più abominevole, irremovibile nella sua ferma volontà di donare a Hitler un esercito di superesseri con lui a capo.


Questi due animi disperati arriveranno a scontrarsi, cambiando il destino di "mostri" ed esseri umani "normali", toccando una delle pagine più nere della storia mondiale che, in Freaks Out, viene trattata sì con piglio poetico e fantasioso (qualcuno ha citato La vita è bella, a mio avviso a sproposito, ma capisco cosa spinge le persone ad accomunare le due opere), ma anche assai crudo e realistico, a volte anche triviale; una delle sequenze che ho preferito, in tal senso, è quella dell'incontro/scontro tra Matilde e i partigiani capitanati dal Gobbo, il quale giustamente pensa da uomo di guerra, in termini di vita o morte, e non riesce minimamente a tollerare che una ragazza col potenziale bellico di Matilde possa passare il tempo a piangere e rifiutare i propri poteri. Il durissimo confronto tra il Gobbo e Matilde fa male a livello mentale ma anche fisico, perché è di una violenza incredibile, e cancella con un colpo di spugna tutte le giustificazioni di una ragazzina traumatizzata, che rifiuta  la realtà che la circonda e, così facendo, rischia di perdere ancora una volta tutto ciò che potrebbe salvarla e mantenerla umana; è bello come alla pietà verso Matilde si mescoli la costante voglia di scrollarla e darle una svegliata, è bello come tutti i personaggi di Freaks Out, persino alcuni dei cattivi, siano connotati con delle piccole pennellate del colore opposto, che talvolta portano a provare un po' di schifo verso chi dovrebbe essere buono oppure inaspettati picchi di empatia verso chi dovrebbe di regola morire malissimo. E' indice di una ricchezza di scrittura e di una complessità che raramente si trovano non solo nei film italiani, ma anche nelle ben più blasonate produzioni americane, magari Marvel, peraltro più volte citate per motivi che non vi spoilero.


Rimanendo in tema di mega produzioni, difficilmente riuscirete a vedere, quest'anno, un film italiano dello stesso respiro internazionale di Freaks Out. Guardandolo, mi sono venuti spesso in mente i russi e i cinesi che "vojono fa' gli americani" e, di solito, nonostante il dispendio di soldi e mezzi, tirano fuori gli stessi effetti speciali posticci di un costoso videogioco, mentre durante la visione dell'ultimo film di Mainetti mai mi è venuta voglia di strapparmi gli occhi, neppure una volta, né davanti agli effetti speciali più contenuti né davanti a quelli più spettacolari ed "arroganti". Sarà che, par banale dirlo, ma l'effetto speciale più grande di Freaks Out sono gli attori? Ora, voi lo sapete quanto mi sono invisi gli interpreti nostrani, ma evidentemente Mainetti riesce a tirare fuori il meglio da chiunque, dai semi- esordienti come la dolcissima, commovente Aurora Giovinazzo (ho 40 anni, ragazzi. Mi sono ritrovata con gli occhi a stellina davanti a ogni accenno di romance tra Matilde e lo spassosissimo Cencio di Pietro Castellitto, altro attore valorizzato benissimo) a un habitué delle cretinate televisive come Giorgio Tirabassi, altro che mi ha spezzato il cuore a più riprese, per non parlare ovviamente del sempre meraviglioso Santamaria e dell'esageratissimo Franz Rogowski, a cui probabilmente è stato regalato il ruolo della vita. Altra cosa con cui Mainetti mi aveva già "comprata" ai tempi di Lo chiamavano Jeeg Robot è poi  la sua ferma volontà di abbracciare una violenza al limite dell'horror (è sempre una gioia enorme vedere fasci e nazisti che muoiono malissimo) senza nascondersi dietro a un dito e mantenendo comunque una certa dose di eleganza nella messa in scena (fotografia e montaggio sono splendidi, non sto nemmeno a dirvelo),  per non parlare del gusto con cui sceglie i pezzi della colonna sonora; qui, per esempio, ci sono un paio di inaspettati brani che non vi spoilero, utilizzati in maniera davvero particolare e riprodotti con un'esecuzione da brividi. Insomma, io non so più come convincervi del fatto che Freaks Out è una meraviglia e che dovete correre a vederlo, spargendo poi il verbo. Dal canto mio, aspetto con ansia un bluray e, ovviamente, il prossimo film di Mainetti!


Del regista e co-sceneggiatore Gabriele Mainetti ho già parlato QUI mentre Claudio Santamaria, che interpreta Fulvio, lo trovate QUA.

Pietro Castellitto interpreta Cencio. Figlio di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, ha partecipato a film come Non ti muovere, La profezia dell'armadillo, I predatori e a serie quali Speravo de morì prima. Anche regista e sceneggiatore, ha 29 anni e un film in uscita. 


Giorgio Tirabassi
interpreta Israel. Nato a Roma, ha partecipato a film come Boris - Il film e a serie quali Distretto di polizia e Boris. Anche regista e sceneggiatore, ha 61 anni e due film in uscita. 


Se Freaks Out vi fosse piaciuto non avete che da recuperare Lo chiamavano Jeeg Robot, se non lo avete mai visto! ENJOY!

mercoledì 9 marzo 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)

Ho dovuto aspettare due settimane ma finalmente anche a Savona è arrivato Lo chiamavano Jeeg Robot, film diretto dal regista Gabriele Mainetti. Vi assicuro che è valsa la pena aspettare così tanto!!


Trama: in fuga dai carabinieri, il delinquentello di borgata Enzo Ceccotti cade nel Tevere ed ottiene dei superpoteri. Gli eventi lo porteranno ad incrociare il cammino con Alessia, fan di Jeeg Robot con problemi psichici, e con la banda dello Zingaro, boss di quartiere che vorrebbe "fare il botto"...


Come faccio a spiegare la felicità provata dopo la visione di Lo chiamavano Jeeg Robot? Non è stata solo la gioia di avere visto un film bellissimo che aspettavo da settimane ma soprattutto l'orgoglio di avere visto il "cinecomic" più bello di sempre, nato dalla consapevolezza di avere davanti un prodotto tutto italiano (con un piccolo aiuto del buon Go Nagai, ovviamente). Lo chiamavano Jeeg Robot ha dalla sua quell'unico elemento che manca alle produzioni Marvel e DC ed è una cosa talmente semplice che viene quasi da ridere a pensare a tutto l'hype che si crea di solito davanti all'ultimo Avengers o Batman vs Laqualunque: guardando il film di Mainetti arriva ad importarci davvero qualcosa del supereroe protagonista. Iron Man, Deadpool, Batman, sono tutti tridimensionali quanto volete ma sono intercambiabili e, soprattutto, non sono "nostri", così estranei allo stile di vita e alla piccola società che conosciamo; se il nemico li abbatte noi ci rimaniamo male, è vero, ma sappiamo che qualcun altro raccoglierà lo scettro e tutte le emozioni provate durante la visione del film durano il tempo di una birra, al massimo di una dormita. Enzo o, come lo chiama Alessia, Hiroshi, è un ladruncolo che un giorno si ritrova con dei superpoteri ma non è un simpatico guascone come Ant-Man, anzi. Enzo tira a campare, ai margini di quel covo di tristezza che risponde al nome di Tor Bella Monaca, cercando di confondersi nelle ombre che hanno inghiottito la sua famiglia e i suoi amici, persi nell'anonimato di una società violenta e spietata: de "laGGente" non gli importa nulla, si lascia vivere tra un budino e un porno, mentre attorno a lui le cose si limitano ad accadere. E quando arrivano i superpoteri per un po' non cambia nulla, badate bene, perché d'altronde dovrebbe? Un ladruncolo con i superpoteri rimane sempre un ladruncolo, al limite un po' più fortunato degli altri, non si mette certo a salvare le persone solo perché "da grandi poteri derivano grandi responsabilità" ed è proprio il percorso MOLTO graduale che spinge Enzo a diventare un Jeeg a renderlo incredibilmente umano, credibile e simpatico.


Più Leon che Peter Parker, Enzo matura innanzitutto come persona, POI come supereroe, aprendo lentamente il cuore all'improbabile e tenerissima donna-bambina interpretata magistralmente da Ilenia Pastorelli la quale, con la sua innocenza, lo prende per mano e lo porta ad accorgersi del mondo esterno, quel mondo che Enzo ha sempre cercato disperatamente di chiudere fuori. Se Alessia è una Gwen Stacy atipica, vittima di un passato talmente orribile che la sua mente ha ricreato la realtà modellandola sui cartoni di Jeeg Robot d'acciaio, per completare il quadro manca solamente un Goblin altrettanto particolare. Si dice che un buon racconto di supereroi debba avere un villain in grado di eclissare il protagonista e lo Zingaro, bontà sua, ci riesce alla perfezione, conquistandosi con due battute e almeno una sequenza cult il cuore degli spettatori. Sì perché come Enzo incarna l'essenza dell'italianità per quel che riguarda quel lassismo un po' omertoso di cui ognuno di noi ha dato prova almeno una volta nella vita, lo Zingaro diventa automaticamente portavoce della voglia di successo a tutti i costi, l'insano desiderio di essere "qualcuno" che ci spingerebbe persino a partecipare ad innominabili baracconi televisivi. Al netto delle sue pose da Joker, della follia tarantiniana e delle velleità da Tony Soprano il povero Fabio Cannizzaro detto lo Zingaro è un poveraccio, un "gangster" da operetta che i suoi sottoposti faticano a prendere sul serio però è anche imprevedibile e totalmente sopra le righe e sono proprio queste due caratteristiche a renderlo un villain perfetto nel suo infantile e doloroso desiderio di "sfondare", di fuggire da Tor Bella Monaca e diventare finalmente uno "che conta". Puoi coronarla di canzoni anni '80 quanto vuoi ma la sete di potere è la conditio sine qua non per ogni cattivo che si rispetti e lo Zingaro ne ha a palate, per fortuna nostra.


E fortunatamente a dare corpo, anima e voce allo Zingaro ci ha pensato Luca Marinelli, un trionfo di romanaccia ambiguità capace di rubare la scena a chiunque abbia la "sventura" di dividerla con lui. Sono sincera, la cosa che temevo di più prima di guardare Lo chiamavano Jeeg Robot erano gli attori e soprattutto il loro modo di parlare ma in questo senso la pellicola di Mainetti è perfetta, un giusto equilibrio di momenti esilaranti dati dall'inflessione dialettale e toni drammatici che mi hanno portata persino a versare un paio di lacrime, cosa mai accaduta durante la visione di un "cinecomic". Marinelli è un piacere da guardare e da ascoltare, la sua esibizione sulle note di Un'emozione da poco (picco di una colonna sonora un po' camp ma piacevolissima e perfettamente calzante) è già candidata a cult duemilasempre, ma anche Santamaria e la già citata Ilenia Pastorelli non scherzano. Santamaria, con la sua aria da pugile suonato, costantemente in bilico tra "duro che non deve chiedere mai" e uomo della strada coinvolto in una cosa più grande di lui, a tratti fa una tenerezza infinita ed è davvero il supereroe che vorrei con me nei momenti di difficoltà, altro che Iron Man, mentre la Pastorelli è dotata di una bellezza incredibile, quel fascino che non risiede nei lineamenti perfetti ma piuttosto nella capacità di suscitare emozioni negli altri, annullandosi completamente in un personaggio difficile ma fondamentale. Lodi sperticate a tutti gli altri caratteristi che partecipano alla pellicola ma anche e soprattutto a Gabriele Mainetti e ai responsabili degli effetti speciali che hanno ovviato agli inevitabili limiti di budget senza sprecare soldi in terrificanti esempi di computer grafica d'accatto, puntando tutto su movimenti di macchina intelligenti, su semplici rappresentazioni degli effettivi poteri di Enzo e, soprattutto, sull'artigianalità per quel che riguarda lo splatter (ce n'è parecchio, eh), portando così avanti la GLORIOSA TRADIZIONE del cinema di genere italiano che, nonostante le parole sprecate da poveri scribacchini, vive e lotta con noi perlomeno fin dagli anni '50. Si può dire che Lo chiamavano Jeeg Robot è il film di supereroi più bello mai girato? Sì, si può dire e non vedo l'ora di avere tra le mani il DVD per riguardarlo ancora, ancora e ancora. Grazie Gabriele, grazie Claudio, grazie Luca, grazie Ilenia, grazie a TUTTI quelli che hanno contribuito a far ri-nascere Jeeg Robot e con lui il Cinema italiano!!


Di Claudio Santamaria, che interpreta Enzo Ceccotti, ho già parlato QUI.

Gabriele Mainetti è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio dopo una serie di corti tra i quali figura l'ormai mitico Basette. Romano, anche attore, compositore e produttore, ha 40 anni.


Luca Marinelli interpreta Fabio Cannizzaro, alias Lo Zingaro. Nato a Roma, ha partecipato a film come La solitudine dei numeri primi, La grande bellezza e Non essere cattivo. Ha 32 anni e due film in uscita.


Dal film è stato tratto anche un fumetto scritto da Roberto Recchioni e disegnato da Giorgio Pontrelli e Stefano Simenone, uscito con la Gazzetta dello Sport a febbraio e che ovviamente, mortacci mia, mi sono persa! Bando alla tristezza: se Lo chiamavano Jeeg Robot vi fosse piaciuto cercatelo e aggiungete anche la visione di Leon. ENJOY!


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