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mercoledì 11 giugno 2025

Follemente (2025)

Qualche sera fa, su richiesta del Bolluomo, abbiamo guaradato Follemente, diretto e co-sceneggiato dal regista Paolo Genovese, disponibile da poco su Disney +.


Trama: al primo appuntamento, un uomo e una donna devono fare i conti con le rispettive personalità e gli imput contraddittori delle"voci" nella loro testa...


Non temete, il Bolluomo non è impazzito e nemmeno io. Il fatto è che lo porto al cinema praticamente una volta alla settimana e, per un lungo periodo, tutti il film che guardavamo erano preceduti dal trailer di Follemente. In effetti, detto trailer invogliava: Follemente era chiaramente ispirato ad Inside Out, con le "personalità" nella testa dei due protagonisti impegnate a risolvere tutti i problemi legati a un primo appuntamento, o a complicarlo ulteriormente, e c'erano un paio di gag divertenti che facevano ben sperare. Ci siamo guardati bene dallo spendere soldi per vederlo al cinema, ché dopo tanti anni un po' di istinto l'ho affinato, ma quando è stato disponibile su Disney + (che, peraltro, ha co-prodotto il film) ci siamo buttati, e abbiamo capito che tutto il buono di Follemente, salvo forse una sequenza, era contenuto nel trailer. L'ultimo film di Paolo Genovese è un'ora e mezza di canovaccio esile tirato per le lunghe, tanto che, alla fine, sembra di essere rimasti seduti sul divano per tre ore. La sceneggiatura, scritta a dieci mani, è la summa di tutto ciò che ha rovinato il cinema italiano a partire dall'anno di uscita de L'ultimo bacio, con l'aggiunta di dialoghi che sembrano scritti da un algoritmo, tanto sono innaturali da sentire pronunciare, e con almeno una gag presa direttamente da un meme di Internet. "Quante volte si può essere imbarazzanti in una vita?", chiede una delle "voci" nella testa di Lara, impegnata nel primo appuntamento con Piero. La risposta non la so, ma ho perso il conto di quanto mi sono sentita imbarazzata io nel guardare Follemente e l'interazione tra i due tipici archetipi borghesi dalla commedia/dramma nevrotica nostrana. Lei è, ovviamente, una matta umorale dalle idee femministe e con hobby non convenzionali, con un disperato bisogno di caz... di essere capita e accettata da un uomo capace di "normalizzarla"; lui è Edoardo Leo che, da Smetto quando voglio, fa sempre il solito personaggio di maschio sfigato, maniaco del controllo, goffo e pseudo-intellettuale con un disperato bisogno di fig... d'affetto, perché nonostante tutti i suoi difetti sarebbe un padre esemplare e un marito perfetto, se solo esistesse una donna (non la ex moglie stronza, ovviamente) capace di sopportarli e, magari, arricchirgli la vita con qualche "stranezza" atta a farlo uscire da un guscio che gli sta sempre più stretto. Il film è costruito sull'unità di tempo e di luogo che è l'appuntamento tra Lara e Piero, e hai voglia a rendere interessante una serata tra disagiati che devono ancora conoscersi, anche introducendo il monotono paesaggio mentale dei due protagonisti, abitato dai quattro aspetti che li governano.

Se si fosse dato più spazio alle personalità all'interno della mente dei personaggi, se ci si fosse impegnati a lavorare di scenografia e regia per rendere il "luogo" in cui vivono un minimo interessante, particolare e fantasioso, FORSE il film sarebbe stato molto più interessante, perché anche a fronte della banalità dei quattro differenti aspetti (ego, superego, id e... boh, la principessa disneyana per Lisa e il babbalone sensibile per Piero?), le interazioni tra di loro sono talvolta divertenti. Dico forse perché, purtroppo, il terzo atto del film è una gigantesca sega mentale in cui i due protagonisti devono decidere se passare assieme la notte nella stessa casa e, magari, anche il mattino e il pomeriggio successivi (rinunciando, oddio, alla propria libertà, ai programmi per la giornata!!!), ed è una decisione talmente dirimente, per la loro felicità futura, che arrivano a discuterne assieme persino le rispettive personalità, incontrandosi. Ora, Cristo, io sono sicuramente l'antiromanticismo fatto a persona, ma non credo che tornare ognuno a casa propria dopo un (imbarazzante, irreale) amplesso da primo appuntamento significhi che non ci si rivedrà mai più e che la nostra vita sarà quindi segnata da solitudine ed infelicità perenni. Ma, ovviamente, i personaggi di Follemente non sono persone normali, sono bambini quasi quarantenni lei e ultracinquantenni lui, che al primo appuntamento parlano già di figli e matrimonio, alternando dialoghi di una stupidità rara e filosofia da Bacio Perugina, scomodando qui e là Calvino, Che Guevara e Carla Lonzi e io, scusatemi, ma mi sono rotta le palle di una distribuzione italiana e di un sistema di finanziamenti che premia questa sciatteria e condanna all'oblio opere innovative come La città proibita di Mainetti. Spezzo una lancia solo per gli attori. Edoardo Leo e Pilar Fogliatti, poveri Cristi, non è che possono cavare sangue dalle rape, e cercano di interpretare i loro personaggi improbabili al meglio, mentre il resto del cast (nel quale spiccano Giallini, Santamaria, Lastrico e Papaleo, la mente maschile, più varia e divertente nelle interazioni rispetto a quella femminile) approfitta della possibilità di estremizzare le caratteristiche dei vari stati mentali, con risultati sicuramente migliori. Probabilmente, sono io ad avere un problema con questo tipo di film italiani in generale e col sopravvalutato Paolo Genovese in particolare, ma non riesco proprio a consigliarvi di guardare Follemente. Piuttosto, come ho detto a un amico su Instagram, mettete il trailer in loop per un'ora e mezza, tanto la ciccia è tutta lì.

P.S. A proposito di ciccia. La cena inizia con le lasagne, continua con una focaccia (Ma la focaccia??? Per secondo, dopo le lasagne???!!), prosegue con una vaschetta di gelato a settecento gusti diversi, uno per ogni cliché, e si conclude con una pasta aglio, olio e peperoncino? Ma a voi vi camallano, che pesantezza!!!


Del regista e co-sceneggiatore Paolo Genovese ho già parlato QUI. Edoardo Leo (Piero), Marco Giallini (Professore), Rocco Papaleo (Valium) e Claudio Santamaria (Eros) li trovate invece ai rispettivi link. 

Claudia Pandolfi interpreta Alfa. Nata a Roma, la ricordo per film come Ovosodo, Auguri professore, La prima cosa bella, La profezia dell'armadillo, Tutta colpa di Freud, Il ragazzo dai pantaloni rosa, e a serie quali Amico mio, Un medico in famiglia, Distretto di polizia. Ha 51 anni. 


Vittoria Puccini
interpreta Giulietta. Nata a Firenze, la ricordo per film come Ma quando arrivano le ragazze?, Baciami ancora, Tutta colpa di Freud, The Place e serie come Elisa di Rivombrosa. Ha 45 anni. 


Pilar Fogliati
, che interpreta Lara, è stata la doppiatrice italiana di Ansia per Inside Out 2 mentre Emanuela Fanelli, che interpreta Trilli, era la fruttivendola Marisa di C'è ancora domani. ENJOY!


mercoledì 3 novembre 2021

Freaks Out (2021)

Il film da vedere assolutamente nel weekend è stato Freaks Out, diretto e co-sceneggiato dal regista Gabriele Mainetti. Se non avete voglia di leggere tutto il post, sappiate solo che Freaks Out è un film splendido, che dovete assolutamente andare a vedere al cinema (vi prego, per una volta, non aspettate di averlo in streaming o, peggio ancora, di scaricarlo da qualche sito. Sostenete il BEL cinema italiano, altrimenti non usciranno mai più film simili e dovremmo accontentarci solo ed esclusivamente della merda con Fabio Volo) e portarlo nel cuore per un bel pezzo. Ciò detto, se avete ancora voglia di leggere, spenderei altre due parole in suo onore!


Trama: durante l'occupazione tedesca, nel corso della seconda guerra mondiale, un gruppo di freaks si mette alla ricerca del proprietario del loro circo, l'ebreo Israel, improvvisamente scomparso.


Gabriele Mainetti
lo aspettavamo tutti al varco. Sei anni fa aveva folgorato la maggior parte di noi spettatori con quello spettacolo di Lo chiamavano Jeeg Robot, uno dei film "di supereroi" più bello e originale mai girato, e probabilmente sempre la maggior parte di noi avrebbe scommesso che la pellicola successiva del regista sarebbe stato un sequel delle vicende di Enzo, invece Mainetti ha mostrato a tutti un bel dito medio e, pur tenendosi stretto Santamaria, ha cambiato completamente registro, stupendo il pubblico ancora una volta. Completamente, forse, è una parola grossa. Freaks Out, già dal titolo, è un'altra bellissima storia di reietti con poteri che li rendono mostruosi, che siano buoni, cattivi oppure in equilibrio su quella grigia linea di confine tracciata dalla guerra, dove tutti, alla fine, perdono e si sporcano le mani di sangue. La Roma di Mainetti brulica di mostri i cui destini si incrociano all'interno di una trama che sembra un mix tra una fiaba, un film dell'orrore e un volumetto di X-Men, con un cuore di coming of age che vede protagonista la giovane, innocente Matilde, ragazza dotata di incontrollabili poteri elettrici e pirocinetici. Come la Rogue degli X-Men, Matilde non può venire toccata, non può vivere un'esistenza normale senza rischiare di uccidere le persone, e come Enzo sceglie dunque di non fare nulla, di passare giorni felici facendosi coccolare da Israel e dalla sua famiglia di freaks, almeno finché la realtà non le piomba addosso in tutto il suo orrore, recante le insegne del Reich e le fattezze di Franz, padrone del circo più sfarzoso di Roma. Franz è a sua volta fratello spirituale dello Zingaro, un altro "bambino" disadattato e arrogante a cui vengono dati dei "giocattoli" per tenerlo tranquillo e dargli un'illusione di importanza, mentre i grandi si occupano delle cose serie; peggio ancora, in una realtà dove l'unica cosa che conta è la perfezione della razza ariana, Franz porta addosso la vergogna di un difetto fisico che, per quanto trascurabile, lo rende comunque un mostro, inutile alla causa del Reich, ed è questa consapevolezza a bruciargli dentro come un veleno e a renderlo ancora più abominevole, irremovibile nella sua ferma volontà di donare a Hitler un esercito di superesseri con lui a capo.


Questi due animi disperati arriveranno a scontrarsi, cambiando il destino di "mostri" ed esseri umani "normali", toccando una delle pagine più nere della storia mondiale che, in Freaks Out, viene trattata sì con piglio poetico e fantasioso (qualcuno ha citato La vita è bella, a mio avviso a sproposito, ma capisco cosa spinge le persone ad accomunare le due opere), ma anche assai crudo e realistico, a volte anche triviale; una delle sequenze che ho preferito, in tal senso, è quella dell'incontro/scontro tra Matilde e i partigiani capitanati dal Gobbo, il quale giustamente pensa da uomo di guerra, in termini di vita o morte, e non riesce minimamente a tollerare che una ragazza col potenziale bellico di Matilde possa passare il tempo a piangere e rifiutare i propri poteri. Il durissimo confronto tra il Gobbo e Matilde fa male a livello mentale ma anche fisico, perché è di una violenza incredibile, e cancella con un colpo di spugna tutte le giustificazioni di una ragazzina traumatizzata, che rifiuta  la realtà che la circonda e, così facendo, rischia di perdere ancora una volta tutto ciò che potrebbe salvarla e mantenerla umana; è bello come alla pietà verso Matilde si mescoli la costante voglia di scrollarla e darle una svegliata, è bello come tutti i personaggi di Freaks Out, persino alcuni dei cattivi, siano connotati con delle piccole pennellate del colore opposto, che talvolta portano a provare un po' di schifo verso chi dovrebbe essere buono oppure inaspettati picchi di empatia verso chi dovrebbe di regola morire malissimo. E' indice di una ricchezza di scrittura e di una complessità che raramente si trovano non solo nei film italiani, ma anche nelle ben più blasonate produzioni americane, magari Marvel, peraltro più volte citate per motivi che non vi spoilero.


Rimanendo in tema di mega produzioni, difficilmente riuscirete a vedere, quest'anno, un film italiano dello stesso respiro internazionale di Freaks Out. Guardandolo, mi sono venuti spesso in mente i russi e i cinesi che "vojono fa' gli americani" e, di solito, nonostante il dispendio di soldi e mezzi, tirano fuori gli stessi effetti speciali posticci di un costoso videogioco, mentre durante la visione dell'ultimo film di Mainetti mai mi è venuta voglia di strapparmi gli occhi, neppure una volta, né davanti agli effetti speciali più contenuti né davanti a quelli più spettacolari ed "arroganti". Sarà che, par banale dirlo, ma l'effetto speciale più grande di Freaks Out sono gli attori? Ora, voi lo sapete quanto mi sono invisi gli interpreti nostrani, ma evidentemente Mainetti riesce a tirare fuori il meglio da chiunque, dai semi- esordienti come la dolcissima, commovente Aurora Giovinazzo (ho 40 anni, ragazzi. Mi sono ritrovata con gli occhi a stellina davanti a ogni accenno di romance tra Matilde e lo spassosissimo Cencio di Pietro Castellitto, altro attore valorizzato benissimo) a un habitué delle cretinate televisive come Giorgio Tirabassi, altro che mi ha spezzato il cuore a più riprese, per non parlare ovviamente del sempre meraviglioso Santamaria e dell'esageratissimo Franz Rogowski, a cui probabilmente è stato regalato il ruolo della vita. Altra cosa con cui Mainetti mi aveva già "comprata" ai tempi di Lo chiamavano Jeeg Robot è poi  la sua ferma volontà di abbracciare una violenza al limite dell'horror (è sempre una gioia enorme vedere fasci e nazisti che muoiono malissimo) senza nascondersi dietro a un dito e mantenendo comunque una certa dose di eleganza nella messa in scena (fotografia e montaggio sono splendidi, non sto nemmeno a dirvelo),  per non parlare del gusto con cui sceglie i pezzi della colonna sonora; qui, per esempio, ci sono un paio di inaspettati brani che non vi spoilero, utilizzati in maniera davvero particolare e riprodotti con un'esecuzione da brividi. Insomma, io non so più come convincervi del fatto che Freaks Out è una meraviglia e che dovete correre a vederlo, spargendo poi il verbo. Dal canto mio, aspetto con ansia un bluray e, ovviamente, il prossimo film di Mainetti!


Del regista e co-sceneggiatore Gabriele Mainetti ho già parlato QUI mentre Claudio Santamaria, che interpreta Fulvio, lo trovate QUA.

Pietro Castellitto interpreta Cencio. Figlio di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, ha partecipato a film come Non ti muovere, La profezia dell'armadillo, I predatori e a serie quali Speravo de morì prima. Anche regista e sceneggiatore, ha 29 anni e un film in uscita. 


Giorgio Tirabassi
interpreta Israel. Nato a Roma, ha partecipato a film come Boris - Il film e a serie quali Distretto di polizia e Boris. Anche regista e sceneggiatore, ha 61 anni e due film in uscita. 


Se Freaks Out vi fosse piaciuto non avete che da recuperare Lo chiamavano Jeeg Robot, se non lo avete mai visto! ENJOY!

martedì 24 ottobre 2017

Brutti e cattivi (2017)

Un trailer accattivante e una sorta di rinnovata fiducia in un certo tipo di cinema italiano mi ha portata domenica scorsa in sala a vedere Brutti e cattivi, diretto e co-sceneggiato dal regista Cosimo Gomez.


Trama: una banda composta da freak porta a segno un colpo milionario in banca ma da quel momento cominciano rivalità e problemi...



Successi di pubblico e critica hanno giustamente portato agli onori della cronaca film come Lo chiamavano Jeeg Robot e Smetto quando voglio. Il comun denominatore di queste opere, al di là dell'accento romano dei protagonisti, è uno stile moderno di regia, montaggio e fotografia (che spesso rimanda ad opere d'oltreoceano), la presenza di antieroi spesso criminali, di un umorismo che non si limita alla scoreggia Boldiana e la contaminazione di generi. Dati gli incassi e le generali critiche positive, era solo questione di tempo prima che questo modello venisse sdoganato e riproposto da altri registi o autori desiderosi di cavalcare l'onda ed ecco quindi arrivare Brutti e cattivi, storia di un branco di freak criminali portata al cinema da Cosimo Gomez, alla sua prima prova come regista e sceneggiatore, ed Alex Infascelli, che lo ha affiancato nella stesura della sceneggiatura. Brutti e cattivi, diciamolo subito, non è nemmeno lontanamente parente né dei film citati sopra né, tantomeno, di un'opera dei Manetti Bros; sembra piuttosto il parto di qualcuno che vorrebbe ma non può/non riesce e che, spinto da eccessivo entusiasmo, ritiene che una scrittura raffazzonata, un'accozzaglia di avanzi di galera, un po' di sangue e qualche effetto speciale possano entusiasmare il pubblico e generare un film memorabile. Il problema di Brutti e cattivi però è che si concentra più sui "fatti" e sugli aspetti folkloristici della trama piuttosto che sui personaggi, i quali altro non sono che due o tre macchiette burine buttate lì, caratterizzati giusto dai loro difetti fisici. Simpatici oppure odiosi quanto volete ma non ce n'è uno col quale si simpatizzi un minimo e lo dimostra il fatto che per metà film il protagonista, il Papero di Santamaria, non si vede neppure ma nonostante questo il film prosegue comunque in tutta tranquillità. Prosegue, tra l'altro, malgrado Santamaria sia l'unico attore del mucchio. Non me ne vogliano i fan di Gomorra, che io purtroppo non ho mai guardato, ma Marco D'Amore sepolto sotto i rasta e costretto ad interpretare il tossico in botta ha dell'imbarazzante, e il nano Simoncino, assieme alla tizia senza braccia, hanno l'espressività di due blocchi di tufo mentre il resto del cast è probabilmente stato preso direttamente dalle strade alla periferia di Roma (salvo solo la dolce e sconosciuta Aline Belibi nei panni di Perla, personaggio decisamente inaspettato e a tratti commovente) e talvolta mi è risultato difficile proprio capire cosa dicessero, gli italiani più dei cinesi o dei russi.


Davanti ad una storia tutto sommato semplice, che potrebbe sfruttare il fascino innegabile dei freak o la loro natura "tribale", come insegnato da Tod Browning e persino da American Horror Story, ma si limita semplicemente ad utilizzare le menomazioni dei protagonisti come un mero escamotage per accentuare la natura weird del film, non è rimasto altro da fare per coinvolgere l'audience che pigiare sull'acceleratore dell'esagerato a tutti i costi. Ecco quindi che Papero e Ballerina scopano di lungo, il "Merda" ha un nome importante, il nano fa i video come i rapper americani (mulinelli, tizie col culo di fuori e riprese dal basso), la gente viene mutilata da malviventi senza scrupoli e il linguaggio è dei più scurrili sentiti ultimamente. Anzi, anche troppo, sinceramente. Che io a sentir dare continuamente della "negra" e della "troia" a una donna, anche per amor di fiction o di aderenza al sottobosco criminale, francamente un po' mi scogliono, ecco. Insomma, più che dai freak sono stata "disturbata" da altro guardando Brutti e cattivi, forse dal suo eccesso di maschilismo (non c'è una donna nel film che venga proposta in altro modo rispetto a "sistema di supporto vitale per la passera", per dirla alla Stephen King, nemmeno la Ballerina) o dal razzismo strisciante sconfinante anche un po' nello stereotipo populista, qualcosa che in una commedia non avrei voluto sentire. Si ride guardando Brutti e cattivi, è vero, ma è una risata spiacevole della quale ci si vergogna quasi e alla fine si rimane a guardare lo schermo pensando sì, carino, dai, ma... un po' scemo?  Un po' "va bene, Santamaria ha trovato la sua strada con 'sti personaggi laidi però magari mettiamoci un contorno valido"? Un po' non so bene cosa? Ripensandoci, non avrei voluto scrivere una stroncatura ma questo è quello che è uscito, dunque probabilmente Brutti e cattivi non è un film da consigliare, neanche per quella vaga citazione a Nirvana di Salvatores. Molto meglio ripiegare su Ammore e malavita o attendere il terzo capitolo di Smetto quando voglio.


Di Claudio Santamaria, che interpreta il Papero, ho già parlato QUI.

Cosimo Gomez è il regista e co-sceneggiatore del film, alla sua prima esperienza da regista. Soprattutto scenografo, ha lavorato in pellicole come Il siero della vanità e serie come Che dio ci aiuti e A un passo dal cielo.


Giorgio Colangeli interpreta il Commissario Parisi. Nato a Roma, ha partecipato a film come Il divo, La banda dei Babbi Natale e a serie quali Linda e il brigadiere, Distretto di polizia, Braccialetti rossi e Tutto può succedere. Ha 68 anni e due film in uscita.


Marco D'Amore, che interpreta Giorgio Armani detto "Il merda", è uno dei protagonisti principali della serie Gomorra mentre Simoncino Simone Martucci, ovvero Plissé, è davvero un rapper. Detto questo, se Brutti e cattivi vi fosse piaciuto recuperate Smetto quando voglio, Smetto quando voglio - Masterclass e magari anche Freaks, vah. ENJOY!

mercoledì 9 marzo 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)

Ho dovuto aspettare due settimane ma finalmente anche a Savona è arrivato Lo chiamavano Jeeg Robot, film diretto dal regista Gabriele Mainetti. Vi assicuro che è valsa la pena aspettare così tanto!!


Trama: in fuga dai carabinieri, il delinquentello di borgata Enzo Ceccotti cade nel Tevere ed ottiene dei superpoteri. Gli eventi lo porteranno ad incrociare il cammino con Alessia, fan di Jeeg Robot con problemi psichici, e con la banda dello Zingaro, boss di quartiere che vorrebbe "fare il botto"...


Come faccio a spiegare la felicità provata dopo la visione di Lo chiamavano Jeeg Robot? Non è stata solo la gioia di avere visto un film bellissimo che aspettavo da settimane ma soprattutto l'orgoglio di avere visto il "cinecomic" più bello di sempre, nato dalla consapevolezza di avere davanti un prodotto tutto italiano (con un piccolo aiuto del buon Go Nagai, ovviamente). Lo chiamavano Jeeg Robot ha dalla sua quell'unico elemento che manca alle produzioni Marvel e DC ed è una cosa talmente semplice che viene quasi da ridere a pensare a tutto l'hype che si crea di solito davanti all'ultimo Avengers o Batman vs Laqualunque: guardando il film di Mainetti arriva ad importarci davvero qualcosa del supereroe protagonista. Iron Man, Deadpool, Batman, sono tutti tridimensionali quanto volete ma sono intercambiabili e, soprattutto, non sono "nostri", così estranei allo stile di vita e alla piccola società che conosciamo; se il nemico li abbatte noi ci rimaniamo male, è vero, ma sappiamo che qualcun altro raccoglierà lo scettro e tutte le emozioni provate durante la visione del film durano il tempo di una birra, al massimo di una dormita. Enzo o, come lo chiama Alessia, Hiroshi, è un ladruncolo che un giorno si ritrova con dei superpoteri ma non è un simpatico guascone come Ant-Man, anzi. Enzo tira a campare, ai margini di quel covo di tristezza che risponde al nome di Tor Bella Monaca, cercando di confondersi nelle ombre che hanno inghiottito la sua famiglia e i suoi amici, persi nell'anonimato di una società violenta e spietata: de "laGGente" non gli importa nulla, si lascia vivere tra un budino e un porno, mentre attorno a lui le cose si limitano ad accadere. E quando arrivano i superpoteri per un po' non cambia nulla, badate bene, perché d'altronde dovrebbe? Un ladruncolo con i superpoteri rimane sempre un ladruncolo, al limite un po' più fortunato degli altri, non si mette certo a salvare le persone solo perché "da grandi poteri derivano grandi responsabilità" ed è proprio il percorso MOLTO graduale che spinge Enzo a diventare un Jeeg a renderlo incredibilmente umano, credibile e simpatico.


Più Leon che Peter Parker, Enzo matura innanzitutto come persona, POI come supereroe, aprendo lentamente il cuore all'improbabile e tenerissima donna-bambina interpretata magistralmente da Ilenia Pastorelli la quale, con la sua innocenza, lo prende per mano e lo porta ad accorgersi del mondo esterno, quel mondo che Enzo ha sempre cercato disperatamente di chiudere fuori. Se Alessia è una Gwen Stacy atipica, vittima di un passato talmente orribile che la sua mente ha ricreato la realtà modellandola sui cartoni di Jeeg Robot d'acciaio, per completare il quadro manca solamente un Goblin altrettanto particolare. Si dice che un buon racconto di supereroi debba avere un villain in grado di eclissare il protagonista e lo Zingaro, bontà sua, ci riesce alla perfezione, conquistandosi con due battute e almeno una sequenza cult il cuore degli spettatori. Sì perché come Enzo incarna l'essenza dell'italianità per quel che riguarda quel lassismo un po' omertoso di cui ognuno di noi ha dato prova almeno una volta nella vita, lo Zingaro diventa automaticamente portavoce della voglia di successo a tutti i costi, l'insano desiderio di essere "qualcuno" che ci spingerebbe persino a partecipare ad innominabili baracconi televisivi. Al netto delle sue pose da Joker, della follia tarantiniana e delle velleità da Tony Soprano il povero Fabio Cannizzaro detto lo Zingaro è un poveraccio, un "gangster" da operetta che i suoi sottoposti faticano a prendere sul serio però è anche imprevedibile e totalmente sopra le righe e sono proprio queste due caratteristiche a renderlo un villain perfetto nel suo infantile e doloroso desiderio di "sfondare", di fuggire da Tor Bella Monaca e diventare finalmente uno "che conta". Puoi coronarla di canzoni anni '80 quanto vuoi ma la sete di potere è la conditio sine qua non per ogni cattivo che si rispetti e lo Zingaro ne ha a palate, per fortuna nostra.


E fortunatamente a dare corpo, anima e voce allo Zingaro ci ha pensato Luca Marinelli, un trionfo di romanaccia ambiguità capace di rubare la scena a chiunque abbia la "sventura" di dividerla con lui. Sono sincera, la cosa che temevo di più prima di guardare Lo chiamavano Jeeg Robot erano gli attori e soprattutto il loro modo di parlare ma in questo senso la pellicola di Mainetti è perfetta, un giusto equilibrio di momenti esilaranti dati dall'inflessione dialettale e toni drammatici che mi hanno portata persino a versare un paio di lacrime, cosa mai accaduta durante la visione di un "cinecomic". Marinelli è un piacere da guardare e da ascoltare, la sua esibizione sulle note di Un'emozione da poco (picco di una colonna sonora un po' camp ma piacevolissima e perfettamente calzante) è già candidata a cult duemilasempre, ma anche Santamaria e la già citata Ilenia Pastorelli non scherzano. Santamaria, con la sua aria da pugile suonato, costantemente in bilico tra "duro che non deve chiedere mai" e uomo della strada coinvolto in una cosa più grande di lui, a tratti fa una tenerezza infinita ed è davvero il supereroe che vorrei con me nei momenti di difficoltà, altro che Iron Man, mentre la Pastorelli è dotata di una bellezza incredibile, quel fascino che non risiede nei lineamenti perfetti ma piuttosto nella capacità di suscitare emozioni negli altri, annullandosi completamente in un personaggio difficile ma fondamentale. Lodi sperticate a tutti gli altri caratteristi che partecipano alla pellicola ma anche e soprattutto a Gabriele Mainetti e ai responsabili degli effetti speciali che hanno ovviato agli inevitabili limiti di budget senza sprecare soldi in terrificanti esempi di computer grafica d'accatto, puntando tutto su movimenti di macchina intelligenti, su semplici rappresentazioni degli effettivi poteri di Enzo e, soprattutto, sull'artigianalità per quel che riguarda lo splatter (ce n'è parecchio, eh), portando così avanti la GLORIOSA TRADIZIONE del cinema di genere italiano che, nonostante le parole sprecate da poveri scribacchini, vive e lotta con noi perlomeno fin dagli anni '50. Si può dire che Lo chiamavano Jeeg Robot è il film di supereroi più bello mai girato? Sì, si può dire e non vedo l'ora di avere tra le mani il DVD per riguardarlo ancora, ancora e ancora. Grazie Gabriele, grazie Claudio, grazie Luca, grazie Ilenia, grazie a TUTTI quelli che hanno contribuito a far ri-nascere Jeeg Robot e con lui il Cinema italiano!!


Di Claudio Santamaria, che interpreta Enzo Ceccotti, ho già parlato QUI.

Gabriele Mainetti è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio dopo una serie di corti tra i quali figura l'ormai mitico Basette. Romano, anche attore, compositore e produttore, ha 40 anni.


Luca Marinelli interpreta Fabio Cannizzaro, alias Lo Zingaro. Nato a Roma, ha partecipato a film come La solitudine dei numeri primi, La grande bellezza e Non essere cattivo. Ha 32 anni e due film in uscita.


Dal film è stato tratto anche un fumetto scritto da Roberto Recchioni e disegnato da Giorgio Pontrelli e Stefano Simenone, uscito con la Gazzetta dello Sport a febbraio e che ovviamente, mortacci mia, mi sono persa! Bando alla tristezza: se Lo chiamavano Jeeg Robot vi fosse piaciuto cercatelo e aggiungete anche la visione di Leon. ENJOY!


domenica 24 gennaio 2016

Cinema Italiano I Love You - Almost blue (2000)


Prima che venissimo colpiti da una serie di lutti invernali (ciao ciao Bowie, Rickman e Scola...) con l'ormai mitico gruppetto di Blogger avevamo pensato di ricordare all'Italia l'esistenza di un cinema nostrano carino e disimpegnato ma non necessariamente legato a quell'attore il cui cognome fa rima con "orgoglione". Siccome però tutti i film che volevo vedere li avevo già recensiti temo di aver commesso un clamoroso autogol che, più che spingere i lettori ad amare il cinema italiano recente, li allontanerà ancora di più: ho infatti scelto di guardare Almost Blue, diretto e co-sceneggiato nel 2000 dal regista Alex Infascelli e tratto dal romanzo omonimo di Carlo Lucarelli. ENJOY!


Trama: L'ispettrice Grazia Negro, esperta informatica, riesce a ricondurre alla mano di un singolo assassino una serie di omicidi irrisolti commessi a Bologna, anche grazie all'aiuto di un ragazzo cieco. Il killer però si sente braccato e comincia ad avvicinarsi pericolosamente ai due...



Sono passati 16 anni eppure ricordo ancora molto bene il battage pubblicitario che si era creato attorno ad Almost Blue, tratto da un romanzo all'epoca abbastanza famoso e diretto da un regista giovane e promettente come Alex Infascelli (che fine ha fatto poi? E' sparito? Non mi fate andare a Chi l'ha visto?, eh!), così come ricordo di essere corsa al videonoleggio appena la cassetta era diventata disponibile e di averlo visto almeno un paio di volte. Ad attirarmi erano stati sicuramente il trailer e la locandina, nei quali spiccava l'inquietante figura del killer glabro interpretato da Rolando Ravello e i suoi terrificanti occhi, non a caso ancora oggi gli elementi che spiccano maggiormente all'interno del film, oltre al titolo inusuale per una produzione italiana, "profumato" di esotico e legato ad una bella canzone di Chet Baker. All'epoca poi avevo apprezzato il piglio "acido" della regia di Infascelli, la scelta intelligente di non mostrare mai il killer per intero o in viso se non poco prima del finale, la soggettiva non solo visiva ma anche uditiva dell'assassino, l'abbondanza di scene splatter e delle prospettive che richiamavano lo stile di Dario Argento; tuttavia, qualche giorno fa mi sono resa conto che ricordavo poco altro di Almost Blue e mi sono stupita, decidendo così di ripetere la visione a distanza di quasi vent'anni. Diciamo che l'interpretazione di Ravello e la regia di Infascelli continuano a risultarmi gradite, così come l'idea di basare la trama su un killer capace di cambiare letteralmente pelle oppure la palese fascinazione di Lucarelli e degli sceneggiatori verso un mondo allora sconosciuto e potenzialmente pericolosissimo come quello delle chat (il terminale usato all'inizio dall'assassino è praticamente un pezzo d'antiquariato, certi discorsi oggi risultano di un'ingenuità incredibile!), per il resto bisognerebbe stendere un velo pietoso.


Come spesso accade, ciò che affossa una produzione nostrana coraggiosa (o meglio: OGGI sarebbe coraggiosa, in quegli anni la scena thriller-horror italiana stava morendo ma boccheggiava ancora tenacemente) e di genere come Almost Blue si può riassumere essenzialmente in due difetti fatali: attori cani e dialoghi pessimi. Almost Blue funziona quando la musica di Chet Baker e quella dei Massimo volume la fanno da padrone, quando le immagini scorrono violente e schizofreniche sullo schermo e il terrore di trovarsi alle spalle il terribile killer trasformista diventa palpabile ma appena i personaggi aprono bocca viene voglia di sventrarli. Indolenti, noiosi, sciocchi, sciapi: i poliziotti rappresentati in Almost Blue sono la quintessenza del mollo, vagano per lo schermo scazzati e litigiosi, con gli attori costretti ad immedesimarsi in ruoli da "duri" connotati solo dallo spreco di sigarette e da una generale incapacità di sorridere; la protagonista Grazia Negro è donna "con le palle" solo nel momento in cui non è impegnata a sbavare ai piedi del suo superiore oppure ad innamorarsi (ma perché poi? Vi siete parlati due volte, che vada bene...) del povero cecato interpretato da un giovanissimo ed incolore Claudio Santamaria e, di fatto, ha il carisma e il sex appeal di una mutanda di ghisa. Essendo un film ambientato in Italia c'è poi un utilizzo spropositato di accenti dialettali ma il problema di questo abuso tipicamente nostrano è l'incapacità degli attori di coniugare l'accento regionale alla capacità di recitare senza dare l'idea di leggere da un gobbo dialoghi improbabili che nessuno si sognerebbe mai di riportare nella realtà. Si salva, come ho detto, solo Rolando Ravello, forse perché dice due frasi in tutto il film o forse perché è l'unico personaggio con una connotazione vagamente interessante, chissà. Sta di fatto che ho scelto proprio il film peggiore per celebrare il cinema italiano ma almeno ora, siccome scripta manent, sono sicura che non riguarderò Almost Blue una quarta volta!


Il giorno celebrativo del cinema italiano non è mica finito, date un'occhiata a questi link:

Solaris: Io sono l'amore
White Russian: Non essere cattivo
Pensieri Cannibali: Non essere cattivo
Director's Cult: Il volto di un'altra
Mari's Red Room: Shadow
Non c'è paragone: Basilicata Coast to Coast
In Central Perk: Maicol Jecson
Delicatamente perfido: Italiano medio

mercoledì 20 febbraio 2013

Bollalmanacco On Demand: Romanzo criminale (2005)

Dopo millemila mesi ecco tornare la rubrica dove chiunque può farmi vedere quello che gli pare, ovvero il Bollalmanacco On Demand. Oggi tocca alla blogger Tiziana beccarsi la recensione del film richiesto, quel Romanzo Criminale diretto nel 2005 da Michele Placido e tratto dall'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo. La prossima pellicola On Demand sarà invece Il giorno della bestia di Áxel de la Iglesia, chiesto dall’horroromane Matteo.


Trama: nella Roma degli anni’70 un gruppo di delinquenti riesce a farsi strada nel mondo della mala e a diventare la banda criminale più potente e pericolosa della Capitale… 

 
Ovviamente, stavolta partivo prevenuta. Mi è bastato leggere nei credits i nomi, a me abbastanza invisi, di Claudio Santamaria, Michele Placido, Stefano Accorsi e Riccardo Scamarcio per cominciare a sudare freddo e a maledire il giorno in cui ho tirato fuori 'sta malsana idea delle recensioni a richiesta. Alla vista della durata della pellicola (quasi tre ore!!) ho rischiato invece l'embolia. Per fortuna questa volta mi tocca ammettere l'errore e cospargere il capo di cenere: Romanzo Criminale ha tutte le carte in regola per rappresentare degnamente il buon cinema italiano e per una volta non sembra di guardare un prodotto televisivo anche se, lo ammetto, ho sentito spesso il riverbero inquietante e nostalgico de La piovra, tanto che mi sarei aspettata di veder spuntare in qualsiasi momento Tano Cariddi e il Commissario Cattani (che effettivamente ciccia fuori, ma in un altro ruolo). La fotografia in particolare è molto bella e la pellicola è curatissima sia per quanto riguarda la colonna sonora che per i costumi e le scenografie, ricche di quei piccoli dettagli in grado sia di collocare la vicenda in una determinata epoca sia di approfondire maggiormente la psicologia e il carattere dei personaggi (emblematica la rappresentazione delle abitazioni dei tre "capi" della banda, semplice e spartana quella del Freddo, tamarra e piena di oggetti kitsch e costosissimi quella del Dandi ed enorme ma impersonale quella di Libano). Molto interessante ed utile, inoltre, la scelta di mescolare al girato anche degli spezzoni di veri telegiornali, che innanzitutto contestualizzano "il romanzo" e poi contribuiscono a rendere ancor più verosimile la storia di questo gruppo di criminali, ispirata a quella della banda della Magliana.


Come dice il titolo, per quanto la trama della pellicola sia legata alla realtà ci troviamo comunque davanti ad un romanzo, appunto. Libano, il Dandi e il Freddo sono tre criminali troppo belli per essere veri (come dice peraltro una delle due protagoniste femminili all'altra), troppo carismatici e ripuliti nonostante il pesante accento romanazzo con cui si esprimono. E' per questo che, nel corso di Romanzo Criminale, ci troviamo spesso a parteggiare per loro e ad assecondare quasi l'idea romantica che spinge Libano e gli altri a dar vita alla banda, un'idea di libertà, di indipendenza, di conquista, il desiderio di elevarsi da un destino che relegherebbe questi giovani ad essere dei semplici impiegati, dei delinquentelli di strada, dei servitori. E' interessante vedere come spesso e volentieri questa "filosofia" di vita riesca quasi a cammuffare l'effettiva bassezza delle azioni compiute dalla banda e come purtroppo essa si ritrovi a cozzare con una realtà fatta di mafiosi, politici corrotti e oscuri burattinai dei servizi segreti, che alla fin fine offrono a Libano e soci solo l'illusione di essere liberi e potenti e sono sempre pronti a farli tornare brutalmente con i piedi per terra. Questo intersecarsi di registri diversi appassiona ed intriga, soprattutto perché i tre protagonisti principali sono delineati con una precisione e una delicatezza che raramente si trova nel cinema italiano moderno. Personalmente, ho molto apprezzato l'introduzione che ci mostra il primo, tragico crimine commesso dal trio di malviventi da ragazzini, perché racchiude già in sé quello che sarà il loro destino da adulti: Libano rimarrà per sempre lo scapestrato di buon cuore che rinuncerebbe a tutto per salvare i compagni, Freddo sarà sempre quello più distaccato e taciturno, il Dandi quello codardo, infantile e paraculo. Il fatto che i tre non cambino nel corso della pellicola fa capire quanto la loro ricerca della grandezza e della libertà sia viziata da ignoranza, preconcetti e da un distorto codice d'onore, un trittico letale che non riuscirà a far fronte allo sterminato nugolo di parassiti, nemici e profittatori che gravita loro attorno.


Appurata quindi la bontà della trama e del film in sé, passo a spendere due parole sull'aspetto che mi inquietava di più a inizio visione, ovvero gli attori. Di Pierfrancesco Favino non posso che dire bene e non solo perché è un figo pazzesco in grado di ottenebrare il mio giudizio ad ogni comparsa, ma anche per il modo in cui riesce ad interpretare un personaggio sfaccettato e complesso come il Libano senza renderlo odioso. Bravissimi anche Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, ognuno a modo loro, e molto validi anche i personaggi di contorno, a partire dalla femme fatale Cinzia, interpretati da caratteristi che riescono a non trasformare dei criminali borgatari, ignoranti e burini in macchiette kitsch di cui ridere a crepapelle. Ovviamente, in mezzo a tanta dignitosa professionalità (non necessariamente bravura) spunta anche una mosca bianca; nella fattispecie il solito, mollo, inguardabile Stefano Accorsi che con la sua floscia e inespressiva interpretazione di un personaggio importante come il commissario Scialoja rischia più volte di far sprofondare il livello di Romanzo Criminale dal bello all'insopportabile. Pericolosamente sotto il livello di guardia anche la zuccherosissima e tediosa Roberta di Jasmine Trinca, l'unica cretinetti che per quasi tutto il film si beve le bugie del Freddo senza sospettare minimamente la reale natura della sua attività, fissandolo con quell'atteggiamento da Madonnina infilzata che farebbe perder la pazienza a un santo. Mi si dice comunque che gli attori ingaggiati per la serie tratta da Romanzo Criminale siano due spanne sopra, quindi a questi punti mi dichiaro MOLTO incuriosita. Nel frattempo, ringrazio Tiziana per avermi "costretta" a ricordare che il cinema italiano può offrire ancora dei prodotti validi e vi invito a guardare, se non lo avete ancora fatto, questo pregevole Romanzo Criminale.


Di Pierfrancesco Favino (Libano),  Claudio Santamaria (il Dandi), Gianmarco Tognazzi (Carenza) ed Elio Germano (il Sorcio) ho già parlato ai rispettivi link.

Michele Placido è il regista della pellicola, inoltre interpreta il padre del Freddo. Forse più famoso come attore che come regista, in quest’ultima veste ha firmato film come Le amiche del cuore, Del perduto amore, Un viaggio chiamato amore, Ovunque sei e Vallanzasca – Gli angeli del male. Originario della Puglia, anche sceneggiatore e produttore, ha 66 anni.


Kim Rossi Stuart interpreta il Freddo. Romano, idolo della mia infanzia scellerata per il ruolo del bel Romualdo nella serie Fantaghirò, lo ricordo anche per film come Il nome della rosa, Il ragazzo dal kimono d’oro, Il ragazzo dal kimono d’oro 2, Il rosso e il nero, Pinocchio e Vallanzasca – Gli angeli del male. Anche sceneggiatore e regista, ha 43 anni.


Stefano Accorsi interpreta il commissario Scialoja. Non faccio mistero di quanto non sopporti quest’attore, tra i più sopravvalutati in assoluto, mi limito a segnalare la sua partecipazione a film come Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Vesna va veloce, Radiofreccia, L’ultimo bacio, Le fate ignoranti, La stanza del figlio, Santa Maradona, Un viaggio chiamato amore, Baciami ancora e la recentissima serie tv Il clan dei camorristi. Bolognese, ha 41 anni e un film in uscita.


Riccardo Scamarcio interpreta il Nero. Altro attore il cui successo è per me assolutamente incomprensibile, ha partecipato a film come La meglio gioventù, Tre metri sopra il cielo, Manuale d’amore 2, Mio fratello è figlio unico e Manuale d’am3re. Pugliese, anche produttore, ha 33 anni e quattro film in uscita. 


Antonello Fassari interpreta Ciro Buffoni. Romano, è tornato alla ribalta in questi ultimi anni per il suo ruolo nella serie I Cesaroni e ha partecipato a film come Montecarlo gran casinò, Il conte Max, Selvaggi e ad altre serie come I ragazzi della 3 C, Anni ’50 e Don Matteo. Anche sceneggiatore e regista, ha 60 anni.


Tra gli altri interpreti segnalo anche la presenza di Roberto Brunetti, alias Er Patata, nei panni di Aldo Buffoni. Del film esistono un paio di versioni: in quella tagliata sono stati omessi i riferimenti al ritrovamento di Aldo Moro e un discorso di Berlusconi, che peraltro pare sia stato censurato anche durante il passaggio di Romanzo Criminale sulle reti Mediaset. Rimanendo in ambito televisivo, la pellicola ha dato origine, nel 2008, a Romanzo Criminale – La serie, durata per due stagioni e interpretata, come già detto nel post, da attori completamente diversi. Pare sia molto meglio del film, quindi urge pronto recupero!! ENJOY!

lunedì 23 aprile 2012

Diaz (2012)

Mi appresto all'ingrato compito di recensire Diaz di Daniele Vicari, visto ieri sera in una sala gremita di gente pronta a sparare cazzate e fare commenti ironici su qualsiasi scena. Gente che è uscita giustamente muta, scioccata e contrita. O in lacrime, come la sottoscritta.



Trama (se di trama si può parlare): il film mostra gli eventi accorsi la notte del 21 luglio 2001, quando le forze di polizia, a fronte di una segnalazione che indicava la presenza di Black Block, hanno fatto il loro ingresso nella scuola Diaz di Albaro, a Genova, massacrando chiunque si trovasse all'interno.


Nell'estate del 2001 avevo appena finito il mio primo anno da universitaria a Genova. Parole come G8, globalizzazione, Black Block praticamente entravano e uscivano dalle mie orecchie di ventenne cresciuta in un paesotto fuori dal mondo, che aveva solo voglia di far casino con gli amici e andarsene al mare per lasciarsi alle spalle la grigia e camurriosa città dello studio, dei fighètti con le festicciole da studenti, degli strepponi che barbonavano nelle facoltà insultandoti perché mangiavi la merendina Nestlé mentre loro passavano le giornate a fare un belino, portando costosissime (ma maltenute, eh!) Adidas ai piedi comprate con i soldi del papà. Gli eventi di Genova, quindi, li ho vissuti all'epoca, come quasi tutte le persone che conosco, guardandoli alla TV, frastornata da un misto di emozioni tra cui la profonda ammirazione per chi era in grado di protestare pacificamente e l'odio indescrivibile per chi invece prendeva la protesta come una scusa per devastare una città splendida e fomentare tensioni, mettendosi poi a piangere le proverbiali lacrime di coccodrillo quando, dai che ti ridai, c'è scappato il morto. Ed è qui che il film comincia. Da quando l'ignoranza da invasati dei Black Block, l'ignoranza da bestie dei poliziotti e quella ancor più grande e nociva di chi sta al governo e tira i guinzagli hanno diviso le persone in due categorie: terroristi (qualsiasi manifestante) e assassini (chiunque portasse una divisa). Fino ad arrivare a quella vergognosa coltellata alla democrazia e alla civiltà che è stato, appunto, il massacro alla Scuola Diaz.


Diaz racconta, senza troppi fronzoli ed attenendosi esclusivamente agli atti del processo (hanno cambiato solo i nomi dei coinvolti, quindi chiunque sgrani gli occhi scandalizzato dicendo che quel che viene mostrato è esagerato e assolutamente non vero è come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia), tutto ciò che ha portato a quel fatidico 21 luglio e tutto ciò che è venuto dopo. L'immagine ossessivamente ripetuta di una bottiglia che viene lanciata contro una macchina della polizia, si infrange e si riforma più e più volte ci introduce ai diversi punti di vista attraverso cui la vicenda viene narrata: quello dei veri Black Block, che nella scuola nemmeno c'erano, quello di alcuni membri del Genoa Social Forum più o meno fortunati, quello dei poliziotti coinvolti nel pestaggio e delle "alte sfere" che li gestivano, quello di giornalisti e semplici persone di passaggio che hanno semplicemente avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vicari (aiutato da attori per una volta bravissimi e finalmente lontani dallo standard medio(cre) del cinema italiano moderno) cattura così tutte le "anime" del G8, mostrandoci innanzitutto come è stato vissuto quel periodo: ragazzi che nella protesta trovavano comunque gioia, vita e amore, organizzatori pieni di voglia di fare ma impossibilitati a gestire cose più grandi di loro, anarchici dal cuore nero come i loro abiti e altrettanto sporchi, poliziotti stanchi e colmi di voglia di  vendetta, dirigenti e capisquadra desiderosi solo di fare bella figura e togliersi dagli impicci in qualunque modo, infine persone comuni che vivevano nella paura di vedersi bruciato il negozio o la macchina. Tutte queste anime si scontrano creando il potentissimo, terribile pugno nello stomaco che è la parte centrale del film, la più scandalosa perché più vera.


Senza mezzi termini, infatti, quello che Vicari ci mostra è un torture porn, con i poliziotti al posto di anonimi torturatori senza volto, un horror ancor più terribile perché ci sono degli atti ufficiali a confermarci come la realtà abbia superato la finzione in un paese che si definisce civilizzato. Nulla viene risparmiato allo spettatore, né gli insulti, né i lividi, né gli accanimenti contro persone ormai svenute, labbra che si spaccano, denti che si rompono, urla e pianti di disperazione, seguiti dalle terribili umiliazioni inflitte poi nel carcere di Bolzaneto, ultima tappa di quello che, a tutti gli effetti, è diventato un calvario per persone che non sono morte o finite menomate a vita per puro caso. Il tutto mentre, come nel più classico dei film di mafia, nell'ombra i superiori tramano, sigaretta alla mano, tirando fuori leggi fatte alla bisogna, nascondendo o creando prove, trincerandosi dietro la non conoscenza delle lingue straniere, negando diritti basilari a persone che erano semplicemente "sospettate" di essere terroristi. "Avete fatto una grandissima cazzata" dice il vecchio malmenato ad uno dei poliziotti, mentre quest'ultimo gli chiede cosa ci facesse in quel covo di terroristi di sinistra. Verissimo, peccato che questo horror, nonostante tutti sappiano, nonostante le prove, nonostante i processi, ha avuto un finale ancora più cinico e bastardo di quelli girati da Eli Roth, visto che la maggior parte dei reati di cui sono state accusate le forze dell'"ordine" coinvolte rischiano di cadere in prescrizione oppure non sono contemplati dalla legge italiana (come quello di tortura). In tutto questo, inoltre, non si sente praticamente nessuno in questi giorni parlare del film in tv o ai telegiornali, visto che non può essere strumentalizzato da nessuna forza politica. Considerato anche che in vetta alle classifiche c'è il nuovo film di Woody Allen, signori miei, mi viene da pensare che siamo idealmente ancora tutti chiusi all'interno della scuola Diaz, aspettando che i nostri diritti vengano calpestati da chi, nonostante tutto, è ancora al potere e sempre ci rimarrà. Non posso fare altro che invitarvi a vedere Diaz, e pregare perché un giorno venga proiettato obbligatoriamente nelle scuole, per fare conoscere quella che, a tutt'oggi, è una vergognosa ferita ancora aperta di cui troppa gente non sa nulla e non vuol sapere nulla.

Daniele Vicari è regista e sceneggiatore della pellicola. Originario di Castel di Tora, ha girato film come Velocità massima, Il mio paese e Il passato è una terra straniera. Anche produttore, ha 45 anni.

Claudio Santamaria interpreta il poliziotto Max Flamini. Romano, ha partecipato a film come Fuochi d'artificio, Almost Blue, La stanza del figlio, Paz!, Il cartaio, Romanzo criminale e Casino Royale. Ha 38 anni e un film in uscita.


Elio Germano interpreta il giornalista Luca Gualtieri. Romano, ha partecipato a film come Ci hai rotto papà, Ti piace Hitchcock?, Romanzo criminale, Mio fratello è figlio unico, Il passato è una terra straniera e Magnifica presenza, oltre a episodi della serie Un medico in famiglia. Ha 32 anni e un film in uscita.


Renato Scarpa interpreta Anselmo Vitali. Milanese, ha partecipato a film come Nel nome del padre, A Venezia... un dicembre rosso shocking, Piedone a Hong Kong, Suspiria, Volere volare, Il postino, Trinità & Bambino... e adesso tocca a noi, Il conte di Montecristo, Il talento di Mr. Ripley e a episodi delle serie Cascina Vianello e Il commissario Montalbano. Ha 73 anni.





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