mercoledì 7 maggio 2025

2025 Horror Challenge: Onibaba (1964)

La challenge horror questa settimana voleva un film anni '60. Ho scelto Onibaba, diretto e sceneggiato nel 1964 dal regista Kaneto Shindo.


Trama: durante il periodo Nanboku-cho, un'anziana donna e la nuora uccidono e depredano soldati isolati per riuscire a sopravvivere. L'arrivo di Hachi, vicino tornato dalla guerra, sconvolgerà la vita delle due donne...


Onibaba
era un altro di quei film di cui avevo sempre sentito parlare e di cui avevo visto un paio di immagini cult, ma che non avevo mai guardato prima. L'ho scelto per la challenge horror in quanto anche Letterboxd lo fa rientrare nel genere, tuttavia, in realtà, la critica è un po' divisa su come definirlo. Per quanto mi riguarda, dopo averlo guardato, sono più vicina a chi lo definisce "dramma in costume", o jidai-geki, tuttavia non mancano affatto elementi perturbanti e tipici del genere che tanto amo. Intanto, la stessa parola "Onibaba" significa strega demoniaca, ed è una definizione che può essere tranquillamente riservata alle due protagoniste del film. E' buffo che, in questi giorni, stia leggendo (grazie al gruppo di lettura di Marika) il libro Sirene e altri mostri di Jess Zimmerman; le due donne senza nome del film, infatti, sarebbero soggetti ottimi per il saggio in questione, perché la loro pericolosità è legata, innanzitutto, a un modo di apparire e comportarsi diametralmente opposti a quello che dovrebbe essere tipico del modello femminile, per di più nipponico. Rimaste sole in un mondo di soldati ormai allo sbando, le due protagoniste vestono di stracci, si lasciano alle spalle orpelli e bellezza, e per sopravvivere uccidono uomini nascondendosi all'interno di uno sterminato campo di altissime graminacee. Le due non attirano gli uomini nella loro tana, non sfruttano eventuali arti di seduzione, ma, semplicemente, escono dal fitto dell'erba e uccidono. La loro mostruosità (almeno, quella delle donna più giovane) scompare nel momento in cui un uomo, l'ex vicino di casa Hachi, torna dalla guerra dichiarando morto Kishi, figlio della più anziana e marito della giovane; Hachi si invaghisce di quest'ultima e, dopo un breve periodo di riluttanza, la ragazza prende a correre ogni notte dal vicino per fare sesso, indebolendo di fatto sua suocera, vittima di un sentimento misto di gelosia, solitudine e terrore per il futuro. Se la ragazza, nel sesso, ritrova libertà e gioia, riappropriandosi di un'idea di "femminile" inestricabile dallo sguardo e dai desideri di un uomo, la più anziana si abbruttisce ancor più, finché non arriverà a farsi realmente demone, indossando la maschera Hannya appartenuta a un samurai di passaggio.


La maschera Hannya, tipica del Teatro No, incarna un demone femminile spinto da gelosia, risentimento e rabbia, che sono proprio i sentimenti di cui cade vittima l'anziana protagonista. Come nel No, tuttavia, la maschera muta con il mutare della prospettiva, cosa che il regista Kaneto Shindo rende alla perfezione attraverso inquadrature e luci: ripresa frontalmente, l'Hannya incarna il pericolo di una furia demoniaca, se ripresa, invece, leggermente dal basso, sembra che il demone pianga e provi dolore, un ambivalenza chiarissima, in particolare nel tragico, ambiguo finale di Onibaba. La maschera Hannya è  l'elemento più horror del film, anche perché le sue origini non vengono rivelate e, soprattutto, non viene mai chiarita la natura della maledizione che porta con sé. Non è però l'unico elemento che richiama atmosfere orrorifiche. C'è un terrificante pozzo, "nero e profondo", dove le donne gettano i cadaveri dei soldati uccisi; ci sono gli steli d'erba silenziosi e folti, claustrofobici quanto un qualsiasi campo di granturco all'interno dei più blasonati horror americani; ci sono volti non più umani, puniti da mano divina o, forse, resi tali dalle putride passioni nascoste nell'animo di chi li indossa; c'è l'intenso bianco e nero di immagini che sembrano vergate con l'inchiostro, e il trucco pesante di una donna che onibaba lo era già un po' prima di trovare la maschera Hannya. Onibaba è comunque un film fatto di emozioni violente, ambientato in un periodo caotico e confuso, e l'isolamento dei personaggi in un luogo così privo di riferimenti geografici lo rende quasi "post-atomico" nel modo in cui dipinge un mondo privo di leggi e valori. La sua particolarità, sicuramente, è l'essere ben poco dialogato, quasi privo di una colonna sonora, così che l'intensità emotiva dell'opera è affidata interamente a tre attori bravissimi (in particolare, Nobuto Okowa è magnetica, e 14 anni dopo sarebbe diventata la moglie del regista) e ad immagini suggestive che parlano da sole. Personalmente, sono molto contenta di averlo scoperto con questa challenge, e vi consiglio di provare a guardarlo almeno una volta, se non avete ancora avuto l'occasione!

Kaneto Shindo è il regista e sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Kuroneko e L'isola nuda. Anche produttore, scenografo e attore, è morto nel 2012.



2 commenti:

  1. Insieme a Kwaidan giustamente ricordato come il capolavoro del Kaidan anni Sessanta (io lo recuperai sull’Internet Archive dove è disponibile anche Kwaidan ma che ancora non ho visto). Anch’io credo che il mostruoso femminile sia il tema portante del film, Madre e Nuora infatti sono qualcosa a metà tra figure tragiche e vendicative sul filo della Mae Nak thailandese e gli yokai propri della cultura nipponica la cui mostruosità, in quanto donne, è proprio data dal trasgredire alle regole e convenzioni sociali (qui da noi invece hanno avuto il nome di streghe, maciare e, negli anni Settanta… femministe), a cui si aggiunge poi anche una certa sensualità e carica erotica (anche questa caratteristica che nell’immaginario appare minacciosa in quanto sottrae potere di controllo all’uomo). Ora però mi incuriosisce il libro di Zimmerman che stai leggendo.

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    Risposte
    1. Kwaidan è un altro film che vorrei vedere; la challenge, la prossima settimana, mi farà rimanere in Giappone, ma per tutt'altro genere di pellicola.
      Il libro della Zimmerman, in realtà, si è rivelato un po' deludente. Troppo autobiografico, un po' superficiale per quanto riguarda l'aspetto legato alla mitologia, mi ha lasciata come mi ha trovata a inizio lettura. Di buono ha che è molto scorrevole e spesso divertente.

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