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martedì 15 novembre 2022

Bolla Loves Bruno: L'ombra del testimone (1991)


Non mi sono dimenticata della rubrica Bolla Loves Bruno, ho solo dato la priorità all'ampissima selezione horror degli ultimi mesi. Oggi è venuto il momento di ricominciare, con L'ombra del testimone (Mortal Thoughts), diretto nel 1991 dal regista Alan Rudolph.


Trama: Cynthia, sposata e madre di due bimbi, viene interrogata in merito all'omicidio di James, il marito violento della sua migliore amica, Joyce. Cynthia è accusata di avere aiutato Joyce nel delitto e cerca di scagionarsi...


L'ombra del testimone è uno di quei film che avranno passato in TV migliaia di volte e che io, nonostante Bruce Willis, ho sempre ignorato, sicuramente perché pensavo che il ruolo dell'adorato Bruno fosse inconsistente o quasi. In effetti, le protagoniste della pellicola sono Demi Moore, all'epoca ancora moglie di Willis, e Glenne Headly, impegnate in due ruoli che hanno alcuni, superficiali punti in comune con i personaggi di Thelma e Louise (il film di Ridley Scott sarebbe uscito nei cinema solo un mese dopo L'ombra del testimone, per inciso); anche Joyce, come Thelma, è vittima di un marito violento, anche Cynthia viene coinvolta in un delitto non premeditato e deve fare tutto ciò che è in suo potere perché lei e l'amica non finiscano in carcere. La differenza, a parte lo stile con cui viene raccontata la vicenda e la trama, è che il legame tra le due, invece di venire cementato dalla tragedia, comincia a sfaldarsi anche in virtù di quella differenza sociale che già in partenza costituisce una spaccatura tra Cynthia e Joyce, la prima sposata ad un marito in carriera che ovviamente detesta gli amici della moglie, e la seconda invischiata per nascita e per scelta con criminali, drogati ed alcoolisti di ogni genere, incapaci di tenersi uno straccio di lavoro a meno che non sia illegale. La "povera" vittima, James, è tutt'altro che meritevole di umana pietà, e di fatto, come per l'appunto succedeva anche in Thelma e Louise, la sua morte strappa l'applauso allo spettatore più che spingerlo a piangere, tanto che è difficile empatizzare con l'investigatore (sempre interpretato da Harvey Keitel, altro punto in comune tra le due opere) che tenta di far sentire in colpa Cynthia per il ruolo giocato nell'incresciosa vicenda. La trama si dipana dunque su due piani temporali, un presente in cui il Detective Woods interroga Cynthia e dei flashback derivati dalle risposte di quest'ultima, dai quali viene ricostruita una triste vicenda di squallore umano e frustrazione femminile, con un'interessante sovrapposizione tra il pensiero maschilista del Detective ("non pensavate che così avreste reso orfano suo figlio??", come se fosse un bene per il bambino avere un papà per forza, soprattutto se drogato e violento nei confronti della madre) e la volontà generale di fare di Cynthia e Joyce delle vittime silenziose, le brave donne di casa che devono sopportare qualunque cosa dagli uomini che hanno sposato, fosse anche un biasimo disgustato che si conclude con la decisione di buttarle fuori di casa (sì, non è che Cynthia sia fortunatissima, anche se non viene picchiata).


Avrete capito che non mi aspettavo nulla da L'ombra del testimone, invece l'ho trovato uno slow burn parecchio convolgente, neppure troppo datato a livello di regia. Non conoscevo Alan Rudolph , allievo di un peso massimo come Robert Altman, ma ho apprezzato il suo stile delicato e ambiguo, che sceglie di non indulgere nella pornografia della violenza fisica e verbale ma, anzi, se ne ritrae inorridito, preferendo concentrarsi sugli occhi e sui gesti, nervosi e terrorizzati, di Demi Moore e Glenne Headly, rinchiudendo il loro mondo in inquadrature claustrofobiche, intervallate da riprese dalla qualità onirica, che alimentano la percezione di inaffidabilità verso il narratore, o meglio la narratrice. Prima di parlare infatti del protagonista della rubrica, bisogna sottolineare come Demi Moore offra la performance più bella della sua carriera, in un ruolo che finalmente non parte dalla sua bellezza, un aspetto che non viene mai sottolineato nel film, ma si basa piuttosto sulla fragilità e determinazione infuse nel personaggio di Cynthia. Per quanto riguarda Bruce Willis, il nostro compare poco ma lascia il segno, dando vita a un personaggio abietto e disgustoso che è l'emblema di tutti i mariti stupidi, violenti e perdigiorno visti al cinema, tanto che per tutta la durata del film ha dato fastidio persino a me quel sorrisetto "mangiamerda" (cit. Tom Hanks) che solitamente trovo sexy da morire e che, per inciso, James si porta persino nella tomba, vedere per credere. Considerato che ho apprezzato molto anche gli altri attori, Glenne Headly in primis, direi che questa tappa della retrospettiva dedicata a Bruce Willis mi ha lasciata molto soddisfatta e non posso fare altro che consigliarvi, se ancora non lo avete visto, questo ottimo neo noir/thriller d'annata. 


Di Glenne Headly (Joyce Urbanski), Bruce Willis (James Urbanski), John Pankow (Arthur Kellogg), Harvey Keitel (Det. John Woods) e Frank Vincent (Dominic Marino) ho già parlato ai rispettivi link.

Alan Rudolph è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Stati di alterazione progressiva, Choose me - Prendimi, Accadde in Paradiso, Moderns e Mrs. Parker e il circolo vizioso. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 80 anni.


Demi Moore (vero nome Demi Gene Guynes) interpreta Cynthia Kellogg. Storica moglie di Bruce Willis, da cui ha divorziato nel 2000, la ricordo per film come L'ospedale più pazzo del mondo, La settima profezia, Non siamo angeli, Ghost - Fantasma, Codice d'onore, Proposta indecente, La lettera scarlatta, Il giurato, Striptease, Soldato Jane, Harry a pezzi, Charlie's Angels - Più che mai e Il talento di Mr. C; inoltre ha partecipato a serie come General Hospital, Moonlighting, Racconti della cripta, Ellen, Will & Grace e, come doppiatrice, ha lavorato ne Il gobbo di Notre Dame e Beavis & Butt-Head alla conquista dell'America . Anche produttrice e regista, ha 61 anni. 


Per il ruolo di Cynthia era stato fatto il nome di Robin Wright ma alla fine è stata presa Demi Moore. Se L'ombra del testimone vi fosse piaciuto recuperate Presunto innocente, Per legittima accusa, A letto con il nemico e L'amore bugiardo - Gone Girl. ENJOY! 

mercoledì 18 aprile 2018

Il segreto del mio successo (1987)

Questo mese la Koch Media distribuisce in home video uno dei film che più ho amato da bambina, Il segreto del mio successo (The Secret of my Success), diretto nel 1987 dal regista Herbert Ross.


Trama: Brantley Foster, neolaureato di belle speranze proveniente dal Kansas, decide di trasferirsi a New York e diventare un manager di successo. Riesce a farsi assumere come fattorino nella multinazionale del ricco zio ma per una serie di circostanze fortuite diventa, all'insaputa di tutti, uno dei dirigenti più intraprendenti e capaci della ditta...


Erano almeno vent'anni, forse anche di più, che non riguardavo Il segreto del mio successo, eppure durante la visione mi sono accorta con gioia che il film si era sedimentato tenacemente nei recessi della mia memoria, al punto che dopo pochi minuti qualcosa mi ha cominciato a sussurrare nomi, battute, melodie in sincrono col DVD. E non avete idea di quanto mi abbia fatto piacere vedere Mirco, che ovviamente non aveva mai neppure sentito nominare il film in questione, divertirsi assieme a me davanti alle mirabolanti, assurde avventure di un ragazzo del Kansas che vorrebbe diventare un grande manager newyorchese in virtù di una laurea e tanto entusiasmo. Ovvio, ci sono stati anche momenti in cui la lacrima compulsiva è scesa da sola, ché non è un mistero quanto io adori e abbia sempre adorato Michael J. Fox, con la sua faccia pulita da bravo ragazzo ammeregano, l'innata capacità di uscire con incredibile abilità dai casini più grandi e, ovviamente, quella di coronare i suoi sogni d'amore, non importa quanto impossibili; anche Il segreto del mio successo è un film cucito apposta sulla fisicità dell'attore ed è un rigurgito di ottimismo tipicamente anni '80, l'elogio del self made man in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo grazie fondamentalmente all'enorme forza di volontà e ad una giusta dose di intraprendenza sconfinante nella simpatica sfacciataggine (diverso dal secondo personaggio di yuppie interpretato da Michael J. Fox in Le mille luci di New York, decisamente più drammatico). In effetti, a pensarci bene Brantley Foster non ha un difetto che sia uno, salvo forse l'ingenuità e la "sfortuna" di essere nato in Kansas, e tutti i personaggi positivi arrivano a volergli bene fin da subito, offrendo il beneficio del dubbio a questo novellino dalle grandi capacità, capace di portare freschezza e idee nuove nello stantio mondo dello yuppismo rampante. Brantley è così perfetto che il suo personaggio non segue nemmeno il solito percorso  in tre atti "ascesa-caduta-redenzione" tipico della commedia USA, in quanto quella del protagonista è un'ascesa rocambolesca ma costante e la sua caduta sul finale è talmente insignificante da non potersi nemmeno definire tale, giusto una piccola frenata che lo proietterà subito dopo nell'empireo dell'alta società di Manhattan, in un finale a tarallucci e vino che normalmente risulterebbe più che odioso se non fosse che lo spettatore viene spinto fin da subito ad adorare Brantley e augurargli il meglio.


Davanti a "un'amore così grande" diventa credibile anche una sceneggiatura che non solo consente al protagonista di impossessarsi di un ufficio vacante per condurre una vita da colletto bianco in parallelo con quella da corriere (evento, si dice, ispirato a un episodio della vita di Steven Spielberg!) ma di infiltrarsi impunemente anche nelle riunioni dei dirigenti, diventando tale pur senza essere mai stato visto da nessuno, men che meno dal presidente della multinazionale. Oltre a questo, Il segreto del mio successo avrebbe rischiato di impantanarsi in una sottotrama rosa anche troppo tirata per le lunghe ma fortunatamente agli sceneggiatori è venuto in mente di inserire un elemento di disturbo incarnato dalla procace e sensualissima ZILF Vera, moglie ricca ed annoiata del presidente che non perde occasione di saltare addosso al povero Brantley rendendosi protagonista delle due scene cult che non ho mai dimenticato dall'infanzia, entrambe scandite dall'iconica Oh Yeah della band svizzera Yello: quella della seduzione in Limousine e quella, esilarante, dello scambio di camere nella magione di Prescott, un trionfo di umorismo "guardone" degno delle migliori gag di Benny Hill. L'attrice Margaret Whitton non è l'unico membro del cast capace di far brillare ancor più la stella di Michael J. Fox, anche il resto dei co-protagonisti è perfetto, a partire dalla bella Helen Slater con una capigliatura incredibilmente anni '80 per arrivare all'affascinante ma laido Howard Prescott di Richard Jordan, senza dimenticare tutti i caratteristi che godono di almeno un paio di scene topiche ed indimenticabili come il simpatico John Pankow, "Chiamami Dio" Christopher Murney o Gerry Bamman (lo zio Frank di Mamma ho perso l'aereo, per intenderci). Il timore di arrivare a detestare un film amato come Il segreto del mio successo era tanto ma per fortuna la pellicola di Herbert Ross tiene botta anche dopo 30 anni quindi il mio consiglio è quello di immergervi nella New York zeppa di yuppies e "criminalità" dei mitici 80ies e godervi uno dei film migliori di Michael J. Fox!


Di Michael J. Fox, che interpreta Brantley Foster/Carlton Whitfield, ho già parlato QUI mentre John Pankow, che interpreta Fred Melrose, lo trovate QUA.

Herbert Ross è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Goodbye, Mr. Chips, Provaci ancora Sam, Due vite una svolta, Footloose, Fiori d'acciaio e Il testimone più pazzo del mondo. Anche produttore, è morto nel 2001 all'età di 74 anni.


Helen Slater interpreta Christy Wills. Americana, la ricordo per film come Supergirl - La ragazza d'acciaio e Scappo dalla città - La vita, l'amore e le vacche, inoltre ha partecipato a serie quali Will & Grace, Grey's Anatomy, Supernatural, CSI: NY, Smallville e Supergirl. Come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Batman. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 55 anni e due film in uscita.


Richard Jordan interpreta Howard Prescott. Americano, ha partecipato a film come Torna El Grinta, La fuga di Logan, Dune, Caccia a Ottobre Rosso e a serie quali Il tenente Kojak e I racconti della cripta. Anche produttore, è morto nel 1993 all'età di 56 anni.


Fred Gwynne interpreta Donald Davenport. Americano, lo ricordo per film come Cotton Club, Attrazione fatale, Cimitero vivente, Ombre e nebbia e Mio cugino Vincenzo inoltre ha partecipato a serie quali I Mostri. Anche sceneggiatore, è morto nel 1993 all'età di 66 anni.

Lo riconoscete...? XD
Nella sceneggiatura originale il protagonista avrebbe dovuto innamorarsi di una prostituta ingaggiata dallo zio ma la Universal ha preteso una riscrittura e Christy è diventata una dirigente d'azienda, inoltre il film avrebbe dovuto avere un sequel ma alla fine non se n'è fatto nulla. Detto questo, se Il segreto del mio successo vi fosse piaciuto recuperate Amore con interessi, Doc Hollywood - Dottore in carriera, Una donna in carriera, Mister Hula Hoop e Voglia di vincere. ENJOY!

mercoledì 12 luglio 2017

Monkey Shines - Esperimento nel terrore (1988)

Siccome questa è la settimana delle scimmie, oggi si torna nei tanto amati anni '80, nella fattispecie al 1988, quando George Romero dirigeva e sceneggiava Monkey Shines - Esperimento nel terrore (Monkey Shines), partendo dal racconto omonimo di Michael Stewart.


Trama: rimasto paralizzato in un incidente stradale, Allan tenta il suicidio. L'amico scienziato Geoffrey decide quindi di fare addestrare Ella, una delle scimmiette del suo laboratorio, affinché l'animaletto gli tenga compagnia e soprattutto per poter continuare indisturbato i suoi esperimenti sull'intelligenza dei primati. Il legame tra Ella e Allan prende tuttavia una strana e pericolosa piega...



In quanto gibbonetto egli stesso, il Bolluomo alias Mirco ha una passione per i primati così ho biecamente scelto di sfruttare questo suo debole per invogliarlo alla visione di Monkey Shines. Ricordavo vagamente questo film dai tempi in cui passava spesso in televisione e, da bambina, mi capitava di guardarlo rimanendo ogni volta delusa perché speravo si trattasse invece di Link, horror inglese del 1986 un po' più violento e meno psicologico, avente per protagonista un orango invece di una scimmietta cappuccino. Presto o tardi parlerò anche di Link in quanto, se mi passate la battuta, la scimmia di riguardarlo mi è rimasta ma oggi è il caso di spendere due parole su questo strano "esperimento" di George Romero, probabilmente uno dei suoi film meno riusciti anche a causa delle pesanti ingerenze degli studios (non è un caso che, dopo Monkey Shines, il regista sia tornato al cinema indipendente). A distanza di trent'anni e anche visto con un'ottica più adulta, purtroppo Monkey Shines continua a non entusiasmarmi: troppo poco horror, troppo poco thriller, troppo televisivo e, soprattutto, troppo carina la scimmietta protagonista, un esserino tenerino che non fa paura neppure quando mostra i dentini col musetto arrabbiatusso. Alé, scrivo come una demente ma Ella è davvero deliziosa, al punto che viene spontaneo emettere gridolini estatici anche quando la bestiola compie le peggiori nefandezze e perdonarle tutto. D'altronde, qui la critica Romeriana non è rivolta all'animale, quanto all'uomo che cerca di sovvertire la natura per i suoi propositi, senza pensare che la Creazione, se provocata, sa reagire nei modi peggiori; ancora, nel film si parla di emozioni grezze e primordiali che neppure delle iniezioni di cellule cerebrali possono placare, anzi, al limite tra uomo e animale si viene a creare un legame empatico/psichico che cancella i confini tra le due nature con risultati devastanti... o meglio, avrebbero potuto essere devastanti ma la verità è che Monkey Shines si concentra molto sul melodramma, su diatribe tra dottori e scienziati dai metodi ugualmente detestabili e infine su improbabili storie d'amore che spezzano l'azione e annacquano la tensione claustrofobica che dovrebbe derivare dalle condizioni del protagonista, paralitico costretto a sottostare ai voleri di una creatura imprevedibile (tensione resa mille volte meglio da Rob Reiner con Misery non deve morire, per esempio).


La mancanza di ritmo è un po' la croce di questo Monkey Shines il quale, ridotto nel metraggio e magari privo del finale posticcio voluto dagli studios, avrebbe potuto assurgere al rango di cult, anche perché Romero inanella una crudeltà dietro l'altra, prendendo in giro lo spettatore e lo stesso protagonista con quella "giornata perfetta" girata all'inizio prima di gettargli addosso una sequela ininterrotta di sfighe assortite. A pensarci, l'unica cosa "vera" o, meglio, l'unico personaggio bello dentro e fuori è la dolce Melanie interpretata da Kate McNeil perché, per il resto, tutto ciò che circonda Allan dopo l'incidente mostra un'inquietante doppia natura, come a dire che la tragedia è riuscita a tirare fuori tutto il marcio di una vita apparentemente perfetta: amici ambigui e pericolosi, fidanzate fedifraghe, medici incompetenti, madri ossessive, infermiere psicopatiche e, ovviamente, un odio furibondo per tutto ciò che è toccato in sorte al protagonista, amplificato dalla natura selvaggia della piccola Ella. Purtroppo, tutto ciò viene portato sullo schermo da Romero con uno stile insolitamente piatto, quasi svogliato, che non impedisce al regista di confezionare un paio di scene interessanti e particolari (l'amplesso tra Allan e Melanie, allo stesso tempo naturale e "complicato", rimane più impresso dell'atroce e gratuito omaggio al chestburster di Alien) ma, in definitiva, passa e lascia davvero poco, sia in termini di inquietudine che di bellezza visiva. Probabilmente, alla fine della visione di Monkey Shines ricorderete con orrore soltanto un giovane Stanley Tucci particolarmente viscido e sarete colpiti dall'insana voglia di tenere in casa una scimmietta cappuccina, magari una capace di mettere su un po' di musica e abbracciarvi nei momenti di sconforto. Oppure di trovarvi un ragazzo/a gibbonetto, vedete un po' voi.


Del regista e co-sceneggiatore George Romero ho già parlato QUI. Stephen Root (Dean Burbage) e Stanley Tucci (Dr. John Wiseman) li trovate invece ai rispettivi link.

Jason Beghe interpreta Allan Mann. Americano, ha partecipato a film come Thelma & Louise, Soldato Jane, X-Files - Il film, Chiamata senza risposta, X-Men - L'inizio e a serie quali La signora in giallo, L'ispettore Tibbs, X-Files, Melrose Place, Dharma & Greg, CSI - Scena del crimine, CSI: NY, Numb3rs, Criminal Minds, Ghost Whisperer, Medium e soprattutto Chicago Med, Chicago Fire, Chicago Justice e Chicago P.D.. Ha 57 anni e un film in uscita.


John Pankow interpreta Geoffrey Fisher. Americano, ha partecipato a film come Miriam si sveglia a mezzanotte, Rambo 2 - La vendetta, Il segreto del mio successo, Miracolo sull'8a strada, Talk Radio e a serie quali Miami Vice, Innamorati pazzi e Ally McBeal. Ha 63 anni e due film in uscita.


Joyce Van Patten interpreta Dorothy Mann. Americana, ha partecipato a film come Appuntamento al buio, Io & Marley, Un weekend da bamboccioni, This Must Be the Place e a serie quali Ai confini della realtà, Perry Mason, Tre nipoti e un maggiordomo, Colombo, ... e vissero infelici per sempre, I Soprano e Desperate Housewives. Anche produttrice, ha 73 anni.


Se Monkey Shines - Esperimento nel terrore vi fosse piaciuto recuperate Link... io spero di farlo presto! ENJOY!

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