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mercoledì 26 dicembre 2012

Gli Aristogatti (1970)

Passato il Natale, dopo un minisondaggio su feisbuc è arrivato il momento di recensire un altro classico Disney, ovvero Gli aristogatti (The AristoCats), diretto nel 1970 dal regista Wolfgang Reitherman.


Trama: la gatta Duchessa e i suoi tre figli, Minou, Matisse e Bizet, vivono felici e coccolati nell’enorme casa della loro aristocratica padrona. Un giorno l’avido maggiordomo Edgar decide di portarli letteralmente a perdere per ottenere l’eredità di Madame e la famigliola felina deve cercare di tornare a casa… con l’inaspettato aiuto di Romeo, uno scafatissimo gattone di strada.


Gli Aristogatti è il sogno di ogni futura vecchia zitella gattara che si rispetti, come in effetti sarò io. Pur non rientrando nella mia personale top 5 disneyana, è realizzato con una cura incredibile ed è avventuroso e divertentissimo, non tanto grazie ai protagonisti principali, comunque deliziosi, quanto per l’abbondanza di comprimari esilaranti e completamente folli: è impossibile, infatti, dimenticare le performance del vecchio avvocato George Hautcourt, gli sproloqui delle oche inglesi Adelina e Guendalina Bla Bla (in inglese Abigail e Amelia Gobble)  o del loro rincoglionitissimo e ubriaco zio Reginaldo (Waldo), per non parlare poi della premiata ditta Napoleone e Lafayette, i due cani che riescono a riconoscere i modelli di scarpe da un semplice scricchiolio. E’ in questo frizzantissimo microcosmo animale ricreato all’interno di una Parigi d’inizio ‘900 che si muovono così gli Aristogatti protagonisti del titolo, bestiole nate letteralmente nella bambagia e per questo impreparate a vivere la vita “breve e violenta”, per citare Stephen King, tipica della loro razza. L’introduzione della famigliola felice e della loro padrona, la splendida ed elegante Madame, è un piccolo compendio di vezzi felini (la mamma Duchessa si prende le coccole con finta alterigia mentre i gattini scorazzano per tutte le stanze, curiosi e con le codine dritte, finendo spesso e volentieri tra i piedi degli umani oppure azzuffandosi tra loro) e riesce a ricreare un’atmosfera familiare così calda e affettuosa che la sparizione dei mici colpisce lo spettatore come un colpo al cuore.


Per fortuna però il rapimento degli aristogatti coincide con l’arrivo del simpatico gattone Romeo (Thomas O’Malley in originale, niente antenati nel Colosseo, anche se uno dei mille nomi del felino è Giuseppe, quindi forse…), che ci consente di ammirare altri esempi di eccellente animazione in grado di catturare il tipico comportamento dei mici quando sono in modalità “seduttiva”, inferociti oppure spaventati.. e che ci introduce all’anima jazz della pellicola. Sì perché la contrapposizione tra gatti di strada e aristogatti la ritroviamo soprattutto nella musica, che può essere quella classica ed “ingabbiata” da rigide regole che Duchessa insegna ai suoi cuccioli oppure quella calda, folle e sregolata di Scat Cat e della sua multietnica banda, che deliziano lo spettatore con la scatenatissima Tutti quanti voglion fare jazz (Everybody want to be a cat) e insegnano che la vita va vissuta anche e soprattutto fuori da quattro mura, esplorando il mondo e sperimentando quello che non conosciamo, liberi e senza paura, proprio come i gatti… per poi magari tornare “al sicuro” arricchiti da queste nuove esperienze. Voi, intanto, se non lo avete mai fatto, “sperimentate” questo ennesimo capolavoro Disney, non ve ne pentirete… e chiaritemi, se potete, perché i micetti sono stati ribattezzati Minou, Matisse e Bizet quando in inglese si chiamano Marie, Tolouse e Berlioz perché non sono proprio riuscita a trovare notizie in merito! 


Del regista Wolfgang Reitherman ho già parlato qui.

Scatman Crothers (vero nome Benjamin Sherman Crothers) è il doppiatore originale di Scat Cat. Musicista americano, indimenticabile interprete di Mr. Halloran nello Shining di Kubrick, ha partecipato anche a film come Qualcuno volò sul nido del cuculo e Ai confini della realtà, oltre a serie come Alfred Hitchcock presenta, Radici, Starsky & Hutch, Charlie’s Angels, L’incredibile Hulk, Magnum P.I. e Love Boat. E’ morto di cancro ai polmoni nel 1986, all’età di 76 anni.


Phil Harris, che doppia Romeo, prestava la voce in originale anche a Baloo de Il libro della giungla e Little John di Robin Hood mentre la doppiatrice di Duchessa, Eva Gabor, oltre ad essere sorella della più famosa Zsa Zsa Gabor ha prestato la voce anche alla topolina Bianca di Bianca e Bernie.  Se Gli AristoGatti vi fosse piaciuto, consiglio la visione de La carica dei 101 e Lilli e il Vagabondo. ENJOY!! 

mercoledì 17 marzo 2010

Shining (1980)

Non paga delle condizioni di salute a dir poco pessime che mi fanno delirare e mi rendono difficile anche fare le cose più semplici, ecco che mi è punta vaghezza di recensire un capolavoro indiscusso del genere horror, anzi forse l’horror più bello che sia mai stato girato, ovvero Shining (The Shining) di Stanley Kubrick, del lontano 1980. Nonostante sia tratto dal romanzo omonimo che Stephen King ha scritto nel 1977, le differenze sono molte, e l’opera cinematografica surclassa prepotentemente un libro che è il più brutto tra quelli scritti dal “Re”.


La trama: Jack Torrance, uno scrittore fallito, ottiene un lavoro come custode invernale dello sperduto Overlook Hotel. Assieme alla moglie Wendy e al figlio Danny, dotato di un potere di chiaroveggenza chiamato “luccicanza” (The Shining, appunto), si stanzia nell’hotel e tutto parrebbe andare per il meglio, se non fosse che piano piano qualcosa comincia a fare impazzire Jack, spingendolo a ripercorrere i passi del precedente custode dell’hotel, reo di avere massacrato la moglie e le due figliolette..


Premettendo che non ho assolutamente intenzione di fornire una critica ad un film che è stato recensito, criticato e sviscerato da ogni cinefilo che si rispetti fin dalla sua uscita. Come per Arancia Meccanica e Il settimo sigillo mi limiterò a dire perché questo film dovrebbe essere guardato. Innanzitutto perché, come ho già accennato, è uno dei pochi film che supera l’opera originale da cui è tratto. Lo Shining di Stephen King è un lungo e noioso racconto che punta molto sulla classica rappresentazione della casa infestata (anche se in questo caso c’è un hotel), la cui influenza va a demolire la psiche di un uomo fondamentalmente non malvagio ma soggetto comunque ad ogni possibile sfiga, scatto d’ira e debolezza. A coronare il tutto c’è il pargoletto dotato di questa Luccicanza, guidato dal fantasma di un bambino di nome Tony, che con la sua sola presenza riesce a rendere i fantasmi dell’hotel più pericolosi e forti di quanto normalmente non siano. Il finale è diversissimo nelle due versioni, tanto che nel libro l’hotel esplode per “noncuranza”, diciamo, mentre nel film rimane ad incombere come se fosse eterno. Però è diversa anche la scelta degli elementi su cui porre l’accento: Kubrick non ci mostra un uomo debole ma fondamentalmente buono, bensì qualcuno che è già propenso a diventare un mostro e ben contento che gliene venga data la possibilità; la luccicanza non è un potere positivo che aiuta il piccolo Danny a ritrovare il padre all’interno del mostro che è diventato, bensì una maledizione che permette solo di osservare impotenti un futuro che non si riesce a cambiare e un passato che minaccia di inghiottirci; quella di Kubrick è un’analisi impietosa della follia là dove Stephen King puntava il dito contro il suo passato di drogato ed alcolista, esorcizzandolo. Nel libro l’hotel si impossessa di Jack, nel film invece parrebbe che il padre di Danny fosse già da tempo parte dell’Overlook, che si è limitato a richiamarlo a sé.


Ciò che rende lo Shining di Kubrick perfetto è l’incredibile capacità del regista di cogliere le immagini essenziali del libro, privarle di inutili orpelli e renderle ancora più inquietanti. Il regista elimina giustamente le scene più trash dal punto di vista visivo, come quella delle siepi semoventi a forma di animali, che è stata sciaguratamente ripresa nel film TV prodotto dallo stesso King, e gli elementi inutili come il fantasma di Tony (usando il ben più inquietante escamotage di Danny che fa parlare un suo dito con un’altra voce) . L’Overlook diventa il protagonista assoluto, una presenza incombente ma mai buia; la caratteristica di Shining è infatti quella di essere un horror che va controcorrente, perché ogni scena, anche la più cruenta, è girata in piena luce. E le scene memorabili sono molte, val la pena vedere il film solo per la bellezza di certe immagini e per l’inquietudine che possono trasmettere con il solo ausilio della penetrante colonna sonora. E siccome ho già detto troppo, e molti spezzoni del film sono talmente famosi che è inutile anche starli a descrivere, dico solo come la bravura del regista riesca a commuovermi ogni volta che Jack Nicholson si mette a guardare il modellino di labirinto all’interno di una sala dell’Overlook, incombendo con il suo ghigno satanico mano a mano che la telecamera zooma in avanti e mostra le piccole figure di Wendy e Danny che giocano all’interno del vero labirinto fuori dall’hotel, senza soluzione di continuità. La scena più bella dell’intero film secondo me. 


Concludo questa breve e atipica recensione magnificando la recitazione non solo di Jack Nicholson, ma anche di Shelley Duvall. Il primo è un demonio, privo di qualsivoglia residuo di umanità ed affetto paterno o coniugale che King avesse voluto infondere al personaggio; al di là dei dialoghi che sono praticamente perfetti sulla sua bocca, gli basta solo uno sguardo per raggelare il sangue e far capire che la mente di Jack Torrance è ormai oltre ogni possibilità di recupero, e se volete una prova inconfutabile della sua bravura basta solo che osserviate con attenzione la famosa scena della vecchia nella stanza: in tempo zero passa da un’espressione spiacevolmente sorpresa, ad una decisamente più sollevata, ad una definitivamente lubrica e porca, tre sguardi che svelano il suo stato d’animo meglio di qualsiasi parola. Quanto a Shelley Duvall, il fatto che il regista le abbia provocato più di una crisi di nervi durante la realizzazione di Shining è risaputo, ma ciò non toglie che la sua Wendy bruttina, vessata dal marito e spiritata sia uno spettacolo da vedere, alla faccia di qualsiasi “scream queen” venuta prima o dopo di lei. In poche parole: guardatelo. Ne vale davvero la pena.


the-shining
Del Maestro per eccellenza, ovvero Kubrick, ho già parlato qui, mentre un piccolo excursus sull’attività del divino Jack Nicholson lo trovate qui.

Shelley Duvall interpreta Wendy Torrance. Texana, e nonostante il cognome non imparentata con il grande Robert Duvall, la ricordo per film come Nashville, Io & Annie, Popeye – Braccio di ferro, Frankenweenie, Roxanne e Ritratto di signora. Ha partecipato anche a episodi di Ai confini della realtà e Frasier. Ha 61 anni.


Scatman Crothers, che interpreta il cuoco Dick Halloran (personaggio ripreso poi da Stephen King per un flashback nel suo romanzo più bello, IT), anche lui dotato della luccicanza, aveva già recitato in un film che aveva Jack Nicholson come protagonista, Qualcuno volò sul nido del cuculo, e ha anche prestato la voce allo Scat Cat de Gli Aristogatti. Il piccolo Danny Lloyd invece, meraviglioso interprete di Danny, non ha proseguito con la carriera cinematografica, preferendo dedicarsi all’insegnamento di scienza e biologia. A costo di ribadire l’ovvio, la scritta ripetuta infinite volte “il mattino ha l’oro in bocca”, cambia lingua e proverbio a seconda delle versioni del film (in inglese è “All work and no play makes Jack a dull boy). Leggenda narra che ci siano un sacco di scene eliminate e almeno un finale alternativo, che la versione italiana sia più breve di quella USA, e che Kubrick avesse pensato a De Niro o, addirittura, Robin Williams (che avrebbe poi recitato in Popeye – Braccio di Ferro proprio con Shelley Duvall) per interpretare il ruolo di Jack Torrance, e non oso immaginare cosa sarebbe uscito fuori! Al di là delle leggende, però, è palese che a Stephen King l’adattamento di Kubrick non sia mai andato troppo giù, quindi lo scrittore del Maine nel 1997 ha scritto direttamente la sceneggiatura dello scialbo film TV Stephen King’s The Shining, con Jack Torrance interpretato da un ancor più scialbo Steven Weber, habitué delle produzioni kinghiane e già reo di essersi scopato la “Jenifer” argentiana nei Masters of Horror. Da evitare come la peste!! E ora beccatevi il meraviglioso omaggio de I griffin unito a veri pezzi tratti dal film... ENJOY!!


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