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venerdì 17 settembre 2021

Il collezionista di carte (2021)

Mi ha fatta un po' penare e ho rischiato che lo togliessero ma finalmente sono riuscita ad andare al cinema a vedere Il collezionista di carte (The Card Counter) diretto e sceneggiato dal regista Paul Schrader.



Trama: l'ex detenuto William Tell è diventato uno dei più bravi giocatori d'azzardo d'America. Ma il passato, inaspettatamente, torna a bussare alla sua porta...


Vi è mai capitato di andare in crociera? A me sì, un paio di volte. Ho ovviamente apprezzato le visite esterne, rigorosamente effettuate in piena libertà, senza acquistare quei pacchetti ridicolmente cari zeppi di inutili optional che propongono a bordo, mi sono fatta coinvolgere dagli animatori (per quanto detesti ogni genere di animazione) arrivando persino a divertirmi, mi sono fatta due risate con le compagne di viaggio e, in generale, nonostante sia un modo di viaggiare poco consono alla mia natura, non mi sono trovata male. Eppure qualcosa, all'interno delle navi da crociera, mi ha sempre messo addosso una certa tristezza e, col tempo, sono arrivata ad identificare quel "qualcosa" con lo squallore nascosto dall'apparenza faraonica di arredi e luci, tra i quali si muove un'umanità in buona parte fatta di accattoni, di gente che si scofana in mezza giornata tutto quello che basterebbe a sfamare per un mese un villaggio in Africa solo perché "è tutto incluso e ho pagato", che fa scivolare via le notti nel casinò di bordo sperando di racimolare qualche spicciolo. Lo so, ora mi chiederete perché ho dovuto scomodare le navi da crociera per parlare del casinò. E' che io sono stata solo nel Casinò di Sanremo e lì un minimo di dignità mi è parso di trovarla ancora, mentre gli ambienti descritti nel film di Schrader mi hanno messo addosso la stessa repulsione provata all'interno dei casinò delle navi e non ho fatto fatica né a percepirne la natura di Purgatorio per il personaggio di William Tell, né a capire perché il miraggio dei soldi, delle partite e della fama non abbiano fatto presa sulla mente di Cirk, per nulla distolto dai suoi propositi di vendetta.


Il casinò di Schrader non è quello di Scorsese, che figura tra i produttori. Qui non ci sono personaggi larger than life capaci di farci dimenticare il pantano di violenza e bassezze umane nel quale si dibattono finché non è troppo tardi: ne Il collezionista di carte l'Inferno segue costantemente William e la sua ricerca di una routine, di un modo per tenere impegnato il cervello, altro non è che un modo per punirsi per colpe impossibili da dimenticare, che lo blocca in un limbo senza sfogo. Uno come William, capace di "contare le carte" e quindi giocare d'azzardo a livelli altissimi, potrebbe aspirare a una vita di agi e lusso, invece sceglie di nuotare sul fondo dell'acquitrino composto da casi umani che nella vita non sanno fare altro che giocare e scommettere, vivendo in camere di motel impersonali, mangiando il cibo insapore di quei postacci per turisti, bevendo drink notturni fatti al 50% di alcool e al 50% di tristezza. Nel mondo asettico che l'ex detenuto si è creato, il passato non ha spazi per penetrare ma non ci sono nemmeno appigli per ottenere una redenzione, quindi. Serve l'intervento di un agente esterno, Cirk, per smuovere le acque e spingere William ad uscire dalla sua illusoria comfort zone così da arginare l'orrore mai tenuto a bada del tutto e cercare di trasformarlo in qualcosa di buono per un ragazzo che ha perso tutto a causa di colpe non sue. L'ultima opera di Schrader diventa così una lotta per non soccombere, un percorso a spirale che apparentemente non porta da nessuna parte e che rischia, per molti, di diventare "quel film in cui Oscar Isaac gioca a poker e ogni tanto ripensa ai tempi in cui torturava prigionieri di guerra". Ma è proprio la natura ripetitiva de Il collezionista di carte il mezzo attraverso cui il regista ci fa "sentire" tutto il disagio di William, la sua ansia di salvare Cirk e lasciarsi così alle spalle uno schifo troppo profondo per venire mondato da dieci anni di carcere militare.


La calma apparente della vita di William, scandita da regole come una partita a carte e altrettanto controllata, si rispecchia nella regia classica di Schrader, nei primi piani e nei controcampi, nella generale aria "anni '70", da New Cinema Americano, che si respira fin dai titoli di testa, ma in sottofondo c'è sempre il filo teso del passato pronto ad inghiottire il protagonista, incarnato da una splendida ed inquietante colonna sonora che non sfigurerebbe in un horror. Quella stessa colonna sonora, a tratti, "impazzisce"; è quando William ricorda la cacofonia orribile di urla, musica e altri suoni assordanti dei campi di prigionia, la sovrabbondanza sensoriale di rumore, odori e stimoli visivi che si traduce per lo spettatore in grandangoli e piani sequenza che restituiscono le immagini deformate di un incubo purtroppo documentato da fatti di cronaca realmente accaduti, dove vittime e carnefici arrivano a confondersi, dove non esistono più leggi né moralità e bisogna diventare mostri per non soccombere alla pazzia. In tutto questo, Oscar Isaac regge quasi da solo l'intero film, prestando corpo e volto ad un personaggio complesso e di indubbio fascino che a tratti ricorda le migliori interpretazioni del vecchio De Niro o di Sean Penn; William è una persona che ha fatto cose orribili e che si è abbandonato al lato peggiore di sé, a prescindere dalle circostanze "attenuanti" dietro cui sempre si trincerano quelli che eseguono gli ordini, eppure è difficile odiarlo e non provare per lui almeno un minimo di pena, anche solo per la goffaggine con cui pretende di aiutare una persona ormai impossibile da dissuadere o per la rassegnazione quasi "umile" con cui sopravvive, senza vivere. A completare il cast ci pensano Willem Dafoe, mostro (letteralmente) sacro a cui bastano dieci minuti di presenza per generare una quantità di sensazioni che vanno dall'odio al disgusto al terrore, e un Tye Sheridan ben distante dai ruoli "leggeri" che lo hanno reso famoso, mentre ammetto che La Linda di Tiffany Haddish non mi ha detto assolutamente nulla, sia come personaggio che come attrice. In definitiva, non penso che Il collezionista di carte sia un film per tutti i gusti, ma io ne sono rimasta affascinata e coinvolta e non posso fare altro che consigliarlo, perché è raro di questi tempi trovare pellicole che si prendono il lusso di dialogare con lo spettatore e farlo riflettere, invece di servirgli subito delle semplici e rapide risposte.  


Del regista e sceneggiatore Paul Schrader ho già parlato QUI. Oscar Isaac (William Tell), Tye Sheridan (Cirk) e Willem Dafoe (Gordo) li trovate ai rispettivi link.




domenica 24 febbraio 2019

First Reformed - La creazione a rischio (2017)

Stanotte verranno assegnati gli Oscar e questa è l'ultima recensione "a tema" che verrà pubblicata prima della fatidica premiazione. Nella fattispecie, First Reformed - La creazione a rischio (First Reformed), diretto e sceneggiato da Paul Schrader nel 2017, ha ottenuto una nomination per la Miglior Sceneggiatura Originale.


Trama: il sacerdote di una piccola congregazione comincia a mettere in dubbio il proprio ruolo nel mondo a seguito di una serie di tragedie che lo hanno toccato da vicino.



Tra tutti i film visionati nel periodo pre-Oscar, First Reformed è indubbiamente uno dei più "scomodi". La sceneggiatura di Paul Schrader, pur non essendo sensazionalistica come quella di Vice, che punta il dito facendo nomi e cognomi, o palesemente impegnata come quella di BlacKkKlansman, sbatte in faccia allo spettatore un problema globale del quale tutti, nessuno escluso, parliamo troppo poco benché ci tocchi da vicino, forse perché attualmente è meno intellettuale parlare di ambiente e riscaldamento globale piuttosto che di politica e razzismo. Scrivere che First Reformed parli "semplicemente" di inquinamento e della graduale presa di coscienza del problema però sarebbe incredibilmente riduttivo. Quella, difatti, è solo la punta dell'iceberg di un percorso che porta il protagonista, un prete fiaccato dai sensi di colpa per la morte del figlio in guerra, a guardare al futuro e a chiedersi se davvero un mondo destinato alla distruzione per mano dell'uomo possa essere un rifugio sicuro per le generazioni future e cosa, effettivamente, possa fare la Chiesa per impedire una catastrofe, per preservare ciò che Dio ha concesso all'umanità al di là di tutte le parole, le preghiere e le formule di rito. First Reformed ci fa scontrare con la realtà di un sacerdote che è poco più di una guida turistica all'interno di una chiesa-museo, incapace di trovare le parole giuste per consolare e dare speranza agli altri perché lui stesso non ne ha per sé, e che piano piano apre gli occhi su una realtà dove la Chiesa è un'industria mangia soldi più che veicolo di conforto per i fedeli, all'interno della quale chi è al vertice si preoccupa  di politica e di apparenze salvate invece che di problemi concreti. Eppure, nonostante questa presa di coscienza, il sacerdote fa del dolore spirituale e della sofferenza fisica una corazza che lo spinge non già ad allontanarsi da Dio o perdere la Fede, bensì a farla diventare qualcos'altro di enorme e terribile, un pensiero strisciante di cui pian piano anche lo spettatore comincia ad avvedersi con angoscia crescente.


Ombroso, rigoroso e "bergmaniano" nell'impostazione (e non solo, ché Luci d'inverno ha una premessa molto simile), First Reformed è un film fatto di dialoghi angoscianti che affondano quanto la lama di un pugnale, che ci fanno vergognare di esistere e di essere sempre così dannatamente superficiali. Concentrati su noi stessi e sull'adesso, troppo spesso consideriamo la religione e la preghiera come scappatoie, comode formule magiche per ottenere quello che vogliamo come se Dio, un qualsiasi Dio, fosse il genio della lampada in grado di esaudire i nostri desideri se preghiamo proprio bene bene. E quando, dall'alto, ci viene mostrato solo un bel dito medio, ovviamente ci incazziamo. E' questa battaglia contro i "fedeli" mulini a vento che viene portata in scena da Schrader, incarnata nel volto granitico di Ethan Hawke, invecchiato e tirato ma sempre affascinante, il ritratto stesso del tormento e della disperazione, chiuso all'interno delle pareti spoglie di una chiesa asettica dove le croci paiono pesare come macigni persino con le loro ombre scure (il senso di claustrofobia viene dato anche dal formato inusuale scelto dal regista, il desueto rapporto d'aspetto 4:3), o perso nel fondo di una bottiglia mentre vomita su carta tutto ciò che lo rode. Il grigiume e la desolazione lasciano il posto giusto ad un paio di scene oniriche, concesse da Schrader a mo ' di sollievo sia per il protagonista che per lo spettatore, piccoli afflati di speranza che non è detto vengano accolti e che hanno il volto angelico di una misuratissima Amanda Seyfried, ma che comunque possono cominciare ad indicare una via. Amore, speranza, indulgenza, comunione col prossimo, impegnati in una strenua battaglia contro disperazione ed autodistruzione, questo il cuore di First Reformed, un film per nulla ottimista ma sicuramente potente, capace di dare un bello scrollone allo spettatore. Peccato che non se lo sia filato quasi nessuno in Italia.


Del regista e sceneggiatore Paul Schrader ho già parlato QUI. Ethan Hawke (Toller) e Amanda Seyfried (Mary) li trovate invece ai rispettivi link.


Cedric the Entertainer, che interpreta Jeffers, è la voce originale del Maurice di Madagascar. Per il ruolo di Toller il regista aveva pensato anche a Oscar Isaac e Jake Gyllenhaal ma alla fine ha optato per il più "sciupato" Ethan Hawke. Se First Reformed vi fosse piaciuto recuperate Luci d'inverno e aggiungete Al di là della vita. ENJOY!


martedì 19 novembre 2013

The Canyons (2013)

Siccome entrambi siamo stati fan di Bret Easton Ellis, qualche sera fa ho proposto al buon Toto la visione di The Canyons, sceneggiato dallo scrittore californiano e diretto nel 2013 dal regista Paul Schrader. Mai scelta fu più diludente...


Trama: Christian è un ricco figlio di papà. Tara una donna insicura che non riesce a mantenersi da sola. La loro relazione si regge in piedi solo grazie alla reciproca fiducia, che consente loro di essere una coppia a dir poco aperta. Quando la fiducia verrà meno, però, cominceranno i guai...


Si può dire "Bret Easton Ellis hai rotto le palle"? Sì, si può dire. Soprattutto se è dal 1985, quasi trent'anni per la miseria, che lo scrittore spacca i marroni con le solite storie di depravazione, droga, ricchi annoiati, ménage a cinq o anche a six, il solito parvenu che alla fine sbrocca e ammazza qualcuno e infine, che è la cosa che più mi fa imbestialire pur non essendo gay, il fatto che lui, bisessuale dichiarato, descriva sempre gli omosessuali uomini come delle checche pazze che non aspettano altro che si palesi loro davanti un'enorme ciolla per perdere ogni remora e inibizione. E che banalità, che stereotipi, che noia mortale!! Basta con queste trame fatte di nulla! Va bene, la società moderna è vuota e vanerella, ancor più dopo che sono stati introdotti i social network, ma The Canyons è veramente l'apologia del NULLA, zeppo di gente che non sa "quando sta facendo su questa teRa", che passa le giornate ad organizzarsi la scopata serale, che vive di pettegolezzi, gossip, lavoretti saltuari, psichiatri ecc. ecc. Ce ne sono molti di film basati su assunti simili (diciamo Bling Ring?), ma in TUTTI succede qualcosa. In The Canyons non succede nulla o, meglio, nulla che riesca a catturare l'interesse di uno spettatore che vorrebbe vedere tutti i protagonisti impiccati, mutilati o sventrati da un redivivo Patrick Bateman e farla finita lì dopo 20 minuti di film.


Non mi vengano a dire, come ho letto su non ricordo quale sito, che The Canyons è l'incarnazione della tristezza e del dolore interamente racchiusi nell'interpretazione di Lindsay Lohan. Se una cagna strafatta di qualsiasi sostanza, rifatta, cicciona, vajassa da far schifo dovrebbe mettermi tristezza o perlomeno muovermi a simpatia allora mi approprio del titolo di Cuordipietra dell'anno perché a me veniva solo voglia di prendere a ceffoni lei e insultare il personaggio di Tara, l'essere più mollo e inutile mai portato su pellicola. Grandiosa anche l'idea di affidare il ruolo di protagonista a tale James Deen, al secolo Bryan Matthew Sevilla, attore dalla mazza prominente ma dalle capacità recitative pari a quelle di un gatto di marmo, costretto ad interpretare un altro personaggio inutile, odioso e vuoto come le sale cinematografiche abbandonate che costellano la pellicola. A tal proposito, se Easton Ellis voleva criticare la morte di un cinema ormai scevro di passione e schiavo del business, non è girando una roba come The Canyons che si infonde linfa vitale all'industria, anzi: se fossi superficiale come i personaggi del film non varcherei più la soglia di un cinema finché campo, per la paura di vedere un'altra mmerda simile. E se Easton Ellis e Paul Schrader volevano scioccare l'audience (o farla riflettere, di nuovo, sul vuoto della vita...) con scene di sesso e  perversione bisognerebbe dir loro che i tempi sono cambiati, perché quel paio di imbarazzanti inquadrature full frontal o il rapporto a quattro sotto le lucine alla Quagmire fanno al limite sorridere e non riescono nemmeno a risultare trash. Non quanto la guest appearance del povero Gus Van Sant, utile ai fini della "comprensione" di siffatto capolavoro quanto un porchettaro davanti a una moschea. E con questo chiudo il post, ché The Canyons non merita altre parole.


No, non merita altre parole. Quest'immagine dice tutto.

Citazione Totosa: "Comunque mi aspettavo più ciolle"

Del regista Paul Schrader ho già parlato qui mentre Lindsay Lohan (Tara) e Gus Van Sant (Dr. Campbell) li trovate ai rispettivi link.

James Deen (vero nome Bryan Matthew Sevilla) interpreta Christian. Americano, la sua carriera ovviamente si basa interamente sul porno (nel 2009 e 2013 ha vinto il premio come miglior "performer" dell'anno agli AVN Awards, premi indetti dalla rivista porno AVN, mica cazz... ehm...): tra i titoli più esilaranti del suo ultimo anno di attività segnalo Too Small to Take It All 5, Anal Buffet 8, James Deen Loves Butts, Weapons of Ass Destruction 7 o MILF Mania!!!! (i punti esclamativi non li ho messi io. Sono parte del titolo, giuro). Anche regista e produttore, ha 27 anni.


Nolan Gerard Funk interpreta Ryan. Canadese, ha partecipato a film come X-Men 2,  Riddick e a serie come Taken, The L World, Smallville, La zona morta, Supernatural e Glee. Anche produttore, ha 27 anni e due film in uscita.


A Jeremy Renner era stato offerto il ruolo di Reed che, per la cronaca, è il ragazzetto che viene invitato all'inizio in casa di Tara e Christian. Se Dio vuole non se n'è fatto nulla, anche se sicuramente sarebbe stato molto meglio vedere lui di quella sorta di cancello che è poi stato ingaggiato. L'altro ad averla scampata bella invece è stato Jason Sudeikis, a cui era stato offerto il ruolo del Dr. Campbell. Sinceramente, non comprendo come un film simile possa piacere ma, in caso The Canyons vi abbia soddisfatti, consiglio il recupero di Sex Crimes - Giochi pericolosi. ENJOY!


lunedì 19 febbraio 2007

Auto focus (2002)

Un'altro genere di film che adoro, dopo gli horror, son quelli biografici. Non importa che io sappia o meno di chi si parla, i film ambientati nel passato, vicino o lontano che sia, e basati su storie vere, mi intrigano. In particolare quelli che riguardano un determinato e glorioso periodo televisivo o cinematografico, ed il suo inevitabile declino. Film come Boogie Nights, oppure lo splendido Demoni e Dei e l'indimenticabile e commovente Ed Wood.

Ieri sera ho visto questo dignitoso film diretto da Paul Schrader. ovvero Autofocus. Questa pellicola, basata sul libro The Murder of Bob Crane di Robert Gray-Smith, è la biografia di Bob Crane (interpretato da un ottimo Greg Kinnear), comico americano molto attivo alla radio negli anni '60 che ebbe il suo picco di notorietà interpretando il colonnello Robert E. Hogan, dal 1965 al 1971, nel telefilm Hogan's Heroes (in Italia "Gli Eroi di Hogan"). Il film narra la sua rapida scalata al successo e il suo morboso rapporto con l'ambiguo tecnico video John Carpenter (un laidissimo e convincente Willem Dafoe), anche a causa del quale l'attore diventerà sempre più dipendente dal sesso e dal voyeurismo, rovinando prima il proprio matrimonio poi la propria carriera, in un'epoca dominata dai film per famiglie, fino a venire ucciso (forse proprio da Carpenter).



Il film è raccontato in terza persona dallo stesso Kinnear/Bob Crane. La voce narrante non è ossessiva e presente per tutto il film, scandisce i diversi periodi della vita del comico: prima il lavoro alla radio, gratificante tuttavia limitato, poi l'offerta per Hogan's Heroes, quindi la fine della serie e il lento ma inesorabile declino dell'artista, il tutto unito dalla frase storica : "Un giorno senza sesso è un giorno sprecato", motto dei due amici, colleghi e complici. Da sottolineare come il film si inserisca nella tradizione cinematografica delle voci narranti postume: il protagonista è morto quando racconta, come avviene in Sunset Boulevard e American Beauty.

Il progressivo avanzare della "malattia" sessuale di Crane viene paragonata all'avanzare della tecnologia, e quindi alla sua dipendenza da Carpenter. Inizialmente Bob, sposato con una moglie cattolica e conservatrice, si accontenta di riviste osé, rimanendo fedele al vincolo matrimoniale e giustificando l'innocente perversione con la passione per la fotografia. Poi arriva Carpenter, la tecnologia, e tutto cambia... i vincoli matrimoniali non hanno più valore e, complici anche i liberi anni '70, Bob si appassiona sempre più alle riprese dal vero, collezionando ore ed ore di video porno fatti in casa, mentre il rapporto tra lui e l'amico si fa sempre più morboso e stretto. Il film sottolinea la presunta omosessualità di Carpenter, che è palesemente innamorato non ricambiato di Bob. Quest'ultimo cambia moglie due volte: a dimostrazione di quanto ormai la sua dipendenza dal sesso sia grave, neppure la seconda moglie (Maria Bello), emancipata e di larghe vedute, riuscirà più a resistere assieme ad un marito che monta filmini porno nello scantinato di casa....

La regia, classica ma adatta alla storia raccontata, alterna riprese a mano, rifacimenti di scene di Hogan's Heroes, surreali incubi e filmini fatti in casa, un bel collage montato ad arte che rende il film scorrevole e comprensibile anche per chi, come me, non aveva mai sentito parlare di Bob Crane (o quasi)

Il regista Paul Schrader è, nel mio cuore di fan, soprattutto ottimo sceneggiatore. Ha collaborato infatti con il grandissimo Martin Scorsese fin dai primi spelndidi film, consentendogli di firmare capolavori come Taxi Driver, Toro Scatenato, L'Ultima Tentazione di Cristo e Al Di Là della Vita. Come regista ha diretto American Gigolo e il remake de Il Bacio della Pantera. Oggi ha 60 anni e due film in produzione, uno come regista e uno come sceneggiatore.











Greg Kinnear è un pò uno di quegli attori che evocano la domanda "Ma dov'è che l'ho visto...?". In effetti più che protagonista viene ricordato per ruoli di "spalla", a tal proposito ha ricevuto una nomination come miglior Attore non protagonista per Qualcosa è Cambiato. Tra i suoi film ricordo The Gift e il recentissimo Little Miss sunshine. Oggi ha 53 anni e due film in produzione.



Assolutamente impossibile invece dimenticare il luciferino volto di Willem Dafoe, ovviamente tra la mia schiera di attori preferiti. Al di là della sua breve comparsata nel lesbo-chic-cult Miriam si Sveglia a Mezzanotte, tra i suoi film amo ricordare Platoon, L'Ultima Tentazione di Cristo, Existenz, American Psycho , C'era una volta in Messico, The Aviator e, ultimamente, Spider Man come un terrificante Goblin. Oggi ha 59 anni e tre film in uscita tra cui l'attesissimo (almeno per me) Mr. Bean's Vacations.



Ed ecco ora la prima delle due mogli di Bob Crane, almeno nella finzione.  Rita Wilson, sposata con l'ormai bolso Tom Hanks, ha recitato fin da giovane in produzioni televisive come MASH, La Famiglia Brady, Happy Days, Tre Cuori in Affitto. In campo cinematografico ricordiamola in Il Falò delle Vanità e nel remake di Psycho. Ha 60 anni.













E per ultima ecco Maria Bello, seconda moglie cinematografica di Bob Crane... Lanciata dalla serie ER in cui interpretava la dottoressa Del Amico, ha continuato la carriera in apprezzabili film quali Secret Window, A History of Violence, Thank You For Smocking e World Trade Center. Ha 39 anni e sei film in uscita.. complimenti!



 Ed ora ecco un bel filmato con la sigla del Pilot di Hogan's Heroes...



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