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venerdì 21 marzo 2014

Lei (2013)

Martedì ho finalmente guardato il film visto ed apprezzato da (quasi) tutta la blogosfera, ovvero Lei (Her), diretto e sceneggiato nel 2013 da quel geniaccio di Spike Jonze e vincitore dell'Oscar per la migliore sceneggiatura originale.


Trama: Theodore è un uomo solitario, provato dalla fine di un lungo matrimonio. Un giorno, per curiosità, decide di acquistare un software in grado di "evolversi" in base alle necessità del padrone ed è così che, a poco a poco, intesse una relazione con questo programma, autodenominatosi Samantha...


Quanta tristezza, quanta bellezza. Durante la visione di Lei sono stata colta da una malinconia talmente profonda che ho fatto fatica ad arrivare alla fine e non perché il film sia brutto, anzi. Solo che, verso la fine, alla malinconia si è aggiunta anche un po' d'inquietudine. La storia di Theodore, ambientata in un futuro prossimo dove le lettere d'amore vengono dettate da appositi impiegati ad un computer che poi le stamperà in bella calligrafia, sembrerebbe quasi la naturale evoluzione di questa società dove le persone sono sempre più isolate e chiuse all'interno di una rete globale in grado di alimentare disagio e solitudine. Il protagonista si trova davanti al suo primo, importante fallimento come essere umano (il matrimonio è andato a rotoli) e non ha più il coraggio di rapportarsi agli altri perché, che scoperta!, l'amore è un sentimento reciproco dove è bello ricevere ma bisogna anche dare... e lui non riesce più a darsi completamente, o forse non c'è mai riuscito, perso nella ricerca egoista di un ideale inesistente e ingiusto. L'unica soluzione è vivere una fantasia, per quanto assurda, con qualcuno che non potrà mai essere alla pari di un essere umano e che tuttavia, apparentemente, è la persona perfetta: Lei. Samantha. Il software che, attraverso l’interazione con Theodore, comincia a comprendere il mondo e sé stessa, ad evolversi e superarsi, a trascendere in modo imprevedibile. La mia inquietudine non deriva tanto dalla svolta vagamente distopica che il film prende verso il finale, quanto dalla consapevolezza che l’essere umano Theodore è, se così si può dire, il “personaggio negativo” del film, un uomo perso nel suo ideale di artistica perfezione che si ammanta di un’aura di sfiga e tenerezza che non lo rende però meno ottuso, debole o ridicolo (si veda la sequenza dell'appuntamento al buio con Olivia Wilde, scioccante in ogni suo aspetto!). E’ più facile empatizzare con Samantha che, poverina, sarà anche infallibile in quanto computer e a tratti istericamente provata dal suo desiderio di vivere accanto a Theodore e convincerlo della possibilità di una relazione, tuttavia palesa sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, gelosia, tristezza e curiosità genuinamente e meravigliosamente umani.


Jonze racconta così la favola malinconica di un amore 2.0, di una ricerca disperata della felicità impossibile e anche di amicizia; lo fa con tocco delicato e poetico, regalando allo spettatore momenti divertenti, assurdi e commoventi che ci spingono a riflettere su noi stessi e sul nostro modo di rapportarci agli altri, magari identificandoci di volta in volta con Theodore o con Samantha, anche se la persona più “vera” (nel senso di plausibile) del film è la tenera e frustrata Amy, interpretata da una Amy Adams bravissima e stranamente dimessa. Le sfumature del passato si mescolano ad un presente fatto di note malinconiche, colori tenui e luci soffuse e a squarci di un incerto futuro perso negli sterminati neon di una città cosmopolita, che può offrire agli sperduti protagonisti la speranza e l’amore, come anche la disperazione e il perpetuarsi della solitudine. Joaquin Phoenix regge quasi da solo il film con la sua delicata e convincente interpretazione di un uomo qualunque, senza particolari pregi se non quello di saper mettere su carta i sentimenti altrui (e col fatale difetto di non riuscire a gestire i propri), ma la particolarità del film è la briosa, sensuale e tenera voce di Scarlett Johansson, in grado di rendere viva e reale Samantha e di emozionare lo spettatore anche se priva di un corpo. La cosa incredibile è che Jonze non usa mezzucci per dotarla di una presenza fisica, come un ologramma o un'immagine, ma gli basta semplicemente inquadrare l'inseparabile telefonino che Theodore porta sempre con sé e col quale ha una relazione simbiotica fin dalle prime immagini del film, prefigurazione veritiera di tutto quello che accadrà in seguito. Her è una pellicola lieve e particolare, che bisogna seguire con un po' di attenzione e una certa predisposizione alla malinconia; bisogna stare al gioco del regista e lasciarsi trasportare dai suoni e dalle parole, senza lasciarsi fuorviare dallo stile patinato delle immagini o dalla tematica fantascientifica perché questa, più che la storia di un amore impossibile tra un uomo e una macchina, è una storia sull'impossibilità di amare ed esprimere al meglio quello che proviamo, da vedere e rivedere.


Del regista e sceneggiatore Spike Jonze (che presta anche la voce al bimbetto alieno del videogame) ho già parlato qui. Di Joaquin Phoenix (Theodore), Chris Pratt (Paul), Rooney Mara (Catherine), Kristen Wiig (è la voce di SexyKitten), Scarlett Johansson (la voce di Samantha), Amy Adams (Amy) e Brian Cox (la voce di Alan Watts) ho già parlato ai rispettivi link.

Olivia Wilde (vero nome Olivia Jane Cockburn) interpreta la ragazza con cui Theodore ha l'appuntamento al buio. Americana, la ricordo per film come Turistas, Tron: Legacy, Cowboys & Aliens, In Time, The Words e Rush; inoltre, ha partecipato a serie come The O.C. e Dr House e, come doppiatrice, ha partecipato ad episodi di Robot Chicken e American Dad!. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 30 anni e cinque film in uscita.


Portia Doubleday, che nel film interpreta il "doppio" umano di Samantha, Isabella, nell'imbarazzante Lo sguardo di Satana - Carrie era mora e rispondeva al nome di Chris Hargensen. Originariamente, a dare la voce a Samantha avrebbe dovuto essere l'attrice Samantha Morton, che è stata sul set ogni giorno e aveva già registrato tutti i dialoghi. In fase di montaggio, però, Jonze ha capito che qualcosa non funzionava e, col benestare dell'attrice, ha deciso di ingaggiare la Johansson e farle ri-recitare da capo tutti i dialoghi. Tra l'altro, anche Chris Cooper ha girato alcune scene ma il suo personaggio è stato tagliato completamente fuori dalla pellicola. Un'altra attrice che ha dovuto rinunciare a partecipare al film, sebbene semplicemente a causa di impegni pregressi, è stata Carey Mulligan, rimpiazzata da Rooney Mara. E con questo concludo.. ENJOY!

mercoledì 29 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street (2013)

In totale ritardo rispetto al resto del mondo, con somma vergogna ovviamente, martedì sono finalmente andata anch'io a vedere l'ultima fatica del mio amato Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street, da lui diretto nel 2013 e candidato a 5 Oscar: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura non originale (la pellicola è tratta dall'autobiografia del vero Jordan Belfort), Leo Di Caprio Miglior Attore protagonista e Jonah Hill Miglior Attore non protagonista. Inutile dire che tifo per tutti loro!


Trama: il film racconta la vita sregolata, dissoluta e lussuosissima di Jordan Belfort, soprannominato giustamente Lupo di Wall Street per il modo spregiudicato con quale si arricchiva in borsa sulle spalle dei poveri gonzi...


A scanso di equivoci, togliamoci il dente: The Wolf of Wall Street non è IL capolavoro di Martin Scorsese ma è sicuramente uno dei suoi Capolavori, senza ombra di dubbio il migliore che abbia girato da dieci anni a questa parte. Per raggiungere l'apice avrebbe dovuto essere meno supercazzola e più tragicomico, così da consacrarsi definitivamente nel mio personale Olimpo, dove regnano incontrastati Quei bravi ragazzi e Casinò, con i quali The Wolf of Wall Street ha comunque parecchi punti in comune, in primis la forsennata, psichedelica e roboante parabola di autodistruzione in cui s'imbarca il protagonista a causa innanzitutto dei suoi peccati e, secondariamente, per colpa di consiglieri e amici poco fidati. Come già ai tempi Jimmy, Henry e Asso Rothstein, anche Jordan Belfort è un lupo e su questo non ci piove, un capobranco nato che non esita a spolpare vive le sue prede per "dare da mangiare" ai suoi seguaci, un Bravo Ragazzo della finanza che consapevolmente rinuncia a controllare i suoi appetiti e si annulla in un vortice di sesso, droga e denaro; a differenza degli altri, famosissimi criminali scorsesiani, però, Jordan ha il carisma, il cervello e, soprattutto, l'indipendenza del self made man capace di vendere (per citare Ghostbusters 2) "fumo e merda" ai boccaloni che gli capitano sotto tiro senza dover temere ritorsioni da parte di qualche sanguinario e permaloso boss della mala. Jordan è il capobranco, sopra di lui c'è solo l'FBI e sotto c'è un gruppo di scimmie ammaestrate alla "fine" arte dell'eloquio e della menzogna, dei burini con vestiti firmati, dei Neanderthal che venerano solo due dèi, Jordan e il Denaro, e che prendono a sputi, insulti e schiaffi chiunque non rientri nel ristretto novero dei loro idoli (il dialogo relativo ai nani o l'incontro con Steve Madden sono scioccanti in tal senso): persone vuote, stupide e, soprattutto, incapaci ed improduttive che, grazie ad apparenze e lingua svelta, vendono il nulla a gente altrettanto idiota, il paradosso su cui è costruita la nostra società.


Scorsese si siede davanti alla macchina da presa e ci riporta fedelmente questo mondo tribale, volgare, ridicolo e a tratti aberrante, senza ergersi a giudice ma mostrando alternativamente distacco e partecipazione, lasciando allo spettatore la scelta di rimanere affascinato o disgustato dalle immagini che scorrono sullo schermo. Sfruttando tutta la sua sapienza nel campo della regia, della fotografia e del montaggio, il vecchio Martin inganna impercettibilmente i nostri occhi assecondando gli stati psicofisici del protagonista e creando alla bisogna sequenze stridenti o leggermente sfocate quando Jordan è completamente fatto, ci stordisce con pregevoli piani sequenza, ci immerge nei balli, nei canti e nella depravazione (nei riti!) senza sorvolare su nessun dettaglio, nemmeno quello più scabroso, riempie lo schermo con primi piani e mezze figure del protagonista rendendolo un Dio anche ai nostri occhi, mescola senza soluzione di continuità immagini di repertorio, cartoni animati, spot veri ed inventati in un florilegio di immagini, dialoghi e musiche praticamente ininterrotto; Scorsese ubriaca consapevolmente il suo pubblico, conscio del fatto che almeno per il 90% i risvolti "finanziari" della vicenda non verranno recepiti e passeranno in secondo piano fino a risultare ininfluenti... proprio quello su cui contava Jordan nel corso della sua attività. Il risultato sono tre ore che sembrano una, dove l'attenzione non cala nemmeno per un attimo, anche perché Scorsese realizza senza dubbio il suo film più spassoso: la sequenza dove viene mostrato l'effetto del Quaalude prima al ralenti e poi in tempo reale è esilarante ma mai come quella del confronto "mentale" tra Jordan e il banchiere svizzero, che mi ha lasciata annientata e in lacrime a ridere da sola in mezzo alla sala gremita.


E a proposito di ridere, Di Caprio è mortale. L'avevo già detto per Django Unchained, lo ripeto: Leo, io ti ho perdonato. Tu sei un grande attore e io una capra svizzera che finalmente ha aperto gli occhi, continua su questa strada e non farmi pentire di quello che ho scritto. Di Caprio è nato per il ruolo di Jordan, si annulla completamente nel personaggio e in un attimo passa dal più squallido degrado ad essere il Re del Mondo, un carismatico sobillatore di dipendenti o un'ameba che rantola giù dalle scale in una delle scene più esilaranti dell'anno. Dire che è perfetto sarebbe un eufemismo, così come sarebbe riduttivo dare tutto il merito a lui e dimenticare lo stuolo di grandiosi caratteristi e sgnacchere che lo accompagnano, lo svergognato (nel senso di coraggiosissimo e senza vergogna) Jonah Hill in primis, ma non dimentichiamo Tappetino, il cinese mangione, un irriconoscibile Jon Bernthal e tutti gli altri "soggettoni" che magari compaiono solo per pochi istanti. In un lampo di genio, che spero sia voluto, Scorsese ha utilizzato un grandissimo attore (McConaughey) per insegnare al protagonista come si recita a Wall Street e ha messo tre registi  (Jon Favreau, Rob Reiner e Spike Jonze) a "dirigerlo"e cercare di frenare e regolare le sue ambizioni, per quanto inutilmente; inoltre, proprio per sottolineare la natura "pop" e a modo suo comica, caricaturale, dei personaggi rappresentati, non lesina la presenza di attori tirati fuori a forza dalle più famose serie televisive o di comici apprezzatissimi. E qui mi fermo. Ci sarebbero mille altre cose che vorrei dire ma davanti ai Capolavori tendo a perdermi inutilmente, diventando prolissa ma raffazzonata; ci sarebbero diecimila altre cose che sicuramente ho perso ma un film simile andrebbe visto perlomeno quattro o cinque volte per essere compreso e sviscerato appieno; ci saranno milioni di errori in queste mie indegne parole ma spero che da esse traspaia anche quell'Amore per Scorsese che dura fin dai miei primi passi nel meraviglioso mondo del Cinema e cazzo, questo è quello che conta. Non perdetevi assolutamente The Wolf of Wall Street, in italiano o in lingua originale, non fatevi assolutamente spaventare dalla durata o da altri futili pregiudizi perché questo è Cinema Vero, quello da vedere necessariamente in questi tempi di orrenda sciatteria.

Soocare.
Del regista Martin Scorsese (che in originale si può sentire parlare per telefono con Leonardo Di Caprio quando il suo personaggio vende le prime Penny Stocks) ho già parlato qui. Di Leonardo Di Caprio (Jordan Belfort), Matthew McConaughey (Mark Hanna), Kyle Chandler (agente Patrick Denham), Rob Reiner (Max Belfort), Jon Favreau (Manny Riskin), Jean Dujardin (Jean Jacques Saurel), P.J. Byrne (Nicky “Tappetino” Koskoff), Shea Whigham (Capitano Ted Beecham) e Spike Jonze (compare, non accreditato, nei panni di Dwayne, il “broker” che introduce Jordan al mondo delle penny stocks) ho già parlato ai rispettivi link. 

Jonah Hill (vero nome Jonah Hill Feldstein) interpreta Donnie Azoff. Americano, lo ricordo per film come 40 anni vergine, Suxbad: Tre menti sopra il pelo, Una notte al museo 2 – La fuga, 21 Jump Street, Django Unchained e Facciamola finita; come doppiatore, ha lavorato a film come Dragon Trainer, Megamind e l’imminente Lego Movie, oltre che per un episodio de I Simpson. Anche sceneggiatore e produttore, ha 30 anni e quattro film in uscita. 


Jon Bernthal interpreta Brad. Americano, famoso per essere stato lo Shane di The Walking Dead, lo ricordo per film come World Trade Center, Una notte al museo 2 – La fuga e Il grande match, inoltre ha partecipato ad altre serie come CSI: Miami, How I Met Your Mother, Numb3rs e doppiato un episodio di Robot Chicken. Anche animatore, ha 36 anni e un film in uscita. 


Ethan Suplee interpreta Toby Welch. Indimenticabile “comparsa” di moltissimi film di Kevin Smith nonché spalla di Jason Lee in My Name Is Earl, lo ricordo per l'appunto in pellicole come Generazione X, In cerca di Amy, American History X, Dogma e Clerks II. Americano, ha 37 anni e tre film in uscita.


Tra le millemila comparse che popolano la pellicola spunta anche Jake Hoffmann, figlio di Dustin, nei panni di Steve Madden (tra l'altro la scena è stata praticamente co-diretta da Steven Spielberg) e anche il vero Jordan Belford, che presenta Di Caprio alla folla sul finale. Se poi anche voi, come me, vi siete chiesti dove diavolo se l'è tirato fuori Matthew McConaughey quella sorta di rituale fatto al ristorante davanti ad un perplesso Di Caprio, sappiate che è una specie di "riscaldamento" che l'attore fa ogni volta prima di recitare. Per quanto riguarda gli attori esclusi, Amber Heard aveva fatto il provino per essere Naomi, ma alla fine il ruolo è andato all'australiana Margot Robbie; Julie Andrews era stata invece considerata per il ruolo di zia Emma mentre Ridley Scott avrebbe dovuto dirigere il film e per fortuna è finito a fare quella ciofeca di The Counselor o non avremmo avuto un simile capolavoro scorsesiano! Detto questo, se The Wolf of Wall Street vi fosse piaciuto, guardate anche Casinò, Quei bravi ragazzi, Il falò delle vanità e Wall Street. ENJOY!

venerdì 30 agosto 2013

Cameron Diaz Day: Essere John Malkovich (1999)


Oggi non è il John Malkovich Day. No, quello arriverà, spero, a Dicembre. Come avrete capito dal banner "nasone ma figaccione" di Pio, oggi è il Cameron Diaz Day ma chissà perché alla bella e brava Camerona, che per inciso compie 41 anni, pungeva vaghezza di calarsi nei panni dell'eclettico e pelato attore in questo Essere John Malkovich (Being John Malkovich), diretto dal bravo Spike Jonze nel 1999 e, soprattutto, sceneggiato da quel genio di Charlie Kaufman!!


Trama: Craig, un burattinaio frustrato, scopre una porta collegata direttamente alla mente di John Malkovich. Possedendo l'attore e muovendolo come uno dei suoi pupazzi cercherà di ottenere il successo e l'amore della collega Maxine, che però è già oggetto del desiderio della moglie Lotte...


Se ho scelto Essere John Malkovich per celebrare Cameron non è solo perché amo John e adoro questo film ma perché, per una volta, la bionda attrice di origini cubane è brutta. Sì, oddio, brutta come potrei essere io tirata a lucido per un matrimonio ma comunque inguardabile rispetto al suo solito standard. Ed è brava, bravissima. Soprattutto perché il pazzo Kaufman ha creato un personaggio difficilissimo da interpretare senza sforare in una cialtronata sopra le righe. Immaginate una tizia che vive per i suoi animali, che ha trasformato la casa in uno zoo per sopperire all'istinto materno frustrato da un marito mollo ed inconcludente. Immaginate che la tizia in questione, dopo essersi fatta un viaggio nella mente di Malkovich, senta risvegliarsi il proprio lato maschile lo assecondi con entusiasmo, arrivando persino a concupire la donna amata dal marito e accendendo così una surreale rivalità tra le mura domestiche. Non vado avanti per non togliervi la sorpresa ma, anche così, vi sarete fatti un'idea di come un personaggio simile rischi di diventare borderline e perlomeno ridicolo. Invece Cameron Diaz riesce ad infondergli un candore e una dolcezza incredibili anche nei momenti di delirio, quando Lotte viene inebriata dall'esperienza Malkovich e, come un'adolescente, comincia ad entusiasmarsi ed abbracciare la sua nuova natura. Nascosta da un'improbabile capigliatura riccia e infagottata in abiti meno che glamour, la Diaz diventa così un importante e delicato tassello del rompicapo messo in piedi da Jonze e Kaufman, indimenticabile come il resto dei personaggi che popolano questo strano film.


Quanto ad Essere John Malkovich in sé, dovete vederlo perché nessuna recensione potrebbe mai rendergli giustizia. Potrei parlarvi della delicata e disperata poesia dei burattini di Craig, dei dialoghi al fulmicotone, della delirante scena in cui Malkovich incontra un universo di cloni, dell'assurda idea che possa esistere un passaggio segreto per la mente dell'attore, dell'esilarante comparsata di Charlie Sheen nei panni di sé stesso, dell'incredibile interpretazione di un John Cusack in stato di grazia, dell'indiscutibile abilità registica di Jonze, della bellezza della colonna sonora (Bjork, oh Bjork!!), della profondità di sentimenti (anche negativi) che caratterizza ognuno dei personaggi ritratti, tanto che alla fine chi conduce l'esistenza più banale di tutti è proprio l'oggetto del titolo, della storia del settimo piano e mezzo o del trauma infantile dello scimpanzé Elijah... ma il vero piacere sta nello scoprire tutte queste cose e moltissime altre durante la visione di Essere John Malkovich. Io lo amo con tutto il cuore ma credo sia un film facile ad odiarsi, sicuramente sarà un'esperienza che non dimenticherete facilmente e che, se la ripeterete, vi aprirà ogni volta la mente su un mondo assurdo e sempre diverso. Come Malkovich. E come Cameron Diaz, che nel Bollalmanacco è già comparsa in altre vesti...

The Mask - Da zero a mito (1994), il suo film d'esordio. Bionda e bellissima, ruba il cuore di un Jim Carrey in formissima!

Paura e delirio a Las Vegas (1998) una semplice comparsata nei panni di una reporter che, in ascensore, viene turbata dai deliranti protagonisti.
  
Shrek - E vissero felici e contenti (2010) dove la voce di Cameron da vita all'orchessa Fiona, una delle principesse più toste mai create!

E il Cameron Diaz Day non finisce qui!! Ecco i link delle recensioni degli altri compagni d'avventura... ENJOY!!

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domenica 13 novembre 2011

Il ladro di orchidee (2002)

Sarà un impresa scrivere questa recensione. Dopo un’attesa di quasi 10 anni sono finalmente riuscita a vedere Il ladro di orchidee (Adaptation.), diretto nel 2002 dal regista Spike Jonze e, soprattutto, sceneggiato dal geniale e folle Charlie Kaufman. L’esperienza mi ha decisamente spiazzata.



Trama (o almeno un abbozzo di): Charlie è uno sceneggiatore famoso per il suo acume e il suo genio ma assolutamente incapace di relazionarsi agli altri. Timido e impacciato, è l’esatto opposto del gemello Donald, anche lui sceneggiatore, seppur poco dotato, capace in compenso di attirare su di sé la simpatia di chiunque. Charlie si ritrova in un pesante impasse creativo quando gli viene proposto di adattare Il ladro di orchidee, un romanzo di non fiction che parla essenzialmente di fiori. Assistiamo così al duro lavoro per tirare fuori qualcosa di decente dalla storia, mentre le vite dei due gemelli, della scrittrice e del protagonista del libro si intrecciano…



Charlie Kaufman è la mente che sta dietro a due dei film più particolari e belli che abbia mai visto, ovvero Essere John Malkovich (che peraltro viene citato all’inizio de Il ladro di orchidee) e The Eternal Sunshine of the Spotless Mind (no, non lo scrivo l’orrendo titolo italiano. Non deve essere scritto da nessuna parte. Punto.). Non una mente qualsiasi, quella dello sceneggiatore, perché le due pellicole mescolano sfacciatamente la fantasia, l’assurdo, la realtà e personaggi difficili da definire con una sola parola, che esasperano fino all’inverosimile i normali problemi che chiunque si trova ad affrontare. Il ladro di orchidee non è molto diverso in questo, ma qui c’è anche l’aggiunta della componente biografica e quella pesantemente metacinematografica: il risultato è un film, se vogliamo, ancora più atipico e complesso di quelli che ho già citato, con mille possibilità di lettura, che lascia lo spettatore perplesso ma curioso di scoprire dove finisce la realtà e dove comincia la finzione.



Francamente, non ho letto il libro Il ladro di orchidee, da cui è tratto il film, ma mi chiedo come l’autrice abbia reagito davanti ad un simile adattamento. Io abitualmente inveisco contro quelli che modificano arbitrariamente i film tratti dai libri di Stephen King, e di solito sono cambiamenti piccoli, quindi posso immaginare la perplessità di chi ha letto il libro di Susan Orlean e si è trovato davanti qualcosa di completamente diverso. Kaufman prende il cuore de Il ladro di orchidee, il desiderio della Orlean di mostrare la passione con cui lo strano Laroche e i suoi assistenti ricercano ossessivamente “l’orchidea fantasma”, una passione che lei stessa non ha mai vissuto o avuto, così come neppure il geniale sceneggiatore. E’ da qui che nasce l’impossibilità di adattare la storia, il che porta Kaufman a farsi protagonista e decidere così di raccontare il suo autobiografico disagio, aggiungendo elementi di pura fantasia, come il gemello Donald (La cosa curiosa è che, nonostante Donald Kaufman effettivamente non esista, nei credits viene citato come cosceneggiatore, quindi si è assicurato anche la nomination all’Oscar e ai Golden Globe, e il film è dedicato alla sua memoria).


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La prima parte di Il ladro di orchidee è quindi molto interessante perché consente allo spettatore di capire cosa si nasconde dietro alla realizzazione di un film, come un romanzo può diventare pellicola, come gli sceneggiatori vivono lontani dal “glamour” che circonda attori famosi e registi strapagati, inoltre mostra la crudeltà dell’industria cinematografica, che solitamente premia ciò che è più commerciale o redditizio e pretende che le “galline dalle uova d’oro” rimangano tali nel tempo, senza concepire cali di qualità o ripensamenti. Ed è per questo, penso, che la seconda parte del film, pur mantenendo la sua valenza metacinematografica, vira nel thriller, nel grottesco, nella farsa. Il povero Charlie d’altronde si ritrova a non sapere come concludere la sceneggiatura, ed è lì che subentra il fratello Donald, sicuramente meno cerebrale ed artistico, ma ingenuo e semplice: lui capisce cosa piace al pubblico, capisce cosa serve al fratello, e il film così cambia registro, perdendo ogni valenza reale e aggiungendo degli strani sviluppi (che ovviamente non vi rivelo!!) al lavoro della Orlean. Si può così dire che Donald è la parte nascosta di Kaufman, quella che gli impedisce di allontanarsi completamente dal mondo vero, quello che esiste fuori dalla sua testa; la parte che gli consente di capire cosa conta davvero nella vita e che gli permette di trovare la passione necessaria a concludere serenamente il suo lavoro e guardare avanti, di “adattarsi”, insomma. Ecco quindi spiegata anche la doppia valenza del titolo originale, dove l’adattamento è sì quello dal libro al film, ma anche quello “darwiniano” delle orchidee, che si adattano per sopravvivere, e quello degli esseri umani, costretti ad affrontare l’alienante società moderna, inevitabilmente soli e impegnati a sopravvivere perdendo di vista, spesso, quello che ci può rendere felici.



Ovviamente, ne Il ladro di orchidee riusciamo a godere di dialoghi allo stesso tempo profondi e divertenti, futili e commoventi, dove nulla viene lasciato al caso e dove Kaufman spesso si prende in giro, criticando persino alcune sue scelte, come l’uso della voce fuori campo per mostrare i pensieri del protagonista. Altrettanto palesemente, la regia è molto evocativa, unisce momenti di pura poesia nelle scene dedicate alle orchidee e alle riflessioni della Orlean, per poi diventare frenetica nei momenti in cui Charlie ha le sue crisi o le sue illuminazioni. Gli attori, poi, sono in stato di grazia e i tre principali sono stati tutti nominati all’Oscar per questo film, anche se solo Chris Cooper ha vinto quello come miglior attore non protagonista. Non ho mai messo in dubbio la bravura di Meryl Streep (qui riesce ad essere ironica e toccante allo stesso tempo) o di Chris Cooper (che qui è meravigliosamente streppone e pure sdentato), ma chi mi segue sa che sono arrivata a detestare Nicolas Cage, che qui però è semplicemente perfetto nell’incarnare il bolso, sfigato e complessato Charlie e, contemporaneamente, il boccalone ed ottimista Donald (aiutato, nelle scene di “compresenza”, dal fratello Marc Coppola). Insomma, dubito di essere riuscita a scrivere qualcosa di coerente e/o sensato e/o decente, ma il film mi è piaciuto molto, quindi guardatelo!!



Negli ultimi tempi l’elenco degli attori già citati si è fatto inevitabilmente più lungo, quindi vi rimando ai link su ogni singolo nome per saperne di più su di loro: Nicolas Cage (Charlie Kaufman/Donald Kaufman), Tilda Swinton (Valerie Thomas), Meryl Streep (Susan Orlean), Chris Cooper (John Laroche), Brian Cox (l’odioso insegnante di sceneggiatura Robert McKee, anche lui realmente esistente)

Spike Jonze (vero nome Adam Spiegel) è il regista della pellicola. Americano, ha diretto parecchi video musicali e film molto particolari come Essere John Malkovich (che gli ha fruttato la nomination all’Oscar come miglior regista) e Nel paese delle creature selvagge. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 42 anni.



Cara Seymour interpreta Amelia. Inglese, ha partecipato a film come American Psycho e Gangs of New York. Dovrebbe anche lei avere una quarantina d’anni, ma di sicuro ha due film in uscita.



Maggie Gyllenhaal interpreta Caroline, la ragazza di Donald. Sorella del più famoso Jake Gyllenhaal, la ricordo per film come Donnie Darko, Confessioni di una mente pericolosa, World Trade Center e Il cavaliere oscuro; inoltre, ha prestato la voce per il film Monster House. Americana, ha 34 anni e quattro film in uscita.



Judy Greer (vero nome Judith Laura Evans) interpreta Alice, la cameriera concupita da Charlie. Se vi fosse capitato di vedere l’intrigante Amiche Cattive, riconoscerete l’attrice come la bruttina Fern Mayo del film in questione. Inoltre, ha partecipato a Three Kings, The Village, Cursed – Il maleficio e al carinissimo Elisabethtown, alle serie CSI: Miami, My Name is Earl, Two and a Half Men, E.R., Dr. House, How I Met Your Mother e al doppiaggio di un episodio de I Griffin. Americana, ha 36 anni e tre film in uscita.



Doug Jones, che ricorderete come l’Abe Sapien dei due Hellboy, compare brevemente nei panni di Augustus Margary, l’esploratore che muore nel tentativo di trovare l’Orchidea fantasma. Nel film compaiono inoltre, ovviamente, i protagonisti di Essere John Malkovich, nei panni di loro stessi durante la realizzazione della pellicola (che prima o poi recensirò): John Malkovich, John Cusack, Catherine Keener e persino il regista Spike Jonze. Se Il ladro di orchidee vi fosse piaciuto, guardatevi i già citati film sceneggiati da Kaufman e aggiungeteci anche l’assurdo Burn After Reading dei Coen! ENJOY!

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