venerdì 14 agosto 2020

Primo amore (2004)

Domenica scorsa sono tornata al cinema, per quanto in una sala all'aperto, e l'occasione è stata la proiezione di Primo amore, diretto e co-sceneggiato nel 2004 dal regista Matteo Garrone partendo dal romanzo Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini.


Trama: un orafo in cerca dell'ideale di bellezza impossibile incontra una ragazza e, a poco a poco, la convince a perdere peso fino a mettere a repentaglio la sua salute...


Lo sportello antiviolenza delle Albisole ha organizzato, la settimana scorsa, la proiezione di Primo amore di Garrone, che per inciso non avevo mai visto, per raccogliere fondi e sensibilizzare gli abitanti della zona verso il concetto di violenza. Un concetto, soprattutto di questi tempi, quanto mai ampio e non limitato "semplicemente" a percosse o violenze visibili, bensì subdolo, infingardo, spesso confuso con l'amore che da vita alle cosiddette "relazioni tossiche". Ne abbiamo viste parecchie, ultimamente, negli horror, basti solo pensare all'angosciante Swallow oppure Wounds ma anche The Beach House (anche se lì il fidanzato era semplicemente scemo), di queste relazioni in cui uno dei due elementi della coppia depersonalizza l'altro imponendogli "per amore" il suo punto di vista univoco oppure sminuendone le aspettative e i desideri trattandoli come ostacoli alla felicità della relazione, e sappiamo, purtroppo, che non è facile uscire da queste gabbie dorate per chi ci si ritrova chiuso dentro. I motivi sono molteplici ma hanno una base comune, ovvero la fragilità di chi subisce la violenza e il terrore di perdere una forma di stabilità, di incappare nella solitudine, di venire biasimati a causa di una prospettiva distorta, mentre dall'altra parte c'è l'approfittarsi di questa fragilità invece di aiutare l'altro a superarla e trovare una forma di indipendenza che arricchirebbe il rapporto e lo renderebbe realmente felice, per entrambi. Garrone, con Primo amore, porta su grande schermo un caso di sopraffazione da manuale, angosciante e dalle profonde sfumature horror, con un mostro che è l'incarnazione stessa della sfiga più abietta: Vittorio è infatti quel tipo di uomo che andrebbe preso a calci al primo incontro, al minimo accenno di voler aprire bocca, mollo come la panissa ed insopportabilmente cafone (giuro che al "ah, ti pensavo un po' più magra" pronunciato con quella supponente parlata veneta, volevo uscire dal cinema), tanto che la premessa stessa del film, con la povera Sonia che invece ci rimane anche male nel venir sminuita da un uomo così "meraviglioso", è più surreale e inverosimile dell'incipit di qualsiasi horror.


E infatti Vittorio tanto normale non è, ha la folle idea di trovare la donna perfetta, una "testa" dotata di un corpo da sistemare poi col tempo, che risponda ai suoi assurdi canoni di magrezza. Sonia, almeno all'inizio, accetta anche per se stessa, almeno finché le pretese di Vittorio non diventano sempre più assurde e limitanti, nel momento esatto in cui il giogo della dieta si trasforma in una prigione dentro cui nessuno può entrare, né dottori, né amici, né qualsiasi forma di svago che non sia il rimanere insieme chiusi in casa così che Sonia non rischi di cadere in tentazione oppure uscire assieme per delle cene imbarazzanti. In un'angosciante poetica dello squallore, Garrone segue piccoli sprazzi di questa vita orrenda, di due esistenze che si imbruttiscono ognuna in modo diverso, attraverso episodi significativi e sempre più dolorosi o grotteschi, mentre la cinepresa indugia sul corpo di Sonia, dapprima sinonimo di una perfezione filtrata dagli occhi dell'arte, poi semplice oggetto da modellare andando di sottrazione, indipendente dalla sua stessa volontà, completamente assoggettato ai desideri egoisti di chi non è mai contento; il contrasto tra Sonia, prigioniera della volontà altrui, e il fratello, non solo di corporatura robusta ma anche strano, libero e incurante del giudizio degli altri, è un tocco di genio che fa male quanto la sequenza terribile in cui la ragazza è costretta a provarsi uno striminzito abito nero prima di scoppiare in un pianto disperato, sempre arpionata sulle spalle dal fidanzato rapace, che le incombe addosso come un'ombra velenosa. Primo amore è un film bellissimo e doloroso, che sono davvero felice di aver visto in un contesto così importante e necessario, oggi più che mai; non è una visione facile e alla fine vi ritroverete sicuramente depressi ma se avete la fortuna di avere accanto una persona con cui condividere un reale sentimento d'amore vi riscoprirete ancora più fortunati e felici. Viceversa, spero davvero che un simile film possa aprire gli occhi a chi ha la sfortuna di vivere una relazione malata ed avvilente perché i Vittorio di questo mondo meritano solo calci nei denti, non la possibilità di distruggere esistenze.


Del regista e co-sceneggiatore Matteo Garrone ho già parlato QUI.

Michela Cescon interpreta Sonia. Nata a Treviso, ha partecipato a film come Tulpa - Perdizioni mortali, Loro 1 e a serie quali Braccialetti rossi. Anche regista, ha 49 anni.



6 commenti:

  1. I calci non nei denti però :) Film bellissimo comunque.

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  2. Sembra interessante.
    Potrebbe piacermi.
    Non ho capito se è del 2004 e l’hai visto solo ora al cinema per quella rassegna sulla violenza o è fresco di sala?
    Però di anoressia e altri disturbi alimentari mi sembra se ne parli un po’ meno in questi ultimi anni, non saprei il motivo perché son temi sempre attuali e purtroppo ancora presenti nella nostra società .
    Ciao

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    1. Il film è del 2004 ed è stato proiettato in occasione della rassegna sulla violenza.
      Purtroppo in streaming legale non si trova da nessuna parte...

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  3. Un grande "horror", e un gioiello di analisi psicopatologica!

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    1. Concordo con tutto. E pensare che non lo conoscevo assolutamente!

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