Dopo settimane di assenza, sono tornata al cinema per godermi l'ultimo film diretto e co-sceneggiato da Baz Luhrmann, Elvis.
Trama: Il colonnello Tom Parker, imbonitore di Vaudeville, scopre per caso il giovane Elvis Presley e da quel momento ne condiziona l'esistenza, nel bene e nel male...
La "cultural opera" di Baz Luhrmann è finalmente arrivata in Italia ed era uno di quei film che, nonostante conosca poco l'argomento trattato, non vedevo l'ora di guardare. Poiché ci ha messo le mani il barocco Baz, Elvis non è il solito biopic fatto a mo' di compitino per gli Oscar (anche se qui materiale per eventuali statuette ce ne sarebbe) e, benché segua comunque il tipico canovaccio del genere, riesce a sorprendere almeno chi non conosceva la storia di Elvis Aaron Presley. Innanzitutto, la vita del più famoso e iconico rocker del mondo viene raccontata da una voce narrante non proprio gradevole, ovvero quella del suo discusso e discutibile manager, il Colonnello Tom Parker. Esponente di una generazione antiquata e legata al vaudeville e ai circhi itineranti, il Colonnello Parker non rifiuta di vedere il progresso rappresentato da Elvis, anzi, lo cavalca e ne approfitta prevedendone in qualche modo il brillante futuro, eppure il suo modo di gestire le cose è molto simile a quello del padrone di un circo di freaks. Il giovanissimo Elvis, gallina dalle uova d'oro se mai ce n'è stata una, diventa per Parker la merce preziosa da blandire, curare e proteggere, dandogli un'illusione di libertà che non può esulare da un guinzaglio assai corto e da un controllo pressoché totale. Il circo di Elvis era, ed è rimasto per tutta la sua vita, l'America scossa da tragedie, guerre, movimenti civili, un circo zeppo di cambiamenti continui che, di conseguenza, il Colonnello Parker ha tentato di restringere sempre più, fino a confinare Elvis nella città senza tempo per eccellenza, Las Vegas, dove in effetti il mito di Elvis si è cristallizzato per arrivare intonso fino ai nostri tempi, con immagini e mise facilmente riconoscibili anche dai non appassionati. Se l'artefice principale del successo di Elvis è anche il villain della storia narrata, Luhrmann sta bene attento a non santificare Elvis e ce lo consegna con tutte le sue fragilità ed ingenuità da ragazzo di campagna cresciuto troppo in fretta, da uomo folgorato dall'amore per la musica a prescindere da razza, sesso ed età, al punto da farne la sua unica ragione di vita, ma ne viene sottolineata anche la debolezza di carattere che portava l’artista ad alzare le testa per pochi, importanti istanti, prima di soccombere nuovamente ai consigli fraudolenti (o all’incapacità) di chi più di tutti avrebbe dovuto tutelarlo.
L'aspetto apprezzabile di Elvis è la scelta degli sceneggiatori di non indulgere (come sarebbe stata prassi per un biopic strappalacrime) nella fase di declino dell'artista, cosa che avrebbe rischiato di trasformare il film in un polpettone strappalacrime su un ciccione strafatto, bensì di dare maggior spazio all'aspetto meno universalmente conosciuto del cantante. Prima di diventare l'icona "kitsch" di Las Vegas, Elvis è stato infatti il trait d'union tra la musica nera e il country dei bifolchi bianchi, un elemento di ribelle, pericolosa instabilità in un'epoca di contestazioni civili e pesantissime tensioni razziali. La natura universale della sua musica suscita ammirazione tanto quanto provocano sgomento gli arresti e i tentativi di censura, e commuove la vista di un Elvis pronto a cantare alla Nazione nei momenti più neri di quest'ultima mentre attorno a lui si mobilitano interessi economici pronti a schiacciarlo e zittirlo. Il declino di cui sopra viene compresso nel finale e ridotto a pochi episodi fondamentali che lasciano tuttavia spazio alle immagini reali di una delle ultime esibizioni di Elvis, gonfio e praticamente immobile ma ancora dotato di una voce fenomenale e della capacità di mettere cuore ed anima nell’esibizione, elemento, quest’ultimo, che caratterizza tutti gli splendidi numeri musicali di cui il film è costellato, nonostante Elvis non sia un musical, e che condiziona lo stile con cui è stata confezionata la pellicola.
A fronte di un comparto tecnico fenomenale, soprattutto a livello di costumi e scenografie, che rimane costante dall’inizio alla fine, la regia di Baz Luhrmann e il montaggio si modificano adattandosi alle varie fasi della carriera di Elvis. L’inizio, frenetico e scoppiettante, dove ciò che vediamo è filtrato dapprima dallo stupore e poi dalle macchinazioni del Colonnello Parker, e in buona parte influenzato dalla natura anticonformista degli artisti che hanno contribuito alla formazione del Re del Rock, al punto che molto spesso i giri di macchina e il montaggio seguono il ritmo della musica, lascia a poco a poco spazio ad uno stile più lineare, quasi “banale”, che torna tuttavia a stupire ogni volta che Elvis sceglie di abbracciare nuovamente la sua anima ribelle, la musica, il pubblico, “staccandosi” letteralmente dai prosaici problemi terreni di soldi, contratti e merchandising. Per quanto riguarda la musica, hit del passato si mescolano all'omaggio di artisti presenti, in un continuo alternarsi di stili ed epoche che, giustamente, sottolineano come senza Elvis, B.B. King, Little Richards e gli altri esponenti della loro generazione, non esisterebbe la maggior parte dei generi odierni, rap e trap compresi, e come la musica non abbia epoca né confini, come ci insegna da anni Luhrmann. Assai coinvolgenti anche le interpretazioni non solo di Austin Butler, perfetto nei panni di un Elvis bello, fragile e sensuale, pronto a regalare una performance capace di superare l'imitazione fine a sé stessa nonostante le tipiche mosse del Re siano riproposte in maniera quasi filologica, ma soprattutto quella di Tom Hanks, finalmente distante dal ruolo di vicino buono della porta accanto; il Colonnello Perkins è un abietta macchia di muffa nel salotto, un falso voltagabbana della peggior specie, e al di là del trucco sotto cui è sepolto sono proprio gli occhi e gli atteggiamenti di Hanks a veicolare tutto lo schifo che dovevano provare per Perkins i pochi che ancora avevano occhi per vedere oltre il bagliore del lusso e dei soldi da spremere a Elvis. In definitiva, direi quindi che Elvis mi è piaciuto molto: non siamo ai livelli di Moulin Rouge o Romeo + Juliet, ci mancherebbe, ma di sicuro l'ho apprezzato molto più de Il grande Gatsby, quindi vi consiglio di correre a vederlo!
Del regista e co-sceneggiatore Baz Luhrmann ho già parlato QUI. Tom Hanks (Colonnello Parker), David Wenham (Hank Snow), Olivia DeJonge (Priscilla), Kelvin Harrison Jr. (B.B. King) e Kodi Smit-McPhee (Jimmie Rodgers Snow) li trovare invece ai rispettivi link.
Austin Butler interpreta Elvis Presley. American, ha partecipato a film come Yoga Hosers, I morti non muoiono, C'era una volta... a Hollywood e a serie quali Hannah Montana, CSI: Miami e CSI: NY. Anche, ha 31 anni e un film in uscita, Dune - Part Two.
Mi piacerà di sicuro come Rocketman e Bohemian 😉
RispondiEliminaPer quanto riguarda Bohemian Rhapsody non giocano neppure nello stesso campionato, Elvis gli è superiore a tutti i livelli. Invece, dovessi dire, ho preferito Rocketman anche rispetto all'ultima fatica di Luhrmann.
EliminaNon ho potuto andare Domenica scorsa a vederlo, ma spero di recuperarlo al più presto.
RispondiEliminaMa sì, tanto credo lo terranno ancora due settimane buone!!
EliminaNon so per quale ragione ma sono stracuriosa di vederlo.. non sono una fan di Elvis, conosco vagamente qualche canzone nota e di suo avrò visto mezzo film in croce. ^^
RispondiEliminaQuesta produzione mi ha attirata fin dal primo trailer... spero di recuperarlo.
Io sono come te. Non una gran fan e conosco poco la discografia del Re del Rock e non credo di aver mai visto neppure uno dei suoi film. Eppure, questo film mi ha coinvolta tantissimo!
EliminaQuesta volta non collimiamo. Discreto film, per me, ma trattandosi di Luhrmann un film "solo" discreto equivale a una mezza delusione. L'ho trovato un biopic abbastanza convenzionale, senza particolari virtuosismi, non mi ha affatto travolto ed emozionato come mi sarei aspettato. Ecco, pur con tutti i suoi difetti gli preferisco di gran lunga Il Grande Gatsby (ma lì, certo, si partiva come base da un romanzo straordinario). E' vero, ha il merito di non edulcorare il finale (anche se Butler non ingrassa di un etto in tutto il film, mentre le immagini di repertorio sono impietose sul girovita dell'ultimo Elvis) però in questo modo nemmeno rende omaggio al Mito. In questo, sempre a mio modestissimo parere (pur essendo in netta minoranza, mi rendo conto) trovo molto più riuscito Bohemian Rhapsody: il film su Mercury se ne frega volutamente della verità storica (che comunque nemmeno Luhrmann racconta appieno) costruendo un'agiografia ad uso e consumo dei milioni di fan dei Queen. Si cantano le canzoni, ci si diverte, ci si commuove. Qui no.
RispondiEliminaIo Gatsby lo avevo trovato eccessivamente barocco e di una pesantezza devastante, con tutto che il romanzo lo avevo trovato splendido. Questo è più "arioso", mi si passi il termine, e riesce a trasmettere tutta la grandezza e la fragilità del personaggio Elvis senza limitarsi (come mi è parso facesse Bohemian Rhapsody, che pur non mi era dispiaciuto all'epoca) alla sagra dell'imitazione e del singalong. Non finirà tra i miei film preferiti di Luhrmann ma per me è comunque grande cinema.
EliminaFinalmente riesco a commentare e dico che sottoscrivo in pieno la tua rece.
RispondiEliminaEvviva, allora sono riuscita davvero a risolvere il problema! Non credevo XD
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