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mercoledì 16 ottobre 2024

Bolle di Recensioni su Netflix: Grave Torture (2024) - Il buco: Capitolo 2 (2024)

Oggi raggrupperò un paio di film sui quali non ero sicura di riuscire a scrivere post di lunghezza standard, ma mi scuso per il titolo impreciso e fuorviante. E' vero, infatti, che Grave Torture si trova su Netflix, ma non nel catalogo italiano. Se vorrete guardarlo, dunque, dovrete cercare un po' oppure aspettare che sia disponibile anche in qui da noi. ENJOY!

Grave Torture - Joko Anwar (2024)

Joko Anwar è un autore indonesiano che mi piace molto in primis per la sua spietatezza e poi per il modo di rendere fruibile anche a un pubblico occidentale miti, leggende e topoi distanti dai nostri. Grave Torture, in particolare, ha un'idea di fondo spettacolare. Nella Sunna islamica si menziona la "punizione della tomba", ovvero un periodo, tra la morte e la resurrezione, in cui il defunto viene interrogato sulla propria fede da due angeli, i quali lo puniscono in maniera raccapricciante nel caso di peccati, negligenze, mancanze e quant'altro (vi ho fatto il riassunto del riassunto di Wikipedia, mi perdonino i credenti e, nel caso, mi correggano); la protagonista del film, Sita, decide di dimostrare che questa "punizione" è una vaccata, e lo fa per esorcizzare orribili eventi che ne hanno segnato l'infanzia. Il concetto base della trama e l'introduzione a orologeria, durante la quale mi si è quasi slogata la mascella, sono due elementi che rendono Grave Torture meritevole di una visione, uniti al fatto che Anwar è un regista consumato, dotato di una padronanza della cinepresa invidiabile. Quello che però mi ha spinta a dedicare al film poco più di un paragrafo è che, per quanto mi riguarda, Grave Torture manca di ritmo e diventa una noia mortale (mi sono addormentata più volte. E' inconcepibile, davanti a un film di Anwar) nell'istante successivo l'inizio dell'esperimento di Sita, forse perché il regista mette troppa carne al fuoco e si adagia su cliché da ghost story non particolarmente entusiasmanti. L'opera si risolleva sul finale, a tratti terrificante, ma ho avuto la sgradevole impressione che Netflix ci abbia messo lo zampino per appiattire il tutto, inoltre non ho apprezzato granché gli effetti speciali troppo computerizzati. Forse forse mi sbaglio, forse ho preso un abbaglio. Nel caso, Lucia ne ha parlato in termini molto più entusiasti e competenti, quindi, prima di decidere di scartare Grave Torture, andate a leggere anche il suo post.

 


Il buco: Capitolo 2 - Galder Gaztelu-Urrutia (2024)

Altro post in breve, perché ammetto di non aver capito una benemerita mazza del finale, quindi avrei delle difficoltà ad elucubrare in merito. Ne stanno dicendo tutti peste e corna de Il buco 2, invece a me e Mirco è piaciuto molto, e non solo per quella stronzissima vocetta familiare che ovviamente ci ha fatto fare la ola sul divano, ma anche per la scelta di mantenere lo stesso setting cambiando un po' le regole. Se nel primo film gli abitanti del "buco" sceglievano o meno di autoregolarsi, in base a un egoismo/menefreghismo più o meno congenito, qui alcuni prigionieri vivono cercando di imporre una legge che prevede la possibilità di mangiare, ogni giorno, solo il piatto prescelto, salvo eventuali scambi concordati. Così facendo, teoricamente, ci sarebbe cibo per tutti, ma la trama de Il buco 2 si sviluppa proprio per permettere allo spettatore di riflettere sull'imposizione talebana (letteralmente) delle regole, sulla libertà, sulla sottilissima linea di confine che impedisce, o consente, al bene di diventare male e viceversa. Come nel primo film, ci sono dei difetti, e mi è parso, soprattutto, che stavolta Galder Gaztelu-Urrutia abbia scelto di mettere un po' troppa ciccia sul piatto (ha-ha) complicando inutilmente la trama e perdendo spesso il filo del discorso, ma un paio di personaggi bucano lo schermo e l'elemento splatter si è alzato di un paio di tacche. L'impressione che ho avuto è che gli autori vogliano tirarla per le lunghe, senza dare spiegazioni (anzi, creando ancora più confusione), nella speranza che venga richiesto a gran voce un terzo capitolo, ma il rischio è quello di giocare col fuoco e con la pazienza dell'utente finale, anche perché di "caracol" ce n'è solo uno. Se non vi è piaciuto Il buco, o lo avete apprezzato poco, il mio consiglio è di stare alla larga da questo Capitolo 2, viceversa guardatelo senza pregiudizi, magari vi divertirete com'è successo a me!



martedì 30 giugno 2020

Far East Film Festival: Impetigore (2019)

Come ho scritto su Facebook (piacciate la pagina, per favore) mi sono imbarcata nell'impresa di abbonarmi all'edizione on line del Far East Film Festival. Perché impresa, direte voi? Beh, perché non ho praticamente tempo per vedere film, tra lavoro e menate di palle casalinghe, quindi se riuscirò a guardarne due in una settimana sarà già molto. Per la cronaca, ho cominciato con gli horror, mio genere preferito, e il primo è stato Impetigore (Perempuan Tanah Jahanam), diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Joko Anwar.


Trama: dopo essere sopravvissuta all'attacco di un uomo, la giovane Maya scopre che nel suo passato si celano dei segreti e decide di andare nel villaggio sperduto dove hanno abitato i suoi genitori per indagare...


Domenica ho miracolosamente guardato due horror di fila. Uno era Soul, di cui parlerò prossimamente, l'altro era questo Impetigore, molto apprezzato a una prima visione ma uscito sconfitto dal confronto impari col suo collega, assai più raffinato. Detto ciò, anche Impetigore è molto interessante, benché d'impianto più "classico"; la sceneggiatura, infatti, è interamente imperniata sul passato, orribile e segreto, di una ragazza in apparenza normale che, a un certo punto, si ritrova vittima delle mire omicide di un uomo in una sequenza di apertura tra le più concitate viste di recente. Dopo l'attacco, Maya scopre che qualcosa non va, non solo in un presente in cui lei e la migliore amica si arrabattano per sopravvivere, ma anche nel passato, al quale Maya si avvicina non solo per curiosità ma anche attirata dalla possibilità di avere in eredità un'enorme villa in stile occidentale, possibile panacea di tutti i suoi problemi economici. L'azione si sposta dunque dalle caotiche città della Malesia a uno sparuto villaggio fatto di sentieri battuti nelle foreste e piccole casette che paiono stare in piedi con lo sputo, un villaggio che farebbe invidia alla sfigatissima cittadina di Dead Silence, dove una misteriosa maledizione ha messo in ginocchio gli abitanti e un abile burattinaio spadroneggia indisturbato assieme alla madre. Ovviamente, Maya e l'amica si ritroveranno invischiate in un'inquietante atmosfera fatta di diffidenza, odio e superstizione, là dove gli spiriti irrequieti dei morti popolano case e foreste, cicciando fuori quando uno meno se lo aspetta; se non altro, Anwar è onesto e gioca più di suggestioni che di jump scare, senza lesinare sequenze più gore e altre immagini di rara crudeltà, soprattutto nel momento in cui la trama comincia a svelare la natura della maledizione calata sul villaggio.


Nonostante il film venga dalla lontana Malesia, ad accomunare Impetigore agli horror occidentali c'è l'idea del villaggio isolato dal quale è impossibile uscire, con gli abitanti tanto gentili e tanto onesti in apparenza ma pronti a tirare fuori coltellacci affilati; la sequenza finale, che vede la protagonista correre strillante nei boschi per poi saltare su una provvidenziale camionetta, richiama alla mente quella di Non aprite quella porta mentre altre scene si portano sulle spalle lontani echi di Hostel e simili, benché le attrici siano molto meno cagne (anzi, in un paio di occasioni mi hanno messo il magone, anche perché Anwar si impegna a renderci subito simpatiche sia Maya che Dini, caratterizzandole con tratti molto umani). Accanto a questi elementi più "universali" ve ne sono però altri più particolari, che rendono Impetigore molto affascinante. Al di là della raffinatezza efferata degli spettacoli dei burattini (in realtà silhouette di carta che proiettano ombre su uno schermo) c'è anche da considerare l'aspetto sociale rappresentato, che non fa molto onore alla Malesia. Le due ragazze vengono a trovarsi in un contesto di isolamento e arretratezza, in un villaggio in cui il valore della donna è essenzialmente legato alla sua capacità o meno di procreare e dove si fa presto ad abbandonare i deboli e gli svantaggiati, ma la situazione in città non è migliore, basti vedere quante volte si faccia riferimento alla violenza sessuale nel film, a come sia Maya che, soprattutto, Dini, siano consapevoli di essere un anello debole e poco tutelato (sentire una terrorizzata Dini dire "non sono vergine quindi non mi opporrò, ma non fatemi male" mi ha agghiacciata), costantemente prese di mira da uomini che le vedono essenzialmente come oggetto sessuale. Onestamente, nonostante l'indiscutibile potenza di una vecchia malvagia, questa concezione di donna mi ha fatto più orrore dell'intero film, che comunque consiglio in quanto validissimo esponente del genere, se vi piacciono le intricate storie di fantasmi condite da un po' di gore.


Del regista Joko Anwar ho già parlato QUI.

Tara Basro (Maya) e Marissa Anita (Dini) sono anche nel cast del secondo film di Joko Anwar presente al festival, il supereroico Gundala, che chissà se riuscirò a guardare. Detto ciò, se Impetigore vi fosse piaciuto consiglio la visione di Satan's Slaves, altro horror dello stesso regista. ENJOY! 




domenica 27 gennaio 2019

Satan's Slaves (2017)

A fine anno spuntano classifiche horror come se piovessero e, in particolare, ha attirato la mia attenzione quella stilata da DreadCentral relativamente a Shudder, canale streaming americano che tratta solo pellicole di genere. Tra i film più graditi sulla piattaforma nel 2018 c'era questo Satan's Slaves (Pengabdi Setan), diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Joko Anwar.


Trama: dopo la morte della madre malata, una famiglia si ritrova a dover fare i conti con un misterioso, terrificante passato...



Satan's Slaves è il remake di un famosissimo film indonesiano del 1982, Satan's Slave, ed essendo ambientato nel 1981 ne è anche il prequel. Ho scoperto questo aneddoto incuriosita dal fatto che il finale di Satan's Slaves sottolineasse la presenza sullo schermo di una persona mai vista per tutta la sua durata, quindi ho dedotto che costei dovesse essere in qualche modo importante; lo stesso, il film sarà anche ambientato nel 1982 come il 90% degli horror occidentali che cavalcano questa maledetta moda ma, poiché trattasi di film indonesiano, non è permeato da quell'aria vintage zeppa di strizzate d'occhio che spesso sacrificano la trama e l'approfondimento dei personaggi allo stile dei tanto amati eighties. Satan's Slaves si prende anzi il tempo di approfondire un minimo i legami tra i membri della famiglia protagonista, composta da padre, madre, nonna e quattro figli di diverse età, tra cui uno, il più piccino, sordomuto. E' una famiglia problematica, condannata alla povertà da una malattia che ha costretto la madre, ex cantante famosa, a rimanere immobile a letto, in stato semi-catatonico, eppure i membri "sani" sono molto uniti e non esitano a fare molti sacrifici per il bene degli altri, senza recriminazioni di sorta. Per questo, nel corso del film si arriva a voler bene ai ragazzi protagonisti, ben diversi dai mocciosi viziati e scassapalle dell'horror occidentale, tanto che quando la tragedia colpisce ci si ritrova a dispiacersi e a preoccuparsi, a sperare che la giovane Rini trovi il bandolo della matassa e impedisca ad un destino che pare ineluttabile di distruggerle la famigliola. Altro aspetto molto interessante di Satan's Slave è la possibilità di vedere un horror "satanista" non cattolico, bensì islamico. Un islam, fortunatamente, molto più liberale e rilassato di quello praticato in medio oriente, tanto che la famiglia protagonista può candidamente confessare di non pregare senza che i membri vengano lapidati, mentre Rini non è costretta ad andare in giro con l'hijab; anzi, dalla trama di Satan's Slaves si evince l'importanza delle donne all'interno della società indonesiana, la loro forza, la capacità di tenere unito un nucleo familiare o di distruggerlo con scelte scellerate. E si possono testimoniare anche i metodi di sepoltura dell'epoca, cosa che personalmente ho trovato interessante, al di là di una trama forse un po' scontata.


Satan's Slaves è infatti il tipico horror a base di case infestate e presenze demoniache, quindi c'è da aspettarsi qualche jump scare (non troppi, per fortuna), figure che strisciano nell'ombra, bambini che si comportano in maniera strana e risultano molto più inquietanti dei non morti che arrivano a perseguitarli; il make-up dei non morti e molte delle loro espressioni facciali, di fatto, dimostrano che il j-horror in Indonesia non è mai stato dimenticato e che il capello lunghissimo e nero, oltre agli occhioni e la bocca spalancati, tirano ancora moltissimo. Così come va ancora molto di moda, forse perché il film è ambientato negli anni '80, fare riferimento alla regia di Sam Raimi e del suo La casa, cosa che porta Joko Anwar a sperimentare punti di vista sghembi, probabilmente gli stessi delle presenze che perseguitano la famigliola di Rini, carrellate rapidissime nei momenti più concitati e quant'altro, rendendo così Satan's Slaves più dinamico e vivace di altri horror a tema ma senza esagerare, ché l'impostazione dell'insieme è prevalentemente classica. Per lo stesso motivo, Satan's Slaves non spaventa come altri film simili visti di recente, come Aterrados o Veronica, molto più subdoli nel giocare con i nervi dello spettatore, ma sicuramente lasciano a quest'ultimo un senso di angoscia maggiore, perché Joko Anwar pare più concentrato sulla progressiva disgregazione del nucleo familiare (preparatevi, il finale è molto triste. Non a livelli DelToriani ma comunque lo è) e sull'impotenza della religione piuttosto che sulle suggestioni horror. Detto questo, Satan's Slaves non è comunque un film malvagio, anzi, e consiglierei di tentare una visione soprattutto a chi ama sperimentare diverse nazionalità cinematografiche.

Joko Anwar è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Indonesiano, ha diretto film come The Forbidden Door, Ritual e A Copy of My Mind. Anche attore e produttore, ha 43 anni e un film in uscita.


Come ho scritto sopra, Satan's Slaves è il remake/prequel di Satan's Slave, che dicono essere molto bello. Se riuscite, recuperatelo, io farò altrettanto. ENJOY!



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