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lunedì 17 dicembre 2012

Bolla's Top 5 - Oh che gelida manina!

Finalmente è arrivato il tanto sospirato freddo!! Per riscaldarci un po', visto che negli USA non sono usciti film degni di nota a parte Lo Hobbit (e anche perché questa rubrica è stata praticamente abbandonata a se stessa da un anno a questa parte) ecco la mia personalissima Top 5 delle morti al freddo, che coniuga due dei colori più poetici e filmabili che esistano al mondo: il bianco della neve e il rosso del sangue, che poi sono anche i colori dell'amabile ciccione con la barba bianca. OH-OH-OOOH! quindi e.... ENJOY!!

Ah, il post contiene ovvi SPOILER, uomo avvisato....


5. Lasciami entrare (Låt den rätte komma in, 2008)
La delicata storia d'amore tra il giovane Oskar e la vampiretta Eli, un racconto di amore e morte così disperato e struggente che Stephanie Meyers e il suo Twilight dovrebbero andarsi a nascondere in fondo a un crepaccio. Le fredde, ovattate strade innevate di un paesino della Svezia sono una componente imprescindibile del film, così come i piedi nudi di Eli che affondano nella neve e il bianco che, d'improvviso, si tinge del rosso del dolore, del sangue e della morte. Da recuperare anche il remake americano, Blood Story, con una splendida Chloe Moretz.


4. L'insaziabile (Ravenous, 1999)
Una particolarissima perla horror graziata dalle musiche di Damon Albarn e Michael Nyman, dove la neve si tinge del sangue dei soldati in guerra e dei superstiti vittime dell'affascinante, spietato e terribile cannibale interpretato da Robert Carlyle. Un gioiello di humor nero e horror, da recuperare assolutamente.


3. Fargo (Fargo, 1996)
La banalità del male, immersa in una delle cittadine più provinciali d'America, dove tutti si conoscono e tutti sono amici. Una grottesca commedia nera che, nel giro di mezz'ora, vira in una delle macellate più folli mai viste in campo non horror, con i fratelli Coen che usano il sangue come vernice e il bianco immaccolato delle nevi di Fargo come una tavolozza. Grandissimi interpreti, a partire da un'incinta Frances McDormand per finire con l'imbambolato e sfigatissimo William H. Macy. Un altro, imperdibile capolavoro.


2. La cosa (The Thing, 1982)
L'apoteosi della paranoia da isolamento, l'impossibilità di fuggire da un alieno mutaforma e di cercare aiuti esterni in quello che, letteralmente, è un inferno bianco. John Carpenter firma uno dei suoi capolavori, remake di un vecchio film di fantascienza anni '50, infilando i protagonisti in una delle situazioni più brutte mai concepite da mente umana. Un classico imprescindibile.


1. Shining (The Shining, 1980)
Cosa c'è di peggio che rimanere bloccati in un hotel con un padre e marito completamente folle, a rischio di beccarsi anche qualche fantasma poco amichevole? Eh beh, rimanere bloccati d'inverno, con la neve che arriva a toccare quasi le finestre, i gatti delle nevi manomessi, un freddo incredibile che gela fin dentro le ossa e la bufera che impedisce le comunicazioni esterne. Il capolavoro di Stanley Kubrick, da un romanzo del re King, tutto l'orrore di un inseguimento in un labirinto di neve e ghiaccio e uno dei finali più ansiogeni della storia del cinema.


Come fuori classifica, anche perché non era propriamente inverno, vorrei anche ricordare il meraviglioso duello tra La Sposa e O-Ren Ishii sul finale di Kill Bill Vol. 1, una sanguinosa, elegantissima e cruenta battaglia a filo di spada sulle note della fighissima Don't Let Me Be Misunderstood. Un cult imprescindibile!!

martedì 6 dicembre 2011

La cosa (1982)

Siccome non lo vedevo da più di dieci anni e siccome sta per uscire nelle sale italiane il remake, ho deciso di riguardare in questi giorni La cosa (The Thing), diretto da John Carpenter nel 1982 e già remake de La cosa da un altro mondo del 1951.


Trama: all’interno di una base antartica un gruppo di uomini deve tenere a bada “la cosa”, un alieno in grado di assumere le sembianze di qualsiasi essere vivente, dopo averlo ucciso e assimilato.


Come ho detto, La cosa l’ho visto almeno una decina di anni fa, se non di più. Lo ricordavo noioso e di una lentezza rara, decisamente bruttarello, il che mi lasciava perplessa a ripensarci, visto che Carpenter è il mio regista horror preferito. Adesso mi chiedo cosa cavolo ho guardato all’epoca, perché La cosa di noioso e lento non ha proprio nulla, anzi! Erano anni che non mi capitava di venire catturata così da un horror e di provare una tensione palpabile, la curiosità di sapere “come va a finire” e “chi è il mostro”. Probabilmente allora ero stata confusa dalla fotografia un po’ buia, dagli ambienti tutti uguali e dall’abbondanza di personaggi appena abbozzati, cose che adesso con un po’ più di maturità apprezzo e trovo funzionali.


Il bello de La cosa, infatti, è questa lenta ma costante costruzione della tensione, di un senso crescente di paranoia, di claustrofobia. Immaginatevi di essere isolati dal mondo, in un inferno di ghiaccio, per mesi e mesi con le stesse persone… immaginatevi ora di venire minacciati da un alieno in grado di assumere le sembianze di chi vi sta vicino, senza possibilità di distinguerlo da un normale essere umano e sicuramente pronto a farvi la pelle appena avrete abbassato la guardia. L’idea di perdere il controllo di ciò che ci circonda, della nostra percezione della realtà, l’incapacità di distinguere l’amico dal nemico, l’isolamento fanno nascere sicuramente una paranoia che tende ad essere autodistruttiva, e Carpenter gioca molto su questo, riuscendo a riversare sullo spettatore le stesse sensazioni provate dai protagonisti de La cosa con un semplice espediente: mostrare il minimo indispensabile. Il regista ci preclude l’onniscienza, nessuno di noi sa chi, fra i personaggi del film, sia diventato la cosa (pare che non lo sapesse nemmeno lui!). Certo, ci aspettiamo che MacReady non lo sia ed arriviamo a prendere per vero quello che crede lui, ma ad un certo punto non siamo più sicuri neppure di quello, perché il personaggio è tutt’altro che infallibile e può essere facilmente ingannato. Alcune sequenze sono emblematiche di questo “gioco” del regista: l’inizio in primis, dove un cane viene inseguito e braccato senza un motivo apparente, lo stesso cane che si introduce in una stanza dove siede uno dei protagonisti, di cui vediamo solamente l’ombra (quindi chi è quello che, molto probabilmente, è stato infettato?), il finale dove i sopravvissuti si confrontano in un clima di diffidenza a dir poco palpabile.


Centellinare le apparizioni dell’alieno è quindi una diretta conseguenza della scelta di mostrare il minimo indispensabile. Per carità, gli effetti speciali del mitico Rob Bottin sono devastanti, ottimi, rendono proprio il senso dell’aberrazione incarnata da questo essere, della sua natura pericolosa ed ingannevole, e allo spettatore non vengono risparmiate le scene gore (peraltro una la ricordavo molto bene e lo strazio è stato proprio nell’attesa, nel non rammentare quando avrei dovuto chiudere gli occhi!) … ma il vero terrore nasce dalla consapevolezza che la cosa si trova tra i protagonisti e che è impossibile da individuare. Non a caso, la sequenza che più mi ha messo ansia è quella in cui MacReady riunisce tutti i compagni in una sola stanza e prova a smascherare l’alieno osservando le reazioni che il loro sangue presenta vicino ad una fonte di calore, ma sinceramente ad un certo punto mi bastava anche solo che il regista facesse dei primi piani per puntare il dito e dire “o Cristo!! E’ la Cosa!! E’ lui!! Si sta grattando il naso in modo ambiguo!” e questo per darvi anche un’idea di quanto siano bravi tutti gli attori coinvolti… e di quanto sia importante il bellissimo, minaccioso score di Ennio Morricone. Quanto al finale… eeh, il finale. Mah. Sinceramente, non so come prenderlo ma, personalmente, non l’ho vissuto come un happy ending, anzi. Contagiata dalla paranoia? Forse, ma conoscendo Carpenter le risoluzioni felici non esistono. E neppure i film davvero brutti, perdonami se ho dubitato, John!


Del regista John Carpenter ho già parlato qui (tra l’altro compare anche come attore, nei panni di uno dei norvegesi mostrati in uno dei filmati d’archivio), mentre qua trovate il solito trafiletto sul bellissimo Kurt Russell (MacReady) e qui quello su Keith David (Childs).

Wilford Brimley (vero nome Anthony Wilford Brimley) interpreta il Dr. Blair. Americano, lo ricordo per film come Il Grinta, Hotel New Hampshire, il meraviglioso Cocoon, l’energia dell’universo, Cocoon, il ritorno, Il socio e In & Out, inoltre ha partecipato a serie come Walker Texas Ranger. Anche stuntman, ha 77 anni.


Richard Masur interpreta Clark. Americano, lo ricordo innanzitutto per avere interpretato il “breve ma intenso” Stan Uris dell’It televisivo e per altri film come lo straziante Papà ho trovato un amico, L’uomo senza volto, Il mio primo bacio e Mi sdoppio in quattro; ha inoltre partecipato a serie come MASH, Happy Days e Blossom. Anche regista e sceneggiatore, ha 63 anni.


Donald Moffat interpreta Garry. Inglese, ha partecipato a film come Popeye – Braccio di ferro, Il falò delle vanità e A proposito di Henry, oltre a serie come La casa nella prateria, Dallas, La signora in giallo, Ai confini della realtà, Colombo. Ha 81 anni.


Nel cast doveva anche esserci il meraviglioso Donald Pleasence, già collaboratore di Carpenter nel bellissimo Il signore del male, ma l’attore ha dovuto rinunciare per impegni pregressi, mentre gente del calibro di Jeff Bridges e Nick Nolte hanno rifiutato il ruolo di MacReady. Passando invece all’ambiguo finale, pare ne esistano almeno due alternativi: uno in cui MacReady viene sottoposto a delle analisi del sangue, girato nel caso in cui il pubblico avesse mostrato reazioni negative verso quello “vero”, e un altro in cui un cane lascia la base, correndo tra i ghiacci. Finali a parte, dopo averne letto peste e corna comunico ufficialmente che il remake se ne starà dov’è e che, al massimo, lo recupererò in altro modo! ENJOY!

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