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mercoledì 15 aprile 2015

Racconti dalla tomba (1972)

Il cammino all'interno della danza macabra Kinghiana prende oggi una svolta imprevista grazie a Lucia che, a fronte della mia quasi totale ignoranza davanti alle opere prodotte dalla Amicus, mi ha consigliato di recuperare Racconti dalla tomba (Tales from the Crypt), diretto nel 1972 dal regista Freddie Francis e tratto dalle serie a fumetti Tales from the Crypt e The Vault of Horror.


Trama: durante una visita alle catacombe cinque turisti si perdono e vengono avvicinati da uno strano individuo che comincia a raccontare loro delle macabre storie...


Sto seriamente cominciando a sviluppare una passione per queste antologie della Amicus, zeppe di humour nero e caratterizzate da quell'adorabile aria vintage che per me è sempre un valore aggiunto all'effettiva bellezza delle storie e della messa in scena. Questa volta le vicende che compongono Racconti dalla tomba hanno come fil rouge "la colpa": i protagonisti sono infatti uno peggio dell'altro e tutti loro hanno qualche peccato da confessare, perlopiù legato all'incredibile avidità che li muove, cosa che li porta a venire puniti nei peggiori modi possibili. Ma andiamo più nel dettaglio. ... And All Through the House è il primo episodio ed è sicuramente il modo migliore di cominciare un film simile col botto, inoltre rimane il mio preferito tra i cinque. Si parla di un omicidio ma, soprattutto, di un folle appena scappato dal manicomio che comincia a perseguitare l'assassino; sarà la faccia del matto, sarà il modo in cui Freddie Francis riprende con insistenza le porte e le finestre della casa in cui è costretta a barricarsi la protagonista, sarà che quelle enormi ville a due piani tipicamente americane mi sono sempre sembrate i luoghi più pericolosi della Terra, sta di fatto che l'episodio mette un'ansia spaventosa anche dopo più di 40 anni. L'antologia horror continua con Reflection of Death, forse il segmento che mi è piaciuto meno nonostante un che di visionario che lo rende particolarmente moderno e l'utilizzo delle riprese in soggettiva per rendere più efficace il colpo di scena finale (a mio avviso il problema risiede interamente nell'utilizzo di attori poco carismatici, però è divertente il modo in cui il regista impegna lo spettatore sfidandolo a cogliere alcuni "dettagli" all'apparenza insignificanti che rivelano in parte l'epilogo della vicenda).


La qualità del film, leggermente in calo col secondo episodio, risale sfiorando il sublime con il commovente Poetic Justice, dove un vecchino meravigliosamente interpretato da Peter Cushing viene vessato da due avidi ricconi in cerca di proprietà da acquistare e rivendere; lo spettatore prende a cuore il tenero signor Grimsdyke e non può fare altro che seguire con apprensione i mezzucci sempre più spietati con i quali i suoi vicini di casa cercano di sbarazzarsene, per poi applaudire davanti alla giustizia veramente poetica messa in atto sul finale, più o meno sanguinoso a seconda della versione che vi capiterà sotto mano. Wish You Were Here è un altro episodio assai ben riuscito e sicuramente farà venire un brivido di nostalgia a tutti gli amanti della Tree House of Horror dei Simpson, che una volta ha omaggiato sia questo segmento sia il racconto breve La zampa di scimmia di W.W. Jacobs da cui è stato tratto; delle cinque, Wish You Were Here è probabilmente la storia più beffarda e anche la più gore visto che la scena finale ha fatto parecchia impressione persino a me. Comunque, la palma per la scena "intollerabile" va a Blind Alleys, episodio particolarmente bastardo perché imperniato sulla vendetta di un gruppo di pazienti ciechi ai danni del malvagio nuovo direttore del ricovero. Gli sceneggiatori e il regista calcano parecchio la mano sul difetto fisico dei poveri degenti, facendo il lavaggio del cervello allo spettatore che, trovandosi davanti l'inquietante e poco simpatico Patrick Magee nei panni del cieco capo, arriva ad aspettarsi per il direttore un contrappasso adeguato; vederlo quindi avanzare al buio in un corridoio zeppo di lamette, tutte posizionate ad altezza occhio, mi ha fatto chiudere i miei parecchie volte, ve l'assicuro. Per questo e per l'ironica arguzia della cornice che racchiude tutti questi macabri spaccati di vita (non) vissuta, dichiaro Racconti della tomba istant-cult immancabile per ogni appassionato horror e sentitamente ringrazio Lucia che, come sempre, ne sa una più del Diavolo!


Di Ralph Richardson (Il guardiano della cripta), Peter Cushing (Arthur Edward Grimsdyke) e Patrick Magee (George Carter) ho già parlato ai rispettivi link.

Freddie Francis (vero nome Frederick William Francis) è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come L'uomo che vinse la morte, La rivolta di Frankenstein, Le cinque chiavi del terrore, La bambola di cera, Il giardino delle torture, Le amanti di Dracula ed episodi di serie come Racconti di mezzanotte. Anche direttore della fotografia (ha vinto due Oscar, uno per il film Figli e amanti e l'altro per Glory - Uomini di gloria) e sceneggiatore, è morto nel 2007, all'età di 89 anni.


Joan Collins interpreta Joanne Clayton. Inglese, la ricordo per film come I Flinstones in Viva Rock Vegas e per serie come Star trek, Batman, Missione impossibile, Starsky & Hutch, Fantasilandia, Love Boat, Dynasty, Pappa e ciccia, La tata e Will & Grace. Anche produttrice, ha 82 anni e due film in uscita.


Ian Hendry interpreta Carl Maitland. Inglese, ha partecipato a film come Repulsion, Carter, Oscar insanguinato, Professione: Reporter, La maledizione di Damien e a serie come Agente speciale. E' morto nel 1984 all'età di 53 anni.


Peter Cushing avrebbe dovuto interpretare Ralph Jason (il protagonista del quarto episodio) ma leggendo lo script ha chiesto di poter avere la parte di Arthur Edward Grimsdyke. Stephen King e George Romero avevano pensato di girare assieme un remake di Racconti dalla tomba, alla fine è uscita fuori una cosa simile ma completamente diversa, Creepshow. Robert Zemeckis invece, come mi ha insegnato la buona Lucia, si è talmente tanto impallato con Racconti della tomba da avere diretto il primo episodio di Racconti di mezzanotte, tratto proprio dal primo segmento del film. Se Racconti dalla tomba vi fosse piaciuto potreste recuperarlo assieme ad altri portmanteau della Amicus come Le cinque chiavi del terrore, La bambola di cera, Il giardino delle torture, La casa che grondava sangue, La morte dietro il cancello, The Vault of Horror, La bottega che vendeva la morte, Il club dei mostri oppure pellicole più recenti come Creepshow, Il cavaliere del male, I delitti del gatto nero o Ai confini della realtà. ENJOY!

venerdì 27 marzo 2015

La morte dietro il cancello (1972)

Ispirata da quest'articolo di Lucia, dove si nominava il mai dimenticato saggio di Stephen King Danse Macabre, ho deciso di prendere l'elenco dei film che hanno ispirato il Re e cominciare a guardare, ovviamente con la mia solita lentezza, quelli che non avevo mai avuto modo di vedere. La prima pellicola è stata La morte dietro il cancello (Asylum), diretto nel 1972 dal regista Roy Ward Baker.


Trama: Un giovane psichiatra si reca in un manicomio e, per riuscire ad ottenere un lavoro, viene sfidato dal nuovo direttore ad interrogare i degenti e scoprire l'identità del dottor Starr, afflitto da doppia personalità e perciò rinchiuso assieme ad altri pazienti.


Nonostante mi ritenga una discreta appassionata di horror, spesso mi rendo conto che ci sono ancora parecchie cose che devo scoprire. Per esempio, non conoscevo l'esistenza della britannica casa di produzione Amicus, che tra gli anni '60 e i '70 ha prodotto una decina di cosiddetti portmanteau horror, ovvero dei film composti da vari episodi uniti da una trama "esterna", un po' come i Creepshow di cui ho già avuto modo di parlare. La morte dietro il cancello è un perfetto esempio della struttura di queste pellicole: il pretesto narrativo per raccontare quattro diverse storie è la sfida posta dal Dr. Rutherford al Dr. Martin, il quale deve farsi raccontare le storie di quattro diversi degenti del manicomio e scoprire chi di loro è il fantomatico Dr. Starr, ex direttore della casa di cura. Come spesso accade con queste antologie, la qualità dei diversi episodi cambia notevolmente e La morte dietro il cancello è particolarmente altalenante nel ritmo e poco omogenea nella distribuzione della suspance. Il film infatti comincia con il divertissment Frozen Fear, un "tipico" caso di omicidio coniugale ravvivato da alcuni dettagli weird come la presenza di arti insacchettati e di un braccialetto voodoo in grado di riportare sulla terra gli spiriti; l'episodio ha il sapore di un ironico amuse-bouche che stuzzica lo spettatore preparandolo per piatti più forti e vi assicuro che, nonostante la messa in scena ingenua, non manca di provocare qualche brivido. Purtroppo La morte dietro il cancello prosegue inaspettatamente con due episodi debolucci e, soprattutto per quel che riguarda Lucy Came to Stay, noiosetti e prevedibili, ravvivati giusto dalla presenza del sempre elegante Peter Cushing e dalla sensualissima Britt Ekland: in The Weird Tailor il tema è la magia (e a dire il vero un elemento inquietante c'è) mentre Lucy Came to Stay è un piccolo thriller psicologico che mette i brividi solo grazie alla risata finale di una giovane Charlotte Rampling.


Più nelle mie corde è invece il segmento Mannikins of Horror che, come avrete forse intuito, parla di burattini ed è l'unico che prosegue all'interno della storia di raccordo. L'episodio in questione è particolarmente pauroso non solo per l'argomento trattato ma soprattutto per il paio di imprevedibili twist che spiccano all'interno della pur breve sceneggiatura e poi è graziato, oltre che dalla valida interpretazione di Herbert Lom, da pochi effetti speciali sicuramente notevoli sia per l'epoca che per il budget con cui è stato realizzato La morte dietro il cancello, che si conclude col botto lasciando intuire le peggio cose allo spettatore (che poi è il modo di fare horror che preferisco, perché bastano il primo piano di un volto sofferente e un terribile rumore in sottofondo  per colpirmi più di quanto non facciano mille spiegoni!). Siccome Mannikins of Horror è strettamente legato alla storia principale si potrebbe dire che La morte dietro il cancello è composto da cinque episodi, soprattutto perché la cornice è molto ben curata per quanto riguarda la regia (interessanti le inquadrature delle stampe antiche all'inizio) ed è anche recitata da attori notevoli, tra i quali spicca quel Patrick Magee che da sempre il meglio di sé quando viene relegato su una sedia a rotelle. Non avendo mai visto gli altri portmanteau della Amicus non vi saprei dire se La morte dietro il cancello è il punto di partenza ideale per avventurarsi nell'impresa, sicuramente io ho molto apprezzato l'impianto vintage dell'intera operazione e il modo subdolo con cui Robert Bloch, autore della sceneggiatura, gioca con le aspettative e le paure del pubblico; come ho detto, le storie non sono tutte allo stesso livello ma hanno perlomeno il pregio di avventurarsi in sentieri horror per l'epoca poco battuti e per la maggior parte sono abbastanza fantasiose, quindi mi sento di promuovere in toto questo La morte dietro il cancello e di ringraziare Stephen King per avermelo fatto conoscere!


Di Peter Cushing (interpreta Smith nell'episodio The Weird Tailor), Britt Ekland (Lucy nell'episodio Lucy Came to Stay), Charlotte Rampling (Barbara nell'episodio Lucy Came to Stay) e Patrick Magee (Dr. Rutherford) ho già parlato ai rispettivi link.

Roy Ward Baker (vero nome Roy Horace Baker) è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto altri film come Vampiri amanti, Il marchio di Dracula, Barbara il mostro di Londra, The Vault of Horror, La leggenda dei 7 vampiri d'oro, Il club dei mostri ed episodi di serie come Agente speciale e Simon Templar. Anche produttore, attore e sceneggiatore, è morto nel 2010, all'età di 93 anni.


Herbert Lom (vero nome Herbert Charles Angelo Kuchacevich ze Schluderpacheru) interpreta Byron. Nato a Praga, ha partecipato a film come La signora omicidi, Spartacus, Il fantasma dell'Opera, Il conte Dracula, La pantera rosa colpisce ancora, La pantera rosa sfida l'ispettore Clouseau, La vendetta della pantera rosa, Sulle orme della pantera rosa, Pantera rosa - Il mistero Clouseau, La zona morta e Il figlio della pantera rosa. E' morto nel 2012, all'età di 95 anni.


Il segmento The Weird Taylor è stato in seguito trasposto anche in un episodio di Thriller, serie antologica presentata nientemeno che da Boris Karloff; io non l'ho mai vista ma se La morte dietro il cancello vi fosse piaciuto potreste recuperarla assieme ad altri portmanteau della Amicus come Le cinque chiavi del terrore, La bambola di cera, Il giardino delle torture, La casa che grondava sangue, Racconti dalla tomba, The Vault of Horror, La bottega che vendeva la morte o Il club dei mostri. ENJOY!


martedì 13 marzo 2012

Bollalmanacco on Demand: Barry Lyndon (1975)




Con riprovevole ritardo si riaffaccia sulle pagine di questo blog la rubrica On Demand, dove i lettori più fortunati possono richiedere film da recensire (e aspettare anni per vedere esaudito il loro desiderio, ovviamente). Questa volta è toccato a uno dei membri più fedeli del gruppo feisbucchiano, che mi aveva chiesto la recensione di Barry Lyndon, diretto nel 1975 dal maestro Stanley Kubrick e tratto dal romanzo La fortuna di Barry Lyndon, scritto nel 1844 da William Thackeray.
(Il prossimo film "on Demand" non è stato ancora deciso, quindi vince il primo che commenta richiedendo una recensione, o qui sotto nei commenti o su Faccialibro!!)


Trama: il film racconta le vicende di Raymond Barry, un ragazzotto irlandese che, vuoi per fortuna, vuoi per incoscienza, finisce per sposare una duchessa ed assumere così il nome di Barry Lyndon… evento che determina l’inizio del suo dramma.


Come sempre succede quando si tratta di capisaldi, soprattutto se firmati Kubrick, il mio coraggio viene meno e non riesco ad avventurarmi in quegli sproloqui che dedico invece a supercazzole horror di bassa lega. Quindi, lungi dal voler fare una critica di Barry Lyndon, trovare nella pellicola strani significati che possano gettare nuova luce sulla poetica kubrickiana o quant’altro, mi limiterò come sempre a spiegare, a chi avesse voglia di leggere, perché a mio avviso questo film rientra in quel novero di capolavori che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta nella vita. Parto però da una doverosa premessa, o meglio, un’avvertenza. Il film dura quasi tre ore e ha un ritmo piuttosto lento, senza contare che il protagonista è sommamente irritante nella sua indolenza. Se accettate queste condizioni, andate pure avanti.


Barry Lyndon può tranquillamente essere definito un racconto di NON – formazione; il protagonista “nasce” buono ed ingenuo, innamorato dell’amore al punto da non osare quasi sfiorare la cugina e battersi per lei nonostante la sua natura di fedifraga e profittatrice, per questa sua ingenuità viene fregato nel modo più bieco e allontanato dal paese natale ed è proprio durante questo viaggio tra ladri, eserciti e bari che viene forgiato il suo carattere di donnaiolo, imbroglione e profittatore. Questo solo nella prima parte del film, che si conclude con il suo matrimonio d’interesse con Lady Lyndon; dopo un doveroso interludio comincia quindi la parte tragica della vita di Barry, dove i ritrovati sentimenti di amore (questa volta paterno) e uno sprazzo di antica cavalleria gli costano tutto quello che, fino a quel momento, aveva guadagnato senza abilità e senza fatica, come sottolinea la spietata, ironica voce narrante che scandisce le vicende del film. Se siete arrivati a leggere fin qui, dunque, avrete ormai capito come la trama di Barry Lyndon non sia molto diversa da quella di mille altri pomposi feuilletton dell’epoca, e come il fascino della pellicola non risieda in quello che racconta, ma nel modo in cui Kubrick mette in scena il romanzo picaresco di Thackeray.


Guardare Barry Lyndon, infatti, è come entrare nella National Gallery o nella Tate Britain e immergersi nello splendore dei quadri di Hogarth, Gainsborough o di altri pittori del settecento inglese. In quasi tutte le sequenze, Kubrick parte da un primo piano o da un piano medio per poi arrivare ad un campo lungo, dove il bellissimo paesaggio inglese o gli ambienti interni sono preponderanti e contengono dei personaggi immobili come figurine o come, appunto, soggetti di un dipinto. E questo effetto pittorico viene ulteriormente accentuato dal fatto che il regista abbia deciso di utilizzare quasi esclusivamente la luce naturale per girare il film, che fosse quella del sole o quella di poche candele, una scelta che, assieme agli splendidi, dettagliatissimi costumi e alle sontuose scenografie, concorre a rendere Barry Lyndon molto più di un film in costume, quasi un’opera d’arte in movimento. Anche la fissità degli attori diventa quindi necessaria per ottenere questo effetto “artistico”, poiché ogni sentimento, ogni gesto, ogni sguardo diventano elementi di una rigida etichetta oppure necessari strumenti per ottenere qualcosa di materiale; d’altronde sono il sangue, l’innocenza, la follia e la morte le uniche cose in grado di consentirci di gettare uno sguardo oltre la bellezza immobile e pittorica in cui sono immersi i personaggi e cogliere così quel che resta della loro umanità sotto il trucco e il parrucco. Un’umanità che lentamente si perde, scandita dalle note della Sarabanda di Händel, finché sarà solo il tempo a rendere i personaggi tutti uguali e parigradi, a prescindere dai loro sforzi per elevarsi dalla massa. In due parole, un altro imperdibile capolavoro di un genio del Cinema, quello con la C maiuscola.


Del regista Stanley Kubrick ho già parlato qui.

Ryan O’Neal (vero nome Charles Patrick Ryan O’Neal) interpreta Redmond Barry. Americano, lo ricordo per film come Love Story, che gli è valso la nomination all’Oscar come miglior attore protagonista, e Luna di carta, inoltre ha partecipato di recente alle serie Desperate Housewives e Bones. Anche produttore, ha 71 anni e un film in uscita.


Marisa Berenson interpreta Lady Lyndon. Americana, ha partecipato a film come S.O.B. e serie come La signora in giallo. Ha 65 anni.


Patrick Magee (vero nome Patrick Joseph Gerard Magee) interpreta il Cavaliere di Balibari. Irlandese, lo ricordo innanzitutto per aver interpretato lo sfortunato Mr. Alexander in Arancia Meccanica; ha inoltre partecipato a film come La maschera della morte rossa, Black Cat (Gatto nero) e Il club dei mostri. E’ morto di infarto nel 1982, all’età di 60 anni.


Steven Berkoff (vero nome Leslie Steven Berks) interpreta Lord Ludd. Inglese, ha partecipato a film come Arancia meccanica, Professione: reporter, Un piedipiatti a Beverly Hills, Rambo II: la vendetta e Millenium - Uomini che odiano le donne. Anche sceneggiatore e regista, ha 75 anni e quattro film in uscita, tra cui quello che si preannuncia un trashissimo Strippers vs Werewolves.


Barry Lyndon ha vinto quattro premi Oscar tutti, a mio avviso, meritatissimi: miglior scenografia, migliori costumi, miglior fotografia e miglior colonna sonora non originale. Nessun Oscar per gli attori invece, parlando dei quali vengo a sapere che anche Robert Redford era un papabilissimo candidato per il ruolo di Redmond Barry. Concludo consigliandovi di riguardare tutti i film di Kubrick se ancora non li avete mai visti… e di farvi due risate cercando gli sketch di Sensualità a corte, le cui atmosfere barocche e alcune musiche (per non parlare di Mmmadreeee) richiamano un po’ il capolavoro di cui ho indegnamente parlato finora. ENJOY!

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