domenica 1 aprile 2018
Bollalmanacco On Demand: Déjà vu - Corsa contro il tempo (2006)
Trama: a seguito di un attentato terroristico, un agente dell'ATF viene coinvolto nelle indagini sperimentali di una branca dell'FBI, i cui metodi sfruttano una tecnologia particolare, capace di vedere nel passato recente...
Déjà Vu è uno di quei film che avevo già visto un paio di volte di sfuggita durante i suoi passaggi televisivi senza mai prestargli sul serio attenzione. Devo anche averne visto la fine, benché la ricordassi solo vagamente, ma è solo in occasione dell'On Demand di oggi che ho notato il nome che campeggia dietro la macchina da presa, quello della bonanima di Tony Scott, vituperato da molti ma adorato da queste parti. Se allo stile cinetico di Scott si aggiunge la produzione del "raffinatone" Jerry Bruckheimer, non è difficile fare due più due e capire che Déjà Vu, benché dotato della trama di un sci-fi cervellotico, gode soprattutto nel mostrare esplosioni devastanti (all'inizio e alla fine sicuramente ma non solo), inseguimenti in macchina fracassoni e gente che muore male crivellata di proiettili, lasciando che la suspension of disbelief dello spettatore rimanga obnubilata dal casino, con l'encefalogramma piatto di chi ormai ha rinunciato a capire tutti i paradossi temporali di cui è infarcito il film. E ce ne sono, eh. Quello che comincia come un thriller a sfondo poliziesco-investigativo con il protagonista impegnato a dare la caccia a un dinamitardo si sviluppa a poco a poco in una pellicola hi-tech che mostra il fianco al fantascientifico, mettendo in campo una tecnologia che riesce a mostrare scene del passato recente, nella fattispecie "quattro giorni prima"; alla faccia dei moniti che recitano "non bisogna interferire col passato", il protagonista Doug Carlin intraprende un percorso che lo porterà ad utilizzare la tecnologia in questione come nessuno ha mai fatto prima, causando più di una perplessità allo spettatore rompiscatole al quale non basta il vago senso di déjà vu provato dai personaggi e riportato anche nel titolo per giustificare il tutto. Dovessi proprio fare le pulci alla trama, infatti, non avrei da ridire solo sul rapporto che si instaura tra Doug e Paula, damsel in distress che bisogna assolutamente salvare "perché sì" (cioè solo perché ha avuto la fortuna di venire concupita dal protagonista, ma a tutte le altre persone che potenzialmente potrebbero schiattare quello stesso giorno non ci pensiamo?), ma anche sulla selettività di alcuni eventi che si ripetono (causando ovviamente cambiamenti nel futuro) mentre di altri non vi è traccia. Il problema, peraltro già riscontrato dagli sceneggiatori che hanno disconosciuto il film dando tutta la colpa a Tony Scott (il quale ha dato la colpa ai pochi giorni di riprese messi a disposizione), è che se si riflette troppo sui film imperniati sui paradossi temporali si rischia di perdere la testa e già qui ne abbiamo poca, ahimé, quindi facciamo finta di nulla.
Come dicevo, basta chiudere gli occhi (o meglio, tenerli bene aperti per godere di tutto il delirio visivo del film), mettere a tacere le vocine da Puffo Quattrocchi e Déjà vu diventa un film godibilissimo, intrigante ed ansiogeno, ché l'impegno del povero Denzel in effetti si trasmette dritto allo spettatore coinvolgendolo in questa storia incasinata dove, alla fine, si arriva a fare il tifo per il protagonista no matter what. Tony Scott avrà anche riconsiderato Déjà Vu come uno dei peggiori film della sua carriera ma a mio avviso l'intera operazione è figlia di un certo tipo di cinema di quegli anni e non ne è neppure uno dei più brutti esempi: tra ralenti messi un po' a casaccio, smarmellamenti in verde, sequenze allucinogene e un montaggio schizoide benché attentissimo ai dettagli, le due ore di durata passano in un attimo senza lasciare aleggiare nella stanza la terribile domanda "cosa diamine ho visto?" e non credo che il merito vada attribuito alla performance "convinta" ma nella norma di Washington, agli effetti speciali o alla trama zeppa di buchi logici. E nemmeno alla parata di facce amichevoli che spuntano qui e là, come quella di un Foggy Nelson giovane, quella del Jason Lee meno figo ma più bravo Adam Goldberg, quella di un Bruce Greenwood sempre molto UILF e quella all'epoca già gonfia di un Val Kilmer che aveva cominciato ad allontanarsi a grandi passi dalla sua bellezza giovanile. Diciamo che tutto ciò, unito sotto l'egida del blockbuster, ha concorso a consegnare ai posteri un film non memorabile ma comunque divertente, l'ideale per una serata ad alto tasso d'ignoranza zamarra con in più quel pizzico di technobabble fantascientifico in grado di non far sentire troppo in colpa noi cVitici cinefili. Pensatela come volete ma per me Tony Scott ha lasciato un grande vuoto sugli schermi e la visione di questo Déjà vu non ha fatto che confermarmelo.
Del regista Tony Scott ho già parlato QUI. Denzel Washington (Doug Carlin), Paula Patton (Claire Kuchever), Val Kilmer (Agente Pryzwarra), Adam Goldberg (Denny), Bruce Greenwood (Jack McCready) ed Elle Fanning (Abbey) li trovate invece ai rispettivi link.
Jim Caviezel (vero nome James Patrick Caviezel) interpreta Carroll Oerstadt. Americano, lo ricordo per film come Belli e dannati, Wyatt Earp, The Rock, Soldato Jane, La sottile linea rossa, Frequency - Il futuro è in ascolto, Un sogno per domani e La passione di Cristo, inoltre ha partecipato a serie quali La signora in giallo. Ha 50 anni.
Elden Henson interpreta Gunnars. Più conosciuto ultimamente come Foggy Nelson delle serie Marvel/Netflix Daredevil, The Defenders e Jessica Jones, lo ricordo per film come Turner e il "casinaro", Giovani diavoli e Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I e II, inoltre ha partecipato ad altre serie quali Saranno famosi, E.R. Medici in prima linea e Grey's Anatomy. Ha 41 anni.
Se Déjà vu - Corsa contro il tempo vi fosse piaciuto recuperate Source Code. ENJOY!
mercoledì 15 gennaio 2014
Disconnect (2012)
Trama: il film è incentrato su tre storie, vagamente intrecciate tra loro. Una racconta lo scherzo crudele di due ragazzini ai danni di un loro coetaneo, l’altra mostra una coppia in crisi che deve fare i conti con il furto di tutti i loro dati bancari e infine l’ultima parla dello squallido mondo delle chat erotiche.
Arrivata al punto clou di Disconnect, focalizzato da un ralenti in cui TUTTO va, letteralmente, nel peggiore dei modi possibili, mi chiedevo in lacrime perché diamine i protagonisti della pellicola non avessero semplicemente PARLATO tra loro prima di arrivare a questi estremi. Soffiandomi il naso e continuando a singhiozzare come se non avessi un domani mi sono detta “Eh, è proprio questo il punto”. Come avrete capito, Disconnect è un film angosciante e bastardo. Lo è in primis perché scava nelle magagne della nostra società, in quei bozzoli di solitudine autoimposta che siamo arrivati a crearci tutti (ovviamente a livelli diversi), nell’incapacità ormai cronica di comunicare con amici e famiglia, preferendo confidare tutti i nostri problemi ad una rete di sconosciuti, nel bruciante desiderio di ottenere la fama o una vita facile a tutti i costi, nella cieca fiducia con cui abbocchiamo come pesci tonni ad ogni inganno di Internet, usandolo senza conoscerne i rischi. Non è un film perfetto e anzi, come ho accennato, è anche un po' infingardo perché utilizza troppi mezzucci per entrare nel cervello di chi ha la lacrima facile come la sottoscritta (soprattutto durante le storie dedicate alla coppietta o al ragazzino) ma lascia comunque spazio ad interessanti considerazioni anche all'interno degli episodi più banali.
La vicenda più interessante e "spiazzante" è sicuramente quella ambientata nel mondo delle chat erotiche perché racconta in maniera particolare il rapporto di apparente fiducia che si viene a creare tra una giornalista senza scrupoli e un ragazzo preso nelle maglie di un'organizzazione che sfrutta i giovani per spillare soldi ai pornomani sparsi in tutto il mondo. E' spiazzante perché è l'unica delle tre vicende a non offrire una facile soluzione né un lieto fine, per quanto triste, e nemmeno un'interpretazione univoca dei protagonisti, difficili da classificare come "buoni" o "cattivi" in quanto le loro scelte sono contemporaneamente tutte discutibili e accettabili (la giornalista è presa tra le smanie di successo e il sincero desiderio di aiutare Kyle, il ragazzo sarebbe pronto a rinunciare al proprio "lavoro" se avesse la certezza di un futuro, in caso contrario lascerebbe che il suo cyberpappone continuasse ad attirare nella rete altri minorenni disperati). Le altre due storie sono più toccanti, come ho detto, ma anche più banali e facili da processare e popolate, purtroppo, da personaggi che andrebbero presi a ceffoni dal mattino alla sera. Tra le due, ho comunque preferito la storia che ha per tema il cyberbullismo perché a tratti riesce a mostrare non solo l'ovvia solitudine della vittima e la stoltezza di familiari e compagni di classe ma anche il profondo disagio di almeno uno dei carnefici, che paradossalmente impara a conoscere il bersaglio del suo disgusto e a provare empatia proprio attraverso lo scherzo, cosa che rende il tutto ancora più tragico. Da applausi, inoltre, l'impietosa rappresentazione del vuoto che imperversa nelle menti degli adolescenti americani (e non solo americani ahimé), incarnato in uno sputo in piena faccia idealmente rivolto a tutti gli esponenti della generazione Bling Ring.
Per quanto riguarda la realizzazione, ho trovato geniale l'idea di lasciare priva di colonna sonora buona parte del film, cosa in grado di enfatizzare il senso di solitudine emanato dai personaggi e dalle situazioni presenti nella pellicola molto più della presenza degli stralci di chat riportati in tempo reale sullo schermo; inutile dire, però, che ho amato alla follia anche il tema portante On the Nature of Daylight di Max Richter, responsabile del 90% delle mie lacrime e semplicemente struggente. Tra gli attori, spiccano un Jason Bateman stranamente serio e intenso, l'ambigua Andrea Riseborough e il bravo Max Thieriot che, tolti (letteralmente o quasi) i panni del fratello di Norman Bates, dimostra di saperci fare anche con ruoli un po' più "importanti". In sostanza, Disconnect soffre qua e là di un lieve eccesso di moralismo e melodrammaticità ma è un film che mi è piaciuto molto e che forse avrebbe meritato di uscire in un periodo dell'anno in cui le nostre sale non fossero già invase dai meravigliosi pezzi grossi in odore di Oscar. Secondo me vale la pena recuperarlo, magari con un occhio di riguardo verso il proprio stato d'animo: se siete già depressi o avete avuto una giornata difficile esistono delle ottime commedie, affrontare Disconnect non è proprio il caso!
Di Jason Bateman (Rich Boyd), Hope Davis (Lydia Boyd), Michael Nyqvist (Stephen Schumacher) e Paula Patton (Cindy Hull) ho già parlato ai rispettivi link.
Henry Alex Rubin è il regista della pellicola. Americano, prima di Disconnect ha diretto due documentari, Who is Henry Jaglom? e Murderball. E’ stato anche attore, sceneggiatore e produttore.
Frank Grillo (vero nome Frank Anthony Grillo) interpreta Mike Dixon. Americano, ha partecipato a film come Minority Report, Mother’s Day, My Soul to Take – Il cacciatore di anime, Zero Dark Thirty, Gangster Squad e a serie come Sentieri, The Shield, Prison Break, CSI – Scena del crimine, Senza traccia e CSI: NY. Ha 50 anni e quattro film in uscita tra cui Capitan America: The Winter Soldier, Demonic e The Purge 2.
Andrea Riseborough interpreta Nina Dunham. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, W.E. - Edward e Wallis e Oblivion. Ha 32 anni e quattro film in uscita.
Alexander Skarsgård (vero nome Alexander Johan Hjalmar Skarsgård) interpreta Derek Hull. Svedese, ha partecipato a film come Zoolander, Melancholia, Straw Dogs, Battleship e a serie come True Blood. Anche regista e sceneggiatore, ha 37 anni e tre film in uscita tra cui The Giver.
Max Thieriot (vero nome Maximillion Drake Thieriot) interpreta Kyle. Americano, lo ricordo per il ruolo di Dylan nella serie Bates Motel, inoltre ha partecipato a film come My Soul to Take – Il cacciatore di anime e Hates - House at the End of the Street. Ha 25 anni.
Il giovane Colin Ford, che interpreta l'odioso Jason, ha partecipato all'orrendo Under the Dome nei panni (più positivi) di Joe McAlister, mentre Haley Ramm, che interpreta la sorella di Ben, è stata una giovanissima Jean Grey in X-Men - Conflitto finale. Se Disconnect vi è piaciuto, potreste recuperare anche Crash: Contatto fisico e due film diretti da due ex star di Friends: Talhotblond di Courteney Cox e Trust, diretto da David Schwimmer. Nonostante non li abbia mai visti, dovrebbero trattare temi molto simili; fatemi sapere se sono validi, in caso contrario li toglierò dai consigli! ENJOY!
lunedì 15 giugno 2009
Mirrors - Riflessi di paura (2008)
Trama: Ben è un ex poliziotto che cerca di scrollarsi di dosso gli incubi di un incidente sul lavoro e del conseguente alcolismo accettando il posto di custode notturno in un lussuoso grande magazzino andato quasi distrutto in un incendio. Già dalla prima sera capisce che negli enormi specchi rimasti nell’edificio si nasconde qualcosa di non troppo simpatico, una maledizione che riesce a diffondersi anche sulle superfici riflettenti di tutta la città e comincia a perseguitare Ben e la sua famiglia…
L’inizio di Mirrors è devastante: un uomo che cerca di scappare nei bui cunicoli di quella che sembra una metropolitana e viene ucciso in un modo decisamente inaspettato, a causa di “qualcosa” che si annida negli specchi. Diamine, CHI non ha uno specchio in casa? Questo è l’assunto di una pellicola che, date le premesse, prometteva horror e paura a palate, e che per almeno una quarantina di minuti mantiene le promesse, regalando allo spettatore una morte talmente splatter da fare invidia ai numeri più beceri di Dylan Dog e da farmi pensare di coprire la finestra che rifletteva la mia immagine poco distante (non si sa mai che anche ai miei specchi potessero venire deliri di onnipotenza…). Il terrore si propaga di specchio in specchio, ma non solo: qualsiasi superficie riflettente diventa “nemica”, mostra echi di un passato da incubo, fa da porta per un’altra dimensione ed è potenzialmente onnipotente perché se la mia immagine riflessa decide di fracassarsi la testa contro un muro, a quanto si comprende dalle prime immagini la mia testa dovrebbe aprirsi come un melone. Un’idea surreale, terribile se si pensa quanto di ciò che ci circonda riflette le nostre immagini, persino l’acqua… insomma se il film fosse vero saremmo tutti del gatto!
E invece, forse perché l’onnipotenza degli specchi sarebbe stata “troppa” e i protagonisti non avrebbero avuto nessuna chance, andando avanti il film si contraddice, arriva qualche salvataggio in extremis… E il tono della pellicola cambia. Gli specchi cominciano a fare da contorno ad una storia troppo simile all’Esorcista e a quella di Emily Rose, dove una schizofrenia che rasenta la possessione demoniaca viene “curata” infilando la malcapitata in una stanza piena di specchi che imprigionano il demone interiore, o la pazzia, non viene mai spiegato benissimo (forse perché neppure lo sceneggiatore sapeva scegliere) in una dimensione “altra”, a sti punti direi quella dell’es freudiano. E poi a questo delirio pseudopsicanalitico si aggiunge il concetto dello specchio come zona di passaggio per e dall’aldilà, raccoglitore di anime prave che vanno a rafforzare quella del demone principale, e poi credo anche negozio di alimentari, visto che ci stiamo infilando di tutto e di più. Troppa fuffa che appesantisce il film rendendolo più ridicolo del necessario, e che ci regala un becero finale a base di zanne ed artigli, salvato solo in extremis da una scena triste e commovente.
Bisogna dire che Alexandre Aja ci mette tutto il suo entusiasmo, la resa registica del tutto è meravigliosa, a partire dai titoli di testa, assai simili ad un caleidoscopio, per non parlare poi della stanza piena di specchi, della grandiosità di un appartamento pieno di cascatelle d’acqua, della tensione palpabile che si respira in ogni anfratto delle rovine del centro commerciale, colmo di manichini, bambole bruciate e visioni delle vittime arse vive nell’incendio. Gli effetti speciali ed il trucco sono ovviamente superiori alla media, si pensi solo all’orrendo omicidio/suicidio della ragazza nella vasca da bagno ed anche la resa finale del mostro, sebbene non c’entri a mio avviso nulla col resto del film. Mi spiace dirlo ma il buon Kiefer Sutherland non riesce ad elevarsi, penalizzato anche dal solito, banale ruolo del poliziotto alcolizzato al limite della follia.. ed anche il resto degli attori è leggermente sottotono, tranne il meraviglioso vecchio custode che in originale ha un accento italiano da manuale. Insomma, un buon film, ma deludente nonostante tutto. Pensavo di dare una chance all’originale coreano Geoul Sokeuro (2003) di Sung Ho – Kim ma qualcuno mi ha detto sia insopportabilmente terrificante… e qualcun altro mi ha detto insopportabilmente noioso. Aiuto. Meglio evitare, vah!
Alexandre Aja (vero nome: Alexandre Jouan Arcady) è il regista della pellicola. Francese, ha cominciato col botto, imponendosi sul mercato internazionale con l’ormai superato (da tanti altri horror francesi molto più bastardi) pugno nello stomaco Alta Tensione, e specializzandosi poi in remake, come il pregevole Le colline hanno occhi. Ha 31 anni e un film in uscita, quel Pirana 3D che attendo già con una gocciolina di bava alla bocca.
Di Kiefer Sutherland ho già parlato qui.
Paula Patton interpreta la moglie, Amy. L’attrice californiana ha cominciato a lavorare solo da qualche anno, tra i suoi film ricordo Hitch e Deja Vu. Ha 34 anni e un film in uscita.
Amy Smart interpreta la sorella di Ben, Angela. La bionda attrice californiana, seppur giovane, si è data parecchio da fare, e tra i suoi film rammento Starship Troopers, Road Trip, Rat Race, The Butterfly Effect, Starsky & Hutch. Per la tv ha partecipato a Scrubs e ha doppiato alcuni episodi di Robot Chicken tra cui il secondo special su Guerre Stellari. Ha 33 anni.
E ora vi lascio col trailer di Into The Mirror, ovvero Geoul Sokeuro. A dispetto delle “voci” a me pare inquietantissimo… ma ho capito che spesso l’apparenza inganna. ENJOY!