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martedì 31 ottobre 2023

Visioni dal ToHorror Fantastic Film Fest 2023

La settimana scorsa, scansando il pericolo influenze e un po' di sfighe all'orizzonte, sono riuscita a salire tre giorni a Torino per il Tohorror Fantastic Film Fest, ormai giunto alla ventitreesima edizione. Il tema di quest'anno era C’era una volta il cyberpunk e molti spettatori hanno avuto la fortuna di godersi opere miliari come Tetsuo e il suo seguito su grande schermo; inoltre, chi è riuscito a fermarsi fino a domenica ha avuto anche l'onore di guardare un documentario a cui tenevo molto, King on Screen, e un film che mi interessava parecchio, Trim Season (purtroppo sono dovuta correre a casa e ho mancato entrambi). Mio malgrado, ho perso anche Best Wishes to All, il vincitore del premio del pubblico, perché era proiettato in contemporanea a un altro film su cui puntavo moltissimo, in compenso è successo un piccolo miracolo, ovvero ho apprezzato parecchio il vincitore del premio della giuria lungometraggi, cosa che non accadeva da qualche anno. Complessivamente, è stata di nuovo un'esperienza bellissima e interessante, quindi ringrazio gli organizzatori di questo amatissimo festival, per la cura con cui scelgono programmazione ed eventi "collaterali" e per la palese passione che ci mettono annualmente. Aspettando con incuriosita trepidazione di sapere quale sarà il tema del prossimo ToHorror e approfittando di Halloween, vi lascio con un piccolo riassunto delle visioni di questa edizione, con attenzione particolare ai film da tenere d'occhio o da recuperare! ENJOY!


Satan Wants You
(Steve J. Adams e Sean Horlor, 2023) 

Se mi seguite da un po' sapete che è raro che io guardi documentari, un genere che mi attira poco, però questo mi interessava fin dal titolo. Ho fatto bene a guardarlo: Satan Wants You parla del "Satanic Panic" che ha investito l'America dopo l'uscita del libro biografico Michelle Remembers, scritto dallo psichiatra Lawrence Pazder e da una delle sue pazienti, Michelle Smith, in seguito alle sedute durante le quali quest'ultima ha ricordato di essere stata rapita e seviziata da bambina da una setta di satanisti. Con piglio ironico ed occhio critico, attraverso le testimonianze talvolta commoventi di chi si è ritrovato la vita stravolta dal libro (e quelle ormai disilluse di chi ha capito che la gente non ha imparato nulla dall'esperienza), i due autori raccontano non solo l'assurdo impatto mediatico di Michelle Remembers, che ha sconvolto l'America degli anni '80 causando un'isteria di massa senza precedenti, ma anche tutto il marcio che si nascondeva dietro la facciata rispettabile di Padzer e della Smith. Se vi piacciono le storie incredibili ma vere alla Gli occhi di Tammy Faye e guardate con sospetto tutto ciò che riguarda la Chiesa intesa come organizzazione, al di là della fede, avrete pane per i vostri denti. 


Les Chambres Rouges
(Pascal Plante, 2023) - Vincitore del premio ufficiale come miglior lungometraggio

Glaciale thriller psicologico che si prende tutto il tempo di creare la giusta atmosfera, inquietante ed asettica, prima di deflagrare poco prima del finale disgustando il pubblico pur senza mostrare neppure una goccia di sangue. L'orrore dell'ossessione e del completo distacco dalla realtà passa attraverso una regia elegantissima, una colonna sonora splendida e, soprattutto, una protagonista (la bravissima Juliette Gariépy) che rimane ambigua e "respingente" fino al finale, che lascia libera interpretazione allo spettatore. Io ve lo dico, raramente vedrete una partita di poker on line più coinvolgente e moralmente terrificante di quella mostrata in Les Chambres Rouges, film che non si dimentica facilmente. Per la cronaca, tra le fonti di ispirazione del regista ci sono Possession e Tesis, quindi traete le vostre conclusioni; io, per una volta, sono molto contenta del premio ottenuto!


She is Conann
(Bertrand Mandico, 2023) 

La rivisitazione al femminile del Conan di R. E. Howard e del film di John Milius, scritta e diretta da un regista che non conoscevo, ma a cui il termine "eclettico" non rende giustizia. Not my cup of tea, troppo allucinato ed incomprensibile per potermi anche solo piacere a livello superficiale, considerato anche che io di Conan il Barbaro so meno di zero. Nonostante questo, gli riconosco un fascino innegabile che, per quanto mi riguarda, deriva dalla messinscena molto artistica anche quando il regista ricorre al gore più estremo; inoltre, il personaggio del cane/demone Rainer è la perfetta, rarissima unione di fascino carismatico e disgustosa repulsione, e il regista non lesina il glitter, che rende anche le splatterate più truci scintillanti come un servizio di moda. Chapeau.


Kick Me
(Gary Huggins, 2023) 

Uno di quei rari film demenziali in grado di non stufare, perché c'è tanta di quella carne al fuoco da chiedersi dove voglia andare a parare l'autore. L'odissea di un consulente scolastico che, a causa della sua bontà, si infila in una situazione sgradevole dietro l'altra è costellata di personaggi che non sfigurerebbero in un film di John Waters (ma Kick Me è molto meno corrosivo e disgustoso dei vecchi film del regista) e profuma un po' di Fuori orario, perché lascia allo spettatore quella sgradevole sensazione di pericolosa claustrofobia che si ha quando si osa fare il passo più lungo della propria gamba, in territori sconosciuti e senza via d'uscita. Il coro surreale sul finale e il cane a tre zampe sono due tocchi di classe.


Abruptio
(Evan Marlowe, 2023) 

L'esecuzione è a dir poco splendida, perché è un film splatterosissimo, fatto di marionette dall'aspetto inquietante, che danno fin da subito un tocco surreale al tutto e mettono nella giusta predisposizione d'animo. L'assunto iniziale è appetitoso: un giorno, moltissime persone (tra cui il protagonista) si ritrovano con una bomba impiantata alla base del collo e vengono spinte a compiere le azioni più abiette da mandanti sconosciuti, il che getta la società mondiale nel caos. Capire come e perché il protagonista sia tra gli "eletti" è coinvolgente e spaventoso, almeno finché non subentra uno dei twist di genere che meno sopporto sulla faccia della terra, e il finale è il trionfo dell'anticlimax. Con una sceneggiatura più centrata e coerente nella sua cattiveria sarebbe stato un capolavoro, così a me è parsa un'occasione sprecata. Complimenti però per il cast di voci, che vanta attori come James Marsters, Jordan Peele, Robert Englund e Sid Haig.


Tiger Stripes
(Amanda Nell Eu, 2023) 

Delizioso coming of age che celebra l'originalità e l'empatia in una società schiacciata da religione e ignoranza, dove le donne sono talmente represse da arrivare a odiarsi tra loro. E' quello che succede a Zaffan, la prima del suo gruppetto ad avere il ciclo e bullizzata per questo ancora prima che altri, terribili mutamenti accorrano al suo corpo; la disperazione seguente al cambiamento, il bisogno di venire accettati e amati, la difficoltà ad accettare se stessi e gli altri, il coraggio di affermare le proprie convinzioni vanno a braccetto con leggende antiche, in un film che mescola body horror, commedia, suggestioni pop e delle protagoniste talmente carine che vi verrà voglia di portarvele a casa. O, come minimo, di imparare il loro balletto su Ticktock. A Cannes ha vinto il premio della Settimana della Critica ed è il film scelto per rappresentare la Malesia agli Oscar 2024 (purtroppo, le autorità malesiane hanno deciso di censurarne alcune scene proprio il giorno della sua uscita al ToHorror, quindi chissà quale versione arriverà in sala...) quindi potrebbe essere una delle poche pellicole a venire distribuite anche da noi, chissà.


The Seeding
(Barnaby Clay, 2023) 

Horror "classico", di cui bastano il titolo e le prime sequenze per indovinare, senza timore di sbagliare, ogni snodo, twist e persino il finale. C'è poco da dire sull'esecuzione, lineare e pulita, con qualche guizzo quando la pellicola sconfina un po' nel folk horror, perché i punti forti del film sono l'ambientazione originale e la bravura degli attori principali, che si compensano a vicenda nelle loro interpretazioni diametralmente opposte. Altra pellicola ad alto "rischio" distribuzione, in quanto più vicina al genere mainstream rispetto al resto della selezione del festival.


Eight Eyes
(Austin Jennings, 2023) 

A dimostrazione di quanto non capisca una mazza di cinema, ammetto vergognosamente che, per quanto riconosca la superiorità di Les Chambres Rouges e Tiger Stripes, questo è il film del ToHorror che ha rapito il mio cuore e che riguarderei anche domani. Dall'assunto più banale del mondo (coppia di sposini americani in crisi vanno in viaggio in Europa e cadono sotto la brutalità degli autoctoni dediti ad empie malvagità) nasce un omaggio all'horror anni '70, zeppo di echi fulciani che ricorrono negli effetti speciali e nella splendida colonna sonora, pasticciato e incoerente come un qualsiasi Il treno, talmente matto sul finale che non sapevo se mettermi a ridere o piangere. La mia perversione si manifesta ulteriormente nella convinzione che, per quanto laido e abietto, Bruno Veljanovski nei panni di St. Peter abbia un fascino tutto suo. In Italia dubito arriverà mai, ma magari su Shudder...


La mesita del comedor
(Caye Casas, 2022) 

Era il titolo su cui puntavo di più quest'anno e non mi ha affatto delusa. Mi raccomando, assolutamente, EVITATE QUALSIASI SPOILER sul film e lasciatevi trascinare dall'atmosfera di questo angosciante "dramma da camera", interamente giocato sulle interpretazioni di attori bravissimi e su ciò che la sapiente regia lascia solo intendere, fermandosi appena un istante prima di andare oltre, scavando nelle emozioni devastanti dei protagonisti. Godetevi i divertentissimi momenti di commedia finché potete, perché più il film andrà avanti, più vi passerà la voglia, garantito. Santa Netflix, pensaci tu a portarlo da noi, grazie. 


Hardware
(Richard Stanley, 1990) 

Capolavoro seminale del cyberpunk horror, non lo avevo mai visto e me lo sono goduto nel migliore dei modi, in sala e su pellicola, leggermente rovinata e per questo ancora più gustosa. Lascio a Lucia e Germano l'onore di parlare di questo film come merita, ché io, come dice Crozza, sono una guitta, non so una mazza; posso solo dire che ho adorato il concetto modernissimo di eroe maschio ma "inutile", di eroina (donna portatrice di vita, bella come una dèa) che lotta con le unghie e coi denti contro le aberrazioni di un mondo dominato dalla morte, e di uomo della strada sincero e coraggioso. Inoltre, quel robot che troneggia come una divinità maligna (ma anche come un terrificante pupazzo a molla) nelle visioni allucinate di Dylan McDermott lo ricorderò finché campo.  



mercoledì 26 febbraio 2020

Color Out of Space (2019)

Non so come ho potuto permettermi di aspettare così tanto per vedere Color Out of Space, diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Richard Stanley partendo dal racconto Il colore dallo spazio di H.P.Lovecraft.


Trama: dopo che un meteorite si schianta sul suolo della proprietà dei Gardner, la flora e la fauna dei dintorni cominciano a mutare e lo stesso vale per la mente degli abitanti della casa...



Non sono affatto un'esperta di Lovecraft, di cui avrò letto sì e no una decina di racconti, probabilmente i più conosciuti, ma sono familiare con le sue atmosfere e apprezzo molto tutte le opere che omaggiano a piene mani lo scrittore di Providence (mi vengono in mente tra le mie preferite Il seme della follia di Carpenter, il racconto N di Stephen King, ovviamente i fumetti Neonomicon e Providence di Alan Moore, giusto per citarne qualcuna). In questo caso, parliamo proprio di un film che adatta una delle opere più famose di Lovecraft, per anni considerata "infilmabile" anche se ci sono stati parecchi registi che ci hanno provato, e il risultato, visto con gli occhi di una quasi profana, è un horror con le contropalle che mette angoscia dall'inizio alla fine, qualcosa che contrasta con quel delizioso rosa shocking utilizzato per incarnare il "colore" e con una delle cose più tenere e morbide del mondo: gli alpaca. Nell'apparente idillio bucolico di una famiglia radicata in città che desidera sperimentare "la campagna" onde superare il trauma del cancro al seno di mammà (ovviamente, tutto deciso da papino, ché il più traumatizzato dalla cosa è lui) entra a gamba tesa un asteroide che prima crea una voragine nel giardino dei Gardner e poi scompare, lasciando dietro di sé l'orrore cosmico. Passano i decenni e, se i personaggi di Lovecraft non avevano gli strumenti per difendersi dall'incomprensibile ignoto, la loro versione moderna sceglie di fare orecchie da mercante per non essere costretta ad affrontare l'ennesimo fallimento di una vita che DEVE necessariamente essere perfetta. Il narratore esterno, unica voce della ragione, ci prova ad avvertirli, forte di inconfutabili prove scientifiche; il custode del terreno, già bruciato da droghe psicotrope, non ci pensa nemmeno e accetta l'inevitabile supremazia dell'inconoscibile con un'arrendevolezza che mette paura più di ogni altra cosa. Nel mezzo, ci sono i Gardner, vittime più o meno innocenti di qualcosa che non può essere guardato negli occhi pena la pazzia e da cui non ci si può difendere, qualcosa che corrompe irrimediabilmente i corpi e annichilisce la mente, ingannando attraverso la bellezza di prodigi fuori dal comune oppure tirando sadicamente fuori tutto il marciume che cerchiamo di nascondere dietro una patina di ragionevole civiltà.


L'incubo lovecraftiano diventa dunque un'alternanza di elementi visivi ripresi in tutta la loro inquietante "bellezza" (i fiori, la vegetazione lussureggiante, persino il grazioso insettino dal colore accattivante che attira lo sguardo del piccolo Jack) o insostenibile disgusto (nel film ci sono sequenze di body horror talmente raccapriccianti da far accapponare la pelle), e di "cose" che la cinepresa non vuole riprendere, che rimangono appena fuori dall'inquadratura, come se una presenza costante, maligna ed indefinibile, non smettesse mai di osservare i membri della famiglia Gardner, tessendo i suoi fili invisibili per muoverli come burattini. Ma la cosa più insostenibile di Color Out of Space è l'ineluttabilità di un orrore innominabile e cieco, che travalica la comune ragione umana e non fa sconti alle simpatie del pubblico, così come non ne fa Richard Stanley. Noi tentiamo di aggrapparci alla speranza, accattivati dall'innegabile bellezza della giovane Madeleine Arthur (dove sei stata finora? Perché non sei nel cast del nuovo Giovani streghe???) e della sua affascinante conoscenza delle arti "magiche", ma non c'è protezione che tenga davanti a qualcosa che è "messaggero spaventoso degli informi reami dell’infinito, al di là della natura che conosciamo". E Nicolas Cage, in tutto questo, direte voi (lo so che state leggendo il post solo per capire il livello di cageanitudine del film)? L'adorabile Nicolas è contenuto, molto, una bomba senza spoletta che sta lì, pronta ad esplodere. Si dice che Richard Stanley abbia chiesto all'attore di ricordarsi la sua "favolosa" performance in Stress da vampiro e di modellare Nathan proprio su quella; il risultato è un uomo tranquillo ma odioso, che sbotta contro moglie (altrettanto odiosa ma, dai, Joely Richardson ormai è abbonata a questi ruoli) e figlia per delle solenni cretinate, forte del suo desiderio di divenire uomo bucolico ed autosufficiente, e che ovviamente perde la testa a poco a poco quando quel mondo idillico e perfetto si sgretola sotto le silenziose risate dell'entità cosmica, fino a regalarci un ottimo finale in cui Cage è unleashed ma, nonostante questo, non offusca mai e poi mai il terrore vero di quello che al momento è l'horror più bello dell'anno. Vedere per credere.


Di Nicolas Cage (Nathan Gardner), Joely Richardson (Theresa) e Tommy Chong (Ezra) ho parlato ai rispettivi link.

Richard Stanley è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Sudafricano, ha diretto film come Hardware - Metallo letale e Demoniaca. Anche attore e produttore, ha 54 anni.


Julian Hilliard interpreta Jack. Americano, lo ricordo per film come Greener Grass e serie quali Hill House. Ha 8 anni e un film in uscita: The Conjuring - Per ordine del diavolo.


Se Color Out of Space vi fosse piaciuto recuperate tutti i film di Richard Stanley (io lo farò), aggiungendo anche il disastroso L'isola perduta, per piangere su cosa avrebbe potuto essere se non avessero licenziato il regista dopo 4 giorni. ENJOY!

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