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martedì 8 ottobre 2024

Joker: Folie à Deux (2024)

Venerdì sono andata al cinema a vedere Joker: Folie à Deux, diretto e co-sceneggiato dal regista Todd Phillips.


Trama: Arthur Fleck è rinchiuso in carcere, ma l'influenza di Joker è ben lungi dall'essersi estinta nelle strade di Gotham City.  Le cose si complicano ulteriormente quando Arthur si innamora, ricambiato, di Lee, una paziente del Manicomio Arkham...


E' ormai qualche giorno che parlo di Joker: Folie à Deux (da qui in poi Joker 2) con Mirco e altri amici che lo hanno visto. Più che una recensione, quindi, scriverò una raccolta di riflessioni nate a seguito di queste conversazioni. Tralasciando per un istante la bravura dei due attori principali, iniziamo col dire che Joker 2 non è un film brutto nel senso stretto del termine. Non può esserlo in virtù dello sforzo produttivo infuso e dell'enorme budget a disposizione di Todd Phillips, il quale è riuscito a confezionare un film gradevole alla vista e all'orecchio, senza sbavature a livello di regia, con alcune sequenze musical assai notevoli; l'idea di ampliare il concetto di un Arthur Fleck "malato" di cinema e televisione, già introdotto in Joker, dà vita a fantasie a tempo di musica dove immaginazione e realtà si fondono in omaggi ai film musicali della vecchia Hollywood, tra momenti più glamour e altri in cui il mondo reale muta impercettibilmente (deliziosa la scena in cui gli ombrelli cambiano colore senza uno stacco di montaggio percettibile), filtrato dalla malattia mentale del protagonista. In generale, tutto il film segue cliché che inquadrano i vari eventi in generi cinematografici ben definiti, dal dramma carcerario alla commedia d'amore, fino ad arrivare al courtroom drama, al punto che ogni snodo di sceneggiatura, salvo un paio di colpi di scena nel prefinale e sul finale, sono ampiamente prevedibili. Credo e spero fosse una cosa voluta, così come voluto era l'omaggio a Scorsese nel primo Joker, purtroppo il risultato stavolta è stato ben diverso, e Todd Phillips è caduto vittima di quella sofisticata semplicità che ha parlato alla pancia della maggior parte degli spettatori e dei critici nel 2019. Buona parte dell'empatia provata verso un personaggio oggettivamente sgradevole, derivava dalla scelta (condivisibile ma paracula) di affiancargli un parterre di comprimari ancora più sgradevoli, pronti a rendergli la vita un inferno anche e soprattutto per motivi futili, come se Arthur fosse la perfetta valvola di sfogo di stronzi da primato, riccastri con la puzza sotto il naso e madri inadatte al ruolo. Questo "trucco" era talmente tanto efficace che lo spettatore arrivava non solo a plaudere la violenta rivalsa di Arthur verso i suoi aguzzini e la società corrotta, con conseguente rivoluzione proletaria nelle strade di Gotham, ma persino a disprezzare chi, come la vicina di casa Sophie, risultava immune al suo fascino.


In Joker 2, come ho scritto, Phillips inciampa nelle sue stesse premesse facendo il passo più lungo della gamba. Attorno ad Arthur, infatti, si muovono personaggi che lo trattano comunque con rispetto ed attenzione, come l'avvocatessa e il giudice, davanti ai quali ogni rimostranza del protagonista risulta palesemente il frutto della mente di un pazzo; peggio ancora, durante il processo ad Arthur Fleck viene messo in evidenza proprio il suo narcisismo allucinato da parte di due personaggi già presenti nel primo film, due testimonianze che mettono i brividi per il tragico realismo che veicolano. Non è che la guardia carceraria Jackie e i suoi colleghi siano "simpatici", così come non lo sono il giornalista Paddy Meyers o il procuratore Harvey Dent, ma torno a dire che sono costruiti come dei cliché, probabilmente esasperati dalla percezione alterata di un punto di vista inaffidabile. Senza mostri a giustificarne le azioni, Arthur Fleck perde di credibilità, l'empatia viene meno, il disgusto che veniva messo a tacere durante il primo film qui riemerge veemente, e lo stesso Joker risulta una caricatura priva di fascino o carisma. La Folie à Deux che tanto ha fatto palpitare i cuori di chi pensava all'amore folle tra Joker e Harley Queen, con un ragazzo e una ragazza che si incontrano e incendiano il mondo, si riassume facilmente con un "tira più un pelo di Lee che un carro di buoi", e risulta molto più cringe quando tornano alla mente le immagini porno che inframmezzavano il diario di Arthur nel primo film. Non si può nemmeno dire che Lee sia la Bedelia (chi legge Ortolani sa) della situazione, poiché gli intenti della bionda sono chiari e palesi fin dall'inizio, ed è proprio la sua presenza a sgretolare il mito di Arthur Fleck e di Joker, rendendo il film ancora più inutile perché, nonostante l'aggiunta di questo agente del Caos al femminile, Joker 2 non racconta nulla di nuovo. 2 ore e 18 di film servono a ripercorrere più volte le vicende della prima pellicola secondo diversi punti di vista, il personaggio principale non solo non evolve ma ricompie errori già commessi, Todd Phillips ripropone persino le stesse sequenze e gli stessi snodi di Joker con un paio di piccolissime varianti.


A farne le spese per primo, purtroppo, è Joaquin Phoenix. Premesso che quest'ultimo potrebbe interpretare un sasso e sarebbe comunque affascinante e convincente, il problema subentra quando il regista non è all'altezza e questo, purtroppo, salta all'occhio ancor più dopo aver riguardato il primo Joker. Lì il modello era il primo De Niro, un po' Travis Bickle in Taxi Driver un po', soprattutto durante la transizione da Fleck a Joker, Max Cady de Il promontorio della paura (per intenderci: Cady era una creatura repellente e razionalmente nessuna donna lo avrebbe toccato con un dito. Infatti subentrava il senso di colpa nel pensarlo affascinante e in Joker accadeva la stessa cosa). Qui Phoenix è perfetto negli atteggiamenti dimessi di Arthur, che mi hanno ricordato a tratti l'intensità di Daniel Day Lewis, ma quando veste i panni di Joker la mente corre inevitabilmente all'ultimo De Niro, quello con la faccia da "mecojoni" che ormai non crede più nemmeno in quello che recita, che va avanti solo per il nome e il suo passato glorioso. A maggior ragione, in un paio di duetti con Lady Gaga ho pensato a Sandra e Raimondo, forse perché Sbirulino era un clown a sua volta, e per quanto mi riguarda la scena di sesso in carcere può tranquillamente vincere l'Oscar per la sequenza più imbarazzante del 2024, a pari merito con quelle di Napoleon (c'è sempre Phoenix di mezzo. Coincidenze? Noi del Bollalmanacco, e Giuseppina, pensiamo di no). Lady Gaga, bella stella, è una cantante divina. Ogni sua performance musicale in Joker 2 mette i brividi, con quella voce splendida che riesce a modulare come vuole e il carisma naturale che le fa divorare ogni scena. Ma toglile il canto, santa creatura, e mettila accanto a uno come Phoenix, e mi fa la figura di un comodino impagliato, occhio spento e viso di cemento compresi, col risultato che tra Arthur e Lee non c'è la minima alchimia, quindi neppure coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore. Per tutti questi motivi, posso serenamente dire che Joker: Folie à Deux è un film inutile. Non bello, non brutto, ma sicuramente uno spreco di tempo, denaro e talenti. Ma d'altronde non mi aveva convinta neppure Joker, un'opera migliore sotto tutti i punti di vista, quindi non sono rimasta né sorpresa né delusa. 


Del regista e co-sceneggiatore Todd Phillips ho già parlato QUIJoaquin Phoenix (Arthur Fleck), Lady Gaga (Lee Quinzel), Brendan Gleeson (Jackie Sullivan), Catherine Keener (Maryanne Stewart), Zazie Beetz (Sophie Dumond), Steve Coogan (Paddy Meyers) e Ken Leung (Dr. Victor Liu) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Joker: Folie à Deux  vi fosse piaciuto recuperate, ovviamente, Joker. ENJOY!

martedì 7 maggio 2019

Stanlio e Ollio (2018)

Passata la doverosa febbre da Endgame, domenica sono andata al cinema per recuperare Stanlio e Ollio (Stan & Ollie), diretto nel 2018 dal regista Jon S. Baird e tratto dal libro Laurel & Hardy - Thr British Tour di A.J. Marriot.



Trama: Negli anni '50, ormai in declino, Stanlio e Ollio decidono di imbarcarsi in un ultimo tour teatrale, sperando così di poter promuovere un loro futuro film.



Ah, Stanlio e Ollio. Quanti pomeriggi passati a godersi le loro comiche in TV, quante serate a guardare i film, col loro umorismo surreale e delicato, perfetto per tutta la famiglia. Siamo così abituati a vedere lo svanito Stanlio e il burbero Ollio che è difficile pensare l'ovvio: dietro quelle maschere c'erano degli uomini veri, reali, coi loro pregi, i loro difetti e i loro umanissimi problemi. Ecco allora che Stan Laurel era rissoso e schivo, interamente consacrato al lavoro, mentre Oliver Hardy aveva pesanti problemi di salute, amava le donne e le scommesse alle corse, e quest'ultimo binomio lo portava a scialacquare ingenti somme di denaro. E' difficile pensare, anche, che i due potessero stare separati, eppure è successo. Nel 1939 ad Ollio era stato affiancato tale Harry Langdon, un comico americano, poiché il produttore Hal Roach aveva licenziato in tronco Stanlio, giusto per citare un episodio ricordato anche in Stanlio e Ollio; a proposito di questa separazione, nel film si da ad intendere che lo screzio derivante dal "film con l'elefante" (Ollio sposo mattacchione) avesse suggellato la fine del sodalizio artistico tra i due, almeno fino alla fine degli anni '50, ma in verità gli attori hanno continuato a lavorare di coppia, pur con sempre meno successo, per la Fox e la MGM almeno fino al 1946 e l'anno dopo sono partiti per il tour europeo di cui racconta la pellicola di Jon S. Baird, mix tra quella e un altra tournée intrapresa negli anni '50, teatro del commovente episodio irlandese citato anche nel Preacher di Garth Ennis. A prescindere dalle libertà storiche prese da questo Stanlio e Ollio, è innegabile che il film funzioni sia come ritratto del privato dei due famosissimi attori sia come testimonianza di una Hollywood sicuramente più ingenua ma non meno insidiosa, dove le cosiddette "star" altro non erano che carne da macello (soprattutto quelle più sprovvedute) e sicuramente non venivano ripescate, come succede oggi, da reality o altre schifezze simili; la fine di una carriera, decretata dal gusto del pubblico o da scandali più o meno gravi, era il prodromo di indigenza, oblio, depressione e infine morte, tanto che il tour di Stanlio e Ollio risulta più una fuga da un destino ingrato più che una corsa verso un rinnovato successo.


E così, tra la perfetta ricostruzione di gag amatissime dal pubblico, momenti di dolorosa introspezione e la gioia (o forse la fatica?) di indossare la maschera di Stanlio e Ollio per propiziarsi l'amore di persone sconosciute, il film scorre portando il pubblico ad affezionarsi ancor più a questi due uomini in declino, afflitti da amarezza e vecchiaia, portati sul grande schermo da due attori grandissimi e perfetti. Come già accaduto in Bohemian Rhapsody con Rami Malek pronto a restituire agli spettatori la performance soprattutto fisica di Freddy Mercury, Steve Coogan e John C. Reilly si annullano nei tic che hanno reso Stanlio e Ollio famosi ed adorabili in tutto il mondo, come per esempio Stanlio che si spettina i capelli o Ollio che sfarfalla le dita imbarazzato, ma non solo. Coogan e Reilly fanno rivivere Stan Laurel e Oliver Hardy anche e soprattutto al di fuori dello spettacolo; due amici, due uomini diversi e complementari costretti a stare insieme per uno scherzo del destino, due anime in pena prese tra il desiderio di tornare alla ribalta e quello di vivere un'esistenza tranquilla, due attori fatti prigionieri dai loro personaggi iconici, prede di un odi et amo durato quasi mezzo secolo. Ad arricchire ulteriormente la performance degli attori, ci pensano Shirley Anderson e Nina Arianda nei panni delle ultime mogli di Stan e Oliver, caratteri peculiari e tragicomici quanto i mariti, che affrontano ognuna in modo diverso l'idea di celebrità in declino e di uomini che invecchiano senza mai far venir meno l'ingrediente più importante: l'amore. E su questa nota sdolcinata chiudo, consigliandovi senza remore il dolceamaro Stanlio e Ollio. Non so quale effetto avrà avuto sui fan tout court ma per chi, come me, ha sempre apprezzato il duo comico per eccellenza, ha l'effetto di un balsamo nostalgico e chissà che non metta voglia di saperne di più anche a chi, poverello, non ha idea di chi fossero Stanlio e Ollio. A questi ultimi posso solo dire un "oooooh, stupìdi!". Hmp!


Di Steve Coogan (Stan Laurel), John C. Reilly (Oliver Hardy), Shirley Henderson (Lucille Hardy) e Danny Huston (Hal Roach) ho parlato ai rispettivi link.

Jon S. Baird è il regista della pellicola. Scozzese, ha diretto film come Filth ed episodi della serie Vinyl. Anche produttore e sceneggiatore, ha 47 anni.


Se Stanlio e Ollio vi fosse piaciuto potreste riguardare o recuperare le opere citate nel film: i corti La scala musicale e Ospedale di contea assieme ai film Fra' Diavolo e I fanciulli del West, questo tanto per cominciare. Aggiungerei anche la serie Feud, ovviamente. ENJOY!

venerdì 15 settembre 2017

Marie Antoinette (2006)

Ormai un mese fa è passato in TV Marie Antoinette, diretto e sceneggiato nel 2006 dalla regista Sofia Coppola, e finalmente anche io che ho sempre adorato le opere legate alla rivoluzione francese e alla figura dell'iconica regina di Francia sono riuscita a vederlo!


Trama: Maria Antonia d'Asburgo-Lorena, figlia dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa, viene promessa in sposa al Delfino Luigi di Francia e mandata a Versailles per il matrimonio. Lì, la giovane Marie Antoinette è costretta a sottostare alla rigida etichetta di corte, a sopportare un marito incapace di toccarla e a subire le maldicenze di nobili e cortigiani...



Guardando Lady Oscar dall'età di sette anni, è normale che sia rimasta affascinata dalle vicende della Rivoluzione Francese e dalla figura di Maria Antonietta, probabilmente la regina più amata/odiata della storia. Chi era davvero Antonietta? La demonessa dello sperpero e della lussuria che teneva in gran dispetto e odio tutto il popolino (pronunciando magari, con rossetto nero d'ordinanza, bufale quali "Il popolo non ha pane? Che mangino brioche!", come accade nella scena più tristemente ironica del film) oppure, semplicemente, una ragazzina ingenua venutasi a trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato? La verità, probabilmente, sta nel mezzo anche se ci sono fior di biografie da leggere e sulle quali ragionare, ma sicuramente il ritratto realizzato da Sofia Coppola pende più verso la seconda ipotesi, avvalorata dalla biografia di Antonia Fraser, molto popolare negli USA. La regista, anche in veste di sceneggiatrice, ci mostra fin dall'inizio Maria Antonietta come una ragazzina di buon cuore catapultata in un mondo ostile e spersonalizzante: la ragazza, penultima di sedici figli, è stata ceduta dalla madre come "oggetto" per suggellare l'alleanza tra Francia e Impero Austriaco e viene di fatto abbandonata alla mercé di una Corte sconosciuta, totalmente disinteressata ad Antonietta come "persona". Ad appena quattordici anni, la futura regina di Francia viene da una parte allettata dalla promessa di una vita fatta di agi e lussi, dall'altra la sua natura di donna e il suo valore come essere umano vengono subordinati alla sua capacità di mettere al mondo un erede e di invogliare in primis il Delfino di Francia a giacere con lei, così da adempiere ai suoi doveri. Di fatto, l'unico modo per mantenere un vincolo tra Francia e Austria era proprio dare alla luce un bambino figlio di entrambi i regni, in caso contrario Maria Antonietta sarebbe diventata inutile e probabilmente Re Luigi XV (che già avrebbe dovuto sposare una delle figlie più anziane di Maria Teresa, rimasta sfigurata dal vaiolo) l'avrebbe rimandata dritta a casa dall'Imperatrice; vinta dallo sconforto, dalle parole fredde della madre, dal disinteresse del futuro Luigi XVI, dall'insofferenza verso una vita fatta di regole rigide e protocolli di ferro, ad Antonietta non rimane altra possibilità che fare come qualsiasi ragazza moderna, ovvero darsi allo shopping, ai peccati di gola, alle feste, a tutto ciò che potrebbe darle un'illusione di libertà e felicità, per quanto momentanea.


Sofia Coppola si concentra quindi sull'aspetto più "Bling Ring" della vita di Maria Antonietta, soprattutto nella prima parte del film, accentuandone la frivola modernità con i tanto discussi ammiccamenti alla moda contemporanea (ah, quelle Converse, quei coloratissimi macaron di Ladurée, per non parlare della colonna sonora!) e sorvolando su episodi iconici della vita della sovrana, più legati ad una questione sociale, in primis la famigerata vicenda della collana. A dire il vero, probabilmente per lo spettatore che non conosce a menadito tutte le vicende che hanno portato alla Rivoluzione Francese risulterà anche difficile capire perché ad un certo punto i popolani vorrebbero fare fuori Antonietta e i suoi famigliari, visto che i pesanti problemi di deficit e lo squilibrio tra nobili e il cosiddetto "terzo stato" vengono appena accennati nel film, ma è anche questa scelta a rendere affascinante la pellicola della Coppola. La regia elegante e il montaggio vorticoso, la sovrabbondanza di dettagli per quel che riguarda scenografie e costumi, che inghiottono letteralmente la protagonista, e la fotografia dai colori accesi trasformano la vera Versailles prima e il vero Petit Trianon poi (se siete stati in entrambi i posti non potrà fare a meno di esplodervi il cuore, io vi avviso) in un limbo atemporale capace di sedare i sensi e placare momentaneamente il dolore, un eden dove le brutture della società non arrivano ma dove bisogna anche faticare per rimanere umani e conservare, paradossalmente, qualcosa che sia possibile definire proprio. La seconda parte, quella che coincide con la maternità e maturità di Antonietta, è ben più malinconica e riflessiva della prima e anche lo stile di regia asseconda questo cambiamento di atmosfera, accompagnando lentamente la Sovrana verso il triste destino prefigurato nel finale con eleganti immagini di morte, tra gramaglie e quadri dove i bimbi ritratti scompaiono come se non fossero mai esistiti, mentre la realtà irrompe con forza e violenza in una vita scandita da riti fasulli e assurdamente coreografati... ma non per questo meno vera.


Capita così che, nonostante liberté, egalité et fraternité siano dei concetti santi e condivisibili, sul finale si arrivi persino a versare qualche lacrima per la bellissima Antonietta della Dunst e per quel babbalone di Jason Schwartzman nei panni di Luigi XVI, alla faccia di tutto il "nulla" di cui abbonda lo stilosissimo Marie Antoinette e di tutta la colorata ricchezza che viene sbattuta in faccia con disprezzo sia allo spettatore che al popolo di Parigi. Gli sguardi malinconici di Kirsten Dunst, il sorriso forzato di chi si impegna con tutta sé stessa per piacere inutilmente, lo sguardo gioioso di chi finalmente ha trovato l'amore vero, che sia di uno svedese tutt'altro che freddo oppure dei propri bambini, persino la forza con la quale la protagonista sceglie di essere, finalmente, Regina di Francia fino all'ultimo sono tocchi di profondità che rendono il personaggio umano ed impossibile da odiare, fin dalla prima scena del film. Anzi, oso dire che Marie Antoinette è un film talmente bello, in ogni suo aspetto, che persino Asia Argento (per quanto cagna maledetta sempre e comunque, in saecula saeculorum, amen) mi è sembrata perfetta nei panni della favorita del re, con la sua naturale volgarità e l'incapacità di proferire verbo in una lingua comprensibile, anche se la povera Du Barry non era certo così vajassa ed ignorante come spesso la si dipinge. A dire il vero, alla Coppola rimprovero solo di avere messo un mollo privo di carisma come Jamie Dornan ad interpretare l'affascinante Conte di Fersen, ché se Lady Oscar avesse visto questo antenato di Mr. Grey probabilmente avrebbe scelto di rimanere uomo per il resto dei suoi giorni. E ora, siccome sto scrivendo troppe cretinate, concludo qui il post, ribadendo la bellezza di Marie Antoinette e consigliandovi di non aspettare troppo per recuperarlo come ho fatto io; nell'attesa che esca L'inganno la settimana prossima potrebbe essere un ottimo antipasto... buono quasi quanto i famosi e proibitivi macaron di Ladurée!


Della regista e sceneggiatrice Sofia Coppola ho già parlato QUI. Kirsten Dunst (Maria Antonietta), Jason Schwartzman (Luigi XVI), Judy Davis (Contessa de Noailles), Rose Byrne (Duchessa de Polignac), Asia Argento (Contessa du Barry), Molly Shannon (Zia Vittoria), Shirley Henderson (Zia Sofia), Danny Huston (Imperatore Giuseppe II), Sebastian Armesto (Conte Louis de Provence), Tom Hardy (Raumont) e Steve Coogan (Ambasciatore Mercy) li trovate ai rispettivi link.

Rip Torn (vero nome Elmore Rual Torn Jr.) interpreta Luigi XV. Americano, ha partecipato a film come Il re dei re, L'uomo che cadde sulla Terra, Coma profondo, L'aereo più pazzo del mondo... sempre più pazzo, RoboCop 3, Giù le mani dal mio periscopio, Ancora più scemo, Men in Black, Men in Black II, Palle al balzo - Dodgeball, Men in Black 3 e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta, Colombo, Will & Grace e 30 Rock mentre come doppiatore ha lavorato nel film Hercules. Anche regista e produttore, ha 86 anni.


Jamie Dornan interpreta il Conte Hans Axel Von Fersen. Irlandese, meglio conosciuto come Mr. Grey di Cinquanta sfumature di grigio e Cinquanta sfumature di nero, ha partecipato a serie quali C'era una volta. Ha 35 anni e cinque film in uscita.


Il film ha vinto giustamente un Oscar per i Migliori Costumi, andato nelle sante mani di Milena Canonero. La parte di Luigi XV era stata offerta ad Alain Delon il quale però ha rifiutato, sentendosi inadatto al ruolo; per problemi di impegni pregressi, invece, sia Angelina Jolie che Catherine Zeta-Jones hanno dovuto rinunciare ad interpretare la Contessa du Barry, lasciando così tristemente il posto ad Asia Argento mentre a Judy Davis, che è finita a interpretare la Contessa de Noailles, era stato offerto il ruolo di Maria Teresa D'Austria. Se Marie Antoinette vi fosse piaciuto dovete OVVIAMENTE recuperare lo splendido anime Lady Oscar (o il manga di Ryoko Ikeda e magari anche Innocent di Shin'Ichi Sakamoto) e aggiungere L'intrigo della collana, giusto per completare un pezzetto di storia che nel film della Coppola manca. ENJOY!

venerdì 1 settembre 2017

Cattivissimo me 3 (2017)

E con Cattivissimo me 3 (Despicable Me 3), diretto dai registi Kyle Balda, Pierre Coffin e Eric Guillon, si conclude la tripletta di novità viste questa settimana. Come sarà andata la rimpatriata con Gru e soci? Mah...


Trama: dopo essere stato licenziato dalla Lega Anti-Malvagi e aver perso il supporto dei Minion, Gru si riunisce al gemello perduto Dru, un ricchissimo allevatore di maiali che vorrebbe intraprendere la carriera di supercattivo.


Sono andata a vedere Cattivissimo me 3 con tre bambini (due cuginette e il Bolluomo, anche se quest'ultimo vi direbbe che la bambina ero io) e siccome era la prima volta che portavo al cinema con me le cuginette, rispettivamente di quasi 12 e quasi 9 anni, ero un po' nervosa e più che guardare il film ho cercato di capire se le piccole si stessero divertendo. La grande, più schiva e, per l'appunto, "adulta", ha riso ben poco mentre la piccola s'è divertita soprattutto davanti ai Minion o nei momenti di comicità più "fisica" però entrambe hanno detto che il film gli era piaciuto; il bambino Mirco, invece, mi ha confessato in privata sede di non aver trovato Cattivissimo 3 divertente come i film che lo hanno preceduto perché, a suo dire, "mancava qualcosa". Mettendo assieme queste tre opinioni e considerato che io ho riso come una matta solo davanti al baffuto e trashissimo Balthazar Bratt, posso dire che stavolta i signori della Illumination hanno un po' mancato l'obiettivo o, meglio, hanno raggiunto quello di fare ancora una volta soldi a palate ma dubito siano riusciti ad invogliare gli spettatori ad attendere un altro, inevitabile sequel della storia di Gru. Anche perché, ammettiamolo, non c'è più molto da dire in merito ed è qui che Mirco (e anche io) ha rilevato la "mancanza". Nel primo Cattivissimo Me il protagonista seguiva un percorso formativo che alla fine lo portava dall'essere cattivo all'essere buono e a trovare uno scopo nella vita, nel secondo capitolo Gru doveva invece fare i conti col suo nuovo stile di vita e scoprire l'amore; nel terzo episodio della saga non esiste invece un'evoluzione dei personaggi (se non contiamo i problemi materni all'acqua di rose di Lucy o la scoperta della disillusione da parte della piccola Agnes) e la trama conseguentemente si "siede", trasformandosi in una serie di gag e storie parallele malamente tenuta assieme da un debole filo conduttore, il gemello perduto Dru, personaggio tra il loffio e l'imbarazzante, sicuramente poco divertente sia per gli adulti che per i bambini i quali, in sostanza, vogliono solo i Minion. E qui casca l'asino perché gli esserini gialli si vedono davvero poco in Cattivissimo me 3, lasciando spazio alle vicende scioccherelle di tre bambine che in tre film non sono cambiate di una virgola e, peggio ancora, non vengono mai inserite costruttivamente all'interno della trama e si limitano a fare le damsel in distress della situazione. A dimostrazione di come gli sceneggiatori non sapessero proprio bene che pesci pigliare, basti solo dire che il Dottor Nefario è stato messo da parte grazie a un barbatrucco nerd che ben pochi bambini potranno capire e che la nuova capa della Lega Anti-Cattivi, introdotta con gran fanfara, scompare dopo un paio di minuti.


Il villain Balthazar Bratt è un altro punto a sfavore del divertimento dei più piccini. Benché io fossi piegata sulla poltrona dal ridere, il personaggio dell'ex bambino prodigio della TV non può necessariamente fare presa su un pubblico di giovanissimi, che al limite potranno trovarlo buffo per il suo aspetto. Come fanno creature dai sei ai quindici anni a capire che Balthazar Bratt è un povero sfigato ancorato alle mode di fine anni '80/inizio '90 e che proprio per questo è esilarante vederlo combattere sulle note di I'm Bad o Into the Groove oppure seguire i video di aerobica di Jane Fonda mentre parla con un robottino assai simile al vecchio Emilio? Persino il mullet coi baffoni sfoggiato dal villain, "impreziosito" da una bella chiazza pelata in cima alla capoccia, è geniale nella sua spietatezza. Eppure, giustamente, le mie cuginette lì non hanno riso e non capivano perché io mi sbellicassi. Cosa rimane quindi di universalmente apprezzabile in questo Cattivissimo me 3? Beh, a me è piaciuta molto la resa visiva del Paese inventato di Freedonia, dove vive Dru. Mix di Bavaria, Europa Orientale, Spagna, Francia, Italia e Grecia, la Freedonia è un posto vivace e zeppo di colori, un luogo suggestivo che ricorda mille immagini da cartolina e raccoglie in sé altrettanti stereotipi, il che probabilmente è anche un modo per mettere alla berlina l'ignoranza crassa degli americani. Altro punto a favore, ovviamente, i Minion. Proprio in virtù del poco tempo a loro disposizione, i creaturini gialli riescono a non nauseare lo spettatore e si fanno desiderare, cosa che li rende ancora più simpatici: certo, la sottotrama a loro dedicata non serve a un'emerita cippa ma è sempre divertente ascoltare Pierre Coffin esprimersi nel folle Minionese (cercando ovviamente di tradurlo) e assistere a numeri musicali sempre più elaborati, che vanno a incastrarsi alla perfezione in una colonna sonora deliziosa e zeppa di successi vintage. In soldoni, Cattivissimo me 3 è il secondo film MEH che vedo questa settimana: non è abbastanza brutto per odiarlo, né abbastanza bello per consigliarlo, a meno che non siate dei CattivissimoMe Addicted. In tal caso, che lo sforzo sia con voi, non sarò certo io a dissuadervi dall'andare al cinema.


Dei registi Kyle Balda e Pierre Coffin (anche doppiatore dei Minion) ho già parlato ai rispettivi link e lo stesso vale per Steve Carell (voce originale di Gru e Dru), Kristen Wiig (Lucy), Steve Coogan (Fitz/Silas Caprachiappa), Julie Andrews (Mamma di Gru) e Andy Nyman (Clive il robot).

Eric Guillon è il co- regista della pellicola, alla sua prima esperienza. Probabilmente Francese, ha lavorato soprattutto come character designer nei film Cattivissimo me (e seguiti) e Lorax - Il guardiano della foresta.


Trey Parker è la voce originale di Balthazar Bratt. Co-creatore di South Park, ha lavorato soprattutto come doppiatore per lo show (sue le voci di Stan e Cartman, per esempio) e per altre serie quali Team America. Americano, anche musicista, sceneggiatore, produttore, animatore e regista, ha 48 anni.


Le voci italiane sono sempre quelle di Max Giusti per Gru/Dru e Arisa (bleagh!) per Lucy, alle quali si aggiunge quella di Paolo Ruffini che doppia invece Balthazar Bratt. Cattivissimo me 3 segue direttamente Minions, Cattivissimo me e Cattivissimo me 2 quindi se vi fosse piaciuto recuperate tutti i suoi "fratelli", nell'attesa che esca Minions 2 nel 2020 (bisogna aspettare un po' in quanto, come si evince dalla maglia indossata da Margo, il prossimo film della Illumination sarà una versione animata de Il Grinch, prevista per l'anno prossimo). ENJOY!

mercoledì 12 ottobre 2016

Pets - Vita da animali (2016)

Da brava bimba, domenica mi sono fatta portare a vedere Pets - Vita da animali (Secret Life of Pets), diretto dai registi Yarrow Cheney e Chris Renaud.


Trama: Max è un cagnolino fortunatissimo che adora, ricambiato, la sua padrona. La sua vita viene però sconvolta quando quest'ultima sceglie di accogliere in casa il cagnone Duke, cosa che, per una serie di circostanze, porta entrambi gli animali a perdersi nell'immensa New York...


Negli ultimi anni, ovunque si vada, è diventato praticamente impossibile non vedere almeno mezza dozzina di persone armate di guinzaglio e cane mentre su Facebook buona parte dei miei amici (me compresa) delizia l'audience con immagini dei gatti di casa; francamente, io non ho molto spirito di osservazione ma mmadre, che si guarda in giro ben più di me, è pronta a giurare che una volta non si vedessero così tante bestiole ed effettivamente si sente sempre più spesso parlare di diritti da concedere agli animali domestici, leggi ad hoc, prodotti e negozi specializzati, ecc. Tutto ciò per dire che questo era probabilmente il momento storico giusto per tirare fuori un film come Pets - Vita da animali, che sfrutta il nostro rinnovato amore (non sarò così insensibile da parlare di moda, via) per gli animali non soltanto per celebrarlo ma anche per prenderci un po' in giro andando a toccare quei comportamenti imbecilli e quei vizi che riserviamo solo alle bestiole di casa, oltre a farci sentire un po' in colpa per tutte quelle volte che le lasciamo da sole a causa del lavoro o di altri impegni improrogabili. Il film racconta appunto cosa accade quando gli umani non ci sono e i "pet" si abbandonano alla vita segreta del titolo originale; questo assunto di partenza da il la a tutte le esilaranti gag che vediamo da mesi nei trailer ma Pets - Vita da animali fortunatamente non si limita a mostrarci ciò che si nasconde in ogni appartamento abitato da esseri alati o a quattro zampe e prova ad imbastire una storia all'interno della quale due cani, Max e Duke, dopo essersi contesi l'affetto della padrona sono costretti a collaborare per sopravvivere ad una disavventura che li vede persi a New York. La trama ci consente non solo di testimoniare scorci di vita domestica ma anche di incontrare gli animali che, per un motivo o per l'altro, sono stati abbandonati dai padroni entrando nelle fila di un "fronte di liberazione pets" capitanato dal coniglio psicopatico Nevosetto, ovvia concessione dei realizzatori alle necessarie atmosfere avventuroso-demenziali che hanno fatto la fortuna di film come Cattivissimo me e Minions.


La picaresca vicenda di Max e Duke si snoda all'interno dei prevedibili binari del genere, deliziando lo spettatore con una marea di personaggi uno più simpatico dell'altro e fughe rocambolesche (spesso su quattro ruote!), tuttavia, per quanto gradevole, non è questo aspetto di Pets - Vita da animali ad avermi colpita. Il film di Yarrow Cheney e Chris Renaud con me ha infatti agito in maniera molto più subdola già a partire dalla carrellata iniziale, una panoramica mozzafiato su una città che per me racchiude tantissimi bei ricordi, ovvero New York; mondo all'interno del mondo, la Grande Mela diventa il Pianeta degli animali domestici, fatto di territori familiari ed ospitali come lo splendido Central Park (la vista dall'alto è mozzafiato e coloratissima) ma anche di quartieri dove sarebbe meglio non girare da soli, con dei punti fissi sicuri che corrispondono ai deliziosi appartamenti situati appena sotto il livello degli immensi grattacieli. Una celebrazione così grande di New York e del fascino che la città esercita non solo sui suoi abitanti ma anche su noi stranieri costretti a vederla sullo schermo non la vedevo dai tempi del vecchio Woody Allen e vi posso assicurare che il finale di Pets, con i personaggi finalmente riuniti ad ammirare incantati lo skyline notturno, rimette in pace col mondo. Allo stesso modo, riempie il cuore di commozione la sensibilità con la quale i realizzatori hanno scelto di concludere il film mostrando il ricongiungimento tra padroni e animali, fatto di piccoli gesti d'amore, scherzi reiterati, vizi innocenti e soprattutto tanta, tantissima felicità: la gioia di trovare un porto sicuro dove approdare a fine giornata, di condividere l'enorme solitudine di una città cosmopolita come New York, di dare e ricevere amore disinteressato, è tutto racchiuso in quelle dolcissime sequenze finali che rendono Pets - Vita da animali un cartone animato adatto soprattutto a chi quelle sensazioni le vive ogni giorno ma anche a chi vuole godersi un film simpatico, ideale per tutta la famiglia. Se poi alla fine del film i bambini vi chiederanno un animaletto non sarà ovviamente colpa mia, l'importante è che lo teniate anche passata l'euforia da "Pets" e non gli facciate fare la fine di Nevosetto e compagnia perché potrebbe arrivare un porco tatuato a mordervi le chiappe. Io vi ho avvisati.


Del co-regista Chris Renaud (che doppia anche la cavietta Norman) ho già parlato QUI. Louis C.K. (voce originale di Max), Kevin Hart (Nevosetto), Albert Brooks (Tiberius) e Steve Coogan (lo Sphynx Ozone e il barboncino metallozzo Reginald) li trovate invece ai rispettivi link.

Yarrow Cheney è il co-regista della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio ma ha già lavorato come production designer, animatore, sceneggiatore e produttore. Ha un film in uscita, How the Grinch Stole Christmas.


Dana Carvey è la voce originale di Papotto. Americano, comico di punta del Saturday Night Live, ha partecipato a film come Il signore della morte, Fusi di testa e Fusi di testa 2 - Waynestock. Anche sceneggiatore e produttore, ha 61 anni.


Per la versione italiana sono state utilizzate le voci di Alessandro Cattelan (Max), Lillo (Duke), Francesco Mandelli (Nevosetto) e Laura Chiatti (Gidget). Nell'attesa che esca Secret Life of Pets 2, probabilmente nel 2018, se Pets vi fosse piaciuto recuperate Zootropolis e la saga di Kung Fu Panda. ENJOY!


domenica 6 settembre 2015

Minions (2015)

Uscita dritta dritta dalla visione di Minions, diretto dai registi Kyle Balda e Pierre Coffin, ecco un paio di impressioni a caldo su questa pellicola che aspettavo tanto!


Trama: "orfani" di padrone, i minion Stuart, Bob e Kevin vanno in spedizione per conto dell'intera tribù e si imbattono in Scarlett Sterminator, una supercattivissima che vuole rubare nientemeno che la Corona d'Inghilterra...


Cosa sarebbero Cattivissimo Me e il suo sequel senza i Minions? Ammettiamolo, è dal 2010 che stavamo tutti aspettando un film che vedesse i buffi esserini gialli protagonisti assoluti. Quest'anno il nostro desiderio si è avverato e Minions si è confermato, almeno per quel che mi riguarda, un esperimento riuscitissimo, simpatico, garbato e (soprattutto!) della giusta durata: un'ora e mezza di avventure del dinamico trio Stuart, Bob e Kevin è la perfetta via di mezzo tra un cortometraggio poco soddisfacente e un'ininterrotta, lunghissima sequenza di gag che dopo un po' diventerebbe pesante come un macigno. La storia, introdotta da un serissimo Alberto Angela che ci mostra le origini degli ometti gialli (nonché le tristi dipartite dei padroni nel corso delle ere ma non spiega come fanno i Minions a riprodursi, papà Piero non apprezzerebbe tanta superficialità!), si focalizza solo su tre Minions i cui caratteri uniti creano delle dinamiche parecchio esilaranti e, parallelamente alla loro odissea tra Orlando e Londra, riesce anche a seguire con poche, spassose e caotiche sequenze, le vicende del resto della tribù. A fare le spese dello zelo adorante di Stuart, Bob e Kevin sono la cattivissima Scarlett Sterminator e il marito Herb, malvagia osannatissima la prima ed innamoratissimo emulo di Austin Powers il secondo, che come "prova" per assumere i Minions pretendono la corona d'Inghilterra; il film verte interamente sul tentativo dei tre Minions di recuperare il preziosissimo oggetto e sulle impreviste conseguenze del loro gesto scellerato, offrendo al pubblico una simpatica parodia dei film "di spionaggio" e, soprattutto, tutta quella serie di stupidissimi stereotipi britannici che fanno sempre tanto ridere, per di più ambientati all'epoca della Swinging London. Ovviamente non vi racconto nello specifico cosa succederà nel film ma preparatevi a sciogliervi davanti alla dolcezza di Bob, a strapparvi i capelli di fronte alla badassitudine di Stuart e ad entusiasmarvi davanti alla determinazione di Kevin; se non ci fossero loro il film sarebbe ben poca cosa anche perché purtroppo Scarlett Sterminator è tanto cattiva quanto loffia, non certo una nemesi adatta a un branco di scalmanati e carismatici esserini gialli.


Passando all'aspetto tecnico, Minions è coloratissimo, perfettamente animato e soprattutto prevede una serie di numeri musicali che sono quasi più belli e divertenti dell'intero film, sui quali spiccano l'ipnotica danza "bollywoodiana" delle guardie all'interno della Torre di Londra e il numero d'avanspettacolo fatto per festeggiare ed intrattenere il gelido "Capo" delle grotte ghiacciate. Ma la cosa che ho trovato assolutamente spettacolare di Minions, che mi ha lasciata a bocca aperta per tutta la sua durata, alla faccia di tutti gli sforzi dei validissimi animatori, sapete qual è stata? Sentirli parlare, ovvio!! E' vero che i Minions parlavano già nei due Cattivissimo Me ma stavolta il loro meraviglioso patois fa da "colonna sonora" all'intero film, non solo in qualche sequenza, ed è affascinante cercare di dare un senso a quell'inglese italianizzato, mezzo francese, un po' spagnolo, condito da un pizzico di tedesco e zeppo di parole prese da altri idiomi e messe apparentemente a caso che è il loro linguaggio. Con un po' d'attenzione si può capire tutto quello che dicono e dare anche delle rozze regole grammaticali al minionese (tranne forse durante il discorso di Bob. Quello effettivamente mi ha lasciata perplessa...) e non avete idea di quanto mi piacerebbe imparare a parlarlo come fa Pierre Coffin, di cui per fortuna hanno mantenuto la voce originale. Sì perché se vogliamo proprio trovare un neo a questo piacevolissimo cartone animato, è proprio il doppiaggio italiano. La Litizzetto come Scarlett Sterminator, col suo "pinoli" usato per rivolgersi ai Minions, è fastidiosa come al solito, la parola "guappo" in bocca al mollo Fabio Fazio, doppiatore di Herb, non si può sentire (e chissà cosa dice il personaggio in originale...) e anche Riccardo Rossi è inascoltabile quando doppia Walter Nelson (in America avevano Michael Keaton. No, per dire). Peccato, perché senza questo dettaglio Minions sarebbe perfetto. Non un cartone particolarmente memorabile ma sicuramente un prequel degno degli originali! Ah, e non alzatevi durante i titoli di coda, mi raccomando!


Del co-regista e voce dei Minions Pierre Coffin ho già parlato QUI mentre Sandra Bullock (voce originale di Scarlett Sterminator), Jon Hamm (Herb Sterminator), Michael Keaton (Walter Nelson), Allison Janney (Madge Nelson), Geoffrey Rush (il narratore) e Steve Carell (Gru) li trovate ai rispettivi link.

Kyle Balda è il co-regista della pellicola. Americano, ha co-diretto anche Lorax - Il guardiano della foresta e ha lavorato come animatore e doppiatore.


Steve Coogan (vero nome Stephen John Coogan) è la voce originale del guardiano della Torre. Inglese, incarnazione del personaggio comico Alan Partridge, ha partecipato a film come Il giro del mondo in 80 giorni, Marie Antoinette, Una notte al museo, Hot Fuzz, Tropic Thunder, Una notte al museo 2 - La fuga, Notte al museo: Il segreto del faraone e a serie come Little Britain; come doppiatore aveva già lavorato in Cattivissimo me 2. Anche produttore, sceneggiatore e compositore, ha 50 anni e due film in uscita.


Minions segue Cattivissimo me e Cattivissimo me 2 e nel 2017 sarà raggiunto da Cattivissimo me 3; nell'attesa, se Minions vi fosse piaciuto recuperateli tutti e aggiungete Home - A casa, Big Hero 6, Monsters & Co. e Monsters University. ENJOY!

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