Trama: il dittatore cileno Pinochet è in realtà un vampiro di 250 anni, ormai stanco di vivere. I suoi figli esaudirebbero volentieri il suo desiderio di farla finita, ma una giovane suora mette loro i bastoni tra le ruote...
E' un po' difficile pretendere di scrivere qualcosa su El Conde sapendo poco dell'oggetto della satira di Larraín, quindi prendete questo post come i pensieri di una persona ignorante che si è comunque divertita tantissimo guardando il film. Con El Conde, Larraín cerca di esorcizzare una figura chiave dell'esistenza sua e di ogni cileno vissuto fino all'inizio del nuovo millennio, quel dittatore Augusto Pinochet che ha tinto di sangue la storia del Cile, tra desaparecidos, uccisioni e ladrocini assortiti, ed è comunque riuscito a scampare alle maglie della giustizia una volta subentrate la vecchiaia e la morte. Non stupisce, detto ciò, che Larraín abbia deciso di dipingere Pinochet come un vampiro assetato di sangue, pronto a contrastare (nelle retrovie, come soldato) le rivoluzioni fin dai tempi di quella Francese, fino a giungere in Cile e tentare la scalata al potere come dittatore. Il ritratto che esce fuori di Pinochet è impietoso, non solo per l'allegoria utilizzata, ma anche per tutto ciò che di vero viene riportato nei dialoghi del film, specchio di un uomo che non ha mai nascosto la sua natura di assassino e che, contemporaneamente, ha sempre avuto "paura" di venire additato per le infinite malversazioni finanziarie di cui si è reso colpevole. E' dunque comprensibile che Larraín abbia scelto un approccio grottesco nel trattare un personaggio deprecabile, affiancandogli personaggi abietti quanto lui e incredibilmente stupidi nella loro gretta cattiveria; la moglie Lucía, il ritratto dell'arrivismo, il servo Fëdor (l'unico russo "bianco", assassino di bolscevichi), i figli avidi e meschini. Persino la suora Carmen, inviata dalla Chiesa per eliminare Pinochet dopo la serie di cruenti omicidi che apre il film, non può fare altro che soccombere al fascino del male e divenire malvagia ed egoista a sua volta, come se l'influenza oscura di Pinochet fosse riuscita a corrompere ogni cosa presente in Cile, persino la più "santa". A completare l'opera, e a rendere la satira di Larraín ancora più pungente e sagace, c'è l'utilizzo di una voce narrante "inattendibile", la cui identità è il plot twist migliore dell'intera pellicola e ha rischiato di farmi sputare un polmone.
Larraín confeziona uno splendido omaggio a horror iconici come Nosferatu e Dracula, fotografandolo in un bianco e nero elegantissimo grazie alla bravura dello storico collaboratore di Todd Haynes, Edward Lachman; tra sequenze in puro stile horror, dove cuori palpitanti vengono ficcati nel frullatore per creare disgustosi cocktail (scene che, peraltro, dopo lo shock iniziale vengono reiterate come se si trattasse di semplici lavori da sbrigare quotidianamente) e altre in cui la tristezza di una vita vissuta nel passato e nell'isolamento è tale che sembra di sentire i morsi del freddo sulla pelle e la puzza di muffa uscire dal mobilio, il regista riesce anche ad inserire immagini di pura poesia che fanno eco a La passione di Giovanna d'Arco e, per un istante, consentono di dimenticare l'orrore da cui derivano. Ci pensa però Jaime Vadell a ricordarci, sempre, che genere di mostro fosse Pinochet. Un mostro banale, un mostro sciocco e vecchio, privo del fascino che da sempre si associa ai vampiri, affiancato da un Alfredo Castro che fa spesso più paura di lui proprio perché, da buona "imitazione", cerca di avvicinarsi maggiormente all'iconografia del succhiasangue per darsi un prestigio di cui è privo. Gli altri attori, tutti bravissimi, si palleggiano dialoghi che lasciano spesso sconcertati per la pochezza di cui sono intrisi, con menzione particolare agli assurdi interrogatori della Carmen di Paula Luchsinger Escobar, un nevrotico folletto dalle mille facce scosso, alternativamente, da risate inopportune e pianti commossi, che onestamente ho fatto fatica ad inquadrare (anzi, se qualcuno mi offre un'interpretazione del personaggio di Carmen gliene sarei grata!). Pessimista e per nulla risolutorio, El Conde non è probabilmente il film più efficace di Larraín ma è riuscito ad affascinarmi per la sua originalità, e il mio consiglio è quello di non perderlo per nulla al mondo!
Del regista e co-sceneggiatore Pablo Larraín ho già parlato QUI.
Se El Conde vi fosse piaciuto recuperate Morto Stalin se ne fa un altro, Il dottor Stranamore, Goodbye Lenin e magari anche What We Do in the Shadows. Per sapere dove potete vederli in streaming, andate su Filmamo! ENJOY!
Sì, diciamo che è molto "circoscritto" a livello di trama, però per me è bastato così: non conoscendo l'argomento trattato, qualunque deviazione mi sarebbe risultata complicata (limite mio, certo) e probabilmente Larraín ha cercato di parlare a più persone possibili. Sia mai, che alle persone ignoranti come me non venga voglia di documentarsi di più!
RispondiEliminaNon ho una interpretazione sicura del personaggio della suora. La sua funzione è certamente quella di "confessore" della famiglia, in quanto tira fuori i dati e i misfatti, e i quattrini nascosti, e fa candidamente parlare il vampiro e i figli parassiti e fannulloni. Molto probabilmente ci sono dati direttamente "trascritti" da sentenze di tribunali. Nonostante sia in teoria integerrima e purissima [SPOILER] fallisce nella sua missione, si fa trasformare in vampiro dopo un estatico amplesso col nostro antieroe, svolazza in estasi e viene prosaicamente eliminata dal factotum russo. L'unico senso è che il "Conte," che ha ritrovato la voglia di vivere proprio parlando con lei, non può essere sconfitto. E infatti lo ritroviamo a far di nuovo squadra con un celebre personaggio britannico, lui ritornato bambino, pronto a una nuova lunga vita di crimini.
RispondiEliminaUn'interpretazione che mi piace, sì. Grazie!!
EliminaHai scritto una bellissima recensione, che mi trova d'accordo al 100%! Complimenti. Io non so se e quando ci riuscirò perchè ultimamente sono incasinatissimo, ma i tuoi spunti sono assolutamente condivisibili. Mi è parsa un'allegoria geniale (il "colpo di scena finale - che svela la voce narrante - è meraviglioso!) unita a una confezione di gran classe. Per me un signor film, che ha meritato il premio per la sceneggiatura a Venezia.
RispondiEliminaGrazie mille per i complimenti e per avermi letta!! Dev'essere stato interessantissimo vederlo a Venezia, fortunatamente Netflix è stata veloce!
EliminaIl ruolo di Carmen che si fa "sedurre" da El Conde lo interpreterei, sul piano storico, come il rapporto - ambiguo ma alla fin fine sempre complice - della Chiesa nei confronti delle dittature e dei fascismi (anzi, forse sono stati più i fascismi a mal sopportare la Chiesa e la sua istituzione per il suo innegabile prestigio - uno Stato nello Stato - che la Chiesa, forte del suo prestigio, nel provare ad opporvisi).
RispondiEliminaE' più o meno quello che avevo pensato anche io. Magari c'è stato un tentativo di "purificare" la dittatura, subordinato infine ad interessi molto più terreni ed egoisti. Grazie!!
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